La Paura nell’Illuminazione
e nello Zen
di...the Wanderling
http://www.angelfire.com/electronic/awakening101/zen-fear.html

(Trad. di Aliberth Meng)

 
 

Aldilà delle cose del mondo accademico, religioso e filosofico, tre test clinici determinano comunemente la morte cerebrale e quindi, di conseguenza, la morte:

·        Il primo, un normale elettroencefalogramma, o EEG, che misura le onde cerebrali. Un ‘EEG’ piatto denota il non-funzionamento della corteccia cerebrale - il guscio esterno del cervello.

·        Secondo, alcuni ascoltatori hanno evocato come esempio potenziali clic suscitati dalle orecchie misurano la funzionalità del tronco del cervello. L’assenza di tali potenziali indica la non-funzione del tronco cerebrale.

·        Terzo, la documentazione della mancanza del flusso sanguigno al cervello è un marcatore per una generalizzata mancanza della funzione cerebrale.

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         "C’era una volta un saggio di nome Niu T'ou-Fa-Yung (Gozu Hoyu, Niutou Farong Fa-jung) (594-657), che viveva in un tempio solitario su un’alta montagna. Un giorno, venne a fargli visita un monaco errante, T'ao Hsin, il quarto Patriarca Cinese del Lignaggio Ch'an. Successe che mentre i due stavano parlando, un leone selvatico che si trovava lì vicino, ruggì e T'ao Hisn, che era pienamente Illuminato, sobbalzò. Fa-Yung allora disse: "Vedo che è ancora con te..." riferendosi ovviamente alla sua istintiva "passione" di paura. Poco dopo, in un momento in cui non era osservato, T'ao Hsin tracciò il carattere Cinese di Buddha sulla roccia su cui Fa-Yung usava abitualmente sedersi. Quando il saggio fece di nuovo per sedersi, egli vide il sacro Nome ed esitò a mettersi seduto. Ed allora T'ao Hsin disse: "Anch’io vedo che è ancora con te!"

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     Il "caso pubblico" (koan) di cui sopra, è una delle mie storie Zen preferite, tant'è che esso ha una rilevanza enorme nel mio documento sull’Illuminazione nell’era moderna, ‘Dark luminosity’. Vi sono qui due persone, un Patriarca Zen pienamente Illuminato, e l'altra, una persona profondamente spirituale e già arrivata al Risveglio, eppure entrambi, non diversamente da tutti noi, persone laiche pur se similmente dedite alla ricerca, hanno "quella cosa (cioè, la paura) ancora con loro!".

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Il CHING-TE CH'UAN TENG-LU

    Il caso presentato qui sopra è stato estratto da un certo numero di fonti di quel tempo, spesso ripetute che in qualche modo derivano dalla fonte originaria, il Ching-te Ch'uan Teng-lu’, che è stato compilato durante l’Era Ching-te, ed è considerato il testo più antico e più influente del ‘Teng-lu’ ("La Trasmissione della lampada"). Assemblato da Tao-Yuan, del lignaggio di Fa Yen Wen I (885-958), il testo fu presentato all’imperatore Chen-Tsung della dinastia Sung del Nord nel 1004, e pubblicato sotto il suo patronato imperiale nel 1011. Composto di trenta fascicoli, narra cronologicamente la vita e gli insegnamenti delle principali figure associate con il buddhismo Ch'an, dai leggendari Buddha e gli antichi Patriarchi agli eredi del lignaggio Fa-yen nel X° secolo -, 52 generazioni e 1701 persone. Esso consiste di 1700 "casi pubblici", che vennero chiamati kung-an, o Koan, ognuno contenenti i dialoghi Ch'an tra i maestri e alcuni loro discepoli. La fonte primaria per quasi tutti gli autenticati "pubblici casi" che sono giunti fino a noi, come quelli trovati nella ‘Raccolta della Roccia Blu’ e nel ‘Mumonkan’, è proprio il Ching-te Ch'uan Teng-lu. Vedi fonte nella nota (1)

     Niu T'ou-Fa-Yung era un Maestro Ch'an che visse nella prima parte del 7° secolo (594-657). Dopo aver fatto notevoli studi sul Confucianesimo e sulla Storia Cinese, abbracciò il buddhismo. In seguito, egli andò a vivere un’esistenza come eremita in una grotta sul Monte Niu-T'ou. Qui trascorreva le sue giornate nel tradizionale modo buddhista e sviluppò una tale condizione di compassione e santità che si dice che gli uccelli venissero a mettere fiori ed altre cose nelle sue labbra quando egli era seduto a pregare o meditare. Dopo aver sentito T'ao Hsin dire, "Vedo che è ancora con te!" Fa-Yung divenne pienamente illuminato. Egli sarebbe morto e sparito via in tutta la sua santità, rimanendo ignoto nelle stori e cronache Zen, se il Quarto Patriarca non avesse avuto la chance di andare a fargli visita. (2)

   Fatta eccezione per il raro esempio sopra citato, la paura, il cui significato è tradotto con il termine buddhista del sanscrito ‘klesha’, non viene molto raffigurata nella letteratura classica Zen, sulla strada per l'illuminazione, e di certo, non come tema principale. Il fatto che non ne sono sicuro, credo che sia perché nella maggior parte delle situazioni storiche che sono giunte fino a noi, i monaci coinvolti erano direttamente sotto l'egida del Maestro che poteva trattare con la paura come inspiegabile. Contemporaneamente, poiché la paura non proveniva dall’eterno o dalla storia giù fino alle masse, la maggior parte delle persone nel mondo moderno che oggigiorno promulgano o ricercano il sentiero dell’Illuminazione, probabilmente non considerano la paura come un fattore. Tuttavia, per me, esso è una garanzia diretta alla sua stessa autenticità. Perché? A causa della mia esperienza personale. Qui sotto c’è una mia citazione da un'intervista di alcuni anni fa, che io uso prevalentemente nei miei corsi di Dharma:

   "Sotto i suoi auspici, quando ero un giovane ragazzo ancora al liceo, io fui assistito e guidato nella partica del Samadhi e, infine, nel Samadhi Profondo. C’è un punto in cui uno giunge là dove non era mai arrivato. Poco prima di quel punto c’è una delle più spaventose esperienze che si possano mai immaginare. Io non volevo lasciarmi andare perché avevo paura di "non essere in grado di tornare". Ripensandoci, mi ricordo della paura di ciò che mi poteva accadere se "qualcuno avesse preso il mio corpo" per esempio. .. pensando forse che io ero "morto". E' come se tu fossi effettivamente morto".

    La citazione si riferisce ai miei primi tentativi di studio-e-pratica sotto il mio mentore-maestro Guy Hague che, a sua volta, aveva studiato sotto il grande saggio Indiano Sri Ramana Maharshi, e che nel processo si era risvegliato alla grazia ed alla luce del Maharishi. Mentre studiavo sotto questo mio Mentore, egli, osservando che dopo diversi anni non avevo fatto molti progressi, predispose che io studiassi sotto il maestro Zen Yasutani Hakuun Roshi. Questi mi spiegò anche troppo, senza però quel successo che si era sperato. Perché io potessi avere successo, sembrava che vi fosse solo il ricorso al mio Mentore, il quale si concentrò esclusivamente su di me, se non altro per sbarazzarsi di me quanto prima. Egli poi optò per una via di mezzo tra il suo lato Indiano ed il lato Zen delle cose. Sapendo che quando ero più giovane io avevo incontrato l'Americano Franklin Merrell-Wolff, un uomo noto per aver avuto un grante risultato - la Realizzazione Spirituale, un incontro che mi avvolse completamente di paura, - a tal proposito, il mio Mentore mi inviò dal quasi ignoto, anonimo, ma pienamente risvegliato "Maestro Zen Americano" di nome Alfred Pulyan. E fu in quegli anni, mentre seguivo Yasutani insieme alla guida di Pulyan, in cui essi mi assistevano --- che per la prima volta in una approfondita ricerca sperimentai la paura ad un tale livello. Io avevo già sperimentato la paura a livello spirituale da ragazzo almeno due volte, ma stavolta era assai diverso. Essa ora aveva una tale intensità, profondità ed insight interiore, da farmi sentire un senso di disperazione, e la differenza era che avevo la sensazione di non poterla sfuggire come in precedenza. La mia prima esperienza è riassunta nel libro: ‘The Meeting; An Untold Story of Sri Ramana’, e la seconda, insieme con Merrell-Wolff. Il mio mentore, che conosceva Sri Ramana sotto cui aveva studiato, mi disse delle paure di Ramana nella sua gioventù, quando egli stava approcciando il primo stadio del Risveglio, da cui le seguenti parole, tratte dal sito di Sri Ramana Maharshi, strettamente analoghe:

    “Un giorno, come di consueto, egli si trovava al primo piano della casa di suo zio, in uno stato di profonda riflessione. La sua salute era buona. Ma tutto ad'un tratto, egli fu preso da un brivido freddo di paura. Si sentiva come se stesse morendo, compenetrato da una totale paura della morte. Cercando di evitare che questa sensazione lo indebolisse, egli cominciò a pensare a ciò che avrebbe dovuto fare. Egli disse a se stesso: 'Ora la morte si avvicina. Io sto morendo. Che cos'è la morte? Questo corpo andrà perduto'. Poi egli rilasciò completamente il suo respiro, chiuse le sue labbra e gli occhi, stette così come un morto, e cominciò a riflettere: 'Ora il mio corpo è morto. Essi porteranno via questo corpo, immobile, sul luogo della cremazione e lo bruceranno. Ma io posso davvero morire con questo corpo? Io sono solo questo mero corpo? Il mio corpo è ora immobile. Eppure, io ancora so il mio nome. Mi ricordo dei miei genitori, zii, fratelli, amici e tutti gli altri. Ciò significa che ho una conoscenza della mia individualità. Se è così, l’"Io" che è in me non è soltanto il mio corpo, è uno spirito immortale'. Così, come in un lampo, arrivò una nuova realizzazione”.

   Al momento, più che la citazione di cui sopra riguardante Fa-Yung e T'ao Hsin, e la storia circa Sri Ramana, entrambre dal mio Mentore riportate alla mia attenzione nel tentativo di alleviare la mia ansia, io non avevo sentito parlare di una tale paura lungo il Sentiero. Nessuno me ne aveva parlato, ed in nessuna parte ne avevo letto. Fino ad allora era emersa scarsa conoscenza del soggetto.

   Nella sua autobiografia, Bernadette Roberts, ex-suora, madre, casalinga, e autrice de ‘L'esperienza del Non-Sé’ parla della paura e come viene sperimentata sul cammino. Essa era stata in una pratica di meditazione in un vicino monastero ed aveva spesso avuto l'esperienza di completo silenzio, come è previsto nel Samadhi profondo. In precedenza, lei scrisse che tale esperienza aveva suscitato in lei timore e paura, quasi una paura di non poter ritornare. Ma, in un particolare pomeriggio, mentre la sua meditazione stava per finire: "... ancora una volta c’è stato un silenzio onnipervasivo, ed ancora una volta ho atteso l'assalto della paura che lo rompesse. Ma questa volta la paura non è giunta.... All'interno, tutto era fermo, silenzioso e immobile. Nell’immobilità, non ero consapevole del momento in cui la paura e la tensione dell’attesa erano svanite. Però, io continuavo ad attendere un movimento non di me stessa, e quando nessun movimento si è presentato, sono semplicemente rimasta in una grande quiete".

  Christopher Titmuss, un insegnante di meditazione Vipassana buddhista di una certa fama, parlando della paura dice in ‘Abiding in Unshakable’ (Dimorare nella Quiete Immobile): “Nel mondo della meditazione seduta/camminata/in piedi, uno può e vuole eliminare ogni paura, ed è preziosamente importante riconoscere che la sensazione, la consapevolezza, e l'esperienza è di non aver paura, e il modo che lo dimostra, almeno quello più profondo di cui abbiamo sentore, è di essere senza paura. Riconoscendola, potrebbe esserci più paura nella mente, ma anche periodi e momenti di non-paura. E, talvolta, anche agire malgrado la paura può importare molto, perché diventa paura solo quando blocca l’azione. Quindi, anche se il corpo genera molta ansia e sensazioni dolorose, le sensazioni nel corpo, pur sgradevoli come sono, non fanno paura. La paura è quando non si può rispondere. Se un Buddha sta camminando lungo la strada e un enorme rottweiler gli salta addosso: è garantito, che ci saranno parecchie sensazioni spiacevoli nel corpo e nello stomaco - che però non creano paura. La paura è quando si generano il panico e la preoccupazione, la paura è quando è paralizzante, quando uno è esitante su ciò che deve fare. Anche i Buddha hanno sensazioni spiacevoli”.

    Tony Parsons autore di ‘The Open Secret’ in cui egli descrive la sua esperienza di Risveglio, riporta la seguente citazione in risposta ad un seguace, nel corso di un forum di domande-e-risposte, prima fase di uno dei migliori commenti che io abbia mai visto scrivere in materia di Illuminazione e relativa realizzazione della stessa: “Abbiamo tutti un profondo anelito ma anche una profonda paura della scoperta di ciò che siamo, e così la mente elabora un qualunque modo possibile per evitare questa scoperta. Il modo più efficace in cui essa (la mente, o l’ego) evita il Risveglio è di cercarlo. Noi siamo già ciò che siamo. Ma la nostra mente ha paura di lasciarsi andare ed ha ancora un 'idea che qualcosa di speciale dovrebbe accadere”.

   Suzanne Segal in ‘Collision with the Infinite’ scrive ciò che seguì il suo iniziale ‘insight’ nella Consapevolezza: “Andando a casa, dopo esser scesa dall’autobus, io sentìi come se una densa "nube di consapevolezza" mi seguisse in tutto il corpo. La nube era un testimone situato dietro ed a sinistra del corpo, e completamente separato da corpo, mente ed emozioni. Questo testimone era costante, e così era la paura, la paura di una completa dissoluzione fisica. Quella testimonianza continuò per diversi mesi, anche durante il sonno, ed io dovetti sopportare la paura, insieme ad un forte stress, trovando sollievo in lunghe e frequenti dormite”.

   In seguito, dopo l'approfondimento della sua esperienza di Risveglio, Suzanne Segal scrive ancora: “In realtà, tuttavia, la presenza della paura significa solo che la paura è presente, e nulla di più”.

   Poi, in un'intervista pubblicata nel libro ‘Il Risveglio in Occidente’, così coontinua: “La prima risposta che la mente ha per questa esperienza totalmente inafferrabile, è di assoluto terrore, ma il terrore non cambia l'esperienza in un momento. In altre parole, quel terrore non riporta indietro il punto di riferimento. Non c’è un ‘sé’ personale, ma nulla si blocca; le funzioni continuano a funzionare proprio come prima. Anzi, meglio di prima. Parlare era ancora parlare, e camminare era ancora camminare”.

    Per quanto riguarda Suzanne Segal, i lettori possono trovare qualcosa sul seguente link, anche di un certo interesse: http://www.angelfire.com/realm/bodhisattva/segal.html.

    Nel loro primo incontro di meditazione, Sri Ramakrishna, seduto in profondo Samadhi, toccò con il suo piede destro, in modo davvero leggero, il suo diciottenne discepolo ed erede nel Dharma Swami Vikekananda. Immediatamente, Vikekananda sperimentò ciò che segue, detto con le sue parole:

    "Io vidi ad occhi aperti che tutte le cose della stanza, insieme con le pareti, stavano velocemente e vorticosamente girando, e svanivano in una regione sconosciuta, ed il mio Io, insieme con l'intero universo, per così dire, stava anch’esso svanendo in un grande vuoto che divorava il tutto. Poi mi sentìi travolto da terribile paura. Io sapevo che la distruzione dell’Io è la morte, ed ora sentivo che la faccia della morte stava lì davanti a me, assai vicino, a portata di mano. Incapace di controllare me stesso, gridai ad alta voce, dicendo: 'Che cosa mi avete fatto?'- Rumorosamente ridendo a queste sue parole, Sri Ramakrishna toccò Narendra Vivekananda con la sua mano e disse: 'Adesso calmati. Questo non deve essere fatto subito. Esso passerà nel corso del tempo'. "

  Phil Servadio nel suo lungo ma ottimo ed eccellente articolo on-line ‘GRADUALISMO RADICALE: Un Giornale di Risveglio’, in cui documenta per un periodo di più di un anno e mezzo la sua esperienza di Risveglio, scrive nella sezione di Lunedi 20 marzo:

   “Durante la serata ho cominciato a sentirmi sempre più misterioso, quasi paranoico e impaurito. L'energia nel mio corpo si stava intensificando a un livello tale da farmi sentire a disagio e aldilà del mio controllo. Cominciai ad avere una sensazione di panico, che solo raramente avevo sentito nei Satsang, quando le cose sono realmente intense. Ma stavolta, era molto più grande, travolgente. Mi sentivo spaventato, non sapendo che cosa sarebbe accaduto in seguito. Quando mi sedetti per la meditazione serale, tutto quello che sentivo era paura. Qualunque forma di libertà sperimentata, sarebbe stata superata e travolta da un'enorme ondata di consecutiva paura”.

  Apprezzo questo paragrafo. Servadio ha catturato l'esperienza della paura nel processo di Risveglio in modo eloquente. Ogni volta che lo leggo, esso mi riporta ai tempi di esperienze simili (citate in precedenza, sopra, ma non proprio in maniera così eloquente) sotto l'egida del mio mentore….

  Carlos Castaneda nel suo libro ‘The Teachings of Don Juan: A Yaqui Way of Knowledge’, cita le parole dello sciamano-stregone che era stato discepolo di un ‘Diablero’  e di cui lo stesso Castaneda fu poi disceplo, Don Juan Matus:

   "Il primo nemico di un uomo di conoscenza è la paura. Un nemico terribile e traditore, difficile da superare. Rimane nascosto in ogni angolo del Sentiero, furtivo ed in attesa. E se l'uomo, terrorizzato dalla sua presenza, fugge, questo suo nemico avrà posto fine alla sua ricerca. Una volta che un uomo ha sconfitto la paura, è libero da essa per il resto della sua vita, perché, anziché la paura, egli avrà acquisito la chiarezza di mente che cancella la paura".

   Alcune persone sostengono abbastanza onestamente che Buddhismo e Sciamanesimo non hanno per la maggior parte alcun collegamento. Significa che tracciare un'analogia tra di essi sarebbe come voler creare una linea sottile di un pratico nulla, e che introdurre commenti sul soggetto della paura di Castaneda potrebbe essere non del tutto adeguato. Tuttavia, la coincidenza delle caratteristiche e delle sorprendenti somiglianze tra gli adepti buddhisti e lo Sciamanesimo degli Sciamani fu studiata e descritta in maniera assai accurata dallo studioso di Sanscrito Mircea Eliade nella sua monografia, ‘Shamanism: Archaic Techniques of Ecstacy’.  Per esempio, l’abilità dell’ Arhat relativa alle ‘sei forme di conoscenza’ dei Vittoriosi che comprende non solo capacità simili a quello dello Sciamano-Nuvola di apparire e scomparire a volontà, ma anche il caso spesso citato nel buddhismo Zen dal Venerabile Pindola Bharadvaja, in cui il venerato Arhat è stato ammonito dal Buddha perché volava e compiva atti miracolosi davanti ai fedeli.

   Anche se un pò 'fuori tema', in relazione a ‘Fear in Enlightenment and Zen’, per alcuni chiarimenti a quanto sopra, se avete letto il mio articolo Zen, the Buddha and Shamanism’ potrete ricordare che si apre con il seguente paragrafo:

   "Il termine ‘Sciamano’, utilizzato a livello internazionale, ha origine dalla lingua manchú-tangu, ed è arrivato nel vocabolario etnologico tramite il Russo. La parola origina da shaman (xaman), derivata dal verbo scha-,"conoscere", quindi, sciamano significa qualcuno che sa, che conosce, è un saggio. Ulteriori indagini etnologiche dimostrano che la vera origine della parola Sciamano si può far derivare inizialmente dal Sanscrito, poi attraverso la mediazione buddhista-Cinese nel manchú-tangu, che sta ad indicare una connessione molto più profonda, anche se ora trascurata, tra il primo buddhismo e lo Sciamanesimo in generale. In Pali esso è schamana, in Sanscrito sramana, tradotto come "asceta, monaco" o qualcosa di simile. Il termine intermediario Cinese è scha-men".

  Ed ora, per una maggiore intuizione... E’ vero che il tema principale di questo articolo è la paura, soprattutto per come essa si relaziona all’esperienza di Illuminazione. Tuttavia, ora viene proposta una visuale aggiuntiva, spesso trascurata, anche se estremamente interessante, per quanto riguarda un altro importante aspetto che talvolta ha negativi effetti su una persona che percorre il Sentiero.

     Qualche paragrafo più indietro, in una frase di Tony Parsons, colorata in giallo, si legge: "Il modo più efficace in cui (l'ego, o mente) evita il Risveglio è di cercarlo". Vale a dire, palesemente cercare o volere l’Illuminazione, sostanzialmente blocca il processo di Risveglio dal portare il pieno frutto, come descritto negli antichi testi. Il desiderare o volere l’Illuminazione è l’ostacolo maggiore, e per me esso è stato, inizialmente, un ostacolo molto più grande della paura, poiché la paura si dispiega molto più tardi nel processo, mentre il desiderio o il volere c’erano fin dall'inizio. Sulla seconda pagina dell’altro mio articolo: ‘Zen Enlightenment: The Path Unfolds’ così ho scritto:

   "Io sedevo sempre a bocca aperta poiché mi raffiguravo che in India doveva essere stato così, là in alta montagna, con l’aria fresca e rarefatta a mordere le nostre narici ed a riempire i polmoni giù verso il basso nel profondo piccolo sacco d’aria. Con il sole che irrompe sulle cime delle vette e con la nostra mente che esplode, ma non esplode; di essere un tutto, ma non il tutto. Io lo volevo, io volevo che la mia mente esplodesse in un brillante lampo di illuminazione…".

   Come la frase di Tony Parsons, io scrivo che lo volevo, ho voluto che la mia mente esplodesse. E questo è il problema, il VOLERLO. Il mio Mentore mi dedicò molto tempo cercando di riorientare, ridi-mensionare e alleviare il mio forte desiderio o voglia. La voglia mi ha spinto a praticare, ma la voglia di avere o possedere, non era nient’altro che l’Ego guidato dal lato Samsarico delle cose, quasi il contrario, l’opposto totale di ciò che è realmente l'Illuminazione.

  Quanto sopra l’ho riportato per sottolineare che l’essere "guidati" può inibire il proprio progresso, e la necessità di riorientare se stessi. Bisogna sempre considerare l’intenzione e la motivazione. Ciò che è il vostro reale ed effettivo scopo finale ripulisce l’intenzione. Non preoccupatevi del risultato finale o della quantità di merito che può esservi in esso. Qualsiasi azione con l'obiettivo di meriti personali come intenzione o risultato, non importa quanto minuscolo, vi porterà all’errore rispetto al risultato. Tuttavia, per me, non era semplicemente il venir guidato ciò che bloccava il MIO accesso - piuttosto era un qualcosa un po’ più complicato di questo, e completamente avvolto dalla paura. Paura non della perdita dell’ego, ma che scaturiva da qualche altra fonte.

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NOTE: La Trasmissione della Lampada: Antichi Maestri - Vedi anche: Antenati Zen

La storia della Trasmissione della Sapienza (In un articolo di Mahendranath Dadaji, che apparve per la prima volta nella rivista ‘Valori, titolo Indiano degli anni’70 che ora non c’è più).

Secondo la biografia di Niu T'ou-Fa-Yung (Fa-jung) nel Hsu Kao-seng Ch'uan, egli fu della famiglia Wei e nativo di Yen-ling nel Jun-Chou, oggi Chen-chiang, nella parte meridionale della Provincia Kiangsu. Da giovane studiò Taoismo e Confucianesimo, ma poi egli venne deluso da questi sistemi di credenze e si rivolse verso il buddhismo. Dapprima egli studiò sotto un monaco chiamato Kuei Fa-Shih in Mao Shan, a sud-est di Nanchino, pure in Kiangsu. Egli penetrò le dottrine prajna-paramita della Scuola San-lun e successivamente praticò il sistema meditativo Chih-Kuan (samatha-vipasyana) della Scuola T'ien T'ai. Dopo che Fa-jung fu diventato un maestro per suo stesso diritto, si recò a Jun-chou (Nanchino) nel 643 d.C. e si stabilì nel Tempio Yu-hsi sul pendio meridionale del monte Niu t'ou-Shan. Qui visse in isolamento in una grotta, dietro il tempio vero e proprio; e fu durante questo periodo che si dice che egli fu visitato da Tao-Hsin e divenne suo discepolo. (fonte)

Bernadette Roberts- ‘L'esperienza del Non-sé, ed il Sentiero del Non-sé’ sono stati originariamente pubblicati da Shambala, rispettivamente nel 1984 e nel 1985, ma quelle edizioni sono fuori-stampa. Entrambi i libri sono stati ristampati dalla State University di New York (SUNY) Press nel 1993 e 1991, rispettivamente; tuttavia, L'Esperienza del Non-sé subì una significativa e inspiegabile revisione, inclusa la perdita della Prefazione scritta per la prima edizione da Thomas Keating, OCSO

KLESHA: Contaminazioni morali e mentali. Le contaminazioni sono compulsivi modelli di comporta-menti errati per ottenere ego-gratificazione e sicurezza. Esse sono basate sull’ignoranza di Shunyata e fanno commettere azioni non-virtuose che danno come effetti sofferenza ed infelicità per se stessi e gli altri. I tre principali klesha, denominati I Tre Veleni sono i seguenti: 1) Desiderio bramoso di essere in possesso di oggetti di cognizione sensoriale che ci piacciono e da includere nella propria ego-identità, nella speranza di ottenere un senso di sicurezza dall’ "averle come parte di sé". 2) Paura e repulsione, adirati perché ci si vuole sbarazzare di oggetti di cognizione sensoriale che non si ama e che si vuole escluderli dalla propria ego-identità, nella speranza di ottenere un senso di sicurezza dal "non averle come parte di "né". 3) e qui per i nostri scopi, ostinata chiusura mentale nei confronti dell’ apprendimento su tutto ciò che si teme possa minacciare la propria ego-identità e sconvolgere il senso di sicurezza che si desidera ottenere da esso, ma che non si è sicuri di sentire e quindi è necessario tutelare (cioè, L'Ego-sé e le sue varie ramificazioni).

 

 

(Finito di tradurre nel mese di giugno 2008, per conto del Centro Nirvana, senza scopo di lucro).