Un Nuovo “Risveglio della Fede”

ed il suo significato per il buddhismo Shin

di John Paraskevopoulos   

 

‘Il Risveglio della Fede nel Mahayana’ (Jap. Daijokishinron) si presenta come uno dei più profondi, concisi ed autorevoli sommari della filosofia e metafisiche Mahayana, che questa tradizione ci ha trasmesso. Questo testo da secoli è usato e venerato da tutte le più importanti scuole del Grande Veicolo ed ha continuato ad ispirare e stimolare gli studenti di buddhismo anche ai nostri giorni. Anche se recenti studi hanno tentato di chiamare in causa le origini Indiane del testo, rimane però senza risposta se originalmente esso fosse un opera del saggio Indiano Asvaghosha o un lavoro composto in Cinese in una data assai più tarda. La versione originale in Sanskrito di questo testo non è stata mai trovata, ma se le sue origini Indiane fossero convalidate, ciò confermerebbe che questo potrebbe essere tra i primi shastra Mahayana a noi noti, perfino precedente alle opere di Nagarjuna. Nell'introduzione alla sua traduzione del Risveglio della Fede, anche D.T. Suzuki suggerì che forse Asvaghosha potrebbe ben esser stato il maestro spirituale di Nagarjuna stesso, benché questo senza dubbio sarebbe contestato da un numero di studiosi di oggi. 

Scopo principale di questo trattato è presentare, nella maniera più succinta possibile, una spiegazione della natura della realtà 'ultima' o 'suprema', come immaginata dal buddhismo - Talità o Dharmakaya - e spiegare la sua relazione al mondo condizionato o relativo del samsara. Tenterò anche di mostrare come gli esseri senzienti che si trovano a metà tra l'Assoluto ed il Relativo partecipano di entrambi e sono quindi in grado di scegliere se superare la loro condizione limitata o confinarsi alle limitazioni del samsara; questa scelta, o posizione, che insieme costituisce l'ambiguità e la suprema opportunità permessa dalla condizione umana (che, come indicano i Sutra, è così difficile da ottenere). Poi, esaminando alcuni dei concetti fondamentali ne Il Risveglio della Fede, io tenterò di suggerire come il buddhismo Shin, edotto da una profonda comprensione metafisica, non solo può arricchire la nostra comprensione del Dharma ma, in realtà, è indispensabile ad indirizzare una quantità di importanti questioni riguardo alla relazione che il Buddha ha con ciascuno di noi e con il mondo fisico nel quale viviamo; questioni che sono talvolta trascurate dai commentatori buddhisti Shin, i quali sembrano riluttanti ad esplorare alcune delle implicazioni metafisico/filosofiche inerenti al ‘Jodo Shinshu’ quando considerate alla luce della più ampia prospettiva della saggezza del Mahayana. 

Il Risveglio della Fede è considerato come il testo più rappresentativo della scuola Tathagata-garbha del Mahayana. Secondo il famoso Maestro Hua-Yen Fa-tsang, (che fu il più acclamato commentatore tradizionale di quest’opera), il buddhismo Indiano si può classificare in quattro maggiori categorie, e cioè: (1) Hinayana; (2) Madhyamika; (3) Yogacara; e (4) Tathagata-garbha, con quest’ultimo che riassume e sviluppa le idee principali delle sue predecessori scuole. Altri famosi lavori in questa tradizione Mahayana includono il Lankavatara Sutra, lo Srimala-devi Sutra ed il Ratnagotra Shastra, e sempre più studiosi stanno iniziando a dar credito alla distintiva importanza di questa scuola nel suo proprio diritto [1]. Per Fa-tsang, la dottrina deli tathagata-garbha rappresenta la teoria dell'inter-penetrazione dell'universale e del particolare, che colpisce al cuore il modo di come noi dovremmo accuratamente interpretare questo testo. 

La principale preoccupazione de Il Risveglio della Fede è di dare al lettore un senso di ciò che nel buddhismo è la realtà assoluta. La visione di questa realtà è presentata in una forma molto forbita e spesso paradossale che resiste alla facile assimilazione dell'intelletto, ma è importante perseverare con questa difficoltà e capire perché ciò deve essere così. Per l'autore di questo trattato, ciò che è ‘reale’ è solo la ‘Talità’ - 'La Mente in termini di Assoluto è l’unico mondo di Realtà e l'essenza di tutte le fasi di esistenza nella loro totalità'[2]. Il maestro Zen Dogen, interpreta questo per significare che 'tutte le esistenze, l’intera totalità dei fenomeni, sono soltanto la Mente Unica e nulla è escluso. Tutte queste multiformi fasi di esistenza sono ugualmente la Mente Unica e nessuna differisce da essa'[3]. E questo è, chiaramente, un altro modo di dire che 'Samsara è Nirvana'. Secondo Asvaghosha, questa 'Mente Unica' o Talità, è 'non-nata' e 'imperitura', ed è soltanto a causa di 'avidya' (illusione) che tutte le cose vengono ad essere rese differenziate in esistenze indipendenti separate da essa. Questo mondo di entità apparentemente distinte e sconnesse, come percepito dagli esseri senzienti ordinari, è quello che essenzialmente costituisce il samsara con tutte le sue incertezze, difficoltà ed insoddisfazioni. 

Un'importante caratteristica della Talità, o Dharmakaya (considerato metafisicamente), è che essa si presenta sotto due importanti aspetti; vale a dire, in modo sia trascendente che immanente. Ovvero, per quanto da un lato completamente oltre qualsiasi cosa che possiamo immaginare o concepire nel samsara e superando tutte le sue molteplici limitazioni e restrizioni, e dall'altro, come costituente il vero cuore o centro di tutto ciò che esiste - il centro più profondo e 'Sorgente Ultima'[4] del samsara stesso. In realtà, Asvaghosha va più in là - parafrasando lo Srimala-devi Sutra – e dice che 'La Mente come fenomeni (samsara) è radicata nel Tathagata-garbha [5]. Nulla esiste aldifuori dell'abbraccio del Dharmakaya, perché tutte le cose che costituiscono il vario, complesso e infinito mondo intorno a noi non sono nient’altro che le sue manifestazioni e la sua autoespressione. 

In questo senso, la realtà suprema nel buddhismo è considerata essere da Asvaghosha sia il 'vuoto' (sunya) che il 'non vuoto' (a-sunya). In primo luogo, 'la Talità è vuota perché da tempi senza inizio non è mai stata riferita ad un qualche stato contaminato dell’esistenza, è libera da tutti i marchi di distinzione individuale delle cose e non ha niente a che fare con pensieri concepiti da una mente illusa'[6]. Considerato così, il 'vuoto' non dovrebbe essere considerato come 'non-esistente', ma semplicemente (come nota Yoshito Hakeda, nel suo commentario) come essendo 'privo di una entità assoluta, distinta, indipendente, permanente, individuale, o come un componente irriducibile in un mondo pluralistico.... Tuttavia, questa negazione non esclude la possibilità che la Talità sia vista da un punto di vista o ordine diverso con cui non è familiarizzato. Quindi, vi è spazio per presentare la Talità, se è fatto simbolicamente, come piena di attributi'[7]. Asvaghosha, dopo aver indicato che la Talità 'non fu portata in esistenza all'inizio né mai cesserà di essere alla fine dei tempi; perché è eterna per sempre' prosegue col dire, 'Fin dall'inizio, la Talità nella sua natura è pienamente fornita di tutte le eccellenti qualità; vale a dire che è dotata della luce della grande saggezza, delle qualità di illuminare l'intero universo, di vera capacità di apprensione e pura mente nella sua auto-natura; di eternità, beatitudine, vero Sé e purezza; di rinfrescante freschezza, immutabilità e libertà.... queste qualità non sono indipendenti dall'essenza di Talità e sono attributi super-razionali della Buddhità. E poiché essa è completamente dotata di tutti questi e non è priva di nessuna cosa, è chiamata il Tathagata-garbha (quando è latente), ed anche il Dharmakaya del Tathagata.... Sebbene, in realtà, abbia tutte queste qualità eccellenti, non ha alcuna caratteristica della differenziazione; mantiene la sua identità ed è di un unico sapore; La Talità è solamente l’Uno.... è l’Uno senza un Secondo'[8]. 

Il passaggio appena citato dà molto da pensare. Un'importante distinzione sollevata da Asvaghosha è quella tra 'l'essenza' della Talità, che è immutabile, inconcepibile, eterna, ecc. e gli 'attributi' della Talità, che servono ad infondere l'opacità del samsara con le qualità e le radianti influenze della Natura-di-Buddha. In questo contesto, Asvaghosha parla spesso di 'permeazione' (vasana) nel senso di Talità che 'permea' o 'profuma' il samsara e, in certi casi, perfino viceversa. Dato che, alla fine, non c'è vera distinzione tra i reami di nirvana e samsara, non sorprende che i due debbano essere intimamente ed inestricabilmente attorcigliati - informandosi e riflettendosi l'un l'altro come la rete di Indra fatta di gioielli nell'Avatamsaka Sutra. Per esempio, ivi leggiamo che da tempi senza inizio 'L'essenza della Talità è dotata del 'perfetto stato della purezza'. Essa è provvista di funzioni iper-razionali e dalla natura di manifestarsi. Per queste due ragioni, essa è permeata di una ignoranza perpetua. Tramite la forza di questa permeazione, essa incita l’uomo ad aborrire la sofferenza del samsara, cercando la beatitudine nel Nirvana e, confidando nel fatto che lui ha all'interno di se stesso il principio della Talità, lo fa decidere di applicarsi[9]. Noi leggiamo anche: 'Tutti i Buddha ed i Bodhi-sattva desiderano liberare tutti gli esseri, spontaneamente permeandoli con le loro influenze spirituali e non abbandonandoli mai. Tramite il potere della saggezza che è uno con la Talità, essi manifestano le loro attività in risposta alle necessità degli uomini come li vedono e li sentono [10]'.

Una interessante ed importante caratteristica di questo trattato è che non restringe le manifestazioni della Talità solo al Dharmakaya, Sambhogakaya e Nirmanakaya del Buddha. Ciò che è senza-forma si rivela certo attraverso le forme (nama-rupa), ma le forme che può assumere sono illimitate e, invero, esso è l’intero cosmo a tutti i suoi livelli. Asvaghosha afferma: 'Poiché il Dharmakaya è l'essenza della forma corporea, è in grado di apparire in forma corporea perché, fin dall'inizio, la forma corporea e la Mente sono non-duali.... Poiché la natura essenziale della saggezza è identica alla forma corporea, l'essenza stessa della forma corporea che però deve dividersi in forme tangibili è chiamata il puro Dharmakaya onnipervadente. Le sue forme corporali manifestate non hanno limiti [11]'. D.T. Suzuki, nei suoi Saggi di buddhismo Mahayana offre un’introspettivo commento su questa questione [12]: 

‘La Talità in quanto Assoluto è troppo remota, troppo astratta e la sua esistenza o non-esistenza non sembra colpirci nella nostra quotidiana vita sociale, poiché è trascendentale. Per entrare nella nostra limitata coscienza, divenire la norma delle nostre attività consapevoli, regolare il corso della corrente evolutiva in natura, la Talità deve lasciarsi andare al suo 'splendido isolamento', deve abbandonare la sua assolutezza. Quando la Talità così scende dal suo trono nel reame dell’inimmaginabile, abbiamo di fronte ai nostri occhi questo universo dispiegato in tutta la sua diversità e magnificenza. Luminose stelle brillanti impresse nella volta del cielo; il pianeta variamente adornato di prati verdi, montagne torreggianti ed onde rotolanti; animali che selvaggiamente attraversano i boschetti folti d'alberi; i cieli d’estate ornati con setolose e bianche nubi e, sulla terra, tutti i rami, fiori e foglie che crescono in lussureggiante abbondanza; vaste praterie che in inverno sono prive di ogni animazione, con solo qui e là nudi alberi tremanti nei cupi venti del nord; tutte queste manifestazioni, non diverse da un mero capello nel deviare dalle loro leggi matematiche, astronomiche, fisiche, chimiche e biologiche, non sono nient’altro che l’opera della Talità che condiziona la natura. Quando noi ci rivolgiamo alla vita e storia umane, abbiamo il lavoro della condizionale Talità manifestato in tutte le forme di attività come passioni, volontà, aspirazioni, immaginazioni, sforzi intellettuali, ecc. E’ essa che ci fa desiderare di mangiare quando siamo affamati, e bere quando siamo assetati; che fa ardentemente desiderare la donna all'uomo, e l'uomo alla donna; che mantiene l'allegria e il gioco nei bambini; che rende uomini e donne coraggiosi per sopportare il peso della vita.... In breve, tutti i caleidoscopici cambiamenti di questo mondo fenomenico, soggettivi così come oggettivi, vengono dalle giocose mani della Talità condizionale. 

Suzuki fu fortemente influenzato da Il Risveglio della Fede quando scrisse questo libro, e questo suo passaggio è stato lungamente citato per dimostrare come il concetto dell'essenza della Talità e le sue manifestazioni o 'riflessi' nell’evanescente mondo samsarico, può essere capito e assimilato in una più concreta maniera. Suzuki inoltre nota: 'È in base ai nostri limitati sensi e mente limitata che abbiamo questo mondo di dettagli il quale, così com’è, non è niente più di un frammento della Talità assoluta. Eppure, è attraverso questa frammentaria manifestazione che noi alla fine siamo in grado di giungere alla natura fondamentale dell’Essere nella sua interezza[13]'. Per Asvaghosha, 'ciò che è immortale e ciò che è mortale sono armoniosamente mescolati, perché essi non sono uniti, né sono separati.... in esso tutte le cose sono organizzate; e da esso tutte le cose sono create' [14]. 

Com’è possibile, ci si chiederà, che l'Assoluto ed i suoi congiunti, Nirvana e Samsara, possano essere separati ed inseparabili alla stesso tempo? Asvaghosha ci dà una similitudine che ci può aiutare a capire questo. Con riguardo all'identità, lui dice: 'Proprio come i pezzi di vari tipi di arte ceramica sono della stessa natura poiché sono tutti fatti di creta, così le varie manifestazioni simil-magiche (maya) dell’illuminazione e  non-illuminazione, sono aspetti della stessa essenza, cioè la Talità [15]. E riguardo alla non-identità, dice: 'Proprio come i vari pezzi di arte ceramica differiscono uno dall'altro, così le differenze esistono tra gli stati di illuminazione e non-illuminazione, come tra le simil-magiche manifestazioni della Talità manifestate in accordo alla mentalità degli uomini in fase di oscurazione, e quella degli uomini ignoranti che sono oscurati (cioè, ciechi) nei riguardi della natura essenziale della Talità' [16].

In precedenza, ho menzionato che Asvaghosha riporta che lo stato umano si trova a cavallo degli ordini Assoluto e Relativo; in altre parole, che gli esseri senzienti, sono in grado per natura di far parte di entrambi i reami. 'Lo stato umano, che intrinsecamente appartiene all'Assoluto, e però resta effettivamente nel limitato e profano ordine fenomenico, è espresso in termini del tathagata-garbha (ricettacolo dell'Assoluto)' [17]. Secondo Yoshito Hakeda, 'questo concetto è scaturito dai tentativi di spiegare come l'uomo, pur risiedendo nell'ordine temporale, allo stesso tempo possiede il potenziale per ristabilirsi nell'ordine infinito' [18]. Sembrerebbe, allora, che il tathagata-garbha è il Dharmakaya immanente all'interno di tutti gli esseri senzienti, e l'ordine fenomenico è l’intrinseca Buddha-natura nella sua forma latente che attende il suo pieno fiorire nell’illuminazione che però deve ancora essere realizzata. L’uomo perciò in origine è già illuminato, o salvato, ma poiché egli non lo ha realizzato, lui continua a soffrire ed a vagare inesorabilmente nel samsara cercando illuminazione e liberazione in luoghi diversi da quelli in cui veramente possono essere trovate. Se non fosse per la continua presenza del tathagata-garbha in tutti gli esseri senzienti, la loro eventuale illuminazione non sarebbe possibile. Tuttavia, benché 'il principio della Talità negli esseri umani sia assolutamente puro nella sua natura essenziale, esso è riempito di innumerevoli impurità e contaminazioni' [19] effettivamente oscurandolo dalla nostra coscienza e realizzazione. Questo è il significato essenziale della avidyà o 'ignoranza di base' che affligge tutti noi in quanto esseri ordinari (Skt. prthagjana; Giapp. bombu). Questo punto porta Asvaghosha al suo trattamento dell'alaya-vijnana o 'coscienza-deposito'. Ma, sfortunatamente, il poco spazio a disposizione mi preclude dal discutere interamente questo tema, basterà dire che un completo studio di questo concetto si rivela critico per la nostra comprensione di come il karma, sia individuale che collettivo, opera nel mondo. Nei secoli, si è molto dibattuto sulla 'alaya-vijnana', come l'origine della nostra coscienza fondamentale, se in modo ultimo sia identica alla Talità o non, ma questo dibattito lo lasciamo andare per un altro momento. 

Ora dobbiamo ritornare a Shinran e vedere come le idee sollevate nella discussione precedente siano riflesse nel suo approccio al Dharma. Talvolta si afferma che Shinran non affermò mai la nozione di buddha-natura e che questo concetto non esiste nel pensiero della Terra Pura. Però, io tenterò di dimostrare che questa congettura è certamente erronea e che il Jodo Shinshu non potrebbe, in alcun modo, essere considerato una forma autentica di Mahayana se fondamentalmente negasse una tale proposizione così realmente importante. Nelle sue Note su 'Essenziali di sola Fede', Shinran, nel fare commenti su un inno di Shan-tao, fa le seguenti osservazioni sul Nirvana[20]: 

“Il Nirvana ha innumerevoli nomi. È impossibile darli in dettaglio; Io ne elencherò solamente alcuni. Il Nirvana è stato chiamato 'estinzione delle passioni, l'Increato, la felicità pacifiata, beatitudine eterna, la Vera Realtà, Dharmakaya, dharma-natura, la Talità, l'unicità e la Buddha-natura. Buddha-natura non è nient’altro che il Tathagata. Questo Tathagata pervade i mondi innumerevoli; riempe i cuori e le menti dell'oceano di tutti gli esseri. Così, piante, alberi, mare e terra, tutti raggiungono lo Stato di Buddha. Poiché è con questi cuori e menti di tutti gli esseri senzienti che loro si affidano al Voto del corpo-di-dharma come compassionevole strumento, questo shinjin non è altro che la natura di Buddha. Questa Buddha-natura è dharma-natura. Dharma-natura è il Dharmakaya. 

In questo passaggio Shinran non solo riconosce esplicitamente la realtà della Buddha-natura, ma lui la identifica con lo stesso shinjin. E anche nell'identificare la Buddha-natura col Dharmakaya, lui sta effettivamente dicendo che la intima realtà di tutti gli esseri ordinari è la stessa Talità e che è proprio questa realtà che si esprime come l'abbraccio della saggezza e compassione di Amida nelle menti degli esseri illusi. In una delle sue famose lettere, Shinran fa la seguente osservazione [21]: 

“Il Supremo Buddha è senza-forma ed a causa del suo essere senza-forma è chiamato 'jinen'. Quando questo Buddha è mostrato come avente una forma, non è chiamato il supremo Nirvana (Buddha). Per farci comprendere che il vero Buddha è informale, è stato espressamente chiamato Amida Buddha; così mi è stato insegnato. Amida Buddha è il mezzo attraverso il quale noi possiamo realizzare 'jinen'.” 

Poiché non possiamo direttamente vedere la Buddha-natura, data l’intensità delle nostre passioni e dell'ignoranza, la Talità, nella sua forma personificata di Amida, prende l'iniziativa nei riguardi di coloro che sono spiritualmente incapaci ed entra nei nostri cuori e menti come shinjin. Questo però non significa che quando ci saremo risvegliati con l’altro-potere della fede noi riceviamo qualcosa di nuovo che prima non possedevamo. Tutti gli esseri possiedono la Buddha-natura; altrimenti la loro eventuale illuminazione sarebbe impossibile - questa verità è espressa anche dal detto che Amida ci ha da sempre abbracciati da tempi senza inizio. Tuttavia, poiché in tutte le nostre vite noi siamo stati ciechi a questo fatto, noi sentiamo che non siamo nient’altro che un fragile fascio di klesha ed avidya e che non c'è nessuna Buddha-natura da dover trovare nelle oscure profondità della nostra ignorante e illusa mente. Ciononostante, quando noi ci risvegliamo a shinjin attraverso la funzione del Voto di Amida, noi non solo arriviamo a realizzare che la sua Luce Infinita è la nostra vera natura ma che è la vera essenza di tutto ciò che esiste. In tale esperienza, il nostro ego è naturalmente svuotato della sua potente stretta mortale e della sua perniciosa influenza trasformate nell'illuminazione, grazie alla Luce di Amida che ci fornisce l'unico affidabile standard per ciò che è vero e reale. 

Yoshifumi Ueda e Dennis Hirota, nella loro introduzione a Shinran fanno l’osservazione seguente[22]: 

Il Corpo-di-Dharma come Talità riempe sempre le menti di tutti gli esseri senzienti, e quando essi realizzeranno shinjin - quando le loro menti saranno divenute una con la mente Corpo-di-Dharma come compassionevoli strumenti - per la prima volta questo ad essi diventerà noto. Prima della realizzazione di shinjin, essi nulla sanno di esso, perché la mente illusa non-illuminata degli esseri ed il Corpo-di-Dharma come Talità che li riempie sono in assoluta opposizione e negazione reciproca. Per questa ragione, l’insegnamento fondamentale Mahayana che tutti gli esseri possiedono la Buddha-natura non è una forma di panteismo. Attraverso la trasformazione che avviene con la realizzazione di shinjin, questa opposizione è superata, e la mente non-illuminata diviene consapevole del Corpo-di-Dharma, o la vera realtà che lo riempie. Quindi, realizzare shinjin significa ritornare alla propria vera realtà fondamentale. 

In altre parole, shinjin non è qualcosa che riceviamo dal di fuori, qualcosa che semplicemente è aggiunto a noi da fuori di noi; ma è la realizzazione di quello che costituisce il nostro vero ‘sé’ e che è condiviso con tutti gli altri esseri - una realizzazione della quale noi siamo completamente ignoranti finché la luce di Amida non penetra attraverso la dura crosta del nostro guscio egoistico e all'interno rivela il corpo-di-dharma che pervade tutti i nostri cuori e menti. Tale realizzazione, chiaramente, non è l’illuminazione, perché l'ego è solamente controllato, non eliminato - noi continuiamo a dimorare in un mondo di ombre che simultaneamente comprende l'oscurità e la luce. Colui che aspira alla Terra Pura deve attendere il momento finale della morte quando la piena radianza della Buddha-natura può risplendere, non impedita, in tutta la sua gloria. 

Prima di abbandonare questo tema, si dovrebbe notare che non è solo la Buddha-natura di shinjin che si rivela in noi come la mente di Amida, ma è proprio la prajna, o saggezza di Amida. Senza la prajna, nessuna forma di saggezza buddhista è possibile e noi riceviamo la saggezza inerente nella illuminazione di Amida come prajna che illumina la pesante torbidezza e l'oscurità delle nostre menti nell'esperienza di shinjin. Nello ‘Shoshinge’, Shinran proclama audacemente, che 'Quando la Fede è coltivata in un uomo ordinario illuso e ignorante, egli viene reso consapevole che la Nascita-e-morte  è essa stessa Nirvana'[23]. Tale realizzazione potrebbe essere possibile solamente se la saggezza che ci dà Amida è identica con la prajna che ci rende capaci di vedere la realtà come veramente è - vale a dire, come la Talità che permea in tutte le cose; l'abbraccio universale della Luce Infinita di Amida in tutte le dieci direzioni dell'universo. 

Quindi, quali intuizioni può offrire Il Risveglio della Fede alla nostra comprensione di Amida? Come forma personificata della Talità o della Realtà senza-forma, Amida deve condividere anche gli attributi essenziali della realtà suprema del Dharmakaya stesso; vale a dire, citando Asvaghosha, 'l'eternità, beatitudine, purezza, immutabilità e libertà'[24]. Se siamo in condizione di accettare il comprensibile resoconto del Dharmakaya di Asvaghosha dato più avanti in questa discussione, noi dobbiamo concedere che l'attività di Amida non può essere semplicemente ristretta al dominio della nostra individuale realizzazione spirituale. Ogni esistenza e vita negli 'innumerevoli mondi' dell'universo - dal livello fisico più grossolano fino al nostro stato più rarefatto di essere immateriale - deve essere immaginato come l'operato e la manifestazione della Talità stessa nelle sue illimitate varietà. Amida, che è inseparabile dalla Talità, è descritto come Luce Infinita perché non c'è nessun luogo in cui la sua luce non risplende; nulla in cui non possa penetrare. Questo significa più del solo fatto che tutti gli esseri sono interconnessi. Significa anche che ogni esistenza - 'piante, alberi e terra' come direbbe Shinran - è la manifestazione di Amida come 'Talità condizionata' (usando il termine di Suzuki) ed ugualmente capace di rivelare la sua presenza all'interno del samsara a coloro il cui occhio spirituale sia stato istruito da shinjin. Le forme corporee che il Corpo-di-Dharma Amida è capace di assumere sono chiaramente limitate, ma sono necessarie se gli esseri limitati (anche essi riflessi frammentari del Dharmakaya) sono da riconoscere come la vera realtà all'interno delle molteplici limitazioni della prigione samsarica nella quale noi ci troviamo. Questo, è alla fine il significato di upaya – ritagliare la verità in base alle capacità di coloro che sono in procinto di illuminarsi. Nel buddhismo Mahayana, la 'realtà ultima' è perciò vista come una realtà completamente dinamica, che incessantemente arriva a raggiungere tutti gli esseri senzienti, permeando o 'profumando' (come direbbe Asvaghosha) i loro cuori e menti con la sua deliziosa e liberante presenza. Non è affatto una semplice entità statica e irraggiungibile che se ne sta a distanza dalle creature, che sono la sua vera espressione e la ragion d’essere. Come ha indicato Shugaku Yamabe [25]: 

“In breve, oltre il Buddha Assoluto, o Dharmakaya, è apparso il Buddha della salvezza e natural-mente, lo spirito di Amida è in profonda ed intima comunione con l'Assoluto stesso. Da parte nostra, poiché anche noi partecipiamo nell'essere del Buddha Assoluto, si deve dire che noi ed Amida siano in sostanza una sola unità, differenziandoci solamente nelle funzioni”. 

Vi sono alcuni che indubbiamente obietteranno che il precedente trattamento di Amida ignora del tutto la tradizionale spiegazione dell'origine di Amida come dipinta nella storia di Dharmakara che si trova nel Sutra più Grande. Dalle scritture di Shinran, è chiaro che lui considera che Dharmakara sia un forma assunta dalla stessa Talità per portare l'insegnamento e la pratica del Voto Primitivo e del Nembutsu ai confusi e sofferenti esseri nel samsara. Se, strettamente parlando, questo è vero, allora Amida è eterno (come la Talità stessa) e non si può dire propriamente che abbia avuto un'origine nel tempo, (cioè, dieci kalpa fa'). Tuttavia, deve esserci stato un tempo quando la storia di Amida come Dharmakara divenne nota prima agli esseri senzienti in questo mondo (tramite Sakyamuni) ed in seguito probabilmente agli altri mondi 'nelle dieci direzioni'. Forse la comparsa di Dharmakara dal reame della Talità in un particolare momento del tempo fu in risposta alle necessità dell’umanità all'alba della presente èra quando l'oscurità spirituale già aveva cominciato a discendere sul mondo.

Per alcuni commentatori, un'altra difficoltà elevata è che se noi consideriamo la Terra Pura come un sinonimo del Nirvana (come fa Shinran), allora come si può dire che Dharmakara, semplicemente accumulando pratiche per molti kalpa creò questa Terra Pura se è già dato per scontato che, essendo lo stesso Nirvana, tale realtà è eterna e perciò è l’'Increato'? Perciò, forse sarebbe meglio parlare di Dharmakara come Colui che ha 'rivelato' queste verità eterne, attraverso l'upaya che noi troviamo nei sutra piuttosto che averli portati in essere nel senso letterale come talvolta è supposto. Comunque, questo non è un problema sostanziale per i buddhisti Jodo, per esempio, che mantengono ancora una distinzione tra la Terra Pura come luogo preparatorio per il Nirvava e il Nirvana stesso. 

La questione finale che io voglio far emergere è la funzione del Nome nel Jodo Shinshu, e vedere se Il Risveglio della Fede può aiutarci a capire meglio questa funzione. Verso la fine del suo trattato, Asvaghosha dice[26]: 

“Supponete che vi sia un uomo che impara questo insegnamento per la prima volta e desidera cercare la corretta fede, ma gli mancano il coraggio e la forza. Poiché lui vive in questo mondo di sofferenze, teme che non sarà sempre capace di incontrare il Buddha e onorarlo personalmente, e che, essendo la fede difficile da perfezionare, lui sarà incline a cadere di nuovo nell’ignoranza. Egli dovrebbe sapere che i Tathagata hanno un eccellente sistema di espedienti con i quali possono proteggere la sua fede: ovvero, attraverso la forza della meditazione a cuore aperto sul Buddha, egli completando la sua motivazione sarà in grado di rinascere in una Terra-di-Buddha, di vedere sempre il Buddha e di essere per sempre separato dai cattivi stati di esistenza”. 

Egli poi procede col citare un riferimento ad Amitabha da un sutra, come autorevole per tale visione. La citazione non è del Triplice Sutra in quanto tale, ma la prospettiva è molta simile a quella in cui si trovano queste opere. Anche se Asvaghosha raccomanda il nembutsu (recita del nome di Buddha) nel senso di buddhanusmriti o 'rammemorazione del Buddha, non c'è esplicita esortazione a recitare il Nome stesso. Ciononostante, la sua concezione del lavorìo della Talità all'interno del samsara può fornirci alcune chiavi assai utili per capire il significato del Nome. 

Nelle Note su 'Essenziali della Sola Fede', Shinran dichiara[27]: 

“Il sacro nome di Amida oltrepassa qualsiasi misura, descrizione e comprensione concettuale; esso è il Nome del Voto che incarna il grande amore e la grande compassione, che conduce tutti gli esseri senzienti verso il nirvana supremo.... universalmente il Nome si spande in tutti i mondi, innumerevoli come minute particelle nelle dieci direzioni, e guida tutti alla pratica dell’insegnamento del Buddha”. 

È chiaro che Shinran immaginava che il Nome possedesse tutte le qualità dell’illuminazione stessa - la forma perfetta presa dal Buddha senza-forma per rendersi noto e compreso dagli esseri senzienti. Ciò potrebbe essere possibile solamente se il Nome non fosse nient’altro che la Buddha-natura stessa; altrimenti tale effetto trasformante non potrebbe essere possibile. Questa prospettiva è del tutto costante con la credenza di Asvaghosha che la 'realtà ultima', essendo fondamentalmente non-duale con ciò che appare essere il suo completo opposto, può vestirsi di qualunque forma con la sua stessa presenza e luce come mezzo per rendersi conosciuto. Benché ogni esistenza sia una manifestazione condizionata della Talità e, almeno come principio, può risvegliarsi alla prajna se sono compiute le corrette meditazioni, il Nome è stato scelto dal Buddha particolarmente come un metodo più diretto ed efficace per provvedere che la stessa vera intuizione che c’è al nostro interno debba collegarsi da se stessa alla nostra immaginata forza e saggezza. In altre parole, usando la stessa terminologia del Risveglio della Fede, “La Talità - nella forma del Nome - 'permea' o 'profuma' i cuori e le menti degli esseri illusi, per risvegliarci a shinjin ed alla realizzazione che tutte le cose possiedono la Buddha-natura, non essendo nient’altro che forme e riflessi della Talità stessa nel mondo samsarico dei limiti e della relatività. Da notare che l'iniziativa per questa realizzazione viene dal Buddha e non da noi - se non fosse per l'operato del Nome e la Luce che Esso incarna, nessun essere ignorante potrebbe mai arrivare ad una consapevolezza della realtà di Amida. 

Se allora shinjin viene completamente dal Buddha e non è determinato dalle nostre capacità o meriti individuali, perché alcune persone ce l'hanno ed altre no? Se la luce di Amida è oscurata dalle cattive passioni degli esseri senzienti, perché ci sono ancora così molte persone che sono completamente prive di una qualunque consapevolezza del Dharma? La risposta di Rennyo è stata che in termini di requisiti e condizioni karmiche, in un individuo esse sono pienamente maturate al punto in cui uno potrebbe essere nella posizione di 'ascoltare' il Dharma per la prima volta. Shinran sottolineò anche l'importanza della 'causa interiore' di nascita, che è 'il vero e proprio shinjin', in contrasto alla 'causa esterna' del Nome e la Luce che, da sola, non è sufficiente per provocare la nascita. La causa, sia 'interna' che 'esterna', diretta ed indiretta, deve essere presente per far essere efficace il Nome nella realizzazione della mente di Amida. 

In conclusione, mi piacerebbe mettere insieme i vari fili di questa trama, suggerendo come, alla luce di Il Risveglio della Fede, ci si dovrebbe avvicinare alla 'pratica' nel Jodo Shinshu. Molti commentatori hanno osservato che Shinran non offre concreti consigli su come realizzare shinjin,  perché considera che la vera pratica sia data da Amida. Come pure Ueda e Hirota, che annotano[28]: 

“Shinran consiglia i suoi seguaci, 'Semplicemente affidatevi al Tathagata' o 'Semplicemente affidatevi al potere del Voto', però nei suoi scritti non c'è nessuna istruzione che concerne come uno dovrebbe farlo e nessuna descrizione di un processo generale che dia luogo alla realizzazione di shinjin. C’era da aspettarselo; si sarebbe dovuto pur fare qualche azione per ottenere shinjin, e quella sarebbe divenuta la nostra propria pratica, sottoposta alla nostra deliberazione e disegno.... Ciononostante, anche se uno potrebbe augurarsi di eliminare il dolore e l’auto-attaccamento alla propria vita ed affidarsi al Voto, questo non è facilmente realizzabile. Ci viene prescritto di eliminare tutto il nostro disperato aggrapparci alla bontà ed al valore di noi stessi e di affidarci ad Amida, ma poi sebbene potremmo desiderare di farlo, poiché 'il potere del Voto' non può essere percepito, una spassionata fiducia è impossibile. Nessuna meraviglia, quindi, che Shinran chiami la realizzazione di shinjin, 'la più difficile fra tutte le cose difficili!' Come facciamo, allora, ad avanzare di fronte a questa difficoltà? Io credo che un iniziale indizio possa essere spizzicato da Asvaghosha quando lui dichiara[29]: 

“Si può dire che c'è il principio della Talità e che esso può permeare l'ignoranza. Attraverso la forza di questa permeazione, la Talità fa sì che la mente illusa aborrisca la sofferenza di nascita-e-morte e le faccia aspirare al Nirvana. Poiché questa mente, sebbene ancora illusa, ora è in possesso di questa capacità di aborrire il samsara ed aspirare al Nirvana, essa permea nella Talità, e ciò incita la Talità a manifestarsi. Così un essere umano arriva a credere nella sua natura essenziale... 

Hakeda commenta in questo modo questo importante passaggio[30]: 

“Questa permeazione è stata tradizionalmente intesa come 'permeazione interiore'. Essa è la spinta interna della Talità che fa emergere, per così dire, l’uomo dallo stato dell'inconsapevolezza allo stato di consapevolezza. È un movimento interiore della Talità nel nostro interno, da potenziale ad attuale, o dall’essenza all’esistenza, così che l’essenza permea nell’esistenza, o il nirvana nel samsara. Nel nostro interno, La Talità, cioè l’illuminazione originale, sta costantemente proponendosi per essere attualizzata penetrando all’interno del muro dell'ignoranza. 

In questo modo, si può vedere che l'iniziativa per la ricerca dell’illuminazione può venire solamente dall’illuminazione stessa. Strettamente parlando, si può dire che i nostri limitati ‘ego’ non possono offrire niente a questo processo perché essi sono ultimamente inconsistenti ed irreali - 'vuoti' di auto-essenza e così incapaci di generare luce fuori dall'oscurità. Tutto ciò che noi, in queste circostanze, realmente possiamo fare è di mantenere la consapevolezza del Dharma di Amida tramite il ‘monpo’, o 'ascolto' (Skt. sruta-maya-jnana). Questo richiama un’attitudine di ricettività con cui rimaniamo aperti all'influenza e alle benedizioni della Luce Infinita, che risplende sia all’interno che all’esterno. E’ ovvio che un tale grado di ricettività presuppone le condizioni karmiche favorevolmente adatte, ma non si può mai sapere se tali condizioni esistono all’inizio del nostro vero sforzo di adattarci a ciò che poi noi riconosciamo essere la verità. Una volta che siamo capaci di accettare ed ammettere, dopo una lunga lotta e duro travaglio, il Voto Primitivo nella nostra vita, noi rimaniamo aperti al suo abbraccio totale che serve a guidarci attraverso l'oceano tempestoso del samsara verso le felici spiagge della Terra di Luce, dove tutto il 'ghiaccio' dei nostri dubbi, le ansie e i difetti, sono finalmente trasformati nelle calme e limpide acque dell'emancipazione finale. 

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Note 

1. Per uno studio più comprensivo e penetrante su questo soggetto vedere: Brian Edward Brown, The Buddha Nature - A Study of the Tathagatagarbha and Alayavijnana (Motilal Banarsidass: Delhi 1991). 

2. Il Risveglio della Fede: Attribuito ad Asvaghosha – trad. con commentario, da Yoshito S. Hakeda (Columbia University Press: New York 1967), p.32. 

3. Hakeda, p.112. 

4. Hakeda, p.92. 

5. Hakeda, p.36. 

6. Hakeda, p.34. 

7. Hakeda, p.36. 

8. Hakeda, p.65. 

9. Hakeda, p.59. 

10. Hakeda, p.63. 

11. Hakeda, p.72. 

12. ‘Outlines of Mahayana Buddhism’ di D.T.Suzuki (Schocken: New York 1963), p.109-10. 

13. Suzuki, p.112. 

14. Ibid. 

15. Hakeda, pp.45-46. 

16. Hakeda, p.46. 

17. Hakeda, p.13. 

18. Ibid. 

19. Hakeda, p.83. 

20. Note su 'Essentials of Faith Alone': A Translation of Shinran’s Yuishinsho-mon'i, Shin buddhism Translation Series, ed. Yoshifumi Ueda (Hongwanji International Centre: Kyoto 1979), p.42. 

21. ‘Letters of Shinran: A Translation of Mattosho’, Shin buddhism Translation Series, ed. Yoshifumi Ueda (Hongwanji International Centre: Kyoto 1978), p.30. 

22. ‘Shinran: An Introduction to His Thought’ by Yoshifumi Ueda and Dennis Hirota (Hongwanji International Centre: Kyoto 1989), p.175-76. 

23. ‘The Shoshin Ge’ trad. Daien Fugen ed altri. (Ryukoku University: Kyoto 1961), p.36. 

24. Hakeda, p.65. 

25. citato in ‘Mahayana Buddhism’ di Beatrice Lane Suzuki (Allen & Unwin 1981), p.60. 

26. Hakeda, p.102. 

27. Yuishinsho-mon'i, p.30. 

28. Ueda & Hirota, pp.158-59. 

29. Hakeda, p.58. 

30. Hakeda, p.59. 

 

 

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