Mettere in Moto la Ruota del Dharma

Discorsi sulle Quattro Nobili Verità del buddhismo  

del Ven. Maestro Sheng-Yen; Traduz. Inglese del Ven. Guo-gu Shi/  

Tutti i diritti riservati, Dharma-Drum Pubblications, © 2000

(URL: http://www.chan1.org) (Traduzione Italiana di Aliberth Meng)

Prefazione 

Questo libro consiste di discorsi sulle Quattro Nobili Verità del buddhismo, del Ven.

Maestro Chan Sheng-Yen al Chan Meditation Center in Elmhurst, New York.

Le conferenze ebbero luogo in quattro consecutive domeniche tra il 1 novembre ed il 22 novembre 1998.  

Shakyamuni Buddha espose quasi 2,500 anni fa le Quattro Nobili Verità a cinque suoi amici monaci. Fu il primo insegnamento che presentò dopo la sua stessa illuminazione profonda. Però, come principi-guida per la pratica del buddhismo, le Quattro Nobili Verità sono ancora oggi assai attinenti, perché parlano delle verità perenni sull’esistenza umana.  

È nostra sincera speranza che il commentario sulle Quattro Nobili Verità del Maestro Sheng-Yen possa fornire ai lettori una chiara comprensione del loro significato, come pure l'ispirazione per integrare questi insegnamenti nella loro propria vita.  

 

Capitolo Uno: Mettere in Moto la Ruota del Dharma  

Subito dopo aver realizzato la sua piena illuminazione, il Buddha volle condividere la sua scoperta con tutti gli altri esseri senzienti. Egli percorse circa centocinquanta miglia da Bodhgaya, in cui aveva sperimentato l'illuminazione sotto l'albero della Bodhi, alla città di Sarnath in Benares. Il suo scopo era di cercare i cinque monaci [1.1] con i quali egli aveva in precedenza praticato l'ascetismo. I monaci l'avevano lasciato quando egli rifiutò l'ascetismo per seguire la Via di mezzo. Ora egli si era illuminato e nella sua grande compassione voleva aiutare i suoi compagni a trovare il sentiero della liberazione. Quindi il suo primo insegnamento come Buddha fu per questi cinque monaci in un boschetto vicino Sarnath, chiamato il Parco dei Daini.  

Il Primo Insegnamento del Buddha 

In questo suo primo insegnamento, il Buddha [1.2] espose una Via di Mezzo tra l'ascetismo e l'indulgenza al vizio, ed insegnò anche le Quattro Nobili Verità. Con questo insegnamento lui mise in moto la Ruota del Dharma--gli insegnamenti del buddhismo. Le Quattro Nobili Verità sono così la base del Buddhadharma. Comprendere, praticare e realizzare le Quattro Nobili Verità significa realizzare l'intero Buddhadharma. Mentre la maggior parte dei buddhisti possono fino ad un certo punto capire le Quattro Nobili Verità, non tutti possono aver chiarezza su tutte le loro implicazioni. Perciò a cominciare da oggi, spiegherò e cercherò di chiarire queste quattro verità come dette dal Buddha.  

Quando il Buddha espose le Quattro Nobili Verità, prima dichiarò ciò che esse erano. Egli disse, Esse sono la verità della sofferenza, la verità dell'origine della sofferenza, la verità della cessazione della sofferenza e la verità dell'uscita dalla sofferenza per mezzo dell’ottuplice nobile sentiero [1.3]. Questo è il primo dei "tre giri e dodici processi" [1.4] della Ruota del Dharma.  

Che significa ciò? Come insegnato dal Buddha, ognuna delle verità nobili implicava tre giri o aspetti. All'interno di ciascuna nobile verità, i tre giri o aspetti erano,: primo, comprendere quella nobile verità; secondo, mettere in pratica la propria comprensione di quella nobile verità; e terzo, applicare i risultati, o la realizzazione, di quella nobile verità. Così, la sequenza è, la comprensione, la pratica e la realizzazione. Così, la pratica completa delle Quattro Nobili Verità consiste di dodici processi [1.5], che quando sono completati, assicurano l'entrata nel nirvana.  

Perciò, il primo giro è comprendere il significato delle Quattro Nobili Verità. Come risultato del primo giro, gli asceti capirono la natura della sofferenza e le sue cause. Il Buddha, inoltre, spiegò la necessità di andar oltre la sola comprensione delle Quattro Nobili Verità, mettendo in pratica quella conoscenza. Per esempio, conoscendo le origini della sofferenza, dovremo così abbandonare quel tipo di azioni che provocano l'accumulazione della sofferenza. Se uno ha una ferma convinzione che la cessazione è possibile, praticherà il sentiero per realizzare questo. Così il secondo giro è il credere e mettere in pratica le verità.  

Il Buddha disse ai suoi discepoli che lui stesso, realizzando le quattro verità, aveva in effetti compiuto la cessazione, aveva completato il sentiero di fuoriuscita dalla sofferenza, e si era così liberato. Ed ora lui stava insegnando loro come realizzare la liberazione per loro-stessi. L'esistenza della sofferenza, le cause della sofferenza, la cessazione della sofferenza e l'uscita dalla sofferenza furono pienamente comprese, praticate, e le sofferenze stesse cessarono. Così il terzo giro è la realizzazione, il risultato del praticare le verità.  

Come risultato dei tre giri della Ruota del Dharma del Buddha perfino il meno dotato dei cinque monaci si illuminò [1.6], e tutti divennero Arya, cioè risvegliati, i primi discepoli del Buddha, ed essi formarono il primo Sangha--la comunità dei monaci buddhisti. Dopodiché, il Buddha per quarantanove anni continuò ad esporre le Quattro Nobili Verità e tutti gli altri insegnamenti del Buddhadharma, finché alla fine, egli entrò nel grande nirvana. Prima di ciò, ammonì sempre i suoi discepoli e seguaci di attenersi ai precetti (vinaya) [1.7], di accettare il Dharma come loro insegnante, e di prendere la liberazione (nirvana) come la loro ultima mèta.  

E come ci si attiene ai precetti? Vivendo in modo etico, armonioso e stabilizzato. Cosa significa accettare il Dharma come proprio insegnante? Significa prendere le Quattro Nobili Verità come l'insegnamento fondamentale, e anche capire che l’esistenza è caratterizzata da impermanenza. Capire che tutte le cose mancano di un’esistenza inerentemente indipendente, e sono prive di un "né. Significa credere nella cessazione della sofferenza e nella certezza dell’ultima liberazione nel nirvana. Comprendere tutto ciò è praticare i tre sigilli del Dharma (i tre marchi di esistenza): sofferenza, impermanenza e nessun-sé. E come si realizzano i tre sigilli? Si deve iniziare con la pratica delle Quattro Nobili Verità.  

Cosa significa avere la liberazione come propria mèta? Avere la liberazione come propria mèta significa che uno deve pienamente capire il funzionamento del sorgere condizionato - e cioè, che tutte le cose sorgono come risultato di molte differenti cause e condizioni. Per comprendere la natura della nostra esistenza, noi dobbiamo cominciare a capire i dodici collegamenti o anelli del sorgere condizionato [1.8], che determinano la forma e l’andamento della nostra vita, così come si svolge. Se uno può contemplare questi dodici collegamenti, uno capirà appieno le cause della sofferenza, come pure l'uscita dalla sofferenza verso la liberazione [1.9].  

Così, le Quattro Nobili Verità includono gli insegnamenti completi del Buddha ed includono i tre sigilli del Dharma, e i dodici collegamenti o anelli del sorgere condizionato. Perciò, per realizzare la mèta delle Quattro Nobili Verità, bisogna anche comprendere e contemplare la sofferenza, l’impermanenza, il non-"né ed il sorgere condizionato.  

Benché il buddhismo possa essere diviso in varie scuole come Theravada, Mahayana, Vajrayana, la Scuola Improvvisa e quella graduale [1.10], e così via, tutte quante hanno come loro base le Quattro Nobili Verità senza le quali, non potrebbero essere considerate buddhiste. Dopo questa breve introduzione, ora procederemo per giungere ad una più profonda comprensione delle Quattro Nobili Verità.  

Perché le Verità sono Nobili  

In generale, possiamo dire che tutti gli esseri liberati (arya), come gli arhat e i buddha, hanno completamente penetrato le Quattro Nobili Verità. E poiché queste verità hanno pervaso la comprensione di questi santi esseri, noi le chiamiamo nobili. Sono chiamate anche nobili perché capendole e praticandole, anche noi possiamo giungere alla liberazione.  

Gli arya si risvegliarono alla prima nobile verità della sofferenza ed alle sue vere origini. Prima vi è stata la sofferenza per catastrofiche calamità, catastrofi naturali, ed altre minacce ambientali. Poi, noi possiamo isolare la paura e incerte fonti di sofferenza. Ed infine, vi sono gli infiniti tipi di afflizioni auto-generate che noi sperimentiamo. Questi ultimi tipi di sofferenza chiaramente sono più di origine e manifestazione mentale. Così, i risvegliati sono completamente consapevoli delle molteplici origini della sofferenza che ci mantengono nella oceanica sofferenza del samsara, che è il ciclo di nascita e morte.  

La seconda nobile verità è che la causa fondamentale della sofferenza è l’ignoranza che si manifesta come avidità, avversione, ed illusione. L’ignoranza a sua volta ci spinge ad attivare azioni che provocano la sofferenza. L’azione, che è il significato letterale del karma, include azioni fatte come pure pensieri e parole. Quindi ciò che chiamiamo l'origine o la causa della sofferenza è in realtà ‘karma’--la forza che conduce le condizioni esistenti nella nostra vita ad un futuro risultato, un tipo di ‘momentum’ che ci porta in una certa direzione. E’ una composita energia generata dalle illusioni e afflizioni degli esseri senzienti, che li spinge a prendere parte a certe azioni. Queste stesse azioni inoltre piantano dei 'semi’ (cause e condizioni) per ulteriori altre conseguenze. Quando i semi maturano, la forza risultante diventa un enorme potenziale che ci proietta nel futuro, conducendoci alle particolari esperienze della sofferenza.  

La terza e quarta nobile verità derivano dalla profonda comprensione, realizzata dagli arya, della effettiva non-esistenza della sofferenza, e quindi della possibilità della sua cessazione. Il Buddha espose vari approcci per arrivare alla cessazione della sofferenza. Fra questi, il più importante è un etico modo vita, cioè applicare un comportamento che non provochi la sofferenza. Tuttavia, si dovrà anche coltivare la consapevolezza così da non creare le cause per la sofferenza futura. Se siamo inconsapevoli delle cause della sofferenza, noi la prolungheremo all’infinito creandone le cause stesse. Quando siamo consapevoli delle cause della sofferenza, noi possiamo cessare le nostre azioni negative, così che ne potrà risultare la liberazione dal dover soffrire.  

E infine, chiamiamo queste verità ‘nobili’ perché esse sono genuine, senza tempo, e necessarie. Sono genuine perché nulla può contraddirle, screditarle, o sostituirle, e perché praticandole uno sperimenterà che esse sono genuine. Sono senza tempo, perché la sofferenza e la sua fine non sono limitate ad una particolare cultura, o periodo di tempo. Finché c’è la sofferenza, gli esseri senzienti si sforzeranno per far cessare tale stato. Infine, sono necessarie perché per arrivare alla cessazione noi dovremo davvero praticare il sentiero che conduce alla liberazione.  

Causa ed Effetto Mondano, e quello che trascende il Mondo

Uno sguardo più ravvicinato alle Quattro Nobili Verità ci mostra due tipi di causa ed effetto in funzione. Il primo è la 'causa-ed-effetto-mondano', che porta alla sofferenza; l'altro è la 'causa-ed-effetto-che-trascende-il-mondo', che porta alla liberazione.  

Causa-ed-effetto mondano ha luogo nello spazio e tempo, e tutto ciò che esiste nello spazio e tempo è caratterizzato da impermanenza. Ieri, voi non eravate qui in questa sala; oggi, siete qui che mi ascoltate; dopo il discorso, andrete tutti via. Quando sperimentiamo tutto ciò come individui, noi stiamo sperimentando l’impermanenza. Questo senso di cambiamento dà anche un senso di continuità alle nostre vite. Ma, man mano che passano i giorni, le nostre vite stanno anche arrivando alla fine, di giorno in giorno. Quindi l’impermanenza è essenzialmente questo procedere dalla nascita alla morte, dall’ esistenza alla non-esistenza.  

Per sperimentare l’impermanenza noi dobbiamo esistere nel continuum dello spazio-tempo. Il nostro senso dello spazio può essere grande o piccolo--noi possiamo sentire una moltitudine di spazi o uno spazio assai limitato. La differenza sta nella chiave di come noi sperimentiamo il funzionamento di cause e condizioni. Questi vari fattori, unendosi insieme e disperdendosi, ci danno il senso del tempo. Il fatto che i diversi aspetti della nostra vita si spostano, si alterano, e si trasformano, risulta da queste relazioni causali. Il funzionamento di cause e condizioni, che hanno luogo nello spazio, è inseparabile ed intriso di tempo, così noi sperimentiamo insieme tempo e spazio. Come ho detto prima, il mondo è tuto ciò che arriva insieme allo spazio-tempo, e questa esperienza di continuo cambiamento è l’impermanenza.  

Detto in parole semplici, la trascendenza-dal-mondo è la libertà da causa-ed-effetto mondano, libertà dal soffrire nel tempo e spazio. Gli arhat e i buddha risvegliati non sono più imprigionati da tempo e spazio, perciò non sono più influenzati dalla sofferenza portata dall’impermanenza. Per questa ragione lo stato di trascendenza-dal-mondo è uno stato di liberazione.  

E come le realtà mondana e trascendenza-dal-mondo si relazionano alle Quattro Nobili Verità? ‘Causa-e-effetto mondano’ racchiude le prime due nobili verità della sofferenza e dell'origine della sofferenza. In realtà, la sofferenza è un effetto del vivere nel tempo e spazio, e la sua origine è la nostra ignoranza riguardo alla vera natura del vivere in una realtà mondana.  

Di sicuro, voi starete pensando che nella vita ci deve essere qualche sorta di felicità, e davvero, nella vita ci sono molte occasioni di gioia e felicità. Il Buddha stesso non negò questi stati di gioia e felicità, ma quando parlò dell’impermanenza come sofferenza, egli aveva in mente il modo molto sottile in cui l'impermanenza permea perfino la gioia che noi sentiamo. Perfino nel bel mezzo della felicità ci sono perdita e decadimento. Questa felicità si affievolirà proprio come ogni altra cosa. Nulla nel mondo, nulla nel tempo e spazio ha durata, o può essere veramente acquisito, per quanto grande possa essere il nostro desiderio per le cose, più di ciò che esse sono. Questa sofferenza include la nostra incapacità assoluta di sfuggire vecchiaia, malattia, e morte. Siccome noi non siamo padroni di noi stessi, sia a livello grossolano che sottile, soffrire è inerente in tutti gli aspetti della nostra esperienza.  

‘Causa-e-effetto-che-trascende-il-mondo’ si riferisce alla terza e quarta nobile verità della cessa-zione della sofferenza e del sentiero che conduce fuori dalla sofferenza. La cessazione è lo stato in cui è abbandonato il causa-e-effetto mondano, non c'è più nessuna accumulazione di karma, e si è realizzato il nirvana. Uno è libero dal dover soffrire, ed il sentiero è il processo di giungere a questo stato. Più tardi elaboreremo il modo di praticare il sentiero.  

Così, quando il Buddha girò la Ruota del Dharma, insegnò anche che il sentiero della liberazione è il sentiero di uscire dal mondano per arrivare ai modi di agire, pensare e parlare dello stato di trascendenza-dal-mondo. E dopo che furono fatti girare i tre giri della Ruota del Dharma, con le tre esposizioni delle Quattro Nobili Verità, tutti e cinque i monaci mendicanti realizzarono la liberazione.  

Karma e Retribuzione  

In precedenza abbiamo detto che la sofferenza ha origine dal karma. Perciò, ogni sofferenza è una retribuzione che può essere compresa sia come retribuzione karmica o risultante punizione. La retribuzione karmica è l'opera delle sottostanti cause e condizioni che sospingono l’energia karmica. La punizione risultante è quella che noi sperimentiamo soggettivamente come risultato delle forze karmiche costrette a venire. La retribuzione risultante assume la sembianza di diversi tipi di sofferenza. Più avanti parleremo dei diversi tipi di sofferenza, ma per ora voglio soltanto riaffermare che la sofferenza origina dal karma.  

Come è creato il karma? Fondamentalmente, il karma è creato attraverso il funzionamento dei sei organi sensoriali di occhio, orecchio, naso, lingua, corpo, e mente. Questi organi non sono necessariamente la causa della sofferenza; è piuttosto il nostro curarli amorevolmente che ci provoca la sofferenza. Noi li curiamo amorevolmente perché tramite essi abbiamo una nozione del nostro corpo a cui ci attacchiamo, aggrappandoci ad esso come se fosse perfetto, amabile, e permanente; e soprattutto, perché tramite lui noi abbiamo un senso di identità, un senso di sé. Di conseguenza, noi generiamo delle passioni che dominano il nostro comportamento, e che mettono in moto le forze karmiche che ci proiettano nel futuro.  

La terza nobile verità della cessazione si riferisce all'estinzione delle nostre oscurazioni mentali (afflizioni) da parte degli organi di senso. Come ho già detto, questi organi non sono di per "né la causa del problema. La causa del problema sono le colorazioni che noi aggiungiamo alle nostre esperienze, tramite l’attaccamento e l’aggrapparsi. Quindi, benché si può dire che l'origine della sofferenza siano i sei organi di senso, che sono offuscati dalla mente che aderisce ai fenomeni, allo stesso tempo, la cessazione della sofferenza significa la fine di queste oscurazioni.  

La quarta nobile verità è il sentiero che conduce alla cessazione, noto come il 'nobile ottuplice sentiero'. Anche se questo sentiero ed i suoi otto aspetti sembrano facili da capire, essi sono estremamente ricchi ed inclusivi. Il sentiero include la triplice pratica dei precetti (sila), della concentrazione meditativa (samadhi) e della saggezza (prajna). Esso include anche molte altre pratiche, come i cinque metodi di stabilizzare la mente [1.11], e le quattro basi dell’attenzione per sviluppare l’intuizione [1.12].  

Insieme alle Quattro Nobili Verità ci sono anche molte pratiche particolari, note come i sedici aspetti delle Quattro Nobili Verità [1.13]. Questi aspetti possono essere usati come oggetti di meditazione, a cominciare dalla consapevolezza del respiro (calmante), fino allo sviluppo della consapevolezza meditativa (intuizione). Tutti questi metodi conducono al sentiero della 'visione', che risveglia alla natura della realtà.  

Sommario  

Abbiamo parlato di numerose cose; dal girare la Ruota del Dharma, ad impegnarsi nel sentiero, a raggiungere lo stato di arhat tramite la cessazione. Finora, abbiamo fatto solamente un breve quadro delle Quattro Nobili Verità. Tuttavia, dal momento in cui ho finito di parlare dei tre giri della Ruota del Dharma voi dovreste essere diventati tutti arya, come i cinque monaci (risata). Ma nel caso in cui qualcuno di voi, che non ha raggiunto l’illuminazione, e se il discorso di oggi gli è sembrato abbastanza adescante, per favore ritorni la prossima domenica, e così parleremo più in dettaglio delle Quattro Nobili Verità. Io spero di descrivere le Quattro Nobili Verità come un insieme e di rivelare i diversi livelli, strato dopo strato, delle loro sottili implicazioni. Se dicessi che i livelli diventano sempre più profondi, potrei spaventarvi, così dirò solo che cercherò di chiarirli meglio e di spiegarli in modo più chiaro. Ora c’è tempo per alcune domande.  

Interrogante: Come possiamo alleviare la sofferenza del quotidiano?  

Shi-fu: Noi sperimentiamo la vita di tutti i giorni come un sovraccarico di corpo e mente, che sembra provenire dall'ambiente esterno, ma esso principalmente origina nel nostro stesso corpo e mente. Questo sovraccarico è la realtà dell’impermanenza. A causa di questo particolare carico che sentiamo e sperimentiamo, noi prendiamo la sofferenza come se fosse inerente nella nostra vita. La felicità è un provvisorio sollievo da questo sovraccarico, dopodiché il senso di impermanenza e, attraverso di essa, la sofferenza, riappare inesorabilmente.  

Comunque, uno può esperimentare una felicità che sia meno soggetta all’impermanenza. La particolare felicità di cui parla il Buddha è la gioia del Dharma. Più pratichiamo il Dharma, e più felicità noi avremo. Se pratichiamo il Dharma realmente fino al punto della piena liberazione, noi saremo estremamente felici, perfino euforici.  

Interrogante: Nella vita quotidiana, spesso incontriamo la sofferenza dell'ammalato, come un parente malato terminale che vuole essere alleviato dalla sua sofferenza. Quale è la corretta visione per un buddhista che capisca veramente l'essenza delle Quattro Nobili Verità? Come può alleviare quell’essere senziente di simile sofferenza, quale che ne sia la causa?  

Shi-fu: Si applicano solo le Quattro Nobili Verità; capire la sofferenza e l'uscita dalla sofferenza, come si relaziona a voi. Se una persona malata è ancora consapevole e ricettiva, può esserci la possibilità di aiutare quella persona con la pratica. Noi non possiamo impiantare le Quattro Nobili Verità in un'altra persona, ma possiamo almeno aiutarli a comprendere le origini della sofferenza, e cominciare a far praticare le Quattro Nobili Verità. Ma se quella persona non è ricettiva né capace di comprendere, allora le Quattro Nobili Verità non la aiuteranno. Anche se noi possiamo alleviare il loro dolore e così via, quella non è la fine della sofferenza esistenziale o la liberazione finale da essa. Le cure e altri metodi di sollievo non sono ciò che noi intendiamo per cessazione. Solo l’applicazione della pratica può far sì che uno sia liberato dalla sofferenza descritta nelle Quattro Nobili Verità.  

Una volta, che un mio amico stava per morire, io tentai di portargli alcuni insegnamenti, ma lui era totalmente agitato, addolorato ed in agonia, e non era ricettivo. Poiché quello non avrebbe funzionato, io semplicemente sedetti vicino al mio amico e cominciai lentamente a recitare il nome del Buddha. Questo in una certa misura funzionò perché la mia presenza a fianco del suo letto e la stabilità della mia mente probabilmente lo influenzarono direttamente in una maniera non-verbale, così che lui gradualmente fu in grado di calmarsi.  

Se recitare il nome del Buddha non è efficace, si può provare a meditare vicino a quella persona. Questo può sembrare forzato, ma può essere efficace. Il requisito indispensabile è che voi stiate realmente facendo la meditazione, così che con una mente molto stabile e calma, la vostra e la mente dell'altra persona possano arrivare ad una reciproca risposta. Quella persona di conseguenza può direttamente calmarsi. Ma se la vostra mente è dispersiva o è influenzata impropriamente dall'ambiente circostante, o ha molti pensieri vaganti, la cosa probabilmente non funzionerà. Grazie per le vostre domande. Quindi vi incoraggio a ritornare la prossima domenica... o altrimenti, voi non riuscirete a liberarvi! (Risata ed applauso)  

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Capitolo Due: La Natura della sofferenza  

La settimana scorsa abbiamo discusso sul girare la Ruota del Dharma nel Parco dei Daini, in cui il Buddha diede il suo primo insegnamento delle Quattro Nobili Verità ai cinque monaci asceti. Abbiamo parlato dei significati di base delle Quattro Nobili Verità, e del sentiero che conduce dalla sofferenza alla liberazione. Ora continueremo con l’esaminare la prima nobile verità e la natura della sofferenza, livello dopo livello, sperando di trovarne la chiave, come pure i più profondi significati.  

Ci sono diversi approcci che io potrei cominciare a condividere con voi sulla conoscenza delle Quattro Nobili Verità. In effetti, la loro profondità può essere rivelata tramite le tante tradizioni di buddhismo, ma per le mie fonti io mi rifaccio alle primitive scritture, come il ‘Nikaya’, il primo sutra Pali, noto anche come 'Agama' e dal shastra Sanskrito chiamato ‘Abhidharmakosha’ (Il Trattato sul Beneficio della Conoscenza)[2.1]. Gli altri approcci includono quello del Madhyamika (Via di Mezzo)[2.2] e lo Yogachara (Mente-unica)[2.3], due maggiori scuole Indiane di pensiero che erano assai autorevoli nel loro saper spiegare le Quattro Nobili Verità. Nel buddhismo Cinese, oltre ai lignaggi del Chan - Linji e Caodong (Zen: Rinzai e Soto), c'erano le tradizioni Tientai e Huayen [2.4], ognuna col suo proprio modo di spiegare le Quattro Nobili Verità. Quindi, con questo in mente, io le commenterò principalmente dal punto di vista della più fondamentale e primitiva tradizione buddhista.  

I Tre Aspetti della Sofferenza  

La prima nobile verità è la verità dell'esistenza della sofferenza. Il Buddha insegnò che la soffe-renza dovrebbe essere vista in tre aspetti [2.5]: il primo è la sofferenza della sofferenza, il secondo, la sofferenza di cambiamento e il terzo, la sofferenza onnipervadente e penetrante dei cinque skandha, che discuterò più tardi.  

La Sofferenza della Sofferenza  

La sofferenza della sofferenza è la sofferenza ordinaria che noi possiamo sentire nel corpo e nella mente. Esempi di sofferenza della sofferenza sarebbero il dolore della malattia, o l’essere separati da chi si ama. Questi tipi di sofferenza possono riconoscerli tutti quanti. Ma, a un livello molto più fondamentale, la sofferenza della sofferenza sta a significare che noi non siamo i padroni di noi stessi. Noi siamo sotto la continua e assai condizionante influenza di altre forze, dall'ambiente esterno alle esperienze ed alle funzioni del nostro stesso corpo e mente. Tutte queste condizioni sono 'spinte-da-un-altro-potere' perché tutte quelle cause e condizioni che costituiscono un particolare momento sono dipendenti dall’accadere di altre cose, o nel nostro proprio corpo o nell'ambiente circostante. Questo è chiamato il 'sorgere-condizionato' o 'origina-zione dipendente'. Ad un livello più profondo, noi non siamo nemmeno in grado di controllare i pensieri della nostra mente. Questa incapacità di controllare il nostro stesso essere, è ciò che chiamiamo ‘sofferenza’.  

Quando riflettiamo profondamente su noi-stessi, noi vediamo che abbiamo le nostre proprie visioni e prospettive delle cose. In una certa misura, a noi sembra di poter controllare le nostre menti. Ma quando diamo uno sguardo più ravvicinato ai nostri processi pensativi, molto spesso il pensiero precedente ed il pensiero successivo si contraddicono l'un l'altro. In Cinese, questo è chiamato 'la battaglia tra i Cieli e gli umani', il conflitto tra la mente razionale e le nostre sensazioni. Quando si sa che una certa azione è corretta, i nostri sentimenti possono essere opposti – ciò che noi pensiamo e quello che noi sentiamo possono essere in conflitto. Noi pensiamo di avere una certa personalità e certi tratti, ma quando guardiamo più da vicino, ci pare di avere personalità multiple e in effetti siamo quasi schizofrenici. Pensiamo in un modo, ed agiamo in un altro modo. In situazioni diverse, abbiamo personalità completamente diverse. Questo conflitto tra modi diversi di essere, nella stessa persona, può provocare molta soffe-renza. Noi possiamo tentare di usare i nostri poteri mentali e fisici per mantenerci in conforto e salute, ma col tempo comprendiamo che il nostro corpo sta subendo dei cambiamenti, sta diventando più vecchio, ed è più soggetto a malattia. Se il nostro proprio corpo non ci ascolta, quanto controllo su di esso abbiamo realmente? Se si è un capo o un insegnante si può sentire di avere controllo sulle altre persone, ma ci sono molti limiti anche nel voler manipolare gli altri. Alla fine, non c'è nessuna persona, a parte voi-stessi, su cui potete contare. Voi siete soli. Ed anche questa incapacità di avere il controllo e sentirvi a vostro agio nell'ambiente circostante è una fonte di sofferenza.  

Le persone vogliono contare su qualcun altro, oltre se stesse. Alcuni miei discepoli hanno una forte dipendenza in me, tanto da dire, "Shi-fu, Lei deve prendersi cura della sua salute. Come potremo contare su di Lei, se Lei non c’è più?" Qui mi viene da pensare, "Io non posso contare nemmeno su me-stesso ed ecco che ci sono persone che vogliono contare su di me!" (risata). Così io dico loro di non contare su di me, ma sul Dharma, perché è il Dharma su cui io stesso faccio affidamento. Io oggi sono qui, ma potrei morire domani e così incoraggio tutti voi ad affidarvi soltanto sul Dharma, e di essere concentrati nel Dharma.  

La Sofferenza del Cambiamento  

Il secondo aspetto della sofferenza è la sofferenza del cambiamento. La caratteristica dominan-te dell’esistenza è un continuo flusso. Il Libro Cinese dei Mutamenti, l'I-Ching, dice che tutte le cose sono in un continuo stato di divenire. Per contrasto, il buddhismo dice che le cose sorgono e periscono simultaneamente – proprio all’interno della nascita vi sono creazione ed estinzione. Non è che il processo di morire comincia dopo la nascita, ma che proprio nel nascere c’è già il dirigersi verso la morte. Nel mezzo della creazione c’è l’estinzione; nel mezzo dell'estinzione c’è la nascita. L'unica costante è il cambiamento - l'impermanenza.  

Noi possiamo vedere l’impermanenza in modi che corrispondono ai tre aspetti della sofferenza. Il primo è l’impermanenza riguardo all'esperienza di nascere, vivere e morire dell'individuo. Il secondo è l’impermanenza riguardo al soffrire, accompagnata dal cambiamento continuo come fatto dell’esistenza. Il terzo è l’impermanenza riguardo al sorgere condizionato e all'estinzione di tutti i fenomeni. Se possiamo capire queste dimensioni dell’impermanenza nella sofferenza, noi possiamo anche riconoscere la verità della vacuità e del non-sé.  

Il carattere Cinese ‘hua’ significa 'sofferenza del cambiamento' ma ha anche la sfumatura di 'ciò che è distruttibile' Qualcosa che oggi è qui, domani può non esservi. Questo è così perfino col lavorìo momento per momento delle nostre menti. Un pensiero conduce al prossimo, pensiero dopo pensiero, in un flusso continuo. Questo è il significato di 'sofferenza del cambiamento'.  

Può sembrare che nella vita si abbia raggiunto certi risultati o scopi, ma anche questi stanno continuamente cambiando. Alla fine, non c'è nessuna cosa come oggettivo risultato o mèta che sia stata veramente raggiunta, perché qualsiasi cosa è priva di una permanenza. Piuttosto, noi dobbiamo capire che il mondo è un perenne processo, senza inizio o fine. Quando guardiamo ai nostri raggiungimenti da questa prospettiva, noi vediamo che il frutto dei nostri sforzi è esso stesso il prodotto del cambiamento. Qualcosa doveva cambiare per arrivare dal nostro punto di partenza là dove noi siamo ora. Quando finalmente troviamo quello che vogliamo, perché mai il processo del cambiamento dovrebbe improvvisamente cessare? Perciò, per questo motivo non si dovrebbe cercare di mantenere i nostri guadagni come qualcosa di stabilito per sempre su una pietra. Il successo non è affatto una realtà fissa o stabile, e può essere molto fugace.  

Di recente, ho incontato un individuo che era diventato professore. Io gli dissi, "Congratulazioni per esser diventato professore". Questo è ciò che lui aveva raggiunto, quello che per la sua vita egli aveva progettato. Poi, gli dissi, "Sfortunatamente, un giorno dovrà andare in pensione, o anche morire" (risata). Non stavo cercando di versare acqua fredda sul suo raggiungimento; Io stavo cercando di incoraggiarlo ad avere una visione più approfondita nel modo di esistere --che le cose cambiano e nulla è permanente. Di conseguenza, lo incoraggiavo a cercare un livello più profondo di intuizione nel suo stesso essere e nel modo di essere del mondo, perché con questa saggezza penetrativa ci si può finalmente avviare ad essere liberi dalla sofferenza del cambia-mento, la sofferenza dell’impermanenza.  

La Sofferenza Onnipervasiva e Penetrante  

Il terzo aspetto della sofferenza, la sofferenza onnipervasiva e penetrante ha un significato duplice. Il primo significa che tutti gli esseri sperimentano la sofferenza – e che nessuno può sfuggirvi. Un secondo significato è associato col quarto skandha della volizione. Per spiegarlo, avremo prima bisogno di discutere i cinque skandha nell'insieme. Il buddhismo insegna che un essere umano è composto di cinque aggregati o skandha. Come tutte le forme dell’essere, questi cinque aggregati sono caratterizzati da due realtà fondamentali – l’entrare in esistenza (creazione) e il cambiamento (estinzione). Ancora una volta questo indica l’impermanenza come il filo comune nei tre aspetti della sofferenza. Tuttavia, anche questo è solo un livello comune di comprensione. La sofferenza penetrante e onnipervasiva si riferisce anche ad una sottocorrente di coscienza in cui l'attaccamento ed il desiderio possono cambiare immediatamente in odio e repulsione. È un tipo assai sottile di sofferenza psicologica.  

Il primo aggregato è la forma, e si riferisce all’aspetto fisico o materiale del nostro corpo. Gli altri quattro sono mentali, ed all'interno di essi vi sono divisioni più sottili. Il secondo aggregato è la sensazione. Il terzo è la percezione, ma si potrebbe anche chiamarla concezione. Il quarto è la volizione che, come ho menzionato, recita un ruolo chiave nella sofferenza onnipervasiva. L'ultimo aggregato è la coscienza.  

Sensazione e percezione possono essere intese anche in termini di processi mentali. 'Mente' è un termine assai generale, ma dalla prospettiva della psicologia buddhista in questa mente noi vediamo due cose diverse: ciò che discrimina, o mente primaria e i fenomeni mentali. La mente che discrimina è come un imperatore che controlla i suoi generali, soldati, e così via. Il secondo e il terzo aggregato, sensazione e percezione, sono una parte di questa mente-imperatore, e questi due possono essere suddivisi in almeno 175 diversi stati mentali.  

La mente discriminante contiene- si potrebbe dire, possiede- i suoi stati mentali, come l’avidità, la gelosia, la gioia, il piacere- un intero esercito di pensieri negativi così come positivi. In questo modo, la mente ed i suoi stati si rinforzano mutuamente l'un l'altra. Gli stati mentali non sono la mente; essi sono solo i soldati che obbediscono agli ordini della mente, aiutandola a mantenersi e perpetuarsi. Anche la volizione è un aggregato mentale e, insieme a sensazione e percezione, funziona ad un livello molto più sottile. Essendo l'aggregato che spinge all’azione, la volizione assicura che tutti gli esseri viventi siano continuamente in uno stato di moto e di insorgere. Per questa ragione essi non possono sfuggire dalla forma più sottile di quella sofferenza penetrante.  

La sofferenza pervade i tre reami dell’esistenza che costituiscono il samsara [2.6]; essi sono: il reame del desiderio, il reame della forma ed il reame del senza-forma. E’ così, perché questi reami sono caratterizzati dall’attaccamento, sia quello comune che quello sottile. Si prenda una persona realizzata, la cui coscienza estremamente raffinata è libera dai più comuni attaccamenti di avidità, odio, gelosia, e le altre più basse discriminazioni. Quella persona è giunta al samadhi di 'né concettualizzazione né non-concettualizzazione'- il samadhi dell’infinita coscienza. In un così alto stato essa è libera dalle condizioni di sofferenza della sofferenza e dalla sofferenza della impermanenza, ma un tale essere è ancora soggetto alla sofferenza penetrante.  

I tre reami sono dimensioni di esistenza dove gli esseri risiedono in dipendenza del loro livello di coscienza. Finché non si trascendono questi tre reami, non si sarà liberi dalla sofferenza. Nel reame del desiderio, in cui esistono gli umani, noi abbiamo tutti e tre i livelli della sofferenza. Anche se uno dimora in un profondo samadhi in cui è libero dalla sofferenza dell’impermanenza, quest’essere ritornerà al mondo delle irritazioni quando uscirà dal samadhi. Per questa ragione, non importa quanto sia raffinato il livello di coscienza, finché c'è l’attaccamento, ogni individuo dovrà sperimentare la sofferenza penetrante e onnipervasiva.  

Il Buddha parlò di otto tipi di sofferenza che gli esseri umani devono sopportare: la nascita, la vecchiaia, la malattia, la morte, la separazione da chi si ama, il confronto coi nemici, l’incapacità di ottenere ciò che si cerca e, per ultima, la sofferenza dei cinque aggregati. Di questi otto tipi di sofferenza, il primi sette sono contenuti nei cinque skandha. Ciò è chiamato 'la ininterrotta sofferenza dei cinque skandha' e significa che da un momento all’altro la sofferenza penetrante e onnipervasiva è rinnovata dall'esistenza degli stessi aggregati.  

Secondo le 'agama' e l'Abhidharmakosha, c’è un'altra dimensione di intendere i cinque skandha, cioè l’'aggrapparsi'[2.7]. L’aggrapparsi sorge quando una facoltà di senso interagisce con un oggetto di senso, creando l'attaccamento, e di conseguenza, la sofferenza. Questo aggrapparsi all'esperienza sensoriale assicura la continuazione dei cinque skandha vita dopo vita. Gli oggetti a cui ci si aggrappa non sono solo i desideri, ma anche l’odio e l’illusione. In parole semplici, il fatto di aggrapparsi causa sofferenza ed a sua volta, la sofferenza causa la continuità dei cinque aggregati attraverso le rinascite. Su questa base, noi manteniamo i veleni di avidità, odio, ed ignoranza che ci spingono nelle future rinascite. Poi, a causa dei cinque skandha, noi diamo di nuovo origine alle irritazioni. Perciò, le irritazioni causano i cinque skandha, e questi causano le irritazioni. Essi sono inseparabili, mutuamente provocando l'uno la nascita dell’altro.  

Nel riassumere i cinque skandha, possiamo dire che essi pervadono i tre reami di esistenza, e che separatamente dai cinque skandha non ci sarebbe sofferenza. Ma il buddhismo dice anche che attraverso la pratica del Buddhadharma noi possiamo essere liberati dalla fonte della nostra sofferenza – cioè, i cinque aggregati.  

La Lezione del Sutra del Cuore  

Il Sutra del Cuore l'afferma molto chiaramente: "Il bodhisattva Avalokitesvara mentre si trovava nel profondo prajnaparamita, vide che tutti i cinque skandha sono vuoti e con ciò trascese ogni sofferenza". Il vero punto del Sentiero buddhista non è solo di capire la sofferenza, ma anche di vedere la vacuità della sofferenza. Noi possiamo usare l'insegnamento dei cinque skandha per chiarire le diverse dimensioni della sofferenza, realizzare la natura vuota degli skandha e con ciò trascendere la nostra propria sofferenza.  

Quando percepiamo i cinque skandha nello stesso modo del Bodhisattva Avalokitesvara, c'è immediatamente una simultanea liberazione. Questo è perché nel vedere la vera natura della nostra esistenza, vediamo che simultaneamente c’è sofferenza, impermanenza, vuoto, e non- "né. Qual’ è la relazione tra questi quattro? Prima di tutto, c’è l’impermanenza. Quando uno non penetra la realtà dell’impermanenza, c’è sofferenza. Stando nella sofferenza, uno sente che c'è un 'io' che sperimenta la sofferenza. Ma per Avalokitesvara, la natura della sofferenza fu rivelata in un modo triplice. Anche la sofferenza è impermanente, vuota e priva di un "né. Perché è così? Perché sviluppando la penetrante intuizione profonda nella pratica del Buddhadharma, si viene liberati dal soffrire. Attraverso la visione del funzionamento dell’impermanenza, arriviamo a rico-noscere il ‘non-sé’. In questo modo, Avalokitesvara percepì l’impermanenza e la vacuità, e, tramite la vacuità, capì che non c'è nessun ‘sé’. Ma con la visione illusa noi sperimentiamo solo la sofferenza, come se fosse realmente vera, permanente, 'nostra'. Ed a causa dell’aggrapparci e del nostro attaccamento, accade che noi non si possa proprio sfuggirla.  

Sommario  

Quindi, cosa c’è di buono in tutto questo discorso circa la sofferenza e l'uscita dalla sofferenza? Ora che sapete cos’è la sofferenza, spero che questa conoscenza possa aiutarvi. Io spero anche che voi abbiate una comprensione dei tre sigilli del Dharma- sofferenza, impermanenza e non-"né. Ma è mia esperienza che molti discepoli e studenti, sia laici che monaci, abbiano più e più volte sentito tutto ciò, eppure continuano ancora a sperimentare la sofferenza. Mi trovo spesso ad ascoltare le loro lamentele, chiedendo loro, "Perché non pratichi il Buddhadharma?" E loro mi dicono, "Praticare? Io conosco ogni pratica. Conosco la sofferenza, conosco l’impermanenza, conosco la vacuità e conosco il non-"né. Nonostante tutto ciò, io ancora mi arrabbio e mi irrito". Questo è realmente lo stato di fatto per la maggioranza. Vediamo che conosciamo tutte queste cose e però non possono aiutarci a non essere irritati. Perché è così? Perché la nostra ignoranza fondamentale non è stata sradicata. Noi siamo ancora sottoposti ad avidità, odio, ed illusione, così noi ancora dobbiamo subire la sofferenza. Noi sappiamo di essere ignoranti, però siccome persistiamo nella nostra ignoranza, quella è la vera ignoranza.  

Vedere che tutti voi venite qui a sentirmi parlare di sofferenza mi fa molto felice, ed essendo così felice, io fui spinto a parlare di sofferenza, sofferenza, sofferenza. Questo significa che con il vostro permesso, dovrò continuare a parlare delle Quattro Nobili Verità la settimana prossima. Anche se il nostro soggetto è la sofferenza, io sono felice di parlarne. E ci sono più meravigliose cose da seguire, come l'origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza e, infine, l'uscita dalla sofferenza. Questo mi farà molto più felice. (Risate ed applausi)  

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Capitolo Tre: L'Origine della sofferenza  

Nel primo di questi discorsi, noi demmo un chiarimento generale delle Quattro Nobili Verità. Nel secondo discorso, abbiamo esaminato in profondità la prima nobile verità - la verità della sofferenza. Oggi, io voglio parlare della seconda nobile verità, la verità dell'origine della sofferenza.  

Assai spesso ci troviamo in situazioni difficili e incolpiamo gli altri per i nostri problemi. Qualche volta incolpiamo perfino Dio o le altre divinità per le nostre difficoltà. Un detto Cinese dice, "Il Cielo non ha occhi", volendo dire che le divinità non si preoccupano di noi. Alcuni buddhisti possono incolpare perfino il Buddha in cui hanno preso rifugio. Quindi, a meno che non si stia ben attenti a ciò che succede nella nostra vita, può essere molto facile biasimare gli altri per le nostre tribolazioni. In particolare, dovremmo prestare molta attenzione alla sofferenza che c’è nella nostra stessa vita, ed a come quella sofferenza sorge. Dobbiamo perciò comprendere la vera origine della nostra sofferenza.  

Con ‘origine della sofferenza’ noi intendiamo ciò che sta provocando l’attuale esperienza della nostra vita. Qualsiasi cosa noi sperimentiamo in questo stesso momento è il risultato del karma. Nel suo significato più semplice, il karma significa azione; perciò, il karma è il risultato di ciò che abbiamo fatto nel passato. Quindi, quando parliamo di karma, noi stiamo parlando di cause e conseguenze.  

Gli effetti del karma sono pertinenti non solo a questa vita presente, che è davvero corta, ma anche al passato senza inizio ed alle vite future. Quindi, quando veramente comprendiamo che la sofferenza è il risultato di cause piantate nelle vite precedenti, noi acquisiremo una visione più ampia di dove ci troviamo in relazione alle nostre esperienze. Capiremo anche come le azioni in questa vita influenzeranno la sofferenza futura.  

L’opera del karma può non sempre provocare sofferenza ovvia. Nella nostra vita, noi possiamo testimoniare numerose occasioni di felicità o buona sorte. Possiamo anche sentirci benedetti a volte. Tuttavia, quando ci stiamo sentendo benedetti, quando abbiamo successo, quando tutte le cose stanno andando per il verso giusto, noi possiamo diventare arroganti e presuntuosi. Noi possiamo pensare, "Io ho lavorato sodo per ottenere il successo. Io dovrei essere orgoglioso e godermelo". Però, quando le cose ci girano contro, quando la buona sorte finisce, noi possiamo cominciare ad incolpare gli altri o gli eventi esterni, per la nostra sfortuna.  

Questo tipo di mentalità mostra che noi in realtà non capiamo il vero funzionamento del karma. Se la visione della nostra situazione nel mondo fosse meno miope si estenderebbe oltre questa presente vita. Potremmo vedere che il successo, le benedizioni, e la buona sorte sono dovuti al karma che è stato creato da tempi incommensurabili nel passato. Capiremmo che noi non siamo l’unico fattore, ma soltanto uno fra i molti che sono responsabili della nostra buona sorte. Perciò comprenderemmo anche che le difficoltà e le tribolazioni della nostra vita sono anch’esse dovute alle azioni nelle vite passate.  

Alcuni che hanno questa più ampia visione del mondo saranno meno soggetti alla sofferenza, più liberi da presunzione, arroganza, e lamentele. Potranno capire che tutto ciò che in questo momento essi sperimentano è il risultato di atti accaduti in questa vita, ed in quelle passate. Quando comprendiamo questo, non c'è alcun bisogno di essere così orgogliosi o così disperati, quale che sia la nostra situazione. Questo tipo di comprensione è utile perché ci libera da attitudini negative che possono essere causa dell'ulteriore creazione di karma e sofferenza.  

Il Funzionamento del Karma  

Come nasce il karma e come si manifesta nella nostra vita? Il carattere Cinese chi che significa 'origine della sofferenza' ha anche la sfumatura di 'accumulazione'. Origine, poi, significa 'fonte' ed 'accumulazione'. Già si capisce che la fonte è karma, ma cos’ è l'accumulazione? Per far sì che il karma si manifesti devono entrare in campo altri fattori. Questi fattori sono le 'cause e condizioni', create dalle nostre irritazioni (klesha [3.1]), che conducono così all'accumulazione. Quindi l'accumulazione si riferisce alle irritazioni, ed al karma che esse generano. La principale causa della sofferenza è il karma, ma deve venire insieme con le cause e condizioni accumulate per manifestarsi nel momento presente. I fattori che generano il maturarsi o manifestarsi del karma sono le irritazioni, le nostre afflizioni emotive. Con l'accumulazione della causa (il karma), e delle condizioni (i klesha) che lavorano insieme, abbiamo una più completa visione dell'origine della sofferenza. Queste, mutuamente si includono e si rafforzano l'un l'altra, creando svariate ripercussioni che alla fine entrano in essere. Questa è una più sottile e più ravvicinata visione dell'origine della sofferenza.  

Più avanti, avvierò una particolareggiata discussione dei klesha. Prima, però, assicuriamoci di capire bene l'origine della nostra sofferenza. Vi sono due cause collegate della sofferenza: una è il karma e l'altra sono i klesha- che ne aumentano l’effetto quando maturato da una moltitudine di irritazioni. La nostra esperienza del presente non è priva di causa; essa ha le sue origini ed è resa manifesta ora tramite il condizionamento. Perché queste due arrivano insieme in primo luogo per provocare tutta la nostra sofferenza? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo parlare della intenzione.  

Karma ed Intenzione  

Con una comprensione generale del karma, ora possiamo rivelare un altro livello più sottile del karma. Quando noi agiamo, di solito quell'azione è accompagnata da una intenzione. Secondo i sutra buddhisti, il karma in realtà è l’intenzione, nel senso di momentum che spinge gli effetti di una particolare azione a maturare nel futuro. C'è un karma-come-intenzione e un karma-come-intenzione-che-si-manifesta. Il karma-come-intenzione è il lavorio della nostra mente prima che noi prendiamo parte in un'azione. Per esempio, karma-come-intenzione è quando noi pensiamo di fare qualcosa di buono o cattivo, ma subito ci fermiamo e non lo mettiamo in pratica. Karma-come-intenzione-manifestata, significa che dopo aver avuto un’intenzione buona o cattiva, la si mette pure in pratica. Le persone spesso sembrano non essere del tutto consapevoli quando stanno facendo qualcosa di buono o cattivo. Esse non possono neanche distinguere fra buono e cattivo, e a malapena capiscono solo che stanno realmente facendolo. Ma quando noi parliamo di karma-come-intenzione-manifestata, chiaramente intendiamo dire che uno comprende quello che sta facendo, sia di bene che di male.  

Come si Manifesta il Karma

Riguardo a come si manifesta nella nostra vita, il karma è di quattro tipi. Il primo è il karma di fruizione o in maturazione; il secondo è il karma risultante; poi c’è il karma residuo, o karma che non è ancora arrivato a conclusione; e infine c'è il karma simultaneo, in cui il risultato arriva insieme con l'azione. E noi come siamo in relazione a queste dimensioni del karma? In ogni dato momento della nostra vita, noi non siamo realmente sicuri se stiamo sperimentando, per esempio, il karma risultante. Noi non siamo sicuri in che misura stiamo creando nuovo karma, se le nostre azioni hanno dei risultati durevoli o residui, né noi capiamo il karma simultaneo. Io non cercherò di addentrarmi in tutti i quattro tipi di karma, ma per il nostro scopo oggi è molto importante il karma di fruizione.  

Ora noi parleremo del karma di fruizione, o il karma in maturazione. Il karma creato con karma-come-intenzione non è così grande come il karma dell’azione realmente fatta. D'altra parte, una volta che il nostro pensiero si trasforma in karma-come-intenzione-manifestata, le ripercussioni nel mondo reale saranno più grandi ed anche la retribuzione karmica di quell'azione sarà più grande. In relazione al karma, 'retribuzione' ha un significato neutrale, che dipende dai vari tipi di cause e dai vari tipi di risultati.  

Il karma può maturare in tre modi: tramite il pensiero, tramite la parola e tramite l’azione. Il karma-come-intenzione, che però non matura in karma-come-intenzione-manifestata, è 'karma nascosto', poiché esso esiste soltanto nella propria mente. Opposto a questo c’è il 'karma manifesto', che si riferisce al karma-come-intenzione, più la parola e/o l’azione. Mettendolo in relazione all’intenzione, vediamo che il karma può maturare solo come intenzione; intenzione più parola, ed intenzione più azione.  

Genera cattivo karma il solo pensare ad uccidere qualcuno? Quando si capisce il karma come causa ed effetto, si vedrà che perfino i pensieri in realtà accumulano karma. Avendo anche solo l'idea di uccidere qualcuno, si mette in moto una relazione causale con certe ripercussioni. Questi tipi di pensieri costituiscono la propria vita mentale, e se c'è sufficiente accumulazione essi possono manifestarsi in parole o azione. Nei sutra, il Buddha dice che nel mondo del samsara non c’è una sola azione o neanche il sorgere di un singolo pensiero che sia escluso dal creare karma. Qualunque cosa pensino, facciano o dicano gli esseri senzienti, è centrata sull’ attaccamento al sé, ed a causa di ciò, essi continuano a creare karma. Perciò, quand’anche noi si abbia solo pensieri di uccidere, come praticanti buddhisti noi dovremmo generare un senso di contrizione e la pratica del pentimento.  

Generalmente parlando, quando uno fa azioni negative (la causa), raccoglierà risultati negativi (l'effetto). Questo è il risultato causale del cattivo karma. Similmente, quando uno si impegna in azioni virtuose, raccoglierà risultati virtuosi. Questo è il risultato causale del karma virtuoso. C'è un tipo di karma che non è né buono né cattivo, e più tardi arriveremo a quello. Generalmente parlando, tuttavia, il karma può essere buono, cattivo, o neutro.  

Il fattore determinante per il karma neutro è lo stato di mente del momento in cui si eseguono tali azioni, e se ci sono inclinazioni sottili verso il bene o il male. Ci sarà ancora una retribuzione tendente verso il bene o il male, ma sarà mite. In ogni modo, vi sono azioni karmiche che sono sinceramente neutrali, con tonalità né salubri né insalubri, e la retribuzione che ne risulterà non sarà né buona né cattiva.  

In dipendenza dal loro karma, gli esseri senzienti possono rinascere in una delle sei modalità o reami [3.2] di esistenza. Un essere senziente che produce azioni salubri riceverà la retribuzione rinascendo in uno dei tre reami superiori- il reame umano, o uno dei due reami celestiali. Un essere senziente che genera azioni insalubri riceverà la retribuzione rinascendo in uno dei tre reami inferiori- il reame animale, il reame degli spiriti adirati o peggio ancora, il reame degli inferni. Quindi, il karma accumulato determina in quale fra i sei reami, e con quale forma, uno dovrà ritornare in esistenza alla prossima rinascita.  

Inoltre, un'altra duplice divisione è fatta in accordo alla pratica del sentiero: il karma puro e il karma con irritazioni. Il karma con irritazioni include il karma buono, il cattivo, e il neutro, ed è l'origine della sofferenza. Il karma puro, invece, è creato dalla pratica del Buddhadharma, cioè il sentiero che conduce fuori dalla sofferenza. Applicando il karma puro, ognuno può diventare libero dall'origine della sofferenza.  

I Klesha  

In precedenza, abbiamo parlato di karma e delle irritazioni che si accumulano come cause e  condizioni per provocare la nostra sofferenza. Questo è ciò che il Buddha intendeva dire con il termine 'origine della sofferenza'. Sono davvero le nostre afflizioni emotive gli agenti maturanti per il karma, sia esso karma buono, cattivo, o neutro. Qualsiasi cosa ci spinga a continuare il ciclo delle esistenze è considerata l'origine della sofferenza. Un essere senziente completamente libero dalle afflizioni emotive o irritazioni, non darà origine alla sofferenza. Perciò, l'uscita dalla sofferenza è la cessazione dei klesha.  

Comprendere il ruolo emotivo delle afflizioni nel creare karma è davvero cruciale. Di queste, la più importante è l'avidya, o l'ignoranza fondamentale. In Cinese, 'avidya' è tradotto con due caratteri che significano 'non brillante' o 'non chiaro', con riferimento alla luminosità e chiarezza della mente della saggezza (vidya). Senza questa mente della saggezza, si rimane nell’oscurità – un tipo di ignoranza innata o fondamentale che governa il nostro modo di essere. Una volta che realmente capiremo come le forze ausiliarie dei klesha fanno maturare il nostro karma, diverrà possibile cambiare queste condizioni per far cessare la sofferenza. Dopodiché, potrà essere assai meno probabile che il karma maturi nei suoi effetti.  

Ci sono sei irritazioni di base, o klesha, che ramificano in innumerevoli altri negativi fattori mentali. Due dei più pervasivi sono l’avidità e l’odio. Dall'avidità nascono desiderio, bramosia ed attaccamento. L’odio ha innumerevoli discendenti, come avversione, rabbia, e gelosia. L'avidità e l’odio sono come capi-criminali con la loro banda di banditi. Per sconfiggere tutta la banda è meglio andar diritto al vertice. Una volta che ci si è liberati del capo i subalterni si disperderanno e spariranno. Una volta che tagliamo via le radici, i rami si appassiranno.  

Le sei irritazioni-radice si dividono in cinque afflizioni emotive: ignoranza, avidità, odio, orgoglio, e dubbio, con una sesta che è l'afflizione delle visioni errate. Le visioni errate sono prospettive del mondo che noi manteniamo da tempi senza inizio. Infatti, si potrebbe dire perfino che tutte le sei irritazioni sono visioni errate. Tutte e sei sono i sottoprodotti di ciò che noi abbiamo fatto in passato, con una differenza. Le 'afflizioni emotive' sono l'accumularsi di tutte le nostre azioni passate, emozioni e così via, mentre l'afflizione delle visioni errate include tutto il karma che abbiamo creato più tutto ciò che abbiamo imparato in questa vita attuale- le diverse visioni e prospettive che noi continuiamo a mantenere.  

Quattro Sentieri per l’Attualizzazione  

I quattro sentieri per l’attualizzazione, si riferiscono alle irritazioni emotive ed alle irritazioni di visione. Essi sono il sentiero dell'accumulazione, il sentiero della visione, il sentiero della pratica ed il sentiero dell’attualizzazione. Il sentiero dell'accumulazione sta nel riconoscere le irritazioni; cioè, capire la verità dell'origine della sofferenza.  

Il sentiero della visione sta nel comprendere che cause e condizioni sono prive di un "né- vedere per la prima volta la verità della vacuità. Nel momento che uno realizza il sentiero della visione, le sue irritazioni di visioni errate cessano e la corretta prospettiva della realtà è ottenuta. Tale persona ha visto la verità, ma non ha ancora raggiunto la perfezione. Egli continuerà a praticare così che le residue profonde irritazioni emotive potranno essere sradicate nel successivo sentiero della pratica. Vedere la natura della realtà è solo l'inizio della pratica che consiste nel soggiogare le proprie irritazioni emotive una alla volta, fino a che non si è raggiunto il sentiero della attualizzazione. A quel punto, l'intero essere è in armonia e in accordo con la natura della realtà, libero da tutti i sei tipi di irritazioni.  

Quindi, l'ordine è che noi si cominci come persone ordinarie sul sentiero dell'accumulazione con le nostre irritazioni. Quando otterremo la realizzazione e vedremo la vacuità, allora saremo sul sentiero della visione. Entrando nel sentiero della pratica, noi soggioghiamo ed eliminiamo una alla volta le irritazioni. Quando la nostra pratica si conclude nella piena realizzazione, questo è il sentiero della attualizzazione come arhat. Nella scuola del Mahayana, la piena realizzazione del Buddha sta a significare che tutte le irritazioni sono cessate.  

Se noi non prendiamo il sentiero della pratica e non eliminiamo le sei irritazioni-radice, verremo ancora e sempre spinti in cicli futuri di sofferenza. Per capire la sfida, parliamo delle irritazioni secondarie che selvaggiamente crescono come rami fuori dalle irritazioni-radice. Il Buddha parlò di 84,000 irritazioni e, di conseguenza, 84,000 pratiche di Dharma per sradicarle. Finché queste 84,000 irritazioni esistono, abbiamo 84,000 ostruzioni da dover superare prima di percepire la vera natura della realtà. Come far cessare queste 84,000 irritazioni? Francamente, ciò sarebbe uno sforzo davvero enorme. Ma come ho già detto prima, non dovremmo proprio preoccuparci dei rami. Ma solo arrivare alle radici. Si taglino le sei irritazioni-radice e le altre 83,994 alla fine si appassiranno e si estingueranno da sole.  

In precedenza, abbiamo detto che il karma-come-intenzione è meno severo del karma-come-intenzione-manifestata. Se pensiamo qualcosa ma non la mettiamo in atto, la retribuzione sarà meno conseguente. Come analogia, si pensi ad una pentola d’acqua sulla stufa, e si immagini che l'acqua sia il karma-come-intenzione. Ora, immaginate che accendiamo una fiamma sotto la pentola. Pensate alla fiamma come alle nostre innumerevoli irritazioni. Prima o dopo, la fiamma calda delle nostre irritazioni farà bollire l'acqua (karma-come-intenzione) nelle parole o in azione (karma-come-intenzione-manifestata) con tutte le future conseguenze. Da questa analogia si può vedere che se noi cominciamo a spegnere la fiamma dell’irritazione, potremo rimuovere gli strumenti con cui si creano i cicli futuri di karma e sofferenza. Con questa comprensione, noi possiamo vedere che lo scopo di praticare il Buddhadharma è di eliminare le irritazioni, e quindi far cessare la sofferenza.  

Nel nostro primo discorso sulle Quattro Nobili Verità, abbiamo discusso i dodici collegamenti del sorgere condizionato. I dodici collegamenti sono stadi del ciclo di nascita e morte (samsara) che determinano il sorgere condizionato, con uno stadio che conduce al prossimo. Uno di questi collegamenti, o anelli, è l’esistenza- l'arrivo in essere dell'individuo. Il primo collegamento nella catena dei dodici-anelli, l’ignoranza fondamentale, porta all'attaccamento e così via. Alla fine, questo dà origine all'undicesimo anello, il nostro arrivo nell’esistenza, come un nuovo ciclo di nascita e morte. L’esistenza, o l'esistenza delle vite future, ha due qualità: quella di 'fluire con le irritazioni' e 'l'accumulazione della sofferenza'. Tramite queste due forze noi spingiamo il nostro proprio essere nei futuri cicli di nascita e morte.  

Prima c’è il fluire e l'accumulazione, in accordo con la nostra mente- il reame interno. Il lavorìo interno della nostra stessa mente ci spinge alla continua stimolazione di irritazioni, e verso la nostra futura sofferenza. C’è anche il fluire e l'accumulazione in accordo con il mondo- il reame esterno. Nella precedente conferenza abbiamo parlato di mente primaria [3.3] e dei suoi oggetti mentali- la mente-imperatore e tutti i suoi subalterni che eseguono i suoi ordini. Questi fattori mentali si riferiscono ad avidità, odio, ignoranza, e tutte quante le altre irritazioni, radice e rami. Quando queste irritazioni entrano in contatto col reame esterno attraverso la mente primaria, questo genera anche ulteriori irritazioni e sofferenza. Il flusso e l'accumulazione possono avere luogo sia internamente, attraverso le nostre stesse afflizioni emotive, che esternamente, con la nostra mente che entra in contatto col, e in risposta al, mondo esterno. Questa è l'origine della sofferenza.  

Sommario  

Le Quattro Nobili Verità sono molto complesse, difficili da capire, e difficili da poterle spiegare. Da tre domeniche consecutive stiamo parlando solo di sofferenza e di origine della sofferenza. E dobbiamo ancora scoprire la terza verità, la cessazione della sofferenza, e la quarta verità, il sentiero per uscire dalla sofferenza. Quando avrò finito, spero che voi dovreste avere una piena comprensione del cuore del Buddhadharma, perché le Quattro Nobili Verità incorporano tutti gli aspetti del Dharma. Noi possiamo usarle come una base per capire ciò che insegnò il Buddha, e possiamo usarle nella nostra pratica. Anche se trattano della sofferenza, io sono sempre felice di parlare delle Quattro Nobili Verità, perché esse ci mostrano anche il sentiero per uscire dalla sofferenza. Se tutti voi siete ancora interessati a questa Via d'uscita dalla sofferenza, allora potremo continuare la prossima settimana. Grazie per essere venuti. (applausi).  

      

Capitolo Quattro: La Cessazione della Sofferenza  

Oggi io completerò la mia presentazione delle Quattro Nobili Verità del buddhismo. Nei tre precedenti discorsi abbiamo discusso la verità della sofferenza e la verità dell'origine della sofferenza. Ora, noi continueremo con la terza e quarta nobile verità: la verità della cessazione della sofferenza, ed il sentiero che conduce alla cessazione.  

Il Significato della Cessazione  

La vera cessazione non è il processo di far finire la sofferenza; la vera cessazione è uno stato di completa realizzazione. Significa aver eliminato completamente l'afflizione emotiva, avendo così pienamente realizzato il sentiero; è la liberazione dalle cause e dagli effetti della sofferenza, ed è uno stato in cui non ci sono più efflussi- le contaminazioni-radice della brama e del desiderio, del divenire e dell'ignoranza che ci trattengono nel samsara, il ciclo di nascita e morte.  

La causa della sofferenza è proprio il nostro opporci alla sofferenza ed il cercare di sfuggire le tribolazioni. Noi aiutiamo noi-stessi quando possiamo trovare il senso nella nostra sofferenza, e  permettiamo a noi-stessi di vivere attraverso le nostre difficoltà quando possiamo capire ed accettare la sofferenza come risultato dei nostri propri pensieri ed azioni, cioè come risultato del nostro karma. Quanto più riconosciamo le cause della sofferenza e realmente sperimentiamo i suoi effetti, tanto più realizziamo una sorta di liberazione, e abbiamo cominciato ad essere liberi da essa.  

Come analogia, se non siamo rilassati quando sediamo in meditazione le nostre gambe e la schiena possono farci male. In questo caso, la causa è il corpo che prende un’errata postura di meditazione; l'effetto è il disagio. Quindi abbiamo la causa e l'effetto della sofferenza. Ma se si trova valore nella meditazione, allora ad un certo punto si sarà liberati dal disagio dello stare seduti. Non che il disagio andrà via, ma se non si cerca di sfuggirlo o di resistervi, allora la nostra mente si è già liberata. Questa è solo un'analogia, ma si può dire che questa è una sorta di cessazione della sofferenza.  

Realizzare la Natura della Vacuità  

La vera cessazione sta nel realizzare pienamente la natura della Vacuità e nel liberarsi dal ciclo di nascita e morte. E come si realizza pienamente la natura della vacuità? Per capire la vacuità, noi dovremmo prima capire l’operato di cause e condizioni. I fenomeni entrano in essere tramite il 'sorgere condizionato', l'arrivare insieme di cause e condizioni che si influenzano mutuamente l'un l'altro. Tutto è in un costante flusso; nulla rimane identico, da un istante al successivo. Ogni e qualsiasi causa o condizione che colpisca l'oggetto, trasformerà l'intero. Attraverso questa continua trasformazione tutti i fenomeni sorgono, si deteriorano, ed alla fine cessano. Siccome tutto è in un continuo flusso senza una identità o natura permanente, non può esservi nessun 'sé' che sia separatamente identificabile. E noi chiamiamo 'vacuità' questa qualità di assenza del ‘sé’ nei fenomeni. Questo vuoto di realtà sostanziale noi lo chiamiamo 'non-"né'.  

Quelli che realizzano la natura di vacuità comprendono anche che la loro stessa natura è quella del flusso, del cambiamento, e dell’impermanenza. Essi sperimenteranno direttamente che la mente, il corpo, e l’ambiente circostante, sono pervasi da una qualità dinamica di vacuità. Essi così vedranno la Buddha-natura. Comprendere profondamente e pienamente la Buddha-natura significa divenire un arhat, un nobile che ha raggiunto la cessazione. Significa avere le quattro caratteristiche di un arhat: (1) che tutte le contaminazioni sono state purificate, (2) che tutto ciò che doveva essere fatto, è stato fatto, (3) che tutte le future rinascite sono state eliminate, e (4) che la liberazione dalla retribuzione karmica è stata realizzata. Questa è la realizzazione della vera natura della vacuità.  

Il Nirvana  

Nirvana in Sanskrito, significa 'estinzione-o-quiescenza'. L'estinzione' è la completa cessazione della sofferenza e la terminazione del ciclo samsarico. E 'quiescenza' significa che l'ignoranza fondamentale e le sue irritazioni sono state acquietate, estinte, non facendole più sorgere. Ci sono due livelli di nirvana: nirvana con residuo e nirvana senza residuo. Da qui, un arhat che ha realizzato il nirvana con residuo è stato liberato da tutte le contaminazioni mentali ma il corpo di retribuzione ancora rimane. Il corpo è ancora soggetto alle disgrazie che possono accadere ad un corpo, ma questo residuo non ha l'irritazione che hanno le persone ordinarie a causa del loro avere un corpo. L'arhat sperimenta ancora eventi dolorosi e situazioni difficili, ma essendo totalmente libero dai klesha- desiderio, odio, ed illusione- la sua mente non soffre. Così era per molti dei discepoli del Buddha che si erano illuminati.  

Il secondo tipo di nirvana, è il nirvana senza residuo (il parinirvana), in cui il ciclo di vita termina senza lasciar traccia dei cinque skandha, e senza retribuzione futura. Dal punto di vista della liberazione individuale, un arhat o un buddha che entra nel nirvana senza residuo, non apparirà più nei tre reami di esistenza. Dalla prospettiva del sentiero del bodhisattva [4.1], ci sono delle importanti differenze, ma per ora vorrei focalizzare su come il nirvana riferisca alla cessazione. Ciascuno di questi nirvana è ottenuto al quarto livello di fruizione [4.2] del sentiero dell'arhat, il livello di 'non-più-apprendimento'. I tre livelli precedenti sono tutti chiamati stadi 'con-ulteriore-apprendimento', in cui c'è ancora bisogno di praticare.  

In realtà, parlare di liberazione può completamente adescare ed allettare le persone, ma finché non diventiamo arhat, questi stati così elevati non hanno relazione con noi. Parlare troppo di nirvana può rendere insignificante il sentiero, così continueremo a parlare del sentiero stesso.  

L'Ottuplice Nobile Sentiero

Quando il Buddha espose le Quattro Nobili Verità ai cinque monaci asceti al Parco dei Daini, spiegò che la quarta nobile verità è il sentiero che porta fuori dalla sofferenza. Con ciò, egli intendeva il 'nobile ottuplice sentiero', che sono le otto pratiche che possono condurre uno alla cessazione della sofferenza. Queste sono, corretta visione, corretta intenzione, corretto parlare, corretta azione, corretto sostentamento, corretta perseveranza, corretta attenzione, e corretta concentrazione.  

Questo ottuplice sentiero è la Via di Mezzo tra gli estremi dell'indulgenza al piacere e ascetismo. Seguire il sentiero del piacere non libererà uno dalla sofferenza perché la felicità e il piacere non sono durevoli, ed inevitabilmente ognuno poi incontrerà sfortuna, malattia, e morte. D'altro canto, l’ascetismo con la sua durezza e l’auto-tormento non può, da solo, portare alla saggezza e alla libertà dall'attaccamento. Libero da questi due estremi uno dovrebbe seguire la stabile Via mediana dell'ottuplice sentiero.  

Dato che non abbiamo ancora realizzato la verità della cessazione, noi ci troviamo ancora nelle quattro situazioni di sofferenza di nascita, vecchiaia, malattia e morte. Il Buddha, per aiutarci a far cessare questo ciclo, ci insegnò a praticare gli otto sentieri, otto modi di essere, attraverso i quali noi possiamo dar inizio alla cessazione. Vorrei prima assicurarmi che tutti noi si capisca la differenza tra il processo della cessazione e la realizzazione della cessazione. L’ottuplice nobile sentiero è un processo graduale per far cessare le nostre irritazioni e la relativa sofferenza, inclusa l'irritazione-radice dell'ignoranza. Man mano che si avanza nell’ottuplice sentiero, le proprie irritazioni e la sofferenza diminuiranno. Il sentiero è graduale, ma  il risultato ultimo è la completa realizzazione della cessazione.  

Comunque, stando sul sentiero ottuplice, dovremmo anche praticare le più elevate cinque emancipazioni, che sono la fede, la generosità, i precetti, la concentrazione, e l'insight. Queste sono chiamate emancipazioni perché man mano che avanziamo sul sentiero, noi giungiamo ai più alti livelli di realizzazione di questi requisiti. Ma non dovremmo vedere come separati le cinque emancipazioni e l'ottuplice sentiero. Più ci impegnamo nelle cinque emancipazioni e più in profondità noi penetriamo sull’ottuplice sentiero. Poiché ora discutiamo nei dettagli l’ottuplice sentiero, noi faremo riferimento anche alle più alte cinque emancipazioni.  

A causa del tempo limitato non discuteremo troppo nei dettagli gli otto sentieri, in quanto essi da soli meriterebbero almeno un’intera conferenza, ma tenteremo lo stesso di spiegare ognuno brevemente e riferirci alla cessazione e alla liberazione.  

Corretta Visione

Il primo nobile sentiero, la corretta visione è la comprensione corretta del vero Dharma, specialmente le Quattro Nobili Verità, il Dharma dei tre sigilli (tre marchi di esistenza), ed i dodici collegamenti del sorgere condizionato. Abbiamo già discusso questi concetti nei discorsi precedenti. La prima suprema emancipazione, la fede, è assai connessa con la retta visione. Come buddhisti, non dobbiamo contare su una fede cieca, ma su una fede basata sulla corretta comprensione del Dharma. Come tale, la corretta visione può essere il più importante degli otto sentieri nel portare a termine la cessazione.  

Corretta Intenzione o Aspirazione

Il secondo nobile sentiero è la corretta aspirazione o intenzione, che significa anche 'corretto pensiero' e 'corretta riflessione'. Come buddhisti noi dovremmo mantenere visioni corrette, ma poi dovremmo anche integrarle nel nostro modo di pensare e nel nostro stesso essere. Per realizzare questo, noi dobbiamo riflettere su quello che abbiamo sentito ed imparato. Riguardo alle Quattro Nobili Verità, dobbiamo capire le origini della sofferenza nelle nostre proprie azioni, e dobbiamo considerare tutte le circostanze della potenziale sofferenza. Comprendendo l'origine della sofferenza, noi svilupperemo l'aspirazione corretta ed affermeremo che la sofferenza può cessare. Con questa convinzione, integreremo le Quattro Nobili Verità nel nostro pensare e nel nostro essere, e ci impegneremo nel sentiero. Ecco ciò che si intende con corretta aspirazione.  

Corretto Parlare  

Il corretto parlare, è la coltivazione dei quattro precetti che controllano i nostri discorsi. Il primo è dire sempre la verità ed astenersi dall'emettere falsità, di cui le più serie sono il dichiarare di essere un buddha, quando non lo si è, e dichiararsi illuminato quando non lo si è. Il secondo è frenarsi dal calunniare o fare discorsi divisivi che possano creare discordia. Il terzo è parlare con cordialità e cortesia, e frenarsi dal linguaggio aspro che può provocare la sofferenza ad altri. Il quarto è frenarsi dal parlare frivolo, e dal pettegolezzo malevolo o inutile. Quando queste regole del retto parlare sono praticate come virtù, esse aiutano a purificare le nostre menti e le azioni.  

Corretta Azione  

La corretta azione si riferisce all'astenersi dall'uccidere, rubare, da cattiva condotta sessuale, dal mentire e dal prendere intossicanti. Sono fondamentalmente i cinque precetti che uno accetta quando prende rifugio nel Buddha, Dharma e Sangha. Quindi, osservare questi cinque precetti è la corretta azione. Azione corretta si riferisce anche alla sofferenza dato che l’azione è karma, e finché noi creiamo il karma che conduce alla sofferenza, la cessazione non è possibile.  

Corretto Sostentamento

Il corretto sostentamento significa vivere e sostenersi in accordo con il Buddhadharma, e non provocare danno a sé o ad altri, mentre si fa così. Ci sono perciò diversi tipi di sostentamento corretto, e vari altri di sostentamento sbagliato. Il Buddha prescrisse che il proprio guadagno per vivere non doveva passare attraverso la rottura dei precetti di corretto parlare e corretta azione. Tipi di sostentamento sbagliato includono anche che uno produca il proprio guadagno per vivere tramite la falsità, l’auto-gratificazione, le pratiche occulte, le false dichiarazioni su se stesso, e tramite l'esagerazione. Ci sono sottili distinzioni fra questi comportamenti, ma tutti comportano la falsità e lo sfruttamento dell’ingenuità altrui. Nel collegamento con il corretto sostentamento, il Buddha nel 'Nikaya' disse,"... questa santa vita non è per ingannare persone, né per intrighi, per profitto, favori, ed onori... questa santa vita è vissuta allo scopo di limitarsi, per abbandonare [l'illusione], per compassione, per la cessazione delle sofferenze [4.3]."  

Corretto Sforzo o Perseveranza  

Il sesto nobile sentiero è il corretto sforzo, o la perseveranza, e si riferisce alle quattro corrette linee-guida di esercizio, o sforzo: (1) eliminare atti scorretti che già sono sorti nella mente, (2) prevenire il sorgere di atti scorretti che non sono ancora sorti, (3) sviluppare atti morali che non sono ancora sorti, e (4) aumentare atti morali che sono già sorti. Con il termine 'atti' si intende azioni fisiche come pure parole e pensieri. Il corretto sforzo e lo sforzarsi di raggiungere tutto ciò che nel Dharma è raggiungibile tramite la fede, la diligente applicazione, e la perseveranza.  

Corretta Attenzione o Consapevolezza 

Ordinariamente, le nostre menti sono piene di un intero esercito di distrazioni e di discorsivi pensieri. La corretta attenzione significa essere liberi da queste afflizioni mentali, così che vi sia una sola cosa che rimane nella mente, e quella che sia il sentiero della pratica. Un approccio alla pratica di consapevolezza è contemplare i sei oggetti dell’attenzione: il Buddha, il Dharma, il Sangha, i precetti, i meriti di rinunciare alla mondanità ed i meriti dei buoni atti. Le sei pratiche dell’attenzione sono gli indispensabili requisiti per realizzare realmente i quattro fondamenti della consapevolezza di corpo, di mente, di sensazione e dei dharma (oggetti esterni e mentali).  

Per praticare i quattro fondamenti, non è necessario aver praticato prima tutte le sei pratiche degli oggetti dell’attenzione. Si può scegliere una delle sei come pratica preparatoria. Una volta che ci impegniamo nei quattro fondamenti della consapevolezza, potremo entrare nell'ottavo nobile sentiero della corretta concentrazione.  

Corretta Concentrazione  

La corretta concentrazione consiste di un intero insieme di pratiche del samadhi [4.4]. Non è possibile qui dettagliarle tutte, ma esse includono i sette livelli di espedienti: i cinque metodi di stabilizzare la mente [4.5], i quattro fondamenti della consapevolezza, e il sentiero della visione, che è il primo livello del sentiero degli arhat. Per la corretta concentrazione vi sono anche le pratiche dei sedici aspetti [4.6] delle Quattro Nobili Verità, che furono brevemente discusse nella prima conferenza.  

La Cessazione ed i Dodici Collegamenti  

Per cominciare il processo della cessazione, noi abbiamo bisogno di capire i dodici collegamenti del sorgere condizionato, e come essi siano le cause e gli effetti della sofferenza. I dodici anelli o collegamenti, sono gli stadi che un individuo sperimenta durante il ciclo samsarico di nascita e morte. Il primo è (1) l'ignoranza fondamentale: essendo ignorante della natura impermanente dell’esistenza ed essendo oscurato e contaminato dai tre veleni di desiderio, odio, ed illusione. Questo collegamento mette in moto il secondo collegamento, (2) l'azione, o impulsi volizionali, in cui sono piantati i semi del karma. Il terzo collegamento è (3) la coscienza, la forza mentale attiva che ci spinge da un ciclo di vita al successivo. Nel quarto collegamento (4) nome-e-forma, noi entriamo nella fase di vita corrente in cui il residuo karmico di coscienza e forma fisica si uniscono per diventare alla fine un individuo. Il quinto collegamento, (5) le sei porte o facoltà di senso, sono il nostro ingresso di interazione con il mondo. Da notare che, oltre ai sensi, la sesta facoltà di senso è la coscienza; Il sesto collegamento (6) è il contatto, l'interazione delle facoltà sensoriali con l'ambiente circostante. Il settimo collegamento, (7) la sensazione, discrimina fra le esperienze come piacevoli, dolorose, o neutre. L'ottavo collegamento, (8) il desiderio, è quel risultato delle interazioni tra le facoltà sensoriali ed i loro oggetti di senso. Il nono collegamento, (9) l’attaccamento o brama, è l'ottavo collegamento tradotto in azione. Quando la sete-brama per l’esistenza diventa attaccamento, il proprio ritorno nel mondo del samsara è imminente. Il decimo collegamento (10) è  l’esistenza, la creazione di un nuovo ciclo di karma nella forma di un essere senziente.  

Una volta che c’è la sensazione, c'è inevitabilmente il desiderio, quando c'è il desiderio subito c’è l’attaccamento; una volta che c’è l’attaccamento, c'è l’esistenza; appena c'è l’esistenza, c'è quindi l'undicesimo collegamento, (11) la nascita. L’individuo appena nato ha la retribuzione del karma precedente e si avvia a mettere in moto un nuovo ciclo di creazione del karma. Infine, il dodicesimo collegamento, (12) vecchiaia e morte, completa il corrente ciclo. Una volta che c’è inevitabilmente la nascita ci sarà la vecchiaia e la morte. Quindi questi sono i dodici anelli o collegamenti del sorgere condizionato (pratitya-samuttpada).  

Le Quattro Nobili Verità ed I Dodici Collegamenti  

Come si riferiscono i dodici collegamenti alle Quattro Nobili Verità? La prima nobile verità, l'esistenza della sofferenza, è riferita ai sette collegamenti di coscienza, nome-e-forma, le sei facoltà di senso, il contatto, sensazione, nascita, e vecchiaia/morte. La seconda nobile verità, l'origine della sofferenza, è riferita ai cinque collegamenti di ignoranza, volontà-azione, desiderio, attaccamento ed esistenza. Si potrebbe dire, riguardo alle Quattro Nobili Verità, che la serie di cinque siano i fattori causali e la serie di sette siano gli effetti, cioè il nostro essere, che è stato preso nel ciclo della sofferenza. L'origine della sofferenza causa la sofferenza; e la sofferenza è dipendente dalla sua origine, e non potrebbe esistere senza di essa.  

La Contemplazione dei Dodici Collegamenti  

Per dar inizio alla cessazione, possiamo praticare la duplice contemplazione diretta ed inversa dei dodici collegamenti del sorgere condizionato. La contemplazione diretta getta una forte luce sull'esistenza della sofferenza, portandoci alla domanda, "Qual’è l'origine della sofferenza?"- Seguendo la catena causale dell’esistenza, prima contempliamo come l’ignoranza fondamentale mette in moto il ciclo della vita. Dopo l’ignoranza condiziona la volontà-azione, e poi l’azione condiziona la coscienza. Dalla coscienza contempliamo il sorgere di nome-e-forma, e avanti fino alle sei facoltà di senso e così via. E alla fine vediamo che il desiderio conduce all’attaccamento. Dato che c’è l’attaccamento, c'è l’esistenza, e allorché esistiamo, noi siamo nati, poi diventiamo vecchi, ammalati, e moriamo. E, ovviamente, c’è tantissima sofferenza tra la nascita e la morte. Contemplando questo processo, noi possiamo arrivare ad una profonda comprensione dello stato in cui ci troviamo. Questa è la contemplazione diretta dei dodici collegamenti del sorgere condizionato, ed il suo scopo è di aiutarci a realizzare il sentiero della cessazione.  

Possiamo praticare la contemplazione inversa per realizzare la vacuità, la non-esistenza reale della sofferenza. Tuttavia, non dovremmo pensare che la contemplazione inversa sia il partire dall'ultimo collegamento, malattia e morte, e chiederci, "Cos’è che provoca la malattia e morte?" "Sono causate dall’esistere" "E cos’è che provoca l’esistere?" "L’esistere è dovuto all’attacca-mento", e così via, tornando indietro fino al primo collegamento. Non è così che si deve fare. Nella contemplazione inversa noi seguiamo ancora i collegamenti partendo dal primo all’ultimo, ma però noi contempliamo che non c'è nessuna ignoranza fondamentale con cui cominciare.  

Si comincia con l’ignoranza fondamentale, contemplando che se non c'è più l’ignoranza non ci saranno più azioni illuse. Una volta che non ci sono più azioni illuse, non c'è alcun oscuramento della coscienza. Poi procediamo in questo modo fino alle sei facoltà di senso che danno origine naturalmente al contatto, ai desideri, all’attaccamento, all’esistenza, alla nascita, alla morte, e così via. Questa è la contemplazione inversa sulla cessazione della catena dei dodici collegati anelli del sorgere condizionato. È una maniera graduale di praticare l’ottuplice sentiero, con particolare riguardo al primo sentiero, la corretta visione, che è essenzialmente un antidoto per l'ignoranza fondamentale. Praticando la corretta visione, la corretta azione, e così via, uno usa l'ottuplice nobile sentiero per mettere una fine (cessazione) alla catena dell’esistenza.  

Questo approccio inverso può essere un modo di 'retrocedere' dall’esistenza condizionata. Ma il primo passo è capire pienamente l'ignoranza fondamentale, a causa della quale noi veniamo al mondo. Nel buddhismo, il termine Sanskrito ‘avidya’ significa avere una fondamentale incapacità di comprensione della natura del mondo; specificamente, significa non capire i Tre Sigilli del Dharma - impermanenza, sofferenza e non-sé. Questo ci spinge a creare il karma. In Cinese, esso significa 'non sapere' o 'non chiarezza' sulla vera natura dell’esistenza; in altre parole, che siamo nel buio, non illuminati da saggezza. Quindi, essere privi di questa saggezza, è il primo aspetto dell'ignoranza fondamentale; il secondo è che essendo ignoranti, noi creiamo nuovo karma, ed il ciclo continua all’infinito.  

Quindi, c’è la contemplazione diretta sulle cause della sofferenza, e la contemplazione inversa sulla non-esistenza della sofferenza. Nella contemplazione diretta comprendiamo come entriamo in essere e nella contemplazione inversa comprendiamo che tutti noi non abbiamo nessun ‘sé’ indipendente. Entrambi i metodi di contemplazione sono collegati ed è necessario completarli l’uno con l'altro. Il punto di ambo le pratiche è di imparare a realizzare la cessazione, per porre termine all’esistenza ciclica. Risvegliandoci alla vera natura, la mente non sarà più oscurata da ignoranza- ma sarà brillante di saggezza. Trascendendo l’ignoranza fondamentale, più non ne saremo condizionati. Questo de-condizionamento sarà reale anche per i rimanenti collegamenti della catena, uno dopo l'altro. Quindi anche per la fine di nascita e morte - quando l'ignoranza fondamentale cessa, alla fine ci sarà anche la cessazione di nascita e morte.  

Le Quattro Nobili Verità ed i Tre Sigilli  

I tre sigilli del Dharma affermano che tutte le cose condizionate sono impermanenti, che ogni sofferenza è causata dall’ignoranza fondamentale, e che tutti i dharma sono senza un ‘sé’. Queste idee sono riferite per comprendere la sofferenza, così da troncare le cause di sofferenza, raggiungere la cessazione, e coltivare il sentiero. Per realizzare la prima nobile verità della sofferenza e la seconda nobile verità dell'origine della sofferenza occorre realizzare la verità dell’ impermanenza e dell’assenza del ‘sé’. La realizzazione consiste nel separarsi dalla sofferenza, ed eliminare le sue origini. La terza e la quarta nobile verità ci dicono che per raggiungere lo stato di estinzione-quiescenza dobbiamo praticare il sentiero. Impegnarci nel sentiero significa avere il controllo di sé sui principi di impermanenza e assenza del ‘sé’. Con questi principi in mente noi possiamo separarci dalla sofferenza; possiamo tagliare via le sue stesse radici-origine. Quando veramente avremo capito che la sofferenza è impermanente e in realtà essa non esiste, quando veramente comprenderemo che la sofferenza è fondamentalmente vuota, allora saremo diretti verso la direzione della cessazione. Questo conclude la nostra presentazione delle Quattro Nobili Verità. Grazie a voi tutti per essere venuti. (applausi)  

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Note   

[1.1] Kondanna, Asaji, Wappa, Mahanama, e Bhaddiya (nomi Pali), i primi seguaci del Buddha durante la sua pratica ascetica che fu caratterizzata da estrema austerità e dalla credenza nell'atman.  

[1.2] In seguito registrato come Il Sutra del Mettere in Moto la Ruota del Dharma. (Pali: Dhammachakka-pattavana Sutta)  

[1.3] L'ottuplice nobile sentiero consiste delle seguenti pratiche: corretta visione, corretta intenzione o aspirazione, corretto parlare, corretta azione, corretto sostentamento, corretto sforzo, corretta attenzione o consapevolezza, e corretta meditazione.  

[1.4] vedasi The Way to Buddhahood, Ven. Yin-shun, Wisdom Publications, 1998, pp.174-178  

[1.5] I tre giri e i dodici processi sono compendiati qui sotto:  

Prima nobile verità:  

Questa è la nobile verità della sofferenza  

La verità della sofferenza deve essere capita  

La verità della sofferenza è stata capita. 

Seconda verità nobile:  

Questa è la nobile verità della causa della sofferenza  

La causa della sofferenza deve essere abbandonata  

La causa della sofferenza è stata abbandonata. 

Terza nobile verità:  

Questa è la nobile verità della cessazione della sofferenza  

La cessazione della sofferenza deve essere sperimentata  

La cessazione della sofferenza è stata sperimentata. 

Quarta nobile verità:  

Questa è la nobile verità del sentiero che libera dalla sofferenza  

Il sentiero che libera dalla sofferenza deve essere praticato  

Il sentiero che libera dalla sofferenza è stato compreso e realizzato. 

[1.6] L'ordine di illuminazione dei monaci (secondo La Vita del Buddha di Edward Thomas, p.88) suggerisce che c'erano tre insegnamenti per girare la Ruota del Dharma prima che tutti i cinque monaci fossero risvegliati. Prima il solo Kondanna, poi Wappa e Bhaddiya, e infine Mahanama ed Asaji.  

[1.7] Il Tripitaka, i ‘Tre cesti’ del Canone buddhista, consiste de: il Vinaya (regole di disciplina per i monaci), i Sutra (i discorsi del Buddha), e l'Abhidharma (analisi filosofica e psicologica).  

[1.8] I dodici anelli o collegamenti (nidana) del sorgere condizionato, sono le forze causali di base del samsara, il ciclo di nascita e morte. Essi sono chiamati 'collegamenti' perché formano in sequenza la catena causale dell’esistenza senziente. Questi collegamenti sono: (1) l'ignoranza fondamentale, (2) l'azione, (3) la coscienza, (4) il nome-e-forma, (5) le sei facoltà di senso, (6) il contatto, (7) la sensazione, (8) il desiderio, (9) l’attaccamento, (10) entrare in esistenza, (11) la nascita, e (12) la vecchiaia e morte. Il 'Sorgere-condizionato' si riferisce al fatto che tutti i fenomeni sono il risultato dell'interazione tra innumerevoli fattori, che si collegano in un nesso di causa ed effetto. Riferito anche come i dodici collegamenti della derivazione dipendente.  

[1.9] Il quarto discorso di questa serie include una discussione sulla contemplazione dei dodici collegamenti.  

[1.10] Theravada: il primitivo buddhismo che sposò la Via dell'arhat. Mahayana: il successivo buddhismo che sposò la Via del bodhisattva. Vajrayana: ramo del Mahayana che sposò la Via della coltivazione esoterica. Scuole improvvise e graduali: due approcci per l’illuminazione all'interno del buddhismo Cinese, spesso associate con le scuole Chan di Linji e Caodong (Giapp. Zen: Rinzai e Soto).  

[1.11] I cinque metodi di stabilizzare la mente: (1) consapevolezza del respiro, (2) contempla-zione delle impurità del corpo, (3) rammemorazione dei buddha e bodhisattva, (4) meditazione sulle quattro mentalità illimitate (bontà, compassione, gioia, equanimità), e (5) contemplazione delle cause e condizioni.  

[1.12] I quattro fondamenti della consapevolezza, descritti nel Sattipatthana-sutta (Pali), sono: (1) consapevolezza del respiro, (2) consapevolezza delle sensazioni, (3) consapevolezza della mente, e (4) consapevolezza degli oggetti mentali (i dharma).  

[1.13] I sedici aspetti, o attributi, delle Quattro Nobili Verità sono: prima nobile verità: vacuità, impermanenza, sofferenza, assenza del "né; seconda nobile verità: causa, origine, condizione, completamento; terza nobile verità: cessazione, pace, beatitudine, abbandono(rinuncia); quarta nobile verità: il vero sentiero, conoscenza, raggiungimento, eliminazione (dell’illusione). Per una più particolareggiata discussione dei sedici aspetti, vedi: Le Quattro Nobili Verità, Ven. Lobsang Gyatso, Snow Lion Publications, 1994.  

[2.1] Un Sutra (Pali: sutta) è un discorso registrato o insegnamento del Buddha; uno shastra è un trattato o commentario su un sutra, o aspetti particolari di un sutra. Shatra è associato più comunemente col successivo Canone Sanskrito (Mahayana), opposto al primitivo Canone Pali.  

[2.2] La scuola di pensiero Mahayana fondata dai Maestri Indiani Nagarjuna e Aryadeva (2° sec. d.C.) che asserirono posizioni estreme, come l'esistenza e la non-esistenza insieme delle cose.  

[2.3] La scuola di pensiero Mahayana fondata dai Maestri Indiani Maitreyanatha, Asanga, e Vasubandhu (5° sec. d.C.) in cui la nozione centrale è che tutte le esperienze sono una 'mente-unica', cioè, aldifuori del processo intelligente non c’è realtà; quindi il mondo è una costruzione della mente.  

[2.4] Tra le cinque scuole tradizionali del Chan, Weiyang, Yunmen, Fayan, Linji, e Caodong – solo le ultime due ancora esistono. Queste due corrispondono alle sette Rinzai e Soto dello Zen.  

[2.5] Il triplce aspetto della sofferenza è esposto nel Visuddimagga (Il Sentiero di Purificazione, di Buddhagosa, 5° sec. d.C.)  

[2.6] Il Samsara è il ciclo di nascita e morte attraverso il quale trasmigrano gli esseri senzienti, e nel buddhismo è associato con Nirvana, lo stato di trascendenza dal samsara.  

[2.7] Sanskrito: trishna, Pali: tanha, letteralmente 'sete', 'attaccamento', 'brama'.  

[3.1] Il Visuddimagga (Il Sentiero di Purificazione) di Buddhagosa (5° sec. d.C.) enumera dieci klesha (variamente tradotti come 'contaminazioni', 'passioni', 'impurità', 'irritazioni', 'illusioni') e sono: desiderio, odio, illusione o visioni errate, orgoglio, dubbio, rigidità, eccitabilità, superbia, spudoratezza, incoscienza. Alcune analisi limitano il numero alle prime sei, considerandole come irritazioni-radice da cui derivano tutte le altre irritazioni.  

[3.2] I sei reami (o modalità) di esistenza sono tre reami superiori e tre reami inferiori. Il reame è dove uno rinasce come risultato del proprio karma di completamento. I tre reami superiori sono, quello umano, quello degli dèi gelosi (asura), e quello degli esseri celestiali (i deva). I tre reami inferiori sono, quello animale, quello degli spiriti adirati (i preta), e quello degli esseri infernali (i naraka). Gli abitanti di tutti i sei reami occupano il samsara, e sono perciò soggetti alle rinascite.  

[3.3] 'Mente primaria' qui si riferisce collettivamente alle sei coscienze dei sensi che sono le sei facoltà sensoriali che interagiscono coi loro corrispondenti oggetti di senso. Le facoltà sensoriali sono vista, suono, odorato, gusto, tatto, e l'apprendimento di esse.  

[4.1] Spesso il sentiero degli arhat ed il sentiero dei bodhisattva sono distinti, il primo essendo il sentiero della liberazione individuale, ed il secondo il sentiero dell’illuminazione differita finché non si siano liberati tutti gli esseri senzienti.  

[4.2] I quattro livelli di fruizione dell’arhat: (1) 'Entrato nel flusso', è colui che ha sradicato le visioni errate, ma non è ancora completamente libero dalle contaminazioni di desiderio, odio, ed illusione; (2) 'Chi ritornerà una sola volta', è colui le cui contaminazioni sono solo leggermente presenti, e che ritornerà ancora soltanto una volta; (3) 'Colui che non-ritorna', chi è libero dalle cinque catene di egoismo, dubbio, ritualità, sensualità, e invidia; e non rinascerà; (4) 'l'Arhat', Colui che ha raggiunto lo stato di non-più-apprendimento, ha estinto tutte le contaminazioni, ed è libero dalle catene dell’esistenza.  

[4.3] Anguttara-nikaya (Raccolta Laureata), dalla sezione del sutra del Tripitaka.  

[4.4] Samadhi: stato di profondo assorbimento meditativo in cui l'individuo sperimenta l’estrema unità-di-mente, e la sospensione del senso del tempo. Il buddhismo descrive molti tipi e livelli di samadhi.  

[4.6] vedi Capitolo Uno, nota 1.11.