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Il giusto modo di scrivere Zen

di Aliberth
 

 
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Prendendo spunto dalla proposta di un lettore del nostro sito, interlocutore interessato a richiedere un’opinione su un saggio  da lui scritto sul tema ‘Semiotica e Zen’ (*), Aliberth ritiene di esprimere il suo punto di vista (che è, poi, quello generato dalla sua trentennale esperienza di studio e pratica del Dharma), su come uno dovrebbe ‘scrivere’, quando si tratta di Zen, dando cioè la preferenza allo sviluppo della “comprensione” del Dharma…

 

(*) Il testo in questione, dal titolo “Il Labirinto del Senso”, viene pubblicato in contemporanea nel sito, alla Sezione: Traduzioni di Dharma (ALTRI ARTICOLI E SAGGI)…

 

 

Interlocutore: Buongiorno, mi chiamo Alessio, sono uno studente di comunicazione, e spero vivamente di non risultare invadente. Vi scrivo perché mi sono appena laureato con una tesi in Semiotica, nella quale ho trattato l'analisi di alcune storie Zen. Se la mia tesi, da parte dei miei professori, ha avuto un'importante lavoro di revisione per la componente scientifica, così non è stato per la componente dello Zen. Dunque se il processo che ho applicato è rigoroso e studiato, non lo sono le conclusioni a cui sono arrivato. Quindi ho pensato di inviare la mia tesi ad alcune scuole Zen, nella speranza che qualcuno mi aiuti ad affinare e correggere la mia comprensione in materia. So bene quanto il "parlare dello Zen" sia lontano dall'essenza dello Zen, ma credo di essere riuscito a dare all'analisi (e solo a quella) la profondità che l'argomento meritava, col rischio di aver lavorato sodo in una direzione sbagliata. Intuisco anche quante opinioni in proposito ci siano (scuole di pensiero diverse, eccetera), e quanto impreciso risulti, agli occhi di qualcuno che queste cose le sa, il calderone in cui le ho mescolate. D'altronde si fa la frittata con le uova che si hanno. Se riteneste il lavoro così impreciso da non meritare neanche il lavoro di messa a regime, gradirei se mi consigliaste qualche libro o altra via, per capirci di più. Vi ringrazio comunque per l'attenzione, e cordialmente vi saluto…

Aliberth: Caro amico, Leggeremo il tuo saggio e dopo ne riparleremo... (poi è stato letto… Nota del Curatore). Intanto rispondo così, di getto… Ti dico subito, però, che l'unico vero consiglio (buono) che posso darti è questo: "E' estremamente difficile poter capire (e discutere) di Zen, senza che uno abbia fatto il training necessario con un valido maestro e la giusta esperienza nella sua pratica di vita". Quindi, poiché da quello che scrivi nella tua mail ciò non risulta ma, anzi, tu chiedi il modo migliore per perfezionare il tuo scritto, allora ti dico che 'scrivere di Zen, è possibile solo se si VIVE ZEN, e non se lo si ha soltanto letto o studiato'. Perciò, in finale, prima ti consiglio di praticare Zen con un insegnante e magari, poi, riscrivere tutto... A presto, Aliberth

Interlocutore: So di essermi messo in un mezzo ginepraio, ma come vedrà, la mia tesi non era sullo Zen in "né, quanto piuttosto sulla Semiotica, trattando con testi Zen. Io vivo a Milano, e visto che quella che mi ha dato lei è ormai la terza risposta simile, sto cominciando a valutare l'idea di un percorso di qualche tipo per avvicinarmi a questa disciplina. Intanto comunque la ringrazio!

Aliberth: Caro Alessio, ho appena dato una veloce scorsa al testo e, aldilà di positive considerazioni sul modo di trattare l'argomento, devo decisamente riconfermare ciò che ti avevo detto prima... Ho letto (in realtà in un modo molto sommario) il tuo testo e l'ho trovato (comunque) interessante. Soprattutto nella parte che tratta puramente di Zen (anche se non vi ho mai trovato il termine 'Chan' che è la parola Cinese derivata direttamente dal Sanscrito Dhyana e che SOLO DOPO, ha dato origine al termine Giapponese 'ZEN') Lo Zen (e soprattutto il Chan, di cui sono più esperto) difficilmente può essere trattato per iscritto in prima persona... ed anzi, proprio il passare allo scritto impersonale (cioè senza soggetto) sta a dimostrare che uno è approdato davvero allo Zen, proprio perché esso è in qualche modo l'antitesi dell'individualità...
Chi arriva a capire lo Zen (e diventa quindi Zen) si riconosce perché, ad un certo punto, smetterà di parlare dal suo pulpito e parlerà dallo stato non-dualistico del Tutto.

Invece, la parte che tratta di METODOLOGIA DELL'ANALISI (Dal formalismo all'analisi strutturale), l'ho trovata un  pò pesante e l’ho volutamente tralasciata... ma questo è normale, perché qui NON siamo più nel campo dello Zen... In ogni caso, spero che tu ci permetta di inserire PARTI di questo tuo saggio nel nostro sito.

In ogni caso, se tu seguirai il nostro precedente consiglio - quello cioè di provare ad intraprendere il Sentiero dello Zen (o Chan) - con impegno e determinazione, sono convinto che ne trarresti un utile esperienza, tale da portarti nel tempo dovuto alla comprensione del vero 'Gioco delle Cose', secondo l’ottica interpretativa dello Zen...
Credo che il miglior consiglio che tu abbia avuto in questa avventura sia stato proprio quello di cercare di intraprendere il Sentiero per avvicinarti di più alla tua mente reale (vale a dire allo Zen). A Milano non mancano certo le possibilità... Nondimeno, ti dico che si può arrivare ad essere Zen anche senza un Maestro, ma occorre che uno abbia prima inserito nella propria mente questo principio di universalità olistica... dopodiché, qualsiasi forma o evento della natura può diventare il nostro maestro... ma, purtroppo questo avviene (come troverai scritto sul nostro sito), solo per lo 0,001% dell'umanità.

Un caro saluto, Aliberth

Interlocutore: Sì, è vero. Devo dire che non ho parlato del Chan perché mi risultava di difficile comprensione, ed in quanto mi sono dovuto basare nella stesura della tesi solamente su alcuni libri di Watts, e soprattutto di Suzuki, i quali non ne parlavano se non indirettamente. Inoltre, ho trovato parecchi siti che ne parlavano ma non ho avuto elementi a sufficienza per ritenerli fonti attendibili. Mi può consigliare qualche lettura a riguardo? Sul fatto che il capitolo sulla metodologia dell'analisi sia pesante, non ho dubbi: è scritto pensando ad un pubblico di professori di semiotica, i quali  hanno una certa perversione per le cose complicate e cerebrali (de gustibus non disputandum est). Però, a parte tutto: lei mi chiede se sono d'accordo al farvi pubblicare parti della mia tesi. Le rispondo che ne sarei lusingato, ovviamente a patto che non apportiate modifiche sostanziali al testo e ne citiate la fonte. Infine concludo con una mia osservazione: ho l'impressione d'essere stato poco chiaro nella mia esposizione per quanto riguarda il punto d'incontro tra Semiotica e Zen, cosa che ho scritto più chiaramente nelle conclusioni. Dunque se volesse continuare a leggere le consiglio di partire da lì! Per ora la ringrazio e la saluto. Alessio.

Aliberth. Caro amico, ho (più o meno) concluso or ora la lettura ed ho trovato che in seguito il testo ritorna coerente all'impronta Zen, di cui alle premesse... Tuttavia, resto dell'idea che nel mondo della cultura fine a se stessa (cioè quella cultura che viene utilizzata nella nostra breve vita di umani e che, pertanto, alla nostra morte non lascia tracce nella nostra mente) questo saggio può essere senz'altro idoneo per lo studio.
Tuttavia, nella necessità di sviluppare una conoscenza esoterica che possa portare la mente direttamente alla sua fonte (e spero che qui lei possa comprendere ciò a cui mi riferisco), un miglior resoconto basato sulla tecnica mordi e fuggi dello Zen (o Chan) sarebbe stato più utile per poter riuscire a intravedere oltre la "Porta-senza-porta"...
Letture al riguardo ce ne sono tante (le consiglio, tra le altre, quelle di Leonardo Arena e Lu-Kuen-lu, oltre ai Sutra canonici del Buddhismo Cinese...)  E comunque, una certa quantità di ottime spiegazioni e istruzioni sul Chan si possono trovare anche sul nostro sito, alla sezione: http://www.superzeko.net/dharma_di_aliberth_da_rivedere/articolididharma.htm, stessa sezione in cui, sicuramente, verrà pubblicato uno stralcio (integrale e con menzione della fonte) di intere parti del suo interessante testo... Cordialità... A.


P.S. Avrà notato che sono passato anch'io al "Lei"... e questo per rispetto al suo ancora condizionato 'senso sociale'... Infatti, coloro che sono arrivati alla comprensione dell'Unità, cioè l'identità con il Tutto, ormai usano tranquillamente il più familiare 'Tu'. Auguro quindi anche a lei di arrivarci al più presto..…      A mani giunte, Aliberth