Traduzioni di Dharma

Il Potere della Mente nella tradizione Zen

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Cos’è il HUA-T'OU?

Il Potere della Mente nella Tradizione Zen

Brevi Articoli di Dharma Presentati da: Wanderling.
http://www.angelfire.com/electronic/bodhidharma/joriki.html
Tradotti da Aliberth

JORIKI
JORIKI è il potere o la forza che sorge quando la mente è stata unificata e portata in Zazen alla concentrazione su un-unico-punto. Questo è più che la mera capacità di concentrarsi nel senso comune del termine. Si tratta di un potere dinamico che, una volta stabilizzato, ci consente anche nelle situazioni più improvvise e inaspettate di agire in un modo immediato, senza dover riunire lo spirito, e in modo del tutto adeguato alle circostanze. Uno che ha sviluppato Joriki non è più schiavo delle passioni, e non è più alla mercè delle situazioni ambientali. Una simile persona ha sempre il comando sia di se stesso che delle circostanze della sua vita, ed è in grado di muoversi con perfetta libertà ed equanimità. Inoltre, attraverso Joriki è possibile coltivare alcuni poteri supernormali, come pure lo stato in cui la mente diventa chiara come l’acqua immobile.

 

Il Maestro Zen Yasutani Hakuun Roshi ha fatto riferimento a questo potere di concentrazione (Joriki) dicendo:- "Esso è un potere dinamico che anche nelle più improvvise e inaspettate situazioni ci rende capaci di agire istantaneamente, senza bisogno di raccogliere il nostro spirito, e in modo del tutto pertinente alle circostanze".

La parola giapponese Joriki incorpora la radice 'ki', (cinese - Chi) che si traduce approssimativamente come una sorta di energia spirituale. Il ‘Ki’, questo flusso di energia, fu scoperto molto tempo fa. Lao Tzu ne parlò a lungo ancor prima che il buddhismo arrivasse in Cina. Nel Taoismo quindi si parla di ki. Mo Tzu, uno dei primi Taoisti disse, "Il 'ki', o energia, è ciò che riempie il corpo. Così, il vostro corpo dovrebbe essere pieno di questo ki".

Ed il 'ki' non è solo l’energia che scorre dentro di noi, ma anche quella che scorre in tutto l'universo. Quando noi riuniamo il nostro 'ki' con quel 'ki' dell'universo, si diventa forti come il mondo intero. Chang Tzu dice una cosa interessante del 'ki'. Egli dice che quando il 'ki' è disturbato e sconvolto e si disperde, diminuisce anche all'interno del corpo. Letteralmente, egli dice 'kinan tatsu'. Tatsu significa alzarsi, il contrario di sedersi. Così, lasciate che il 'ki' si sieda, e non lasciatelo disperdere al di fuori di voi stessi. Di conseguenza, fate Zazen.

Molto simile alla parola giapponese, Joriki, è il fenomeno parallelo che è noto col termine sanscrito Siddhi. SIDDHI è tipicamente definito come "un magico potere spirituale per il controllo di sé, degli altri e delle forze della natura". I Siddhi descritti da yogi e occultisti sono in realtà soprannaturali stati di percezione che sono disponibili a tutti gli esseri umani. La differenza di applicazione tra i due, è soprattutto una questione di gradazioni, e più un problema di definizione che non qualche altra cosa. Vale a dire che, per definizione, Joriki si manifesta attraverso la concentrazione della mente, allorché la concentrazione mentale è "stata fatta". Siddhi, d'altra parte, è proprio ciò che è, e quindi allora è applicabile a seconda del "potere" e della volontà dell’individuo.

Se avete mai provato a focalizzare il sole su un punto preciso della pelle utilizzando una lente di vetro e avete sentito quanto velocemente e potente sia la sensazione di bruciore, essa è più simile a Joriki. SIDDHI, invece è più come la forza delle onde dell’oceano. Si può essere in grado di resistere contro una lieve onda o due, ma anche enormi montagne alla fine sono ridotte in sabbia, o anche meno, a causa del loro potere.

Allora, anche se la potenza di Joriki può essere espansa all'infinito attraverso una regolare pratica, essa alla fine recede e svanisce se trascuriamo di fare Zazen. E se è vero che molti poteri straordinari derivano da Joriki, è pur vero che, tramite solo essa, noi non siamo in grado di tagliare le radici della nostra illusoria visione del mondo. La semplice forza di concentrazione non è sufficiente per i più alti tipi di Zen, e deve essere considerato un sentiero non diverso dallo Shikantaza (seduta meditativa). Deve esserci in concomitanza il Risveglio-Satori. In un documento poco noto tramandato da Shih-t'ou Hsi-ch'ien (Sekito Kisen, in giapponese), seguace del sesto Patriarca Hui-neng e fondatore di una delle primitive "nétte Zen (Chan), c’è quanto segue: "nella nostra "nétta è di primaria importanza solo la realizzazione della ‘natura-di-Buddha’, e non la semplice devozione o la forza di concentrazione".

Il buddhismo insegna che un praticante, dopo aver raggiunto un certo grado di realizzazione, sviluppa la forza spirituale. Una persona che sia al livello di un Arhat si dice che sia in possesso di sei poteri soprannaturali. Anche così, resta inteso che è attraverso l’Illuminazione che i poteri soprannaturali si manifestano, piuttosto che quei poteri soprannaturali rafforzino l’Illuminazione. Inoltre, è riconosciuto che i poteri soprannaturali non sono raggiungibili esclusivamente solo dai buddhisti. E' possibile per chiunque abbia profonda coltivazione religiosa e spirituale, sviluppare una sorta di poteri "super- normali". (fonte)


KI (CH'I)

”Ki’ originariamente significava energia o vapore, e quindi i vari vapori o le forze dell’atmosfera che sono responsabili del tempo. Identificato pure come il soffio vitale delle cose viventi, arrivò anche a significare il principio stessa della vitalità, spesso associato al respiro o al sangue, e si estese fino a comprendere anche la forza manifestata nella forza fisica o in forti emozioni.

Poiché i filosofi giunsero a pensare ad un universo concreto, formato da un qualche tipo di processo di condensazione, il ki è diventato il termine per la materia fondamentale dell'universo, da cui tutto ciò che esiste è formato. Nella sua condizione più sottile o rarefatta (yŏng, ling) essa dispone di modi di attività (sin, shen) veramente "meravigliosi" o "spirituali" mentre, nella sua più grossolana o grezza condizione, ha la forma e i limiti della materia fisica. Quindi, il ki comprende ciò che noi possiamo chiamare "spirito", nonché gli esseri, come ad esempio l'uomo (e in misura minore animali e piante) che hanno capacità "spirituale", così come gli esseri materiali. Anche se termini come yŏng e sin sono spesso da tradurre come "spirito" o "spirituale", non vi è implicita la dicotomia di tipo occidentale spirito/materia.

Il ki, poi, è la materia con cui sono formati gli esseri; inoltre esso rappresenta la differenziazione e l’individualità. Ma gli attributi di movimento, forza, o energia, evidenti nel suo utilizzo similmente non-filosofico  resta prominente: esso è non solo ciò che concretizza, ma anche l’elemento energizzante di tutti gli esseri. Tutte le forme di attività fisica e mentale sono collegate al ki, l’energia-sostanza di tutte le cose. La traduzione convenzionale seguita in questo libro, "forza-materiale", intende riflettere sia gli aspetti concretizzanti che quelli energizzanti del ki. (fonte)


CHI GONG

Il Chi (Ki) è l'energia universale tutta intorno a noi, che possiamo sfruttare al fine di far guarire e di mantenere l’equilibrio del nostro corpo. Il nostro corpo è come un prisma o una lente in grado di concentrare e dirigere questa energia per vari usi.

Il Chi Gong è l'antica pratica cinese di guarigione e di bilanciamento dell’energia. Ed anche se qui in Occidente è meno conosciuto del T'ai Chi Ch'uan, esso è letteralmente il potere che sta dietro alla forma. Senza il Chi Gong, che è l'insegnamento di come utilizzare la nostra energia interna, la forma non sarebbe che una vuota danza.

Come la Rete ingioiellata di Indra, il Chi di una persona non è separata dall'energia del pianeta e dell'universo, e in quanto individui, si rimane colpiti dalla qualità delle energie che sono intorno a noi. L'ambiente ci coinvolge costantemente. Il Chi Gong, può essere utilizzato da un abile praticante per la guarigione, per aiutare l'organismo a ritornare in equilibrio, e ancor più importante, chiunque può usarlo come forma di prevenzione. Quando il vostro Chi interno è forte, è possibile ridurre l'effetto del Chi ambientale, e aumentare la potenza del vostro sistema immunitario.

Il Chi Gong è anche conosciuto come Chi Kung, Qi Gong, o Qigong. "Chi Kung" è l’ortografia abituale inglese, mentre "Qigong" è l’ortografia Cinese in caratteri Romani. Nel Cinese Romanizzato, q è pronunciata come l’Inglese ch', e o come l'Inglese u. Quindi, tanto "Chi Kung" che "Qigong" dovrebbero essere pronunciati come l'Inglese "ch'i gung".

Above "Ki" research source: TAIZAN MAEZUMI ROSHI - Sweetwater Zen center *


Cos’è il HUA-T'OU?

Presentato da: Wanderling
Da un documento di MASTER HSU YUN
Trad. Ital. di Aliberth

Il significato letterale di Hua-T'ou nel Ch'an Cinese (Zen) è "testa della parola o della frase". È lo stato d'animo prima che la mente sia disturbata dal pensiero. Questo è un chiaro stato d'animo mentre è fortemente concentrato e focalizzato. Hsu Yun lo chiamò "la mente in quell’attimo che non è né turbata né ottusa". Egli inoltre affermò: "Il momento prima che un pensiero sorga è chiamato il non-nato". Il Grande Maestro disse: "E' l’incessante rivolgersi della luce (visione) verso l'interno di se stessi, istante dopo istante, ed escludendo tutte le altre cose".

 

In un’altra occasione, egli disse: "E’ l’inversione della luce interiore su ciò che non è mai nato e non muore".

Gli antichi patriarchi puntavano direttamente alla mente. Quando uno vede l’auto-natura, uno ottiene lo stato di Buddha. Questo fu il caso quando Bodhidharma aiutò il suo discepolo Hui-K'o a calmare la sua mente e quando il sesto Patriarca Hui-neng diceva di vedere solo l’auto-natura. Tutto ciò che era necessario era la diretta comprensione e l'accettazione della Mente e nient'altro. Non c’era una cosa come investigare il hua t'ou. Tuttavia, i patriarchi più recenti videro che i praticanti non potevano gettarsi nella pratica con una dedizione totale e non erano in grado di vedere istantaneamente la loro auto-natura. Infatti, queste persone imitavano e recitavano mantra e parole di saggezza, mostrando tesori di altre persone e di conseguenza i patriarchi furono costretti a istituire scuole e ad elaborare specifiche vie e metodi per aiutare i praticanti, uno dei quali fu il metodo di investigazione hua-t'ou.
Ci sono molti tipi di hua-t'ou, come ad esempio "Tutti i dharma ritornano all’uno, e dove mai ritorna quest’uno?" "Qual’era il mio volto originale prima che io fossi nato?" e così via. Tuttavia, quello più comune, è "Chi è che sta recitando il nome del Buddha?". Un altro, riportato dall’Induismo, è quello che il Bhagavan Sri Ramana Maharshi suggeriva ai suoi seguaci, cioè di chiedersi "Chi sono io? ".

Cosa si intende con hua-t'ou? Hua significa ‘parola’; t'ou significa ‘testa o inizio’, quindi hua-t'ou significa ‘ciò che è prima della parola’. Ad esempio, recitare Amitabha Buddha è un hua, e hua-t'ou è ciò che precede la propria recita del nome di Buddha. Il hua-t'ou è il momento prima che il pensiero sorga. Una volta che il pensiero è sorto, si è già nella coda del hua. Il momento prima che il pensiero sia sorto è chiamato non-insorgente. Quando la mente non è distratta è non-ottusa, non è attaccata alla quiescenza, non può cadere in uno stato di nulla, e perciò si dice che non può morire. In modo univoco ed ininterrotto, girandosi verso l'interno e illuminando lo stato di non-inorgere e non perire, si dice ‘investigare il hua-t'ou’ o ‘prendersi cura del hua-t'ou’.

Per investigare il hua-t'ou, uno deve prima generare il dubbio. Il dubbio è come una sorta di bastone da passeggio per il metodo di investigare il hua-t'ou. Cosa si intende per ‘dubbio’? Ad esempio, uno può chiedersi: "Chi sta recitando il nome del Buddha?" Ognuno sa che è lui stesso che sta recitando il nome, ma sta usando la sua bocca o la mente? Se è la sua bocca, allora quando la persona muore e la bocca esiste ancora, come mai la persona morta non è più in grado di recitare il nome del Buddha? Se è la mente, allora com’è la mente? Non si può conoscere. Quindi c'è qualcosa che uno non riesce a conoscere, e questo dà luogo a un leggero dubbio riguardo alla questione del "chi-è-che".

Questo dubbio non dovrebbe mai essere rozzo. Più questo dubbio è ‘sottile’ è meglio uno dovrebbe osservarlo e mantenerlo univocamente, e lasciarlo scorrere come un fluisso d’acqua. Non lasciatevi distrarre da nessun altro pensiero. Quando il dubbio è presente, non disturbatelo. Quando il dubbio non è presente, dolcemente fate in modo che esso ritorni ancora. I principianti troveranno che è più efficace utilizzare questo metodo quando sono fermi piuttosto che quando si muovono, tuttavia non si dovrebbe avere un atteggiamento discriminatorio. Indipendentemente dal fatto che la vostra pratica sia efficace o meno, o se si sta fermi o in movimento, cercate solo di utilizzare il metodo e la pratica con estrema consapevolezza.

Nel ‘hua-t'ou’: "Chi sta recitando il nome del Buddha?", l'accento andrebbe posto sulla parola "chi". Le altre parole servono a fornire un'idea generale, proprio come nel chiedersi: "Chi è che si veste?", "Chi sta mangiando?", "Chi sente muovere le proprie viscere?'', ''Chi sta facendo pipì?'', ''Chi è che sta lottando con il suo ego ignorante?'', ''Chi è che è consapevole?". Indipendentemente dal fatto che si stia in piedi, si stia camminando, si sia seduti o sdraiati, il termine "chi" è diretto ed immediato. Non facendo affidamento sul pensiero ripetitivo, su congetture, o attenzione, è facile far sorgere un senso di dubbio.

Pertanto, coinvolgendo come hua-t'ou la parola "chi", è un metodo meraviglioso di praticare il Ch'an. Ma l'idea non è di ripetere "Chi sta recitando il nome del Buddha?" nel modo in cui si ripeterebbe il nome del Buddha stesso; né è giusto utilizzare ragionamento per trovare una risposta alla domanda, pensando che questo è ciò che si intende per ‘aver il dubbio’. Ci sono persone che ininterrottamente ripetono la frase: "Chi sta recitando il nome del Buddha?". Esse accumulerebbero molti più meriti e virtù, se invece recitassero ripetutamente il nome di Amitabha Buddha. Vi sono altri che consentono alla loro mente di vagare, pensando che questo sia il significato di avere dubbi, e invece finiscono con l’essere ancor più coinvolti nei pensieri illusori. Questo è come quando si cerca di salire, e invece si scende. Bisogna essere consapevoli di questo.

Il dubbio che viene generato da un praticante principiante tende ad essere grossolano, irregolare e intermittente. Esso non può realmente qualificarsi come uno ‘stato di dubbio’. Ciò può solo essere chiamato ‘pensare’. Gradualmente, dopo che il selvaggio pensiero si placa ed uno ha un maggiore controllo, il processo può essere chiamato "ts'an" (ts'an significa investigare o esaminare). Allorché la propria coltivazione diventa più morbida, il dubbio sorge naturalmente senza che sia più indotto in modo volontario. A questo punto uno non è consapevole di dove è seduto. Uno non è consapevole dell'esistenza di un corpo o mente o dell'ambiente. C’è solo il dubbio. Questo è un vero e proprio stato di dubbio.

Realisticamente parlando, la fase iniziale non può essere considerata come una ‘coltivazione’. Uno sta semplicemente facendo pensieri illusori. Solo quando il vero dubbio sorge da se stesso, può essere definito vera coltivazione. Questo momento è un punto cruciale, e per il praticante è facile rischiare di deviare dalla retta via:

(1) In questo momento, tutto è chiaro e puro, e vi è un illimitato senso di luminosità e pace. Se, tuttavia, uno non riesce a mantenere pienamente la propria consapevolezza e l'illuminazione (bisogna ricordare che la consapevolezza è saggezza, non illusione; e l’illuminazione è Samadhi, non disturbo), uno cadrà in un lieve stato di offuscazione mentale. Se nei pressi vi è una persona realizzata, essa sarà subito in grado di dire che il praticante è in questo stato mentale e lo colpirà con il bastoncino di incenso, disperdendo tutte le nuvole e la nebbia. Molte persone diventano illuminate in questo modo.
 (2) In questo momento, tutto è chiaro e puro, vuoto e vacuo. Se non è così, allora il dubbio è perso. Poi, non vi è più alcun "contenuto", vale a dire che uno non sta facendo più alcun sforzo per fare la pratica. Questo è ciò che si intende con la "roccia con un tronco morto" o "roccia immersa in acqua gelata". In questa situazione, il praticante deve "elevarsi". "Elevarsi" significa sviluppare la propria consapevolezza e l'illuminazione. E' diverso dalle precedenti occasioni in cui il dubbio era grossolano. Ora, esso deve essere ‘sottile’ – un unico pensiero, ininterrotto ed estremamente sottile. Con assoluta chiarezza, esso è illuminante e pacifico, immobile ancorché pienamente consapevole. Come il fumo di un incendio che si sta sviluppando, è un flusso continuo senza interruzione. Quando questo punto della pratica è raggiunto, è necessario disporre di un ‘occhio-di-diamante’, nel senso che si dovrebbe cercare di "elevarsi" ancor di più. "Elevarsi" a questo punto sarebbe come mettere una testa sulla parte superiore della nostra testa.

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Una volta, un monaco chiese al maestro Ch'an Chao-chou, "Che cosa dovrebbe fare uno, quando non arriva più nessuna cosa?" Chao-chou rispose, "Mettila giù". Il monaco disse, "Se una cosa non viene, che cosa si deve mettere giù?" E Chao-chou rispose: "Se non puoi metterla giù, allora sollevala!". Questo dialogo si riferisce proprio a questo tipo di situazione. Il vero sapore di questo stato non può essere descritto. Come qualcuno che sta bevendo l’acqua, solo lui sa com’è, fresca o calda. Se una persona raggiunge questo stato, egli sarà in grado di naturalmente comprendere. Se non è in questo stato, nessuna spiegazione sarà adeguata. Per la spada del maestro, dovreste offrire una spada; non preoccupatevi di mostrare la vostra poesia a qualcuno che non è un poeta…

 
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