Traduzioni di Dharma

Sulla ricerca di un maestro Zen
http://www.angelfire.com/realm/bodhisattva/teach.html
da: The Wanderling – Trad. di Aliberth
 

PARTE 1°
CERCARE un Maestro ZEN…

Il dottor Walpola Rahula, enfatizzando in sostanza ciò che disse il Buddha, nel suo libro "What the Buddha Taught" (pp. 2-3), scrive estrapolandolo dal Kalama Sutra quanto avanti si spinse il Buddha: "Egli diceva ai bhikkhu (monaci) che un discepolo deve mettere sotto esame perfino il Tathagata stesso (cioè, il Buddha), così che egli (il discepolo) poteva essere pienamente convinto del reale valore del maestro che stava seguendo".
’Non andate su ciò che è stato acquisito con un ascolto ripetuto, né sulla tradizione, né sulle voci, né su ciò che si trova in una scrittura, né su supposizioni, né su un assioma, né su un ragionamento capzioso, né su una tendenza verso un concetto sul quale si è riflettuto, né sull’apparente abilità di qualcun altro, né sulla facile considerazione che 'Il monaco è il vostro maestro.' (dal ‘Kalamasutta’)

Si dice spesso che quando si veramente bisogno di un maestro, uno ne apparirà. Ciò è dovuto ad una qualche sorta di inspiegabile ‘Serendipity’. Può anche essere dovuto al fatto che il richiedente ha cercato in profondità all'interno di se stesso e determinato quale tipo di istruzione sembra essergli necessaria. Potrebbe essere una disperazione di tipo spirituale da parte del richiedente, o di un proporsi da parte di un maestro (più o meno sincero). Può essere una combinazione di entrambi i fattori precedenti, o una qualche consapevolezza intuitiva aldilà di ogni espressione. Ma, qualunque ne sia la ragione, il detto spesso è valido e più eloquentemente si dice che con auto-chiarezza e tranquillità, tutto si mette al giusto posto.

Avete bisogno di un maestro Zen? A volte, ciò che si sta cercando si può imparare da un insegnante che non sia necessariamente un maestro Zen. Molte verità sono universali. Infatti, si può imparare da chiunque, ovunque – sia che la persona pensi o meno che ciò che impara è un insegnamento. Basta tenere gli occhi aperti e guardare. A volte le persone sono alienate dalla religione nel cui ambito sono cresciute e cercano le risposte altrove. Se queste persone cercassero diverse prospettive nella propria fede esse potrebbero trovare le risposte alle loro domande. Talvolta, studiando Zen per un po’ di tempo, si può avere un maggior apprezzamento per la propria precedente religione e ritornarvi con una maggiore comprensione. E altre volte le persone trovano proprio quello che stanno cercando nello Zen e ne fanno la loro religione personale.

Perché volete un insegnante? Se desiderate un insegnante per verificare ciò che già pensate di vedere come un vostro grande kensho, probabilmente siete poco fortunati. Perfino un droghiere è improbabile che vi fornisca questo tipo di servizio se non lo si paga. Probabilmente voi avete avuto un qualche ‘insight’ per andare a cercare proprio un insegnante. Secondo una vecchia metafora, però, se voi arrivate lì con la tazza già piena, allora il tè che è aggiunto si riverserà solo sul pavimento. (Se siete veramente certi della vostra ‘Illuminazione’, perché mai avete bisogno di una convalida esterna? Se volete dire agli altri che siete illuminati, allora perché fate questo?)

Che cos’è il ‘lignaggio’? Nello Zen, il lignaggio è un sistema in cui dal proprio maestro un insegnante è certificato per insegnare, e così via. Questo sistema è sostenuto da molte linee che fanno capo al Buddha Gautama stesso. Che ciò sia letteralmente vero o meno, è materiale per gli storici, ed è per la maggior parte irrilevante nella pratica effettiva. Un sistema che risale almeno a diverse centinaia di anni, o un maestro che è stato formato in un tale sistema, sono degni di nota. È come un sigillo di approvazione extra. In giro ci sono insegnanti abusivi e improvvisati. Con un insegnante associato ad una nota linea c’è meno probabilità di essere ingannati. D’altronde, ci sono anche molti bravi insegnanti che non sono associati a un lignaggio, e insegnanti all'interno di certi lignaggi che sfruttano i loro studenti. Il Buddha quando istituì il sistema dei lignaggi sicuramente sapeva tutto ciò. Una cosa che è contro il sistema è la costituzione di un governo ufficiale della gerarchia buddhista - almeno in parole povere. Nel tempo ci sono stati molti governi che videro nel buddhismo una minaccia, e che quindi ufficialmente cercarono di reprimerlo o di addomesticarlo ''. (Questo non è solo un’ affare buddhista. Per esempio, è accaduto anche con gruppi Cristiani). Per maggiori informazioni in merito al lignaggio vedere gli articoli ‘Trasmissione della Luce’ e ‘Antenati Zen’.

Va notato che ci sono stati anche molti che si sono illuminati senza appartenere ad alcun lignaggio. L’Illuminato saggio Sri Ramana Maharshi, per esempio, non ha avuto un lignaggio in senso formale (e lo stesso Siddharta Gautama, poi divenuto il Buddha, pur avendo maestri Advaita come guide, non ebbe un maestro del lignaggio - n.d.T.). Così ne conseguirebbe che il lignaggio non è in tutti i casi obbligatorio. A volte, ci si imbatte in una persona che è chiamata sannyasa-vidvat e, che essa lo gradisca o meno, si è presi da un impulso interiore. La luce splende così intensamente al suo interno da farla diventare cieca a tutte le 10.000 cose del mondo. Che una persona simile abbia ricevuto o meno la formale iniziazione di Sannyasa, ben poco importa. Essa è già divenuta un avadhata, uno che ha rinunciato a tutto, secondo la tradizione primitiva che esisteva prima che ogni regola fosse stata addirittura mai pensata. E questo è quell’originale Sannyasa senza nome, che è stato descritto nel Brihadaranyakopanishad: "Una volta che un uomo è arrivato a conoscere Quello (il grande Atman non-nato), egli diventa un muni. Desiderando solo Esso come suo Loka (dimora), i parivrajaka (monaci erranti) cominciano a andare per il mondo". (4.4.22). Ciò detto, è fermamente consigliabile che quando si è alla ricerca di un insegnante, si mantengano almeno gli orientamenti presentati nelle fonti di questa pagina.

Cosa dichiara un insegnante? Il Buddha stesso non dichiarò mai di essere onnisciente, ma c'è una grande differenza tra uno che pretende di essere "onnisciente" e lo stato di 'Illuminazione’. Moltissime persone hanno sostenuto che il Buddha non affermò mai di essere illuminato e da ciò si deduce che non può essere che qualcuno pretenda di aver avuto un’esperienza di illuminazione. Tuttavia, non sempre è così, poiché nel caso del Majjhima Nikaya MN 26, si mostra chiaramente che il Buddha lo dichiara nel corso dell’incontro tra lui e l’asceta vagabondo Upaka. Per quanto riguarda l’"onniscienza", anche dal suo stato illuminato ci sono questioni che il Buddha scelse di non affrontare, l'esempio migliore, ma non l'unico, si trova nelle ‘Dieci domande Indeterminate’ che è più avanti. Alcuni buddhisti possono avere la loro interpretazione, ma il Buddha lasciò volutamente molte domande senza risposta. Un insegnante che pretende di avere tutte le risposte è un falso evidente. Buona parte dell’insegnamento del Buddhismo è di smontare quelle domande che si fanno e quel tipo di risposte che ci si aspetta. Voi dovreste essere sempre perfettamente liberi di lasciare qualsiasi gruppo buddhista in cui sentite che non si risponde alle vostre domande – o, ancor più importante, se sentite di essere oggetto di sfruttamento.

Sono ancora interessato a un gruppo di Zen, dove posso trovarne uno? Ci sono diverse liste di centri zen e seduta gruppi sul web. Trovatene uno nella vostra zona e fate una scelta. Può essere molto utile per conoscere persone che hanno la stessa visione, e un buon insegnante è inestimabile. Anche se si sceglie di non stare insieme con il gruppo, probabilmente ve ne verranno insegnamenti preziosi. Come già indicato in precedenza, spesso si dice che, quando si ha veramente bisogno di un insegnante, esso vi apparirà. Quello di cui non tutti si rendono conto è che spesso come 'insegnante’ c’è ciò che ne ha la funzione, in sostituzione di un insegnante. In altre parole, non in tutti i casi vi sarà la necessaria presenza di un insegnante "realmente vivo davanti a voi". Talvolta potrete sentirvi fortemente motivati allo studio e alla pratica dello Zen. Altre volte, vi sentirete così pigri e svogliati, a causa delle circostanze della vostra vita, che potrete quasi dimenticare totalmente quello che avrete imparato. "Quasi", qui è parola chiave. Quando ne avrete bisogno, sarete richiamati ad esso. Spesso ci vuole un po’ di tempo per realizzare quello che avete sempre imparato solo praticando la meditazione seduta e la respirazione. Quando ci ritornerete, non aspettatevi che sia tutto come prima, e non aspettatevi di raggiungere gli stessi punti. Prendetelo con freschezza ed esso ogni volta crescerà sempre più profondamente.

Tramite un accesso più o meno tradizionale, tuttavia, quando uno raggiunge dei livelli sempre più elevati, come gli Stati di Jhana e oltre, per molti di voi un insegnante può diventare obbligatorio. Come si vede negli “Otto Stati di Jhana”: "Gli otto stati di jhana sono anche difficili da insegnare. Non tutti hanno un temperamento adatto a praticare la concentrazione. Anche per coloro che trovano facile la concentrazione, gli stati di jhana richiedono un lungo ritiro silenzioso con varie sedute per apprenderli. Lungi da essere "separati da malsani stati mentali" le persone che desiderano imparare i jhana sono immediatamente spinti nello stato di desiderare qualcosa. Infine, come già detto, i jhana non si prestano ad un "insegnamento libresco", perché si ha realmente bisogno di un feedback immediato faccia a faccia con un insegnante allo scopo di indirizzare la vostra mente nella direzione corretta. I ‘jhana’ sono stati naturali nella mente, ma la vita che noi conduciamo qui alla fine del 20° secolo (ed ormai siamo nel 21° - n.d.T.) è così intensa che è difficile trovare la quiete della mente naturale".

Se, nella ricerca di scoprire la quiete della mente naturale, vi siete mai chiesti come sarebbe il tempo passato a meditare in un monastero Zen, e non solo un centro Zen come si trova negli Stati Uniti e altri paesi occidentali, ma una vera e propria vita reale in un monastero Zen situato in alto sopra la linea degli alberi nelle montagne dell'Asia, si veda: “DOING HARD TIME IN A ZEN MONASTERY”.


 

 

PARTE 2°

AVYAAKATA: Le Dieci Domande Indeterminate del Buddha

(http://www.angelfire.com/electronic/awakening101/avyaakata.html)

Avyaakata, le 'domande indeterminate' sono indicate come dieci di numero:

1. Se il mondo è eterno

2. o non eterno

3. Se il mondo è finito

4. o è infinito

5. Se l'anima e il corpo sono identici

6. o sono diversi

7. Se l'illuminato esiste dopo la morte,

8. o non esiste dopo la morte,

9. oppure, esiste e non esiste dopo la morte,

10. o né esiste né non esiste, dopo la morte

Queste sono regolarmente descritte nei “Nikaaya” come 'teorie' (di.t.thi), che il Buddha ha 'lasciato da parte' (thapita) e 'respinte' (patikkhita). Il Buddha fornisce una serie di diverse spiegazioni sul perché non chiarisce questi interrogativi. Molti di questi sono decisamente di carattere pragmatico, tuttavia ne “La Parabola del Fuoco” incontriamo una spiegazione sul perché il Buddha non rispose a queste domande.

“Un Samana - o asceta vagante, definito poi al tempo delle scuole Zen con la parola giapponese Hsing-Chiao (uno che viaggia a piedi) - di nome Vaccha, è perplesso per il fatto che il Buddha ha negato, a sua volta, ciascuna di queste quattro alternative --- 1) che l'illuminato rinasce dopo la morte; 2) che egli non rinasce, 3) che sia rinasce e non rinasce, e 4) che egli né rinasce né non rinasce. Così egli pone ancora una volta queste domande, ma questa volta il Buddha risponde: "Dire che egli rinasce non è giusto.... dire che egli non rinasce non è giusto" e così via. A questo punto, Vaccha confessa che è totalmente confuso su cosa pensare. Il Buddha propone quindi questa similitudine: "Supponiamo che un fuoco stesse bruciando prima che tu fossi uscito. Se qualcuno ti chiedesse in quale direzione il fuoco è andato, se a nord, sud, est od ovest, che cosa risponderesti?" "La domanda non si adatterebbe al caso" rispose Vaccha. Quello che abbiamo qui è qualcosa di simile ad un errore di categoria.

ERRORE di CATEGORIA

Di alcuni tipi di oggetti fisici si dice propriamente che 'vanno in una direzione ', per esempio, uccelli. rocce e nuvole. Così si può spiegare il fatto che un uccello, che era prima presente ai nostri sensi, non lo è più, dicendo che l'uccello 'è andato a nord'. A determinate condizioni, tali asserzioni sono possibili anche rispetto al fuoco - per esempio, nel caso di un incendio che stava bruciando dietro casa mia trenta minuti fa. Questo presupposto, tuttavia, non può essere applicato nel caso di un fuoco che si è estinto, perché il farlo sarebbe commettere un errore di categoria. Se di un oggetto fisico si dice che sta 'andando in una direzione', è necessario che sia un oggetto fisico che ha una durata. Ovviamente, si può discutere se un fuoco è considerato un oggetto del tutto fisico, ma è perfettamente chiaro che un fuoco che si è spento a causa della mancanza di carburante non può essere pensato come un oggetto fisico duraturo. Che in precedenza un fuoco fosse presente ai nostri sensi, ma che non c’è più, potrebbe indurci a pensare che, come nel caso dell’uccello, si possa usare il predicato 'andare in una direzione' per descrivere il fatto. Ma un fuoco estinto semplicemente è non inquadrato nell’appropriata categoria per applicare questo predicato. Il Buddha, qui, ci suggerisce che analoghe considerazioni si applicano al caso dell’Arahat dopo la morte. Mentre la struttura del pensiero degli antichi Indiani ci permette di chiederci se una persona deceduta stia o meno per rinascere, la questione è priva di significato rispetto ad un Arhat. Vaccha fu confuso dal fatto che il Buddha rigettasse ognuna delle quattro alternative logicamente possibili, ma sembra che per necessità una di queste dovesse essere vera. Tuttavia, una volta che vediamo che predicati come il termine 'rinascere' semplicemente non si applicano agli Arhat, e che l’Arhat deceduto deve essere incluso in una categoria diversa, l'apparente stranezza della posizione svanisce. (fonte)

Una discussione sull’imponderabile, e sul famoso "Silenzio del Buddha" riguardo a cose come l'esistenza o la non-esistenza di Dio, fino alla questione dell’Arhat di cui sopra, è stato un popolare argomento nella moderna filologia buddhista, e sono state proposte quattro principali teorie per spiegare il suo rifiuto a fornire le relative risposte. Queste quattro teorie sono presentate brevemente qui sotto. Il famoso Trattato di Nagarjuna sulle ‘imponderabili’ o ‘irrefutabili’, non sembra adattarsi perfettamente a nessuna delle quattro e qui di seguito discusse:

· Primo, è stato detto che il Buddha restò in silenzio perché era interessato solo alle questioni pratiche. La metafisica speculativa era, semplicemente, meno importante del fatto di vivere una vita appropriata e, quindi, fu messa da parte.

· Secondo, un'altra interpretazione è che il Buddha francamente non conoscesse le risposte, e fosse preminentemente agnostico. Questo era l’iniziale sospetto del monaco nella parabola di cui sopra.

· Terzo, una interpretazione opposta all’agnosticismo del Buddha è che lui conoscesse le risposte, ma non fosse nella possibilità di spiegarle a chi non poteva capirle. Questa interpretazione è parzialmente supportata dalla quantità di volte che il Buddha aveva enfatizzato la sottigliezza e l’astrusità della dottrina. In seguito alla sua Illuminazione, egli considerò seriamente di non tentare neanche di insegnare la verità da lui scoperta, proprio perché disperava che qualcuno potesse comprenderla. "L'Illuminazione da me ottenuta è profonda, difficile da vedere, difficile da comprendere", pensò il Buddha la notte del suo risveglio. "...Per gli esseri umani, questa sarebbe una cosa ben difficile da vedere... Se dovessi insegnarla, e gli altri non mi capissero, per me ciò sarebbe un grosso onere, ed anche un dispiacere". Tuttavia, dire che la difficoltà ad insegnarla, da parte del Buddha, motivasse la sua reticenza a parlarne, non gli rende certo giustizia. Sicuramente un tale essere illuminato sarebbe stato in grado di trovare il linguaggio giusto per poter offrire la sua esperienza. Inoltre, nei discorsi, si afferma chiaramente che il Buddha ebbe la capacità di adattare il suo uso del linguaggio per adeguarlo al suo uditorio.

· Quarto, c’è un approccio che dice che il problema risiede nei processi mentali che danno origine a tali domande. Ciò che è importante, non è una risposta o la mancanza di una risposta a queste domande, ma piuttosto sottrarsi completamente da una sfera di raziocinio per la pacificazione del pensiero.

Il Buddha suddivise tutte le domande in quattro classi:

· Quelle che necessitano di una risposta categorica (un sì o un no diretti).

· Quelle che necessitano di una risposta analitica, cioè, il definire e qualificare i termini della questione.

· Quelle che attivano una contro-domanda, rimettendo la palla all'interrogante.

· Quelle che meritano di essere messe da parte (perche non si vuole rispondere).

L'ultima classe di domande è costituita da quelle che non hanno il vantaggio di portare alla fine della sofferenza e dello stress. Il primo dovere di un insegnante, quando gli si pone una domanda, è quello di capire a quale classe la domanda appartiene, e quindi di rispondere in modo appropriato. Per esempio, voi non direte sì o no a una domanda che dovrebbe essere messa da parte. Se voi foste la persona che ha fatto la domanda e volesse ottenere una risposta, dovreste quindi determinare in che misura la risposta deve essere interpretata. Il Buddha disse che ci sono due tipi di persone a cui accade di travisare le sue dichiarazioni:

· Coloro che traggono delle conclusioni da dichiarazioni da cui non dovrebbero trarre alcuna conclusione.

· Coloro che dalle stesse non traggono conclusioni che invece dovrebbero trarre.

(Per una più completa discussione di questo, vedere Gadjin M. Nagao, "Il Silenzio del Buddha e la sua Interpretazione del Madhyamika" (The Silence of Buddha and its Madhyamic Interpretation) in Nagao, 1991, 35-50)

· Le classi di cui sopra potrebbero essere corrette o meno, e anche essere compatibili o incompatibili, ma esse non si trovano nell’Approccio Diretto di Nagarjuna. Infatti, Nagarjuna dice semplicemente che le risposte a queste domande sono sbagliate. Ci possono essere ragioni teoriche per respingere domande che non hanno risposta, e vi sono certamente ragioni pragmatiche per non incappare in tali speculazioni. Tuttavia, il motivo principale di Nagarjuna per respingerle nella sua sezione finale non è nessuna di queste. Egli semplicemente le rifiuta perché esse non sostengono un esame logico.
Nagarjuna apre con un dibattito di opinioni sull'eternalismo. Tutte le visioni generate su una sopravvivenza del ‘sé’ si basano sulla convinzione che il sé esisteva nel passato e/o che il sé esisterà in futuro. Tuttavia, non è appropriato dire che il sé esistesse nel passato, perché questo richiederebbe che quel sé che esisteva nel passato dovrebbe essere identico con il sé che esiste ora, nel presente. Ciò è già stato confutato nella sezione undici. Tuttavia, il Buddha ha anche detto che non è corretto dire che il sé non è eterno. Se il Buddha avesse negato la continuità dell’esistenza, allora, come discusso in precedenza, la moralità sarebbe ritenuta inutile, perché "il frutto di una azione che fosse eseguita da qualcuno sarebbe sperimentato da un'altra persona".

Inoltre, un sé che esistesse nel presente, ma non nel passato, sarebbe senza causa, il che sarebbe una conclusione errata. Dal momento che nessuna delle alternative di cui sopra è appropriata, non sarebbe certamente opportuno combinarle e dire sia che uno esisteva e sia che non esisteva in passato. Inoltre, poiché non ci sono altre alternative oltre l’esistenza e la non-esistenza, e poiché una “via di mezzo” tra le due resterebbe incomprensibile, non è appropriato dire che uno, nel passato, né esisteva né non esisteva. Opinioni in merito ad una futura esistenza devono essere trattate nello stesso modo. Ciò che porta a fare le domande senza risposta di cui sopra, è la tendenza a cercare "qualcosa", una qualche entità reale che può essere caratterizzata in termini di esistenza o non-esistenza. Ma, "se si pensa che non c'è nulla di eterno, che cosa è che non sarà eterno, tanto eterno che non-eterno, e anche cos’è che è separato da questi due [cioè, né l’uno né l’altro]?"

Già che siamo in argomento, ci sono quattro cose di cui il Buddha dice che "non ci si può congetturare su" e che possono essere di qualche interesse. Vedi anche: “I Cinque Livelli di Tozan” (di prossima traduzione…)

Nota: Samana (pali), Sramana (sanscrito): persona contemplativa. Letteralmente, una persona che abbandona gli obblighi convenzionali della vita sociale, al fine di trovare un modo di vita più "in sintonia" (sama) con i modi della natura.