Traduzioni di Dharma


BODHIDHARMA
IL I° PATRIARCA del CHAN (470 - 543) 
 

di A. Morelli (da Facebook- tratto da vari brani)

 

Descrizione: Bodhidharma, la cui vita e le cui opere si collocano tra il V e il VI secolo d.C., è un personaggio tra i più indecifrabili. Le leggende su di lui sono così tanto numerose quanto scarse sono le fonti storiche accertabili. Tra i pochi dati sicuri c'è la sua origine: egli proveniva da una famiglia nobile del Sud dell'India. Altro dato certo è il suo lignaggio, quello di 28° Patriarca del Buddhismo Indiano, quindi discendente in linea diretta di Gautama Siddharta. Tuttavia, pur essendo successore del Buddha storico, difficilmente è possibile immaginare due personaggi più diversi.
All'inizio del VI secolo Bodhidharma abbandonò l'India viaggiando verso la Cina, dove anche l'imperatore (di fede buddhista) volle incontrarlo. Nel lungo periodo trascorso in Cina, Bodhidharma ebbe solo 3 discepoli, che diffusero il suo insegnamento in tutto il Paese. Al suo peculiare approccio al Risveglio ed all'Illuminazione fu dato il nome di filosofia Ch'an, che successivamente arrivò in Giappone con il nome di Zen.

Bao Yen Hsin: La volontà di accettare, senza lamentarsi, la sofferenza e l'infelicità perché capite che è il vostro karma.

Sui Yen Hsin: La comprensione che tutte le situazioni sono conseguenze di cause karmiche e, perciò, la capacità di mantenere l'equanimità in ogni circostanza, sia negativa che positiva.

Tsung Fa Hsin: Realizzare, attraverso la pratica, l'essenza della vostra Natura di Buddha che è equanimità.

L'insegnamento di Bodhidharma:

Bodhidharma insegnò ai suoi discepoli ad utilizzare il Lankavatara Sutra come sigillo della mente. Il metodo di coltivare la pratica trasmesso da Bodhidharma sottolineava l'attenzione che dovremmo dare a questo importante Sutra. Il suo insegnamento principale è che esistono due ingressi o sentieri per varcare la Porta del Dharma: lo studio e la pratica. Lo studio: attraverso i Sutra buddhisti e le scritture, comprenderete la Natura di Buddha. In noi la Natura di Buddha non si manifesta perché è annebbiata, velata dalle contaminazioni, come: la brama, l'attaccamento, la passione, l'aggressività e l'ignoranza. La pratica: quando si seguono i principi Buddhisti nella vita quotidiana, si scoprirà che la nostra Vera Natura è uguale alla Natura del Buddha.

Si tramanda che il monaco indiano Bodhidharma, ventottesimo di un lignaggio di patriarchi indiani risalente al Buddha Gotama stesso, arrivò a Canton proveniente dall'India nel 52O d.C. Si presentò all'imperatore Wu Li Liang e tra i due si svolse un leggendario colloquio. L'imperatore, dopo avergli raccontato quel che aveva fatto per promuovere la pratica del buddhismo, gli chiese quali meriti egli si fosse guadagnato con la sua condotta, secondo l'opinione popolare che il buddhismo sia una graduale accumulazione di meriti, per mezzo di buone azioni che conducano a condizioni sempre migliori nelle vite future e, infine, al nirvana.

Bodhidharma rispose: "Assolutamente nessun merito". Questa risposta sconvolse talmente le idee che l'imperatore si era fatto sul buddhismo, che egli chiese ancora: "Ma allora, qual è il principio del santo Dharma?". Bodhidharma rispose: "È semplicemente il vuoto: niente di sacro". "Chi sei dunque tu, disse l'imperatore, che mi stai dinanzi?". "Non lo so" replicò Bodhidharma. Così, la sua dottrina non incontrò il favore dello sconcertato imperatore, di modo che il patriarca si ritirò per alcuni anni in un monastero nello stato di Wei, dove passò il proprio tempo "fissando il muro".

Mentre Bodhidharma fissava il muro, fu avvicinato da Hui-ko, il monaco che sarebbe dovuto succedergli nella linea patriarcale. Hui-ko chiese ripetutamente a Bodhidharma istruzione, ma gli fu sempre rifiutata. Cionondimeno continuò ostinatamente a sedere in meditazione fuori della grotta dove Bodhidharma fissava la parete, aspettando pazientemente nella neve, sperando che Bodhidharma avrebbe infine ceduto. Alla fine, preso dalla disperazione, si tagliò il braccio sinistro e lo presentò a Bodhidharma come segno della sua angosciosa sincerità. Allora, finalmente, Bodhidharma gli chiese che cosa volesse. "Non ho la pace della mente" rispose Hui-ko. "Ti prego, rasserena la mia mente". "Portami la tua mente qui, dinanzi a me" rispose Bodhidharma, "e io la pacificherò". "Ma quando cerco la mia mente", disse Hui-ko, "non riesco a trovarla". "Ecco!", gridò allora Bodhidharma, "Ho pacificato la tua mente!"

La tradizione zen rappresenta Bodhidharma come una persona dall'aspetto severo, con una folta barba e uno sguardo sbarrato e penetrante, acceso tuttavia da un lieve bagliore. Una leggenda narra che una volta egli si addormentò durante la meditazione: se ne infuriò al punto che si recise le palpebre; le quali, cadendo in terra germogliarono nella prima pianta di tè. Da quel tempo il tè ha fornito ai monaci zen una protezione contro il sonno e tanto chiarifica e rinvigorisce la mente che, con un bel gioco di parole, si disse: "Il gusto dello Zen (ch'an) e il gusto del tè (ch'a) sono uguali e medesimi".

Un'altra leggenda narra che Bodhidharma (in giapponese Daruma) stette così a lungo seduto in meditazione che gli si staccarono le gambe. Di qui il divertente simbolismo di certe bambole giapponesi dette appunto Daruma, che rappresentano Bodhidharma con un corpo rotondo e senza gambe, che (proprio come l'Ercolino-sempre-in-piedi) ritorna sempre ritto ogni volta che lo si spinge giù, e una popolare poesia giapponese dice della bambola Daruma: “Jinsei nana korobi ya oki” (Così è la vita, sette volte giù e
otto volte su!). C’è un famoso koan che dice: "Perché Bodhidharma è arrivato dall' Occidente?" (l'India è a ovest di Canton, in Cina), ed è uno di quei quesiti designati a mandare in corto circuito il pensiero e per i quali non si da' alcuna risposta razionale.
(Flavio Pelliconi)

Esistono rappresentazioni un po' strane di Bodhidharma, che però soddisfa il canone abituale: che lo vuole con sopracciglia cispose, l'aria irritata, il vestito lungo. In effetti, Bodhidharma non ama che lo si disturbi, soprattutto quando medita. Da qui, forse le sue risposte enigmatiche ed incisive. Lo si dice nativo dell’India, figlio di un principe. Ormai anziano, si imbarca per la Cina del Sud. Il viaggio dura tre anni. Finalmente sbarca sulle coste cinesi, risale verso il nord ed arriva a Lo-yang, la capitale del Wei. Siamo negli anni 520 d.C. L'imperatore è un appassionato buddhista e si informa su questo monaco. Ha fatto costruire templi e monasteri, innalzare dei stupa, organizzare incontri con sermoni. Che cosa pensa di ciò il barbaro dagli occhi blu? E Bodhidharma laconicamente gli risponde: "Non hai fatto nulla di sacro!". La discussione prende la piega di un dialogo tra sordi.

Alla fine, l'imperatore gli chiede: - "Ma chi ho qui di fronte a me?". Bodhidharma gli risponde, "Non lo so proprio!”, e poi lascia immediatamente il palazzo. In seguito, poi, l'imperatore racconta il colloquio al suo consigliere. Questi gli chiede: "Ma Voi sapevate chi era costui?" - "No!" - risponde l’imperatore. E il consigliere: "Egli era il bodhisattva Avalokitesvara, Colui che porta il sigillo dello spirito del Buddha!". Niente di meno! L'imperatore allora vorrebbe mandare una scorta per ricuperarlo, ma il consigliere lo dissuade. Tanto, è sicuro che non ritornerà più.

Nel frattempo, Bodhidharma si reca a Shaolin, non lontano dalla capitale imperiale. Là, si dice, che si installi in una grotta dove resta nove anni a contemplare il muro.
Un giorno, un giovane di nome Eka, che nella sua mente ubbidisce alle ingiunzioni di una divinità, arriva fino a lui per essere istruito nella pratica del buddhismo.
Quel giorno, sta nevicando a grossi fiocchi. Bodhidharma è seduto in silenzio, come sua abitudine, faccia al muro nella sua grotta. Eka resta in piedi all'esterno, nella neve, ma il burbero Bodhidharma non gli rivolge parola. Alla fine, il giovane prende la sua spada, si taglia un braccio e lo offre, implorando, al Maestro: - "Maestro, la mia mente non è ancora pacificata, ve ne prego, pacificatela!".

- "Portami qui la tua mente ed io la pacificherò" risponde Bodhidharma di getto.

- "Ma io sto cercando la mente, e tuttavia non posso afferrarla!"

- "Allora, come vedi, essa è già pacificata!".

Bodhidharma, (Bodaidaruma o Daruma in giapponese), è considerato il fondatore del Ch’an Cinese. In effetti, questi aneddoti sono posteriori di parecchi secoli alla presunta sua esistenza e oggi sembra assai difficile credere al loro carattere storico. Allora, è esistito Bodhidharma? Tuttavia, qualunque laconica risposta va ancora di più a forgiare la storia dello Zen. Secondo la leggenda, le gambe di Bodhidharma si riempirono di piaghe a furia di meditare, durante i nove anni che passò nella grotta di Shaolin in Cina. In Giappone, i pupazzi di neve che non hanno più le gambe, sono chiamati degli yuki-daruma, dei "Bodhidharma di neve", dunque.

Un Maestro zen della scuola Rinzai di nome Nantembô (1839-1925), dipinse numerosi yuki-daruma come questo. In queste pitture, egli sistematicamente vi calligrafava una poesia di Tesshû Yamaoka (1815-1901):

Daruma fatto di neve ammucchiata,

I giorni passano, dove è andato?

Infatti, non ne restano più tracce.

Un'altra leggenda vuole che Bodhidharma sia morto avvelenato - apparentemente senza motivo. Poiché il giorno stesso della sua morte, un emissario del Wei orientale si trovava in Pamir. Sulla strada verso la Cina, ancora lontana, egli incrociò Bodhidharma che si dirigeva verso l'ovest e che gli disse: "Il sovrano del tuo paese è morto proprio oggi". Appena fu arrivato, seppe della recente morte del re ed allora egli raccontò del suo incontro con Bodhidharma ai suoi discepoli, i quali aprirono la bara del Maestro. Non vi trovarono dentro che un solo sandalo. Dove era andato il corpo?- Al tempo del suo arrivo in Cina, l'imperatore avrebbe dovuto sospettare che una simile apparente rozzezza in un santo uomo nascondeva qualcosa che meritava di essere esaminata più da vicino, ma si accontentò di mostrargli la porta e così sprofondò nella perplessità.

Quando, circa mille anni più tardi, il missionario Francesco Saverio sbarcò a Kago-shima, fu ricevuto nel modo più gentile dai bonzi del tempio zen che dominava la città. Gli si fece visitare il quartiere dei monaci e lo zendô, la sala di meditazione, dove i novizi si erano seduti nella posizione del Buddha sul loto, con gli occhi fissi davanti a sé, assolutamente immobili. Alla domanda "Ma che fanno essi"? il suo amico, il bonzo Ninjitsu, rispose: "Alcuni contano mentalmente ciò che hanno ricevuto dai fedeli il mese scorso; altri pensano ancora al loro tempo libero, in breve, ognuno di essi pensa a qualsiasi cosa che abbia un certo senso". Una risposta assolutamente onesta. Francesco Saverio si sarebbe dovuto chiedere se, dalle persone di cui ammirava il carattere, una simile rozzezza non nascondesse qualcosa di importante. Ma egli non ebbe questa accortezza e si accontentò di constatare in seguito che, nella discussione, i monaci zen erano degli avversari formidabili e che, malgrado la loro mente viva ed aperta, non c'era mezzo di convertirne uno solo al Cristianesimo.

E alla domanda: "Che cos’è lo zen"? vi sono due tipi di risposte. La prima, di una deliberata villania; la seconda, di una piattezza così abituale che la nostra mente occidentale innamorata di concetti e categorie si chiede come diavolo associarci il più piccolo brandello di "sacro". Se si vuole credere all'esempio del Buddha, ecco ciò che ci occorrerebbe per meditare: Prima di tutto, un albero detto ‘ficus religiosa’. È vero che una volta il Saggio del clan dei Shâkya si accontentò di un ombrello formato dalle sette teste di un dio-serpente. Ci si può ritirare anche in un eremo di montagna. Ma una semplice stanza sarà altrettanto adatta allo scopo. In questo caso, però, la si dovrà prevedere silenziosa, né troppo calda d'estate, né troppo fredda d'inverno, né troppo luminosa di giorno, né troppo oscura la sera. Secondariamente, un cuscino di erbe ‘kusha’. Il Buddha utilizzava anche un seggio di diamante. Ma si può anche tanto bene accontentarsi di un cuscino ordinario che però, lo si dovrà prevedere sufficientemente spesso per incrociare le gambe senza difficoltà. Terzo, un corpo. Questo è l'elemento più importante, perché i maestri e gli altri yogin non hanno previsto alternative.

Poco importa del resto, che sia rivestito dai trentadue segni maggiori di un Risvegliato o che si tratti meramente di un volgare sacco di pelle intorno alle ossa, come dicevano i maestri ch’an. Affliggetevi dunque, solo se siete un robot che sta leggendo queste note: perché sinceramente in tal caso non potrete sperimentare questa meditazione. Perciò, ho un kôan di consolazione: sotto l'albero si mette il cuscino, sul cuscino si pone il corpo, sul corpo si pone la mente, ma sulla mente che cosa si pone? Adesso, riprendiamo, per gli altri. Consolidate i glutei sul cuscino, incrociate le gambe in posizione del loto o mezzo-loto. Raddrizzate il busto e tenete la testa diritta, gli occhi socchiusi, lo sguardo diretto verso la punta del naso ed il suolo. Ponete poi le mani nel grembo. La respirazione viene fatta passare naturalmente dal naso. Comunque, voi accontentatevi solo di essere seduti.

Se seguirete questa prima istruzione, verosimilmente non avrete null’altro che la sensazione di essere banalmente seduti. Restare in questa posizione per una mezz'ora potrà sembrarvi perfino interminabilmente lungo. Allora bisogna forse saper utilizzare qualcosa come un metodo. Per esempio, seguire il movimento della respirazione: che passa dal naso, riempie i polmoni, e riparte per il suo giro. Ma una volta che la mente è unificata, dovrete abbandonare pure questa tecnica. Perché alla fine si scopre di star bene semplicemente seduti senza preoccuparsi del vero e del falso, di una tecnica o di un'assenza di tecnica. Con la mente unificata, si entra allora in un stato di profondo acquietamento.

‘Acquietamento’ non è esattamente la parola giusta, perché la pace è ancora qualcosa che si oppone al turbinìo, al movimento, alla difficoltà. In questo stato di abbandono, una tale opposizione non ha neanche più senso. Cercate di non pensare: "Perché devo meditare?". Perché adesso si tratta precisamente di imparare a godere di un stato senza perché. A dire tutta la verità, la meditazione Zen è una perdita di tempo. Chi mai potrebbe raccomandarla? E tuttavia... Che cos’ è lo Zen?

Lo Zen è una via di autenticità e di risveglio, generata dall'esperienza del Buddha Sâkyamuni. Quest'uomo, che si chiamava Siddharta Gautama, visse nell'India del nord alcuni secoli anteriormente a Gesù Cristo. Egli apparteneva al clan dei Shâkya, della casta dei guerrieri. Lo si diceva destinato ad essere un grande re. Tuttavia, una notte, toccato dagli sconforti del mondo, lasciò il suo palazzo e diventò un asceta errante. Dopo sei anni di macerazioni, decise di rinunciare alle austerità. Riunì alcune erbe e se ne fece un seggio. Allora si sedette diritto, le gambe incrociate nella posizione del loto. Dopo una intera notte di meditazione, siccome contemplava la stella del mattino che impallidiva nel cielo, la realtà gli apparve estremamente chiara. Allora esclamò: "Io e tutti gli esseri sulla grande terra abbiamo realizzato simultaneamente il risveglio". Era diventato il Mahâmuni, "il Grande Saggio", o più comunemente il Shâkyamuni, "il Saggio dei Shâkya". Dopodiché, egli si alzò e andò ad insegnare il Dharma agli uomini per quarantacinque anni.

Lo Zen, in quanto scuola indipendente, si insediò prima in Cina, con il nome di Ch’an, verso il sesto e settimo secolo d.C., e si inscrisse nella corrente detta del Grande Veicolo (Mahayana). Un paio di secoli prima, un misterioso monaco indiano, il bizzarro Bodhidharma, essendo giunto in Cina, si sarebbe ritirato in una grotta a Shaolin ed avrebbe portato, si dice, il fiore dello Zen in queste terre orientali. A lui è attribuita questa poesia:

In origine, sono venuto su questa terra

Per trasmettere l'insegnamento e salvare gli esseri smarriti.

Un fiore si apre in cinque petali,

ed il frutto matura naturalmente.

E infatti cinque scuole Ch’an fiorirono in Cina nelle ere Tu-ang (618-907) e Song (960-1127). Le scuole Lin-ji e So-dong, (Rinzai e Sôtô nella pronuncia giapponese), sono le più conosciute. Lo Zen fu poi trasmesso in tutti i paesi di influenza Cinese, in Viet-nam, in Corea e Giappone, ed anche in Tibet. Insieme ad altri monaci giapponesi, Dôgen (1200-1253), visitò i grandi monasteri della costa della Cina e riportò a sua volta i semi dello Zen nel suo proprio paese. Alcune generazioni dopo di lui, lo Zen diventava una delle principali scuole buddhiste del Giappone.

Lo Zen non è né una ginnastica né una tecnica di benessere. Per tutti coloro che imboccano la Via dello Zen, si tratta di vivere in un modo totale, col corpo e la mente, di impegnarsi a prendersi cura di sé-stessi e del prossimo, di impegnarsi ad affrontare le proprie paure come pure le proprie nevrosi. Se ci si attiene ad una formula classica, la pratica dello Zen consiste nel "risolvere il grande affare della vita e della morte" (come è detto nel Sûtra del Loto). Siamo messi di fronte alle domande fondamentali: quelle sulla sofferenza, sull’angoscia e sulla morte, di noi stessi come degli altri. Sono questi problemi, in fondo, gli unici che ci rodono veramente, e che il buddhismo prende a cuore. Per vivere con dolcezza e risveglio.

L'esperienza concreta dello Zen si rivela nell'approfondimento congiunto della pratica meditativa, intelligente intuizione ed etica morale, i quali corrispondono ai termini in lingua sanscrita di dhyâna, prajñâ e shîla. Insegnare il silenzio interiore, far tacere le lotte ed i conflitti, fu il grande disegno del Buddha per gli uomini. La meditazione è la pratica di questo silenzio. Il Buddha Shâkyamuni ha dichiarato: "Io e tutti gli esseri sulla grande terra abbiamo realizzato simultaneamente il risveglio". Ciò significa che tanto il mondo intero che noi stessi, in origine siamo in pace. Praticare la meditazione, è realizzare e vivere questa pace.

Misteriosamente, la meditazione non porta niente e tuttavia cambia tutto. Sconvolto dalla scoperta di questa pace, ognuno si reinveste dei propri atti con intelligenza. Una tenerezza, una bontà ed una bellezza ne vengono naturalmente liberate. L'etica, una parola che esprime tutta l’accortezza dei nostri atti, manifesta questa intelligenza. Si avvera totalmente nell'amore e la compassione. La vera etica è quella del bodhisattva: ‘non fare il male, fare il bene, e aiutare tutti gli esseri senzienti!’. Princìpi belli, semplici e tuttavia così difficili da mettere in pratica... I semi dello Zen sono già stati seminati in Occidente da una cinquantina di anni. E già numerosi fiori si sono aperti. Sta a noi di saperli cogliere.

Bodhidharma è accreditato di aver portato il buddhismo zen in Cina ed è considerato il primo patriarca del Lignaggio Ch’an Cinese. Si crede che sia nato il 5 ottobre (secondo il Calendario lunare Cinese) nel Sud dell'India, ed è stato il terzo figlio di un re indiano, la famiglia reale apparteneva alla casta Bhramin. Il maestro di Bodhidharma, di nome Prajnatara, era il 27° Patriarca de buddhismo indiano. Egli istruì Bodhidharma per molti anni, gli diede la Trasmissione della Mente, fece di lui il 28° Patriarca, e gli conferì il nome di Bodhidharma. Seguendo le istruzioni del suo Maestro, che gli aveva chiesto di trasmettere il Dharma in Cina, Bodhidharma si recò a sud-est della Cina, nel 526 d.C.. Quando arrivò in Kwang Chou, venne solennemente accolto con favore e grande onore da parte del funzionario militare locale, chiamato Shao Yang. Nello stesso anno, egli fu invitato nella Capitale, Nanjing, per incontrare l'imperatore Wu Di della dinastia Liang. Poiché (come abbiamo visto sopra) la comunicazione tra l'Imperatore e Bodhidharma fu reciprocamente insoddisfacente, Bodhidharma, lasciato il palazzo, attraversò il fiume Yangtzu e continuò a nord fino a giungere al tempio di Shao-Lin nella Provincia di Ho Nan. È qui che Bodhidharma divenne famoso per aver meditato 9 anni di fronte a un muro.
Dopo aver dato al suo discepolo Hui K'o, la Veste, la Ciotola, il Lankavatara Sutra e la Trasmissione della Mente, Bodhidharma andò al Tempio di Chen Sung (dei Mille Santi) per propagare il Dharma. Infine, trapassò nel Nirvana nel 536 d.C., fu poi sepolto sulla Montagna dell’Orecchio dell’Orso (Shon Er Shan) presso Ho Nan, e per lui fu costruito uno stupa nel Tempio Pao Lin. Più tardi, l'imperatore della dinastia Tang, Dai Dzong, conferì a Bodhidharma il nome di Yuen Che (Gran Maestro Zen), e il suo stupa fu rinominato come Kong Kwan (Visualizzazione della Vacuità).

Questi sono alcuni degli insegnamenti di Bodhidharma: Bao Yen Hsin: la disponibilità ad accettare, senza mai lamentarsi, la sofferenza e l'infelicità, perché si capisce che è il proprio karma.

Sui Yen Hsin: la comprensione che tutte le situazioni sono le conseguenze di cause karmiche, e quindi, la capacità di mantenere l'equanimità in tutte le circostanze, sia negative che positive.

Tsung Fa Hsin: La realizzazione attraverso la pratica dell'essenza della nostra natura di Buddha, che è l'equanimità.


 

(Gran parte di questo articolo è tratto da “Bodhidharma e la semplicità dello Zen” - estratto da internet e tradotto da Aliberth. Vedi il riferimento nella pagina del sito: http://www.superzeko.net/dharma_di_aliberth_da_rivedere/articolichanzen41.htm)