Il Madhyamaka è realmente la Via di Mezzo del buddhismo?

di David Burton (Dharmachari Asanga)

http://www.iep.utm.edu/n/nagarjun.htm

 

I.     Una comune accusa fatta contro la filosofia Madhyamaka della ‘vacuità’ (shunyata) è che essa implica il nichilismo. Non si deve guardare oltre le stesse parole di Nagarjuna - come in ‘Stanze sulla Via di Mezzo’, ‘Confutazione delle Obiezioni’ e nei ‘Settanta Versi sulla Vacuità’ - per trovare questo criticismo a lui fatto dai suoi avversari. Se tutto è vuoto, confutano gli avversari, allora non esiste niente del tutto. La filosofia Madhyamaka così distrugge l’intero mondo e con esso la possibilità stessa della vita spirituale buddhista. Tuttavia, il Madhyamika è svelto nel confutare quest’asserzione che la vacuità delle cose significhi che queste cose non esistono affatto. Nagarjuna mette in guardia contro una così nichilistica malinterpretazione della vacuità, dicendo che da questo fraintendimento della vacuità 'una persona di poca intelligenza ne viene distrutta, come da un serpente erroneamente ritenuto lontano o da una parola detta in modo scorretto'. La sua intenzione non è negare il mondo, e non è neanche vero che l'insegnamento della vacuità, se giustamente compresa, distrugga la possibilità della vita spirituale buddhista.

Al contrario, dice Nagarjuna, la vacuità non significa che le entità siano inesistenti, ma piuttosto che sono vuote, cioè prive di un’essenza indipendente o autonoma. Le entità sono senza una esistenza inerente (svabhava). La vacuità denota che le cose esistono, ma la loro esistenza non è mai auto- stabilita. L'esistenza delle entità dipende sempre da diverse circostanze. Alcune di queste circostanze sono esterne alle stesse entità. L'esistenza di un albero, per esempio, dipende da varie estrinseche condizioni - come la terra in cui è radicato, la pioggia, il sole, il seme da cui esso si è sviluppato, e così via. Senza queste circostanze, l'albero non esisterebbe. Però, il Madhyamika dice che, per la loro esistenza, le entità dipendono anche da fattori intrinsechi - cioè, le necessarie diverse parti di cui l'entità stessa è composta. L'albero non può esistere senza i suoi costituenti essenziali, quali le radici, il tronco, i rami, e così via. Quindi, l'albero non ha un'esistenza autonoma. Non può esistere da solo nel mondo, ovvero, non supportato da altre entità e indipendente dalle sue parti indispensabili.

E, secondo il Madhyamika, ciò che a tal riguardo è vero per l'albero, è ugualmente vero per tutte le altre cose. Questo si può più fortemente realizzare nel caso del proprio ‘sé’. La sua esistenza dipende chiaramente da numerosi fattori sia esterni che interni. Ad esempio, la nostra esistenza dipende dalle condizioni ambientali benigne in cui uno vive - che vi sia abbastanza ossigeno da respirare, che il sole riscaldi il mondo ad una temperatura tale da permettere la vita umana, che uno viva in una società pacifica e senza epidemie. Inoltre, la nostra esistenza dipende dal continuato funzionamento delle sue proprie diverse parti - uno cesserebbe di esistere se le sue parti essenziali, quali il suo cuore, polmoni o cervello smettessero di funzionare. In termini di tradizionali categorie buddhiste, la propria esistenza dipende dai cinque costituenti aggregati (skandha) della forma, sensazione, percezione, volizione e coscienza.

Quindi, Nagarjuna può affermare - sia nelle ‘Stanze della Via di Mezzo’ che nella ‘Confutazione delle Obiezioni’ - che è soltanto perché le cose sono vuote, cioè prive di 'esistenza autonoma', che possono entrare in esistenza dipendendo dalle varie circostanze. E piuttosto che l'accettazione, è il rifiuto della vacuità che in effetti distrugge tutte le entità. Se le cose non fossero vuote di esistenza autonoma, allora non potrebbe esserci una spiegazione della molteplice produzione e originazione dipendente delle entità che innegabilmente accade. Il mondo sarebbe immobile e statico, ed evidentemente non è questo il caso. Nagarjuna dichiara che “poiché un fenomeno originato in maniera non dipendente non esiste, di sicuro non esiste un fenomeno che non sia vuoto”.

La vacuità di tutte le cose, secondo Nagarjuna, per il praticante buddhista è assai importante, perché permette la vita spirituale. E’ proprio perché tutte le entità sono prive dell'esistenza autonoma che il cambiamento può accadere. Le cose cambiano quando cambiano le cose da cui esse dipendono. E la pratica buddhista è fondamentale riguardo al cambiamento. Cioè, il buddhismo tratta la trasformazione - per mezzo del comportamento etico, della meditazione, dei rituali, della consapevolezza e così via - di eventi mentali inadeguati in eventi mentali adeguati. Il buddhismo è la progressione da uno stato di non-illuminazione ad uno stato di chiara illuminazione, dall'ignoranza alla saggezza. Se le entità non fossero vuote - se possedessero un'esistenza indipendente non alterata da tutte le altra cose - esse sarebbero immutate ed immutabili. E, quindi, se noi fossimo esseri esistenti in modo autonomo, non potremmo ottenere l’illuminazione, e né realizzare veramente qualunque tipo di progresso spirituale. Saremmo bloccati, spiritualmente parlando, nello stesso punto in cui siamo attualmente. E quindi, l’affermazione del Madhyamaka è che tutte le cose - compresa, attenzione, la stessa vita spirituale - sono rese possibili grazie alla vacuità. La contesa che le entità non sono vuote contraddice la realtà, empiricamente verificabile, che le cose cambiano quando si alterano i fattori su cui queste cose si appoggiano e, inoltre minaccerebbero totalmente la possibilità della trasformazione di tipo spirituale. Come dice Nagarjuna, “Poiché la vacuità esiste, tutte le cose sono possibili. Perché se la vacuità non esistesse, niente sarebbe possibile”. L'insegnamento della vacuità è dunque un'affermazione della interrelazione dinamica di tutte le cose.

Perciò, l'insegnamento Madhyamaka della vacuità sembra voler ristabilire l’importante e venerabile insegnamento buddhista dell’originazione dipendente (pratiityasamutpada). Infatti, Nagarjuna afferma nell’auto-commentario alla ‘Confutazione delle Obiezioni’ che vacuità ed originazione dipendente sono sinonimi. Ed in ‘Settanta Versi sulla Vacuità’ egli dichiara che “poiché tutte le entità sono vuote di esistenza inerente, l’ineguagliato tathagata insegnò l’originazione dipendente delle entità”. Quindi, il rifiuto del Madhyamaka dell'accusa di nichilismo è così espresso da Candrakiirti nel suo commento su ‘Stanze sulla Via di Mezzo’ di Nagarjuna: “Qualcuno continua ad insistere che i Madhyamika non sono differenti dai nichilisti, poiché il Madhyamika dice che buone e cattive azioni, l'agente, le conseguenze degli atti, e l'intero mondo, tutto è privo di una natura inerentemente reale. Poiché i nichilisti dicono anche che queste cose non esistono, per alcuni il Madhyamika è uguale al nichilismo. Rispondiamo che non è così. Perché? Perché il Madhyamika è fautore dell’originazione dipendente. Esso, avendo compreso le cause e le circostanze, spiega che l'intero mondo presente e futuro è senza una inerente esistenza, perché originato dipendentemente”.

In questo caso, appare che la filosofia Madhyamaka, in realtà, non stia dicendo nulla di nuovo. Il Madhyamaka sta riaffermando una dottrina che sembra essere al cuore del buddhismo da tempi assai più antichi. La dottrina della vacuità - intesa come restaurazione della dipendentemente originata natura di tutte le cose - è la vera filosofia della Via di Mezzo (Madhyamaka), che evita gli estremi del nichilismo (che dice che tutte le entità sono in realtà inesistenti) e dell’eternalismo (che dice che tutte o alcune entità hanno in realtà esistenza indipendente dalle cause e dalle condizioni). La Via di Mezzo dell’originazione dipendente promulgata da Siddhartha Gautama è stata espressa dal Madhyamaka ancora una volta, anche se in una forma alquanto nuova e più sviluppata. Motivo per cui, l’accusa di nichilismo è facilmente confutata.

 

II.   Tuttavia, l’accusa di nichilismo in realtà è più pesante di quanto questa analisi indichi. Cercherò di spiegarlo. Il Madhyamika non solo afferma che la vacuità, cioè l'assenza di esistenza inerente delle entità, significa che queste entità originano dalla dipendenza da cause e condizioni (le circostanze). Ma, molte dichiarazioni del Madhyamaka indicano inoltre che tutte le entità sono prive dell'esistenza inerente, nel senso che sono costruzioni concettuali, montature mentali. Infatti, non è giusto dire che l'albero, per esempio, provenga dal suo dipendere da numerose condizioni - come l'acqua, la terra, il sole, il seme. Si dà il caso, infatti, che l'albero, l'acqua, la terra, il sole, il seme, ecc. provengano tutti dal dipendere dalla mente. Poiché a volte questo è espresso nei testi Madhyamaka, tutte le entità sono semplicemente convenzioni (sa.mv.rti) o ideazioni e fantasie (kalpana, parikalpa e vikalpa). Ed altre affermazioni Madhyamaka dichiarano che le entità sono solo-nomi (namamatra) e che hanno un’ esistenza soltanto concettuale (praj~naptisat). Nel Madhyamaka Tibetano (Prasa'ngika), si dice che le cose non abbiano esistenza ‘dalla loro propria parte’ (rang ngos nas grub pa) e né esistenza ‘dalla parte della base di designazione’ (gdags gzhi’i ngos nas grub pa). Ecco perché il Madhyamika  spesso paragona tutte le entità ad illusioni, sogni, miraggi e così via. Le entità sono simili ad illusioni, etc.- semplicemente ideazioni, mere apparenze nella mente che non hanno una ulteriore realtà. Ecco perché nei testi Madhyamaka si trovano dichiarazioni che le entità dipendentemente originate in realtà non sono originate. In altre parole, l’intero mondo delle entità originate dipendentemente è semplicemente una ‘fantasmagoria’, uno ‘show’, una creazione mentale, una mera apparizione. E così per il Madhyamaka la vacuità, cioè l’assenza dell'esistenza inerente di tutte le cose, nell'analisi finale non significa semplicemente che tutte le cose hanno un’originazione dipendente. Essa, in più significa che tutte queste cose che originano dipendentemente sono pure e semplici costruzioni mentali.

Ma come giunge a questa conclusione il Madhyamika? La contesa del Madhyamaka appare essere che l'originazione dipendente delle entità richieda che queste entità in realtà siano vere costruzioni concettuali. Ecco perché un'entità, in virtù della sua originazione in dipendenza delle varie circostanze interne ed esterne, è sempre analizzabile in queste condizioni. Quindi, secondo Madhyamaka, l'entità è semplicemente un nome o un concetto attribuito alla aggregazione delle condizioni. Il Madhyamika ci sfiderebbe tutti ad esaminare qualunque entità. Un albero, per esempio, è fatto di vari componenti - il tronco, le radici, i rami, la corteccia, le foglie e così via. E l'albero inoltre dipende dai vari fattori esterni, quali il terreno, il sole, l’acqua, e così via. Il Madhyamika sostiene che, se si esamina l'entità denominata ‘albero’, si trova che, in realtà, non c’è nient’altro se non queste varie parti e condizioni esterne che operano in congiunzione. Non esiste, in effetti, una separata ‘entità-albero’. Poiché il Madhyamika a volte insiste su questo punto, un'entità, tutte le entità, una volta analizzate, in realtà sono realmente introvabili. Quando per esempio si cerca l'entità-albero, essa, per così dire, si dissolve nei suoi componenti e condizioni esterne. In realtà, direbbe il Madhyamika, l'entità che denominiamo ‘albero’ è semplicemente un nome, un concetto, che la mente attribuisce a queste varie condizioni. Non c’è un’entità-albero indipendente dalla mente. Quindi, l'originazione dipendente significa che le entità originate dipendentemente hanno un'esistenza semplicemente concettuale.

Il buddhismo è ben noto per aver portato avanti questa sorta di analisi riguardo al 'sé’(atman). Se lo si esamina, si scopre che il ‘sé’ è composto di cinque fattori psicofisici in continuo cambiamento. Forma fisica, sensazioni, concezioni, volizione e coscienza. Ciò che uno chiama ‘il sé’ è soltanto l'interazione ed il costante flusso di questi vari fattori. Se uno guarda attentamente alla propria esperienza, non vi è, discutibilmente, alcun fattore aggiuntivo che possa essere chiamato il ‘sé’. Dunque, il ‘sé’ è solo un nome, un concetto, che è attribuito dalla mente a questo processo psicofisico sempre mutevole. A tal riguardo, il noto saggio ‘Milindapânha’, paragona il ‘sé’ ad un carro che, in realtà, (è detto) essere semplicemente un nome imputato all'assemblaggio delle sue parti - le assi, le ruote, la struttura, le redini, il giogo, e così via. Il Madhyamaka applica questo ragionamento ad ogni cosa. Proprio come il ‘sé’, o un carro, non può sostenere l'analisi, la stessa cosa accade con tutte le entità. Se si esamina qualunque entità, essa può essere analizzata nelle condizioni interne ed esterne. Si troverà che la stessa entità non è nient'altro che un nome o un concetto usato per identificare la congiunzione di queste condizioni. Queste stesse condizioni potranno essere analizzate come meri nomi o concetti usati per identificare le loro proprie condizioni e così via. In nessun caso un'entità è un qualcosa in "né; non può esistere inerentemente, indipendentemente dalla mente. In tutti i casi, in altre parole, si troverà che tutte le entità sono vuote. Perciò, ogni qualsiasi entità è semplicemente un nome, un concetto, una fabbricazione mentale, senza una reale esistenza.

Tuttavia, secondo il Madhyamaka, non si deve fare l'errore di pensare che la mente stessa sfugga a questa analisi. Anche la mente è vuota. Una volta analizzata, si riconosce che anch’essa è soltanto un nome o un concetto dato ai suoi componenti e condizioni esterne. E questi componenti e condizioni esterne sono anch’essi riconducibili allo stesso tipo di analisi fatta nei riguardi dei loro componenti e condizioni esterne. Questa sembra essere la principale obiezione del Madhyamaka alla filosofia del Yogachara, un'obiezione che ha stimolato sostenute critiche dai Madhyamika al dogma affermato dal Yogachara, e cioè che la coscienza o la mente abbia un’esistenza inerente. Il Madhyamika insiste che l’intero mondo - sia fisico che mentale - è dipendentemente originato e quindi ha un'esistenza solo concettuale.

Questa affermazione del Madhyamaka, che tutto è fabbricato mentalmente, nondimeno è certamente problematica. Contrariamente alla posizione Madhyamaka, essa non sembra seguire il fatto che, dato che tutte le entità possono essere analizzate in termini delle loro condizioni interne ed esterne, le stesse entità non sono nient'altro che nomi o concetti attribuiti all’aggregazione delle condizioni. L'equazione Madhyamaka dell'esistenza originata dipendentemente con l'esistenza concettuale è un pò discutibile. È vero che le entità esistono in dipendenza dalle circostanze interne ed esterne. Però, questo non comporta che queste entità siano mere fabbricazioni mentali. Discutibilmente, un'entità può essere una realtà indipendente dalla mente, ma tuttavia per la sua esistenza dipende da una certa varietà di condizioni esterne e di componenti essenziali. Un albero, per esempio, può esistere indipendentemente dalla mente anche se esso dipende da numerosi condizioni e componenti esterni per la sua esistenza. Un'entità non è necessariamente solo un concetto, totalmente riducibile a fattori intrinsechi ed esterni da cui la sua esistenza dipende. L’affermazione Madhyamaka - estrema forma di riduzionismo ontologico - che le entità che possono essere analizzate nelle condizioni esterne ed interne hanno un'esistenza soltanto concettuale, appare venir messa in dubbio. Infatti, sembrerebbe che molti buddhisti e non-buddhisti avessero trovato inaccettabile l’affermazione Madhyamaka che tutte le entità hanno un'esistenza soltanto concettuale. La loro obiezione sarebbe che, anche se è vero che tutto origina dipendentemente, non è vero che qualsiasi cosa sia una costruzione mentale. Qui si può vedere perché gli avversari del Madhyamaka - rappresentati anche nei testi Madhyamaka - accusano il Madhyamika di nichilismo. Forse essi ne hanno un motivo, dopo tutto. Perché un mondo totalmente fabbricato - senza una qualche base che sia reale, cioè qualcosa più di una costruzione concettuale - sembrerebbe essere difficilmente distinguibile da un mondo che nella realtà sia inesistente. Le cose costruite concettualmente, si potrà confutare, hanno bisogno di una base non-costruita su cui poter essere costruite. Inoltre, la costruzione concettuale richiede un agente della costruzione - qualcuno o qualcosa che stia facendo la costruzione - che non sia esso stesso una costruzione concettuale. E quindi, il Madhyamika forse è andato troppo oltre nell'asserire una natura di tutte le cose che sia soltanto fabbricata. La filosofia Madhyamaka, si potrebbe allora affermare, dopo tutto può non essere la Via di Mezzo, essendo in qualche modo caduta nell'estremo del nichilismo.

 

III.   Tuttavia, i testi del Madhyamaka sono notoriamente difficoltosi da districare e spesso possono ammettere una varietà di interpretazioni. È inoltre possibile che la tradizione Madhyamaka non sia stata totalmente costante al suo interno. Può esservi più di una posizione filosofica avanzata nei testi del Madhyamaka. Inoltre, può essere che il Madhyamika in alcuni aspetti non abbia considerato le possibili implicazioni delle sue dichiarazioni spesso laconiche e che alcune di queste dichiarazioni possano esser state compatibili con più di una posizione filosofica. Studiando il Madhyamaka, spesso si affronta il problema di una incertezza interpretativa. Ma è proprio questa incertezza interpretativa che può forse offrire una possibile via d’uscita dal guazzabuglio nichilistico. Mentre questa lettura del Madhyamaka che ho presentato è supportata da molti passaggi testuali e l'interpretazione nichilistica del Madhyamaka è quindi plausibile, essa non può essere l'unica comprensione del Madhyamaka che dev’essere sostenuta. Benché si creda che l'interpretazione nichilistica del Madhyamaka è una lettura credibile di molti testi Madhyamaka, vale la pena di investigare alcuni modi in cui il Madhyamika sta sostenendo che le cose hanno un'esistenza fabbricata e costruita concettualmente, evitando l’accusa di nichilismo. Considereremo brevemente tre letture non-nichilistiche di questa contesa Madhyamaka.

      (1) La Vacuità e l’Incondizionato. L'interpretazione nichilistica del Madhyamaka dice che tutto è vuoto nel senso che ogni cosa è priva di esistenza inerente, il che significa sia che tutte le cose sono originate dipendentemente e che tutte queste cose dipendentemente originate sono mere costruzioni mentali. Ma sicuramente, si potrebbe supporre, per il Madhyamaka questa filosofia della vacuità non si applica al nirvana? I buddhisti dicono spesso che il nirvana è una stato incondizionato (asamskirta) raggiunto dalla persona liberata. C’è un certo spazio per l'interpretazione riguardo la natura di questo stato incondizionato. Tuttavia, alcuni testi buddhisti sembrano suggerire che è una realtà permanente che oltrepassa il mondo condizionato (samskirta) delle entità originate dipendentemente, una realtà permanente che è appresa dalla persona liberata ed in cui, sembra, la persona liberata passi - in un certo indefinito senso - dopo la sua morte (parinirvana). È un vero rifugio e fonte di reale felicità, diverso dalle condizionate cose mondane di questo mondo. In questo caso, l’affermazione buddhista che tutte le cose sono originate dipendentemente significa realmente che ogni cosa condizionata è originata dipendentemente. Al contrario, l’Incondizionato non è soggetto all’originazione dipendente. Similmente, l’affermazione del Madhyamaka che tutto è una fabbricazione mentale probabilmente si applica soltanto al mondo condizionato, mentre per il Madhyamika c’è una Realtà Incondizionata che è reale, non-fabbricata e piena di beatitudine.

Ci sono diversi testi del Madhyamaka che potrebbero essere intesi come sostegno per una tale Realtà Incondizionata. I passaggi che potrebbero sostenere una lettura del Madhyamaka in questo modo si trovano anche nelle scritture attribuite a Nagarjuna stesso, specialmente ma non esclusivamente, nel corpus dei suoi ‘inni’. Quindi, per esempio, ‘l’Inno all’Inconcepibile’ dice che, “La convenzionalità sorge da cause e condizioni, ed è dipendente. Il dipendente è proclamato [dal Buddha] in questo modo. Ma la Realtà Ultima è increata. Inoltre, essa è denominata svabhava, natura, realtà, sostanza, essenza, ed essere reale”.

Questa Realtà Incondizionata può essere denominata ‘vacuità’, ma non nel senso che sia priva di esistenza inerente. Piuttosto, questa Realtà Incondizionata è vuota nel senso che è aldilà di tutti i termini, oltre ogni concettualizzazione, ed è priva di tutte le contaminazioni del mondo condizionato. Nelle opere del Madhyamaka vi sono certamente passaggi che si riferiscono alla realtà ineffabile che è oltre ogni concettualizzazione. Dunque, il testo ‘Stanze della Via di Mezzo’ dichiara: “Essa è calma, non dipendente da altro, non diffusa tramite diffusione verbale, libera da discriminazione concettuale, senza differenze - questa è la descrizione della Realtà”.

In questo caso, persino la parola ‘vacuità’ è solo un mero sostegno provvisorio, che nel migliore dei casi ci indirizzerà verso la ineffabile realtà che le parole non possono possibilmente descrivere. Nel parlare della Realtà Incondizionata, sono adatte soltanto le metafore ma non le descrizioni. Vi è sempre un grado di distorsione o falsificazione della Realtà Incondizionata ogni volta che è espressa con parole, e tuttavia alcune parole sono richieste per aiutare coloro che non hanno ancora realizzato questa Realtà Incondizionata. Come dichiara Candrakiirti: “Quale ascolto e quale insegnamento può esservi della Suprema Verità (Dharma)? Ma però, la Verità Ineffabile è ascoltata ed insegnata tramite la sovrimposizione”.

Perfino la vacuità è essa-stessa vuota, cioè incapace di descrivere la Realtà Incondizionata così come è realmente. Essa stessa è una sovrimposizione (samaropa). Questo spiega, si potrebbe dire, ciò che comunemente sostiene il Madhyamaka, e cioè che il Madhyamika non ha punti di vista (d.r.s.ti), né posizioni (pak.sa) e né tesi (pratij~na). Il Madhyamika, secondo questa interpretazione, non ha alcuna posizione filosofica riguardo alla natura della Realtà Incondizionata, sapendo che questa realtà è in realtà assolutamente ‘indescrivibile’.

Chiaramente, si può discutere riguardo al fatto se questa nozione di una ‘Realtà indescrivibile’ possa essere comprensibile. Si potrebbe obiettare che l’affermazione che la realtà è indescrivibile è in sé già una descrizione di questa realtà. Ed è forse difficile comprendere come il Madhyamika possa evitare l’incoerenza, se poi tratta con le metafore piuttosto che con le descrizioni, che il suo affermare che la Realtà Incondizionata è ‘Incondizionata’, permanente e non-fabbricata...

Lasciando da parte questi sofismi filosofici, una tal comprensione del Madhyamaka non deve negare che il Madhyamaka insegna che le cose del mondo condizionato sono tutte interamente vuote, nel senso che sono produzioni mentali. Ma questo senso mondano di vacuità deve essere complementato dall'insegnamento di una più elevata vacuità, che ci indirizzi verso la ineffabile Realtà Incondizionata. Tuttavia, qui siamo ancora di fronte al problema dell’incertezza interpretativa. Perché molti dei testi Madhyamaka sembrano implicare che la vacuità non sia una ineffabile Realtà Incondizionata, essa stessa esentata dalla regola generale che tutte le entità sono vuote di esistenza inerente. Piuttosto, la vacuità non è altro che la verità 'ultima’ del modo di essere delle entità - come realmente sono. È solamente la loro pura e semplice mancanza di esistenza inerente. ‘L’Inno all’Inconcepibile’ dice che “la verità ultima è l'insegnamento che gli oggetti sono senza un’esistenza inerente”. E nel ‘Settanta Stanze sulla Vacuità’ Nagarjuna dichiara che l'Assoluto non è nient'altro che l'insegnamento che le cose sono originate dipendentemente, poiché sono prive di esistenza inerente.

Inoltre, la nota affermazione di Nagarjuna che “Non vi è differenza fra samsara e nirvana” può essere interpretata col significato che, proprio come le entità che costituiscono l'esistenza ciclica, anche il nirvana, come non-prodotta Realtà Incondizionata, è anch’esso ideazione, una creazione mentale. Quindi, lo stesso Candrakiirti afferma che il nirvana è una mera convenzione ed è privo dell'esistenza inerente. Ed in effetti non è una vera Realtà inerentemente Incondizionata. È pur vero che queste dichiarazioni potrebbero essere lette come un attacco al termine ‘nirvana’, inteso come se denotasse in modo ultimo che esso sia realmente una realtà ineffabile. Ma è anche possibile che Nagarjuna e Candrakiirti qui stiano negando la stessa realtà ineffabile e non solo la capacità del termine ‘nirvana’ di descriverla. In quest’ultimo caso, sembrerebbe che l'unico genuino nirvana che il Madhyamika può accettare sia lo stato psicologico di libertà dall’attaccamento, dalla bramosia e dalla sofferenza, che presumibilmente deriva dalla realizzazione che tutte le cose sono vuote. Come dichiara il ‘Sessanta Versi di Ragionamento’, “la totale conoscenza del samsara ‘è nirvana'.” In questo verso, Candrakiirti osserva che la totale conoscenza in questione, è che il samsara sorge senza un’esistenza inerente. Ed il Nirvana - lungi dall’essere un ontologico reame non-fabbricato e incondizionato - è semplicemente la comprensione profonda della natura meramente convenzionale di tutte le cose.

I testi del Madhyamaka che dichiarano che il Madhyamika non ha visioni posizioni, o tesi, devono così essere intesi col significare soltanto che il Madhyamika non ha punti di vista, posizioni o tesi che possano asserire l'esistenza inerente di una qualche cosa. Il Madhyamika asserice la vacuità, cioè l'assenza di esistenza inerente, di tutte le entità. Questa vacuità è permanente soltanto nel senso che l'assenza di esistenza inerente è sempre e dovunque la reale natura delle cose. La vacuità è vacuità della sedia, vacuità dell'albero, vacuità della persona, e così via. Quindi, la tradizione Madhyamika del buddhismo Tibetano (dGe lugs), dice che “ci sono altrettante ‘vacuità’ quante sono le entità”. Vi è una vacuità, un'assenza di esistenza inerente, per ogni e qualsiasi cosa. La vacuità è essa stessa vuota, secondo questa interpretazione del Madhyamaka, precisamente perché non è ‘un’autonoma’ Realtà Incondizionata. Al contrario, la vacuità esiste soltanto in dipendenza delle cose di cui è vacuità. Senza le entità, non ci sarebbe la vacuità. La vacuità stessa è originata dipendentemente.

Questo disaccordo sul significato della vacuità comporta, o è prodotto da, interpretazioni abbastanza incompatibili e divergenti della filosofia Madhyamaka. Da un lato, si interpreta il Madhyamaka nel suo asserire che la realtà è ‘semplicemente la mancanza di esistenza inerente di tutte le entità’. Dall’altro, c’è la comprensione che il Madhyamaka sostenga, inoltre, una ulteriore Realtà - una Vacuità Suprema - che è assolutamente aldilà di tutte le categorie concettuali e linguistiche. Essa è indescrivibile ed indefinibile. Il Madhyamaka interpretato in quest’ultimo senso non è nichilismo, si potrebbe dire, dato che anche se il mondo condizionato è intravisto come totalmente fabbricato, per il Madhyamika pure vi è una Realtà Incondizionata interamente non-fabbricata. Tuttavia, si potrebbe obiettare che una tale versione del Madhyamaka semplicemente riunisce il nichilismo, circa il mondo condizionato e fabbricato, insieme ad una credenza eternalistica in un nirvana permanente e pieno di beatitudine. Se questa obiezione è corretta, lungi dal percorrere una Via di Mezzo, un tale Madhyamika sembra cadere simultaneamente in entrambe le visioni estreme.

(2) Il Madhyamaka come Processo Filosofico. Una lettura nichilistica del Madhyamaka sostiene che per il Madhyamaka tutte le cose sono costruzioni concettuali. Non c’è alcuna base non-costruita su cui la costruzione concettuale avviene. Ma forse il Madhyamika potrebbe sostenere che, anche se tutte le entità effettivamente sono costruite concettualmente, nondimeno, non c’è alcun substratum  increato per le costruzioni concettuali. Questo substratum deve essere considerato come un flusso libero di entità in puro cambiamento, senza divisioni o distinzioni. Quando la costruzione concettuale avviene, questo processo indifferenziato si trasforma, per così dire, in singole entità distinte. Quello che però c’è realmente, è il flusso libero di entità in continuo mutamento. Il molteplice mondo delle entità è una sovrapposizione su questo flusso fondamentale e non-prodotto. In questo modo, viene evitato il nichilismo, perché c’è un substratum in base a cui la costruzione concettuale può avvenire. E inoltre l’affermazione del Madhyamaka che tutte le entità sono costruzioni concettuali o convenzioni è conservata, perché il substratum non è in se stesso un’entità - esso è la ‘sostanza’ indifferenziata da cui è manifestato il mondo concettualmente costruito delle entità.

Vi è, tuttavia, una difficoltà che sembra avere una scarsa prova testuale nel dare esplicito sostegno a questa lettura del Madhyamaka. Se il Madhyamika pensasse davvero che ci sia un tale indifferenziato substratum per le entità concettualmente costruite, per quanto posso vedere, certamente esso non ha espresso questo punto vitale nei suoi testi. L'interpretazione quindi è alquanto speculativa, non essendo radicata in una vera e propria prova testuale. Tuttavia, si potrebbe sostenere che, benché il Madhyamika non riporti che vi sia un tal substratum, esso rimane una possibile soluzione filosofica al problema del nichilismo, che è compatibile con ciò che esso proclama.

Nondimeno, benché superi il problema del nichilismo, questa lettura coinvolge i suoi stessi problemi filosofici, due dei quali io evidenzierò. In primo luogo, si può discutere che l'idea del ‘cambiamento’ presuppone sempre un qualcosa che stia cambiando. Il cambiamento è discutibilmente sempre una caratteristica di un'entità. La nozione di cambiamento senza un'entità di cui è il cambiamento, è forse incomprensibile. In altre parole, la nozione di un substratum -entità libero da cambiamento, su cui sono imposte entità costruite concettualmente, appare incoerente. In secondo luogo, non è del tutto chiaro che sia corretto sostenere che il mondo, dato che esiste indipendentemente dalla mente che lo fabbrica, sia indifferenziato in distinte entità. Questa interpretazione è filosoficamente sospetta, in quanto contende che tutte le distinzioni, tutte le differenziazioni fra, ed all'interno delle entità, sono il risultato di una costruzione concettuale. Ciò sembra dare alla mente fabbricante un’eccessivo potere. Sembra molto più probabile che molte delle distinzioni che avvengono fra, ed all'interno delle entità, abbiano come base una realtà indipendente dalla mente, anche se questa realtà ‘indipendente dalla mente’ è distorta o aggiunta nel processo di percezione di essa.

(3) La Vacuità come Dottrina Epistemologica. In questo caso, il Madhyamika significa forse che, anche se il mondo non è interamente una fabbricazione mentale, è difficile districare che cosa il mondo sia realmente, se esiste indipendentemente dalla nostra mente, dalle interpretazioni e dalle valutazioni che uno sovraimpone al mondo. Sembra innegabile che molte delle nostre percezioni ed interpretazioni del mondo sono pesantemente influenzate dai nostri pregiudizi e fantasie. Dal punto di vista buddhista, (si pensa) che noi siamo afflitti dalla fantasia che le entità abbiano una permanenza e un'affidabilità che in realtà esse semplicemente non hanno. Secondo l'analisi buddhista, sulla base di queste fantasie, noi bramiamo, poi restiamo attaccati e quiindi soffriamo. Faremmo bene, pensano i buddhisti, a vedere queste fantasie per ciò che esse sono. Dobbiamo, in questo caso, vedere che la permanenza e l'affidabilità che attribuiamo alle cose che desideriamo, non sono realmente inerenti nelle entità stesse; queste caratteristiche delle cose, sono semplicemente le false attribuzioni della nostra mente illusa e ingannata. Le cose sono sicuramente vuote di permanenza ed affidabilità, che la nostra mente tende a sovraimporre su di esse.

Inoltre, c’è un serio problema epistemologico nello stabilire che il mondo esiste indipendentemente dalle nostre percezioni cariche di interpretazioni su di esso, dato che la nostra apprensione del mondo è necessariamente così come il mondo è percepito, non come esso è in sé-stesso. Uno non può mai uscire dalle sue percezioni, per così dire, al fine di vedere il mondo come esso realmente è, dato che questo stesso modo di vedere sarebbe in se stessa una percezione. Quindi, quando il Madhyamika dice che le entità sono prive di esistenza inerente, forse esso intende che le entità ‘così come sono percepite’ sono prive di esistenza inerente, perché proprio questa percezione delle entità è realmente un contributo della mente percipiente. Le entità sono vuote di esistenza inerente, - cioè sono costruzioni concettuali o mere convenzioni - fino al punto che le entità percepite sono sempre conformi alla struttura interpretativa del percettore.

L’affermazione che un mondo indipendente dalle nostre percezioni per noi è inaccessibile, è alquanto diversa dalla nichilistica posizione che ‘tutto è fabbricato’. Si sta dicendo che l'apprensione delle cose comporta necessariamente una fabbricazione, a causa dei contributi interpretativi del percipiente, ma non si sta dicendo che le cose stesse, indipendentemente dalla loro apprensione, non esistano. Uno, tuttavia, potrebbe ritenere alquanto sospetta questa interpretazione del Madhyamaka, perché sembra trasformare la filosofia Madhyamaka in una specie di ‘Kantianismo’. Quindi, potrebbe essere fatta una accusa di anacronismo. Tuttavia, non è certo impossibile che tradizioni filosofiche di distinti periodi e culture potrebbero sviluppare comprensioni simili. Ed a sostegno di una lettura del Madhyamaka fatta in questo modo, probabilmente vi è una sicura prova testuale.

C’è da considerare un’estesa critica nel testo ‘Confutazione delle Obiezioni’ (e nel relativo commento) dei mezzi di conoscenza (pramaa.na) e degli oggetti di conoscenza (prameya). Nagarjuna tenta di dimostrare che non c’è modo di provare che i mezzi di conoscenza - identificati come la percezione, il ragionamento deduttivo, l'analogia e testimoni verbali - possano realmente apprendere gli oggetti di conoscenza come essi esistono indipendentemente dalla mente. Sembra, quindi, che l'intenzione di Nagarjuna in questa critica non è di dimostrare che non vi siano entità indipendenti dalla mente, ma piuttosto che non si può stabilire che i nostri mezzi per conoscere questi oggetti possano apprenderli così come realmente sono, senza distorsioni o sovrapposizioni.

Perdipiù, il ‘Trattato di Polverizzazione’ (ed il suo commento) sottolinea la reciproca dipendenza dei mezzi di conoscenza con l'oggetto di conoscenza. Probabilmente, il punto è che la conoscenza richiede un oggetto (per poter essere conoscenza di qualcosa) però l'oggetto così come è conosciuto (in contrasto a come esso è in "né) viene alterato dallo stesso atto di conoscerlo. Gli oggetti così come sono in se stessi, sono inaccessibili alla mente. Gli oggetti, nel modo come sono conosciuti, sono mere convenzioni e sono privi di esistenza inerente, così come l'entità in sé-stessa che rimane celata dietro il velo dell’attività interpretativa propria della mente.

In questa lettura del Madhyamaka, il nichilismo è sostituito dallo scetticismo. Il proclama ontologico che tutte le entità sono mere fabbricazioni è soppiantato dalla nozione epistemologica che tutte le entità, nel modo come esistono in se stesse, sono inconoscibili, ed oscurate dall'attività fabbricativa della mente. La filosofia Madhyamaka della vacuità traccia la ‘Via di Mezzo’ fra il proclama nichilistico che tutto è completamente una fabbricazione, e l’ingenua pretesa dei ‘realisti’, i quali affermano che uno ha accesso al mondo non-fabbricato così come realmente è. Tuttavia, potrebbe essere obiettato che questo scetticismo è troppo rigido nel dividere le cose indipendenti dalla mente, dai nostri sforzi per poterle apprendere. Forse è più esatto dire che le cose in se stesse sono da noi conosciute - sono presenti davanti a noi quando le conosciamo - ma questa conoscenza nondimeno è sempre una sorta di patteggiamento fra l'entità conosciuta ed il conoscitore.

Diversa dallo scetticismo che ho descritto, questa posizione - che potrebbe essere chiamata ‘realismo prospettivo’ - affermerebbe che l'entità indipendente dalla mente non è inaccessibile. Purtuttavia, diversamente dal realismo ingenuo, essa riconosce che i limiti ed i contributi interpretativi del conoscitore richiedono che l'entità conosciuta non è mai completamente disponibile per noi. La nostra apprensione dell'entità è sempre mediata dalla mente conoscente e dal relativo apparato percettivo. Tuttavia, questa mediazione non ci taglia fuori dalle cose che sono indipendenti dalla mente. Anzi, al contrario, è il nostro solo modo di accedere ad esse. Ma ciò però comporta che il nostro accesso sia sempre incompleto ed imperfetto. Questo tipo di ‘realismo prospettivo’ sembra essere compatibile con le dichiarazioni del Madhyamaka che ‘prameya e pramaa.na’ sono reciprocamente dipendenti e che i pramaa.na (mezzi di conoscenza) non possono essere stabiliti conoscendo i prameya (oggetti della conoscenza) poiché sono indipendenti dalla mente. Le entità, così come sono conosciute, sono vuote nel senso che esse originano in dipendenza sia dell'entità indipendente dalla mente, che dalla mente conoscente. Ma questo non significa che l'entità indipendente dalla mente rimane interamente a noi nascosta. Qui, la Via di Mezzo è fra lo scetticismo ed il realismo-naif, dato che il Madhyamika riconosce che le cose indipendenti dalla mente possono essere apprese - non c’è un impenetrabile solco fra la mente e la realtà - ma anche che l'apprensione di queste cose proviene sempre da una posizione di particolare vantaggio.

 

Opere citate in Sanskrito, Tibetano e Pali.

Acintyastava. In Lindtner, C. 1982. Nagarjuniana. Studies in the Writings and Philosophy of Naagaarjuna. Delhi: Motilal Banarsidass, pp. 140-61.

Hastavaalanaamaprakara.na. In Tola F. and Dragonetti, C. 1995. On Voidness. A Study on Buddhist Nihilism. Delhi: Motilal Banarsidass, pp. 6-9.

Lokaatiitastava. In Lindtner, C. 1982. Nagarjuniana. Studies in the Writings and Philosophy of Naagaarjuna. Delhi: Motilal Banarsidass, pp. 128-39.

Madhyamakaavataarabhaa.sya. La Vallée Poussin, L. 1970 (reprint). Madhyamakaavataara par Candrakiirti. Bibliotheca Buddhica IX. Biblio Verlag: Osnabruck.

Madhyamakakaarikaa and Prasannapadaa. Vaidya P. L. 1960. Madhyamaka'saastra of Naagaarjuna with the Commentary: Prasannapadaa by Candrakiirti. Darbhanga: The Mithila Institute.

Milindapa~nha. V. Trenckner. 1880. Milindapa~nha. Oxford: Pali Text Society.

Ratnaavalii. Hahn, M. 1982. Naagaarjuna’s Ratnaavalii. Vol. 1. The Basic Texts. Bonn: Indica et Tibetica Verlag.

Satyadvayaavataara. In Lindtner, C. 1981. ‘Ati'sa’s Introduction to the Two Truths, and its sources.’ Journal of Indian Philosophy 9, pp. 161-214.

'Suunyataasaptatikaarikaa. In Lindtner, C. 1982. Nagarjuniana. Studies in the Writings and Philosophy of Naagaarjuna. Delhi: Motilal Banarsidass, pp. 34-69.

Vaidalyaprakara.na. Tola, F. and Dragonetti, C. 1995. Naagaarjuna’s Refutation of Logic (Nyaaya). Delhi: Motilal Banarsidass.

Vigrahavyaavartanii. Bhattacharya, K. 1990 (3rd. ed.). The Dialectical Method of Naagaarjuna. Delhi: Motilal Banarsidass.

Yuk.ti.sa.s.tikaakaarikaa. In Lindtner, C. 1982. Nagarjuniana. Studies in the Writings and Philosophy of Naagaarjuna. Delhi: Motilal Banarsidass, pp. 102-19.

Yukti.sa.s.tikaakaarikaav.rtti. Scherrer-Schaub, C.A. 1991. Yukti.sa.s.tikaav.rtti. Commentarie à la Soixantaine sur le Raisonnement ou du Vrai Enseignement de la Causalité par le Maître Indien Candrakiirti. Bruxelles: Institut Belge Des Hautes Etudes Chinoises.            

http://www.westernbuddhistreview.com/vol3/madhyamaka.html#_ednref1Notes.

 

Note.

See Madhyamakakaarikaa XXIV, 1-6; Vigrahavyaavartanii 1-20; 'Suunyataasaptatikaarikaa 15. Madhyamakakaarikaa XXIV, 11. See also Ratnaavalii II, 19.

For Naagaarjuna’s description of svabhaava as uncreated, independent existence, see Madhyamkakaarikaa XV, 1-2.

Madhyamakakaarikaa XXIV, 36. Madhyamakakaarikaa XXIV, 19.

See the auto-commenatary to Vigrahavyaavartanii 70. Vigrahavyaavartanii 70.

Auto-commentary to Vigrahavyaavartanii 70. This point is also made by Candrakiirti at Prasannapadaa 504.

'Suunyataasaptatikaarikaa 68. Prasannapadaa 368.

For Naagaarjuna’s advocacy of the Middle Way, see Madhyamakakaarikaa XXIV, 18; Vigrahavyaavartanii 22 (and the auto-commentary to 70); Lokaatiitastava 22; Acintyastava 40.

This type of interpretation of Naagaarjuna’s Madhyamaka thought is advanced by D.J. Kalupahana, Naagaarjuna. The Philosophy of the Middle Way. Albany: State University of New York Press, 1986.

See, for example, Acintyastava 6, 36, 44; Lokaatiitastava 19; Yukti.sa.s.tikaakaarikaa 37.

See Acintyastava 35.

See, for example, the Hastavaalanaamaprakara.na 1-3 in which entities are said to have praj~naptisat (btags yod pa) because they exist dependent on parts.

See J. Hopkins, Meditation on Emptiness. Boston: Wisdom Publications, 1983, 1996 (2nd edition), pp. 35-41.

See Madhyamakakaarikaa VII, 34; Acintyastava 4-5, 30; Ratnaavalii II, 12-13.

See Yuk.ti.sa.s.tikaakaarikaa 19, 48.

See, for instance, Ati'sa’s Satyadvayaavataara 21. Milindapa~nha pp. 25 ff.

For some discussion of these Madhyamaka critiques of Yogaacaara philosophy, see D. Burton, ‘Wisdom Beyond Words? Ineffability in Yogaacaara and Madhyamaka Buddhism’, pp. 62 ff. In Contemporary Buddhism, vol. 1, no. 1, 2000.

For example, both Abhidharma and Yogaacaara Buddhism seem to posit an unfabricated basis for the conceptually constructed world. In the case of the Abhidharma, the foundational elements are the dependently originating but unconstructed dharmas. Fot the Yogaacaara, the unfabricated basis for construction would appear to be the dependently originating flow of mind/consciousness (citta). Acintyastava 44-5b. Madhyamakakaarikaa XVIII, 9.

It is possible, perhaps, to read Madhyamakakaarikaa XXIV, 18 and XXII, 11 as supportive of this interpretation.

Prasannapadaa 264. See also Madhyamakaavataarabhaa.sya 178.

See Yuk.ti.sa.s.tikaakaarikaa 50; Vigrahavyaavartanii 29; Madhyamakakaarikaa XIII, 8.

For a detailed discussion of this problem, see D. Burton Emptiness Appraised. A Critical Study of Naagaarjuna’s Philosophy. Richmond: Curzon Press, 1999, pp. 55-7. Acintyastava 52. 'Suunyataasaptatikaarikaa 68. Madhya-makakaarikaa XXV, 19. Yukti.sa.s.tikaakaarikaav.rtti 5. Yukti.sa.s.tikaakaarikaa 6. Yukti.sa.s.tikaakaarikaav.rtti 6.

See E. Napper, Dependent Arising and Emptiness. Boston: Wisdom Publications, 1989, p. 94.

Vigrahavyaavartanii (and auto-commentary) 30-51. Vaidalyaprakara.na (and auto-commentary) 2.

The name ‘perspectival realism’ was suggested to me by M. McGhee and my reflections on it have been stimulated by his ideas.

 

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