Articoli di Dharma

 

SHAMATHA:
La pratica della consapevolezza
Estratti dal testoThe Path of Individual Liberation (volume 1)
The Profound Treasury of the Ocean of Dharma
Di Choghyam Trungpa…
http://www.shambhala.com/media/wysiwyg/ProfoundTreasuryVolumeOne_excerpt.pdf

 
 

Cap. 22 Semplicità
Shamatha è semplice e facilmente realizzabile. Non stiamo solo raccontando miti su quello che qualcuno ha fatto nel passato. Solo che essere qui senza preconcetti è possibile. In realtà, è molto più semplice che avere tutti i tipi di ornamenti e relativi accessori. La pratica di consapevolezza non è particolarmente qualcosa di religioso; anzi, non è nemmeno una pratica. È un naturale comportamento che uno comincia a sviluppare in un modo molto semplice.

La pratica di Shamatha è indicata per il mendicante e per la vita semplice. Vipashyana è la base per l'apprendimento scolastico e la comunicazione della conoscenza. Il nostro più importante compito nel portare il buddhismo in Occidente è di cercare di far si che la semplicità di Shamatha diventi la base della sofisticata attività di ‘prajna’. Ciò potrebbe essere il nostro contributo agli insegnamenti e al Buddha. Se riuscissimo a farlo,  non avremmo asciutti professori o yogi dal cuore sanguinante. Al contrario, la precisione, la consapevolezza, e la semplicità diventerebbero la fonte dell’apprendimento. Il mondo può sembrare complicato, ma non potrebbe essere complicato se non avesse una sorta di modello, e tale modello è la semplicità.
Preferirei discutere la pratica di shamatha dal punto di vista della tradizione contempla-tiva, usando le istruzioni date da persone abili piuttosto che dai teologi- istruzioni che voi potete utilizzare subito. La mia convinzione è che non vi sia la necessità di ritornare alle grandi tradizioni contemplative e alle esperienze personali che esse descrivono. Io spero di seguire la tradizione contemplativa di Jamgon Kongtrul, in modo che la pratica di shamatha diventi praticabile, o "pratica-abile", per così dire. Mi piacerebbe rendere la discussione di shamatha il più possibile come un fatto di esperienza. La pratica è una 'esperienza’davvero molto personale.
Il punto chiave di shamatha è quello di liberarci da cattive nascite o distorsioni. Noi ci tuffiamo nel cosiddetto mondo ordinario in un modo molto distorto. Queste distorsioni vanno da sconvolgimenti emotivi su larga scala, i crimini che commettiamo, e il dolore che causiamo agli altri, al semplice essere inconsapevoli di ciò che sta accadendo nella nostra vita di tutti i giorni. Noi siamo diventati maestri della distorsione, siamo diventati personalità inconsapevoli, ma questo non significa che dobbiamo essere bloccati con un tale approccio. Fino a quando possiamo capire ciò, e fino a quando vi è spazio per la disciplina, la pratica di shamatha può cambiare il nostro stato d'essere.
Shamatha è orientata sull'idea di liberarci fisicamente e psicologicamente dai tre reami inferiori, il reame degli inferni, il reame degli spiriti affamati e il reame degli animali(1), prestando attenzione a ciò che sta accadendo in noi psicologicamente e fisicamente. La pratica della meditazione al livello di shamatha è molto precisa: andiamo avanti passo dopo passo, dal livello microscopico al livello cosmico. L’importanza di Shamatha sta nel fatto che, man mano che si va avanti sui sentieri Mahayana e Vajrayana, noi non raccogliamo le nevrosi e le distorsioni Mahayana e le nevrosi e le distorsioni Vajrayana. Shamatha è necessario al fine di rendere chiaro e pulito il punto di partenza.
A meno che non si sia davvero disposti a impegnarci nella pratica di shamatha, non c’è modo di uscire dal karma delle cattive rinascite o dalle distorsioni. Pertanto, shamatha è molto importante. È una purificazione. Shamatha non ricerca domande metafisiche o filosofiche sulla nostra intelligenza;è solo la consapevolezza di essere qui nel presente. In generale, se noi non siamo qui – realmente, pienamente, e veramente qui - noi non possiamo far nulla in modo corretto. Noi siamo ‘costretti’ ed obbligati a fare errori. Non solo siamo costretti a fare errori, ma siamo costretti a rovinare la nostra vita.
La pratica Shamatha è basata sui tre principi di: corpo, parola e mente. Si sviluppa la consapevolezza dell’esperienza fisica; la consapevolezza delle emozioni, o del parlare; e la consapevolezza del pensiero discorsivo, o della mente. In questo modo, noi stiamo liberando noi stessi dai regni inferiori.

Il corpo è quello più ovvio e diretto. Esso è collegato al regno infernale e alla rabbia. Nel reame infernale, fisicamente si sperimentano temperature calde e fredde, mentre psicologicamente si ‘sente’ una separazione tra noi e gli altri.
La parola è collegata al reame degli spiriti affamati e del desiderio. La parola è come un vento che comunica tra il mondo fenomenico e noi stessi. Nel reame degli spiriti affamati, la parola è collegata con la fame e con l'emozione di volere qualcosa. Essa è collegata all’ego e al suo bisogno di protagonismo, di intrattenimento e di essere continuamente occupato.
La mente è collegata al regno animale e al pensiero discorsivo. Nel reame animale, la mente è chiacchierona e discorsiva. Questo reame è contrassegnato dalla stupidità: la mente non è aperta e si è nell’oscurità. Questi tre reami inferiori sono costretti alle loro stesse nevrosi, e alla nostra voglia di non relazionarsi con loro, ma invece di scappare.
A questo livello, la nostra comprensione dei tre regni inferiori non potrà essere precisa e chiara, e non ci sarà bisogno di sprecare il tempo a classificarli. La questione è: come si avrà intenzione di liberarci da quei regni? Il modo per poterlo fare, è sempre quello di mettersi seduti a meditare e attraverso ciò, di sviluppare un costante stato di totale consapevolezza sia che si stia seduti a meditare, o no. E questo è l'unico e solo modo per liberare se stessi da quei regni. Voi potreste avere idee fantasiose riguardo alla trasmutazione delle energie e potreste far uso del concime dell’esperienza, ma queste idee sono premature. Sono ancora concetti, piuttosto che ciò che voi potete fare oggi stesso, questo stesso pomeriggio, proprio ora in questo momento.
La Consapevolezza a volte è concepita come una sorta di riposo o di relax, ma questo non si riferisce al tradizionale concetto di relax. Non è così rilassante come il rilassarsi prima di venir ipnotizzati, o il rilassamento che si prova dopo l’intensivo di hatha yoga. In shamatha, rilassamento significa essere senza meccanismi di difesa, oppure se i vari meccanismi di difesa sorgono, occorre lasciarli andare. Ogniqualvolta in cui si sente di voler fare qualcosa per stare insieme, vi è al tempo stesso un meccanismo di difesa, una sensazione di disagio. In shamatha, l'idea è di andare avanti con il disagio invece di cercare di rendere tutto liscio e ideale. Possiamo utilizzare il disagio e l’irritazione, come parte della pratica. Ma non si deve stare seduti su di essi troppo a lungo, basta guardarli e poi lasciarli andare, guardare e lasciar andare. Se si prende tutta la cosa in un modo personale, non è un problema, ma se si prende come una minaccia ben più grande, come una impersonale trama cosmica, allora diventa molto complicato, e non si è in grado di sviluppare la consapevolezza del qui e ora. Tuttavia, se si lascia che i meccanismi di difesa difendano loro stessi piuttosto che difendere voi, i meccanismi di difesa cadranno. Se, ad esempio, si è molto tesi,si lasci che la tensione sia tesa. Poi la tensione non avrà sostanza. Diventerà rilassamento.
In Tibetano, il termine per il rilassamento è bakpheppa. La radice ‘bak’, significa un tipo di "sentimento di consapevolezza sensoriale", uno "sguardo nel sistema nervoso", mentre ‘phep’ significa "rilassato", e ‘pa’lo rende un sostantivo, quindi con bakpheppa si intende il "rilassamento del nostro tremolante sistema nervoso". Questo può essere fatto solo mettendoci in relazione con la tensione stessa. Non vi è altro modo. Se si sta cercando di rilassarsi, si finisce con così tanti riferimenti al rilassamento che alla fine non ci si può realmente rilassarsi. E'come essere in vacanza pur avendo un televisore, una sauna, una piscina, un campo da tennis e un ristorante: si dispone di così tanti posti per rilassarsi che alla fine si è troppo occupati per rilassarsi davvero. Nella pratica shamatha, il rilassamento è unidirezionato. È solo ‘essere’, in un modo molto semplice.
Nel puro shamatha stiamo solo ‘essendo lì’ costantemente, ossessionati dalla nostra consapevolezza. La consapevolezza ci apparirà come la costante sensazione che noi siamo realmente lì. Potrebbe aver inizio mentre stiamo ascoltando gli insegnamenti, in connessione con il nostro stesso dolore, o mentre ci mettiamo nel raccoglimento. La consapevolezza dovrebbe prendere posto per tutto il tempo. In complesso, per poter comprendere il Buddhadharma, dobbiamo essere lì; in caso contrario, il Buddhadharma non può essere compreso. Essere lì non significa starsene in disparte o stare seduti in immobilità. Si deve essere presenti con quello che sta accadendo ed essere sempre lì. Ad esempio, Sua Santità il XVI° Gyalwa Karmapa(2), il capo supremo del Lignaggio Kagyü, poteva essere lì con il pubblico, con uomini d'affari, politici, studiosi, e tutti i tipi di persone. Egli era sempre lì, sempre presente. Quando dette la sua benedizione ad almeno tremila persone in fila a San Francisco, ci vollero quasi due ore perché tutti gli passassero davanti. Ma mentre individualmente li benediceva, lui era lì presente con ogni singola persona. Noi dovremmo fare la stessa cosa. È possibile. E'una questione di atteggiamento. Con shamatha, noi siamo lì, siamo sempre lì.
Per ‘essere lì’, occorre allentare, lasciar andare…; ma non appena voi state allentando, dovrete disciplinarvi di più. Così,la scioltezza e la disciplina funzionano in una maniera simultanea. A volte, quando si allenta un pò, si diventa sciocchi o assurdi, e quando si trattiene, si diventa distaccati, non-comunicativi e simili a statue. Questo è un po’ un problema. L'idea di shamatha è che si può allentare e contemporaneamente trattenere, basta esserne sempre consapevoli. Questo è ciò che è chiamatosamyak-shamatha: ovvero, "completa" o "perfetta", consapevolezza. Non è limitata ad un solo aspetto.
In shamatha, noi siamo‘presenti’. Allo stesso tempo, la nostra mente diventa così trasparente, così penetrante e sciolta, che funziona come un setaccio. Uno pensa che  sta riversando gli insegnamenti in essa, ma alla fine non c’è niente di niente. Se il Buddhadharma fosse una religione teistica, basata sul culto adorativo di una divinità o di un salvatore, e se uno pensava di sapere perfettamente quello che stava facendo, la sua propria mente cesserebbe di essere un setaccio e diventerebbe invece una sorta di calderone in ghisa. Questo esempio sembra molto simpatico, perché uno gradirebbe voler avere qualcosa di molto solido e ben definito, al fine di mantenere l’idea di un qualcosa di opposto a diventare un setaccio. Ma nella tradizione non-teistica, il nostro stato d'essere diventa un setaccio con cui è difficile attaccarsi a, o trattenere qualcosa. Pertanto, al fine di comprendere l'essenza degli insegnamenti, è necessario sviluppare una costante consapevolezza.
Lo sviluppo della consapevolezza, è basato sulla semplice ‘pratica-di-consapevolezza’. Sia che si stia seduti sul nostro cuscino di meditazione o meno, la consapevolezza dovrebbe essere presente costantemente. Nelle tradizioni contemplative Tibetane, io non credo che qualcuno senta di poter stare a perdere tempo. Non c'è spazio per questo. E’ un approccio generale, un lavoro a tempo pieno, 24 ore al giorno. Il termine Tibetano per la pratica ‘post-meditativa’ è ‘jethop’. ‘Je’ significa ‘dopo’, e ‘thop’significa
‘ricevere’, quindi,jethop significa "ricevere-dopo’. In realtà, moltissimi insegnanti hanno detto che è molto più importante sperimentare ‘jethop’ piuttosto che essere troppo concentrati sulla formale pratica seduta. La pratica seduta fornisce una sorta di ancoraggio per cominciare, ma è nella‘post-meditazione’ che l'esperienza diventa reale. Quindi, non dovete pensare che basta solo sedersi, e che poi sia tutto finito. Quando avrete finito con la vostra pratica seduta, c'è ancora da mantenere l'esperienza post-meditazione.
Nel complesso, c’è una gran mole di richieste agli studenti, come pure agli insegnanti, di ‘essere qui-ed-ora’, di essere presenti. Dobbiamo essere presenti, non con un certo concetto in mente, ma semplicemente ‘essere’, ed essere consapevoli di essere. Siamo semplicemente ‘essendo’ qui. Nelle tradizioni ‘teistiche’, è tutto molto più facile, perché avete sempre qualcosa da fare. Ad esempio, con la Preghiera del Cuore nella tradizione Greco-Ortodossa (3), si recita continuamente la Preghiera di Gesù fino a quando essa non inizia a ripetersi da sola dentro di sé, così voi non vi sentite persi. Nella tradizione non-teistica, è molto più sciolto ma più complicato, quindi in un certo senso è ben più difficile. È difficile essere qui, ma al tempo stesso…è difficile anche non essere qui!
E'molto importante cercare di sviluppare la nostra pratica shamatha e comprenderla. Shamatha è il punto in cui uno inizia a comportarsi come un Buddha- un Buddha vero e non uno falso. Una volta che questo tipo di consapevolezza incondizionata accade, uno è proprio ‘qui’, e automaticamente è una persona sana di mente. Non è necessario cercare di fare qualcosa di particolare. Uno è qui, pronto a qualunque cosa che gli altri yana(veicoli) potrebbero suggerire o richiedere. E'molto importante essere simile a un Buddha e capire che essere così è molto semplice e facile.
Shamatha è insieme semplice e realizzabile. Non stiamo certo raccontando dei miti su ciò che qualcuno ha fatto in passato. Ma diciamo solo che essere qui senza preconcetti è possibile. In realtà, è molto più semplice che avere tutti i tipi di ornamenti e relativi accessori. La consapevolezza non è particolarmente religiosa, e non è nemmeno una pratica. È un comportamento naturale che uno comincia a sviluppare in modo molto semplice. All'inizio, si può sentire che essa è in qualche modo un po’ falsa, o che la si stia inventando. Tuttavia, man mano che si va avanti, la consapevolezza diventa più naturale e reale, e al tempo stesso anche molto personale.
 


NOTE:

(1) Questo è un riferimento ai sei reami del ciclo delle rinascite, di cui si parlerà nel capitolo 9, "La dolorosa realtà del Samsara": i reami più elevati degli dèi, degli asura o dèi gelosi, e degli esseri umani, e i regni inferiori degli animali, degli spiriti affamati, e degli esseri infernali. Lo scopo più immediato è la libertà dai regni inferiori, e in seguito, l'obiettivo è quello di essere liberi pure dalla rinascita nei regni superiori.
(2) Chögyam Trungpa Rinpoche fu determinante nell’invitare il XVI°Ghyalwa Karmapa (1924-1981) a venire ad insegnare in Occidente. Ed anche l'attuale detentore del lignaggio Kagyü, il XVII° Karmapa (n. 1985), ha iniziato ad insegnare in Occidente.
(3) Ripetizione della Preghiera del Cuore, conosciuta anche come la Preghiera di Gesù. Era la pratica centrale del movimento mistico del XIII° secolo conosciuto col nome di‘Esicasmo’. La forma più frequentemente usata è: "Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore."

Alpha


Excerpts of text : Shamatha – The Practice of Mindfulness

SHAMATHA:THE PRACTICE OF MINDFULNESS

The Path of Individual Liberation (volume 1)

The Profound Treasury of the Ocean of Dharma

 

Cap. 22Simplicity

Shamatha is both simple and workable. We are not just retellingmyths about what somebody did in the past. Just being here withoutpreconceptions is possible. In fact, it is much simpler than havingall kinds of adornments and paraphernalia. Mindfulness practiceis not particularly religious; it is not even a practice. It is a naturalbehavior that one begins to develop in a very simple manner.

 

Shamatha practice is designed for the mendicant and for thesimple life. Vipashyana is the basis for scholarly learning and the communicatingof knowledge. Our greatest task in bringing Buddhism to the

West is to try to make shamatha simplicity the basis of sophisticated prajnaactivity.That could be our contribution to the teachings and to Buddha.If we could do that, we would not have dry professors or bleeding-heartyogis. Instead, precision, mindfulness, and simplicity would become thesource of learning. The world may seem complicated, but it could not becomplicated unless it had a pattern, and that pattern is simplicity.

I prefer to discuss shamatha practice from the point of view of thecontemplative tradition, using instructions given by craftspeople ratherthan by theologians—instructions you can use on the spot. My convictionis that there is a need to go back to the great contemplative traditions andto the personal experiences they describe. I hope to follow the contemplativetradition of Jamgön Kongtrül, so that shamatha practice becomesworkable, or “practice-able,” so to speak. I would like to make the discussionof shamatha as experiential as I can. Practice is a very personalexperience.

The point of shamatha is to free ourselves from ill-birth or distortion.We carry ourselves in the so-called ordinary world in a very distortedmanner. These distortions range from large-scale emotional upheavals,the crimes we commit, and the pain that we cause other people, to simplybeing unaware of what is happening in our everyday life. We havebecome masters of distortion, we have become unaware personalities,but that doesn’t mean we are stuck with that approach. As long as we canunderstand that, and as long as there is room for discipline, the practice ofshamatha can change our state of being.

Shamatha is geared to the idea of freeing ourselves physically and psychologicallyfrom the three lower realms—the hell realm, the hungry ghostrealm, and the animal realm(1)—by paying attention to what is happeningwith us both psychologically and physically. Meditation practice at the shamathalevel is very definite: we go step-by-step, from the microscopic levelto the cosmic level. Shamatha is important so that as we go further on thepath into mahayana and vajrayana, we do not collect mahayana neurosesand distortions and vajrayana neuroses and distortions. Shamatha is necessaryin order to make the starting point clear and clean.

Unless we are willing to commit ourselves to shamatha practice, theremis no way out of ill-birth or distortion. So shamatha is very important.It is purification. Shamatha does not make metaphysical or philosophicaldemands on our intelligence; it is just being here in the present. In general,unless we are here—actually, fully, and truly here—we cannot do anythingproperly. We are bound to make mistakes. Not only are we bound to makemistakes, but we are bound to mess up our life.

Shamatha practice is based on the three principles of body, speech,and mind. We are developing mindfulness of physical experience; mindfulnessof emotions, or speech; and mindfulness of discursive thoughts,or mind. By doing so, we are freeing ourselves from the lower realms.Body is the most obvious and direct. It is related to the hell realmand anger. In the hell realm, physically you experience hot and cold temperatures,and psychologically you feel separateness between you and theother.

Speech is related to the hungry ghost realm and desire. Speech is likea wind that communicates between the phenomenal world and yourself.In the hungry ghost realm, speech is connected with hunger and the emotion

of wanting something. It is related with ego’s need for entertainmentand continual occupation.

Mind is related to the animal realm and discursive thoughts. In theanimal realm, mind is chattering and discursive. This realm is marked bystupidity: the mind is not open and you are in the dark. The three lower

realms are bound by their own neuroses, and by our not wanting to relatewith them but instead to get away.

At this stage, your understanding of the three lower realms does nothave to be precise and clear, and you do not need to spend time sortingthem out. The question is, how are you going to free yourself from thoserealms? The way to do that, always, is to sit and meditate, and throughthat to develop a state of awareness whether you are meditating or not.That is the only way to free yourself from those realms. You may have

fanciful ideas about the transmutation of energies and making use of themanure of experience, but such ideas are premature. They are still concepts,rather than what you can do this very day, this very afternoon, rightthis moment.

Mindfulness is sometimes referred to as restful or relaxing, but thisdoes not refer to the conventional concept of relaxation. It is not relaxingas in relaxing before you get hypnotized, or the relaxation you feelafter intensive hatha yoga. In shamatha, relaxation means being withoutdefense mechanisms, or if defense mechanisms arise, letting them go.Whenever you feel that you should be doing something to get yourselftogether, there is at the same time a defense mechanism, a qualityof uneasiness. In shamatha, the idea is to go along with the uneasinessinstead of trying to make everything smooth and ideal. You could use theuneasiness and irritation as part of the practice. But you don’t sit on it toolong; you just look at it and then let it go, look and let go. If you take thewhole thing personally, it is not a problem, but if you take it as a largerthreat, an impersonal cosmic plot, it becomes very complicated, and youcannot develop mindfulness of the here and now. However, if you letthe defense mechanisms defend themselves rather than defend you, thedefense mechanisms fall apart. If you are tense, for instance, let the tensenessbe tense. Then tenseness has no substance. It becomes relaxation.

In Tibetan, the word for relaxation is bakpheppa. Bak means a kind of“sensory awareness feeling,” a “twinkling in the nervous system,” phepmeans “relaxed,” and pa makes it a noun; so bakpheppa means the “relaxationof your quivering nervous system.” That can only be done by relatingwith the tension itself. There is no other way. If you are trying to relax,you end up with so many reference points of relaxation that you cannotactually relax. It’s like being on a vacation when you’ve got a television,a sauna, a swimming pool, a tennis court, and a restaurant: you have somany places to relax that you are too busy to really relax. In shamatha,relaxation is one-pointed. It is just to be, in a very simple manner.

In pure shamatha you are just being there constantly, haunted by yourmindfulness. Mindfulness comes up as the constant sense that you areactually there. It could start in the context of the teachings, in connection

with your own pain, or in connection with recollection. Mindfulnessshould be taking place all the time. On the whole, in order to understandbuddhadharma, you have to be there; otherwise, buddhadharma cannot

be grasped. Being there does not mean holding back or sitting still. Youcould go along with what’s happening and still be there. As an example,His Holiness the sixteenth Gyalwa Karmapa(2),* the supreme head of the

Kagyü lineage, could be there with the audience—with businesspeople,politicians, scholars, and all kinds of people. He was always there, alwayspresent. When he blessed three thousand people lined up in San Francisco,it took almost two hours for everybody to go through. But as heblessed them individually, he was there for each person. You could do thesame thing. It is possible. It’s a question of attitude. With shamatha, youare there; you are always there.

Being there requires loosening up, but as you loosen up, you disciplineyourself more. So looseness and discipline operate simultaneously. Sometimeswhen you loosen up, you become silly or absurd, and when you holdback, you become spaced-out, noncommunicative, and statuelike. That isa problem. The idea of shamatha is that you can loosen up and be awareat the same time. That is what is called samyakshamatha: “complete,” or“perfect,” mindfulness. It is not one-sided.

In shamatha, you are present. At the same time, your mind becomesso transparent, so penetrating and loose, that it becomes like a sieve. Youthink you are pouring teachings into it, but end up with nothing at all.If the buddhadharma were a theistic religion, based on the worship ofa deity or savior, and if you thought you knew perfectly what you weredoing, your mind would cease to be a sieve and instead become a cast-ironcauldron. That model seems very sympathetic, because one would like tohave something very solid and definite to hold on to as opposed to becominga sieve. But in the nontheistic tradition, your state of being becomesa sieve with which it is difficult to catch or to hold on to anything. Therefore,in order to understand the essence of the teachings, it is necessary todevelop constant awareness.

The development of awareness is based on simple mindfulness-practice.Whether you are sitting on your meditation cushion or not, awarenessshould take place constantly. In Tibetan contemplative traditions, I don’t

think anybody feels that they can take time off. There’s no room for that.It is a blanket approach, full-time work, twenty-four hours a day. Postmeditationpractice in Tibetan is jethop. Je means “after,” and thop means

“receiving”; so jethop means “receiving after.” In fact, a lot of teachershave said that it is much more important to experience jethop than tobe too concentrated on formal sitting practice. Sitting practice providesa kind of anchor to start with, and in postmeditation that experiencebecomes real. So you don’t just sit and then think you are finished. Whenyou are done with your sitting practice, there is still the postmeditationexperience.

On the whole, there are a lot of demands on students, as well as onthe teacher, to be here, to be present. We should be present, not with acertain concept in mind, but simply being. We are simply being here. It

is much easier in theistic traditions, because you always have somethingto do. For instance, with the Prayer of the Heart in the Greek Orthodoxtradition,(3)* you say the Jesus Prayer constantly until it begins to repeat

itself, so you are not lost. In the nontheistic tradition, it is much looser andmore complicated, so in a sense it is more difficult. It is difficult to be here,but at the same time, not to be here is very difficult!

It is very important to try to develop your shamatha and to understandit. Shamatha is the point where you begin to behave like a buddha—areal one, not a fake one. Once this kind of unconditioned mindfulness

happens, you are here and you are automatically sane. You do not need totry to do anything in particular. You are here, ready for anything the otheryanas might suggest or demand. It is very important to be Buddha-likeand to understand that to be so is very simple and easy.

Shamatha is both simple and workable. We are not just retelling mythsabout what somebody did in the past. Just being here without preconceptionsis possible. In fact, it is much simpler than having all kinds of

adornments and paraphernalia. Mindfulness is not particularly religious;it is not even a practice. It is a natural behavior that one begins to developin a very simple manner. At the beginning, you may feel it is somewhat

false or that you are making it up. However, as you go on, mindfulnessbecomes natural and real, and at the same time very personal.


 

NOTES (1)* This is a reference to the six realms of the cycle of rebirth, which are discussed in chapter 9, “The Painful Reality of Samsara”: the higher realms of gods, jealous gods, andhumans, and the lower realms of animals, hungry ghosts, and hell beings. The immediategoal is freedom from the lower realms; ultimately, the goal is to be free from rebirth in thehigher realms as well.

(2) * Chögyam Trungpa Rinpoche was instrumental in inviting the sixteenth GyalwaKarmapa (1924–1981) to teach in the West. The current Kagyü lineage holder, the seventeenthKarmapa (b. 1985), has also begun to teach in the West.

(3)* Repetition of the Prayer of the Heart, also known as the Jesus Prayer, was the centralpractice of the thirteenth-century mystical movement known as Hesychasm. The mostfrequently used form is “Lord Jesus, Son of God, have mercy on me, a sinner.”