Traduzioni di Dharma

 

LO YOGA DELLA DIVINITA’

 

Tratto dal sito: http://www.mahayana.it/index1.html

 

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Lo “yoga della divinità” o “yoga di essenza divina” (devayoga) è la pratica fondamentale ed essenziale delle 4 classi del tantra : in tutti i tantra infatti è previsto il devayoga per la rapida accumulazione di meriti e saggezza discriminante. A partire da una buona comprensione della Vacuità e di bodhicitta, il praticante visualizza se stesso come una particolare divinità e vi si identifica, cancellando l’immagine di "né come essere ordinario e limitato. La pratica di questo yoga ha lo scopo specifico di ottenere il sambhogakaya di un buddha.
In questo yoga dunque, lo yogi medita su se stesso come se avesse un aspetto simile ad un corpo divino o Rupakaya e al tempo stesso la sua mente riconosce la Vacuità: la coscienza della saggezza, che comprende la Vacuità e si fonde con essa, appare in forma di divinità. In questa pratica, un singolo momento di coscienza conosce la forma di una divinità mentre contemporaneamente è consapevole della sua propria natura di Vacuità : qui dunque meditazione sulla divinità e conoscenza della Vacuità coesistono in forma completa all’interno di un singolo momento cognitivo, cioè vi è la loro piena fusione all’interno di una singola entità di coscienza (che non è la semplice congiunzione di due distinti fattori che si completano l’un l’altro).
Sia il Paramitayana che il Vajrayana hanno un Sentiero per conseguire - con la meditazione sulla Vacuità - un Dharmakaya, ma solo il Vajrayana possiede un metodo speciale per ottenere un Rupakaya: questo metodo è il devayoga. La saggezza che riconosce la Vacuità è la causa specifica del Dharmakõya e una causa concomitante del Rupakaya; viceversa, il devayoga è la causa specifica del Rupakaya ma anche la causa concomitante del Dharmakaya. Normalmente siamo insoddisfatti perché abbiamo una visione ristretta, limitata e limitante della realtà e, in particolare, di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare: siamo intrappolati nell’insoddisfazione perché l’immagine che abbiamo di noi stessi è opprimente, inferiore e negativa. Il nostro potenziale umano, le nostre risorse interiori, vanno invece considerate in modo trascendentalmente bello, puro, forte, abile e vitale, cioè ci dobbiamo vedere come dèi e come dee. Per far ciò ci dobbiamo addestrare nello “yoga della divinità” : più ci abituiamo a dissolvere nello spazio vuoto le concezioni ordinarie che abbiamo di noi stessi e a visualizzarci nell’aspetto del glorioso corpo di luce del nostro yi-dam, e meno limitati ci sentiremo dalle frustrazioni e delusioni della normale e banale vita quotidiana. Se ci identifichiamo come dèi (ad es., Mañjushri) stimoleremo la nostra mente a risvegliare e sviluppare quelle qualità che essi rappresentano (ad es., la saggezza) e che sono latenti in noi (dato che abbiamo dentro di noi la “natura di buddha”) e saremo in grado di aprirci alle forze positive esistenti dentro e fuori di noi. Le nostre ordinarie apparenze (ciò che vediamo, ascoltiamo, gustiamo, ecc.) verranno trasformate nel godimento pieno di beatitudine della divinità.
Dunque, il tantra è l’antidoto che cura l’immagine molto limitata che abbiamo di noi stessi, fondata sull’auto-commiserazione. Essa è il principale ostacolo alla crescita di amore e saggezza. La cura consiste in una catarsi generata da un processo di alchimia psichica : ci emaniamo visualizzandoci come una divinità (yi-dam), riconoscendo le nostre qualità positive. E’ questo il cosidetto “yoga della divinità”, in cui contempliamo l’orgoglio divino abbinato alla consapevolezza della Vacuità. Il metodo del tantra è di eliminare gli stati mentali grossolani, superficiali, illusi e dualistici facendo in modo che si manifesti la mente (o coscienza) sottile, originaria e fondamentale (che risiede ed opera nell’ inconscio) mediante tecniche come il gtum-mo o la meditazione sugli stadi di assorbimento del processo della morte. Al momento, questa mente sottile - che è fonte di chiarezza e di pace - è fuori uso, è come addormentata; ma con quelle tecniche essa verrà attivata nell’avadhuti, cioè diverrà operativa.
L’identificazione del meditante col dio comporta la sua disidentificazione dagli aspetti parziali e dualistici del proprio essere. Percependo il proprio io come se fosse già quintessenziato dalla bellezza e dalla forza della divinità - anticipando perciò l’effetto alla causa - si giunge alla maturazione dello “Stadio di Generazione”. In questo stadio il praticante prende progressiva famigliarità con la sua vita interiore, astenendosi però ancora dall’intervenire sul proprio “corpo sottile” – la cui trasmutazione darà per risultato (nello “Stadio di Perfezionamento”) la trasformazione della persona nella divinità.

LA DIVINA APPROSSIMAZIONE.
Quando riceviamo un’iniziazione, il maestro-vajra ci dà una divinità (yi-dam) da visualizzare in accordo col nostro temperamento (intellettuale, passionale, ecc.). Ora, la “divina approssimazione” (lha’i bsñen-pa) o “approccio preliminare” (snon-du bsñen-pa byed-pa) è il periodo iniziale del devayoga, in quanto ci si familiarizza con quella determinata divinità avvicinandosi sempre più alla sua condizione.
Prima di meditare su un corpo divino, occorre stabilire attraverso il ragionamento la propria esistenza non-intrinseca; poi questa stessa mente che ha come oggetto la propria Vacuità, si manifesta sotto forma di volto, di membra, ecc. della divinità (ad es., Vairocana). Questi due elementi (la saggezza che riconosce l’esistenza nonintrinseca e l’idea della divinità) sono un’unica entità : la mente che constata la Vacuità sotto forma di divinità ha come suo oggetto referente la Vacuità e come suo oggetto apparente e convenzionale un corpo divino. Con l’esercizio, gradualmente ci si abitua a questa manifestazione di una divinità priva di esistenza reale, simile ad un’illusione. La forma divina, come pure i suoni, ecc. si manifesteranno ancora, ma la nostra mente constaterà o coglierà esclusivamente la Vacuità.
Avvicinandosi sempre più alla condizione della divinità del devayoga, la divinità stessa elargisce allo yogi le siddhi - o direttamente o conferendo alla mente del praticante una determinata capacità. Dopo il completamento dell’ “approssimazione divina” avviene la vera e propria acquisizione delle siddhi mediante il compimento delle pratiche prescritte (offerta di olocausti, ripetizione di mantra, ecc.). Infine, tali siddhi vengono impiegate dal praticante per il bene altrui, cosicché si ha un’ancor più grande accumulazione di meriti (che ci faranno raggiungere la buddhità più rapidamente che non col Veicolo dei Sutra).

“AUTO-FONDAMENTO” ED “ETERO-FONDAMENTO”.
Meditando sulla Vacuità, si immagina che tutte le cose si dissolvono in luce e si assorbono nel nostro corpo, che diviene vuoto e scompare : la nostra mente percepisce solo chiarezza e vuoto. La divinità può sorgere da questa chiara vacuità in due modi : o tutta ad un tratto (cioè istantaneamente) nell’interezza delle proprie sembianze oppure dalla trasformazione di un disco lunare e di una sillaba-seme. In questo secondo caso, nel posto dove ci troviamo compare un fiore di loto, che si trasforma nel bianco disco di una luna piena; su questo appare l’essenza della nostra mente o coscienza nell’aspetto di una sillaba-seme (búja); questa si trasforma nella divinità, cioè assume il suo aspetto : la nostra mente si manifesta in tale forma divina e ci identifichiamo totalmente con questa. Il meditante è convinto di essersi trasformato nello yi-dam, cosicché visualizza se stesso con quel corpo divino, che è luminoso e vuoto (gsal-ston lha-sku). Questo procedimento è detto “AUTO-FONDAMENTO” (bdag-gi gzi) o “AUTO-GENERAZIONE” (mdun-bskyed) o “generazione di se stessi come divinità” (bdag-bskyed) : si tratta della creazione mentale dello stato fenomenico dello yi-dam, della sua “forma di voto (samaya)”-perché è solo sotto questo aspetto che esso può manifestarsi per adempiere al voto di aiutare gli esseri senzienti(1). La persona che s’immagina come divinità è detta appunto “samayasattva” (“Essere d’impegno”) : essa non è la divinità vera e propria, ma ne è il simbolo.
Successivamente si evoca l’effettiva divinità, che è detta “jñanasattva” (“Essere di saggezza trascendentale”), invitandola ad abbandonare la sua Terra Pura (che è un’estensione del Dharmakaya) e ad approssimarsi a noi. Questa divinità viene pertanto visualizzata davanti allo yogi : è una divinità simile al samayasattva, un secondo yi-dam sistemato e presente di fronte ad esso(2). Questo procedimento è chiamato “ETERO-FONDAMENTO” (gzan-gyi gzi).
Infine si visualizza che il jñõnasattva entra nel samayasattva e fondendosi vi si dissolve, per cui lo yogi diventa la divinità vera e propria(3). Questo processo è detto “INGRESSO” (gzug-pa) di un “essere di saggezza”. Dunque, nelle pratiche di visualizzazione tantrica, la dimensione di soggetto ed oggetto viene trasformata in due aspetti della divinità. Ad es., io mi visualizzo come Tara e ciò prende il nome di “samayasattva” (divinità della promessa) perché sottintende la mia intenzione e il mio impegno di realizzarmi; di fronte a me invece visualizzo un’altra immagine di Tara, detta “jñanasattva” (divinità della saggezza) perché rappresenta l’energia degli Illuminati.
Samayasattva e jñanasattva sono quindi i due livelli d’esistenza della divinità :
a) il jñanasattva è l’aspetto ultimo della divinità: lo stato di Illuminazione, la conoscenza originale. Appartiene al dominio della Vacuità, onnipresente ed onnipenetrante; esiste nell’eterno presente, l’immortalità. Poiché questo aspetto trascende ogni concetto ordinario, si utilizza l’aspetto formale (il samayasattva) attraverso il quale il jñanasattva si rivela;
b) il samayasattva è l’aspetto visualizzato della divinità; è il ricettacolo e il veicolo della sua influenza spirituale. E’ l’espressione stessa del jñanasattva con la quale si sviluppa una relazione : meditazione e recitazione del mantra. Tutti questi processi meditativi (auto-generazione, ecc.) prevedono numerose varianti a seconda del grado di avanzamento dello yogi, grado che corrisponde al tipo di tantra utilizzato, come descritto nei vari paragrafi dedicati alle 4 classi di tantra.
 


(Note)
1 Quando ci si trova ancora nelle fasi iniziali della pratica, è meglio invertire questo processo col
successivo, compiendo prima l’etero-fondamento e poi l’auto-fondamento.
2 Lo yogi gli presenta allora le varie offerte e ne riceve benedizioni (byin-rlabs); gli chiede anche i
benefìci che gli stanno a cuore : la pioggia, l’allontanamento dei demoni, ecc.
3 In questo momento la divinità è realmente presente. Ciò fu dimostrato, ad es., dal fatto che - dopo la
loro evocazione attraverso la meditazione - le divinità rappresentate in un dipinto ne siano uscite, vi
abbiano fatto un giro attorno e vi siano rientrate : si è potuto allora osservare che i loro abiti ed accessori
avevano assunto posizioni diverse sul dipinto.

LE 4 “COMPLETE PUREZZE”.
Nel devayoga ogni cosa che appare è congiunta con la vacuità e con la divinità, il che significa attuare l’esperienza delle “4 complete purezze” di ambiente, di corpo, di risorse e di attività:
1. il nostro ambiente esterno, le case e le città sono visti come la residenza pura e straordinaria delle divinità (cioè come il palazzo, luminoso e fatto di pietre preziose, di un mandala divino) e l’intero universo va identificato con la Pura Terra di un Buddha(1) : ogni cosa contenutavi è considerata e sperimentata come intrinsecamente perfetta, sacra e bella; tutti i suoni che sentiamo sono percepiti come la melodiosa sonorità del mantra di quella divinità (anziché come vuoto chiacchierio o rumore disturbante); e ogni pensiero ordinario e tutto quanto può avvenire vanno concepiti come divino svago, come un gioco del Dharmakaya (cioè quale manifestazione della suprema saggezza [jñana] di quel buddha, saggezza che comprende la Vacuità)(2);
2. il nostro corpo (ed ogni altro essere) è visto come una manifestazione della non-sostanza pura ed indifferenziata, ed è rispettato perché dotato delle qualità e capacità di un Buddha potenziale. In una parola: ogni essere è considerato un nostro compagno divino, un Buddha, un Bodhisattva o un daka (perché siamo consapevoli del valore e della positività della sua esistenza),che sono qui per aiutarci a realizzare l’Illuminazione;
3. i nostri mezzi, godimenti ed oggetti desiderabili (es. cibi e bevande) sono visti come nettare (che provoca la beatitudine) da offrire a noi stessi che siamo visualizzati nell’aspetto di quel Buddha (cioè quali cose sacre perché offerte a un Buddha) o come le alte qualità di cui è dotato un Buddha;
4. qualunque azione da noi compiuta è vista come la suprema e pura attività illuminata di un Buddha, consistente nel dare aiuto agli esseri e tesa alla loro maturazione spirituale.
Anche nelle attività quotidiane si dovrebbero purificare così tutte le manifestazioni del samsara ed integrarle nella Vacuità auto-illuminante, intravedendo così l’unità di tutte le cose. In tal modo si mette in moto un processo di trasformazione che permette di sostituire le visioni ordinarie della nostra mente dal contenuto impuro con visioni pure.
Lo “yoga della divinità”, se effettuato a partire da una buona comprensione intellettuale della vacuità, protegge la mente dalle apparenze e dai concetti ordinari attraverso le suddette “4 complete purezze”. Il maggior ostacolo alla pratica tantrica è considerare noi stessi, e il mondo che ci circonda, impuri : per cui dobbiamo trasformare la normale visione impura in visione pura. La pratica tantrica o esperienza dove percepiamo e visualizziamo il nostro corpo, gli esseri, le azioni e i fenomeni come puri e divini è detta “chiara apparenza” : ci concentriamo sulla chiara percezione di noi stessi come divinità e il nostro ambiente come mandala finché riusciamo a comprendere simultaneamente la visione globale fin nei minimi dettagli.
Tutto ciò serve ad evitare che sorgano le nostre ordinarie apparenze dualistiche(3) e la concettualizzazione del nostro ambiente, del nostro corpo ordinario, dei nostri averi e delle nostre azioni, e a eliminare l’attaccamento a tali apparenze e la credenza che siano realmente ed intrinsecamente esistenti. In altre parole : lo scopo di questo tipo di meditazione è non solo quello di fare una vera esperienza del carattere illusorio della nostra realtà, ma anche quello di liberarsene, dissolvendo i legami che ineriscono a questo mondo fenomenico. In effetti, siccome in ogni stadio di questa meditazione si deve mantenere una costante consapevolezza della vacuità, questo è un metodo efficace per vincere le “apparenze ordinarie” e le “concezioni ordinarie” e per purificare i nostri ambiente, mezzi, corpo, parola e mente. Le apparenze ordinarie e le concezioni ordinarie sono la radice del samsara.
“Apparenza ordinaria” è ogni apparenza dovuta ad una mente impura, “concezione ordinaria” è ogni mente che concepisce qualcosa dovuta a un’apparenza ordinaria. I fenomeni ci appaiono come ordinari e noi li concepiamo come ordinari. Le concezioni ordinarie dipendono dalle apparenze ordinarie. Le apparenze ordinarie sono ‘ostruzioni all’onniscienza’, le concezioni ordinarie sono ‘ostacoli alla liberazione’ : ad es., mi considero una persona ordinaria (penso “Io sono Aldo”), perché alla mia mente mi appaiono aggregati ordinari, cioè un corpo grossolano e impuro e una mente grossolana e impura; e sotto l’influenza di tali concezioni ordinarie, creo continuamente karma negativo. Per ovviare a ciò, dovrei invece visualizzarmi come una divinità, sviluppando l’orgoglio divino di essere - ad es. - Heruka o Vajrayogini.
Per il praticante tantrico i principali oggetti da abbandonare durante la pratica non sono i klesha ma le apparenze ordinarie e le concezioni ordinarie, perché quando queste si manifestano fortemente, la pratica tantrica non funziona.



(NOTE)
1 Così, invece di pensare al nostro ambiente come a un luogo pericoloso, colmo di inquinamento, radiazioni e veleni, lo consideriamo positivo, piacevole e attraente, perché la natura, l’acqua, gli alberi, gli esseri umani si aiutano gli uni con gli altri.
2 In altre parole, questo mondo ordinario e samsarico viene trasformato nel mandala del sambhogakaya, cioè nella dimensione della totale ricchezza e soddisfazione dell’esperienza vissuta (dimensione che non si basa su passioni ed impulsi, ma sui 5 aspetti della saggezza primordiale).
3 Propriamente, l’ “apparenza ordinaria” è la percezione di se stessi, del corpo, dell’ambiente, dei fenomeni e dell’azione come impuri, ordinari e della natura della sofferenza; l’ “apparenza dualistica” è la maniera di relazionarsi al mondo considerandolo solido e permanente, e credendo che tutti i fenomeni siano reali, totalmente indipendenti e separati dal nostro corpo e mente.

L’ “ORGOGLIO DIVINO”.
Nel contemplare il mondo esterno come un mandala divino, anche noi dobbiamo sentirci orgogliosi di essere divini. Con la scomparsa dell’aspetto ordinario e impuro del proprio corpo e mente a seguito dell’immaginarsi - col devayoga – sotto una forma divina, non si ha più il senso di un “io” imperfetto (perché si è trasformato nei puri skandha mentali e fisici della divinità) : da ciò si sviluppa l’ “orgoglio divino” (lha’i na-rgyal), cioè la forte certezza d’avere raggiunta l’identificazione con lo yi-dam e quindi il senso di un “puro io”, la fierezza del proprio rango di divinità, un senso elevato della nostra identità fondato su quell’apparenza divina - per cui vengono eliminati i nostri pensieri di auto-commiserazione e la nostra solita concezione delle apparenze ordinarie, ponendo invece in risalto le nostre qualità positive e facendoci identificare con esse : riconosciamo che la perfezione è racchiusa dentro di noi, per cui dobbiamo avere fiducia in noi stessi, eliminando l’idea di avere questa o quella limitazione. Questo “orgoglio divino” (o “fierezza e dignità divina”) fa emergere il potenziale d’illuminazione che è dentro di noi (la nostra “natura vajra”), facendoci comprendere che la nostra persona è la manifestazione di una spiritualità onnipervadente : il che ci influenza positivamente in modo tale che si agirà (con corpo, parola e mente) con la dignità conforme ad essa e farà scomparire la preoccupazione per noi stessi come costituiti di carne ed ossa.
Prima del devayoga i desideri e i pensieri che si basavano sugli oggetti ci legavano al samsara, mentre ora - considerando ogni cosa come divina - questa può essere usata come mezzo d’aiuto per la Liberazione (come il veleno usato in medicina serve per la guarigione). Questa “fierezza” dunque non è una forma di esaltazione psichica basata su un senso di deificazione, ma un mezzo per controbilanciare il modo in cui abitualmente sperimentiamo la mondanità della nostra esistenza, che si basa su passioni ed impulsi.

REALTÀ SAMSARICA E REALTÀ NIRVANICA.
Nel tantrismo, la realtà mondana è costituita dai propri 5 skandha (componenti psico-fisici), mentre la realtà sopramondana è costituita dal corpo, dalla voce e dalla mente adamantini dei Buddha. Queste due dimensioni - impura e pura – sono peraltro unite inseparabilmente. Dall’essenza del proprio essere psico-fisico (rlun, e mente sottilissimi) si manifestano - attraverso gli Stadi di Generazione e di Completamento - i 3 Kaya di un Buddha. Meditando sulla corrispondenza che intercorre fra gli elementi del mandala e quelli della propria visione ordinaria si realizza la propria natura originariamente perfetta (il rlun e la mente sottilissimi); cioè, meditando sul maÐÅala del corpo si comprende che tutti gli aspetti puri della manifestazione divina sono i componenti dei propri skandha adamantini. In altre parole, nei vari aspetti della realtà mondana (i 5 skandha, i 5 elementi, ecc.) si trova la base della realizzazione, per cui vi sono delle corrispondenze intercorrenti fra quelli e la realtà sopramondana. Così, nel Mahayoga queste corrispon-denze sono le seguenti(1) :
1] i 5 skandha corrispondono ai 5 Padri (yab)
- coscienza (vijñana) : Akshobhya ]
- sensazione (vedana) : Ratnasambhava ]
- concettualizzazione (samjña) : Amitabha ]
- impulso (samskara) : Amoghasiddhi ]
- forma (rupa) : Vairocana ]
(queste forme divine maschili (dhyanibuddha) rappresentano la realtà fenomenica, empirica e concreta. Indicano anche il soggetto dell’esperienza). Gli skandha - che sono la base dell’esistenza umana - sono anche la base della realizzazione : la loro natura è pertanto fondamentalmente pura. Essi non vanno considerati come qualcosa a cui si deve rinunciare, bensì - tramite il metodo tantrico della trasformazione - i loro aspetti sottilissimi di energia (rlun) e mente diventano la base stessa della realizzazione. Questa consapevolezza dissolve ogni forma di dualità.
2] i 5 elementi corrispondono alle 5 Madri (yum)
- terra : Buddhalocana ]
- acqua : Mamaki ]
- fuoco : Pandaravasini ]
- aria : Samaya-tara ]
- spazio : Dhatvisvari ]
(queste forme divine femminili (le Consorti dei dhyanibuddha) rappresentano la Vacuità (intesa come l’essenza della realtà) vista quale manifestazione pura dell’energia dei 5 elementi, cioè vista sotto l’aspetto puro delle loro funzioni: movimento (aria), stabilità (terra), ecc. Indicano anche l’oggetto dell’esperienza).
3] le 4 coscienze corrispondono ai 4 Bodhisattva della mente
− coscienza visiva : Ksitigarbha
− coscienza uditiva : Vajrapani
− coscienza olfattiva : Akashagarbha
− coscienza gustativa : Avalokiteshvara
4] i 4 sensi corrispondono ai 4 Bodhisattva del corpo
− vista : Maitreya
− udito : Nirvaranaviskambhin
− olfatto : Samantabhadra
− gusto : Mañjushri
5] i 4 oggetti corrispondono alle 4 Dee della bellezza
− forma : Lasya
− suono : Gita
− odore : Mala
− sapore : Nrtya
6] i 4 tempi corrispondono alle 4 Dee dell’offerta
− passato : Dhupa
− presente : Puspa
− futuro : Gandha
− indeterminato : Aloka
7] i 4 aspetti del tatto corrispondono ai 4 Deva Irati
− sensazione pura : Amrtakundali(2)
− tatto : Hayagriva
− tangibilità : Mahabala
− coscienza tattile : Yamantaka
8] i 4 limiti corrispondono alle 4 Dee Irate.
− eternità : Ankusa
− cessazione : Pasa
− identità : Srinkhala
− segni (nimitta) : Ganta
9] l’elemento soggettivo della coscienza mentale (manas-vijñana-dhatu) corrisponde a Samantabhadra.
10] gli elementi oggettivi o contenuti mentali (dharmadhatu)(3) corrispondono a
Samantabhadri.
Il Sentiero Mahayoga richiede quindi uno sforzo di applicazione consistente nel
sevasadhana, cioè nei 4 rami della “generazione (o sviluppo)” e del “completamento (o perfezionamento)” :
1. l’avvicinamento (bsñen-pa) : è la contemplazione della Vacuità, cioè della condizione della realtà com’è sin dall’origine;
2. l’avvicinamento completo (ñe-ba’i bsñen-pa) : è la trasformazione di se stessi nella divinità maschile, cioè si tratta di percepire i propri skandha trasformati nei Padri (yab) e quindi di riconoscere la loro identità essenziale;
3. l’acquisizione (sgrub-pa) : è la visualizzazione della forma divina femminile, nota come Madre (yum) : essa è la manifestazione pura dell’energia dei 5 “elementi”. Perciò si tratta di percepire gli “elementi” materiali trasformati nelle Madri divine e quindi di riconoscere la loro identità fondamentale;
4. la grande acquisizione (sgrub-pa chen-po) : è l’unione del Padre (che rappresenta i 5 skandha) e della Madre (che rappresenta i 5 elementi) : la beatitudine (sukha) che ne deriva è utilizzata dal praticante per dissolvere gli ostacoli più sottili all’Illuminazione.
Tramite questi 4 stadi si ottiene la sottomissione dei “4 demoni (mara)” :
− con l’ ”avvicinamento” si sottomette il “demone della morte” (mrtyupatimara,
‘chi-bdag-gi bdud);
− con l’ “avvicinamento completo” si sottomette il “demone degli aggregati” (skandha-mara, phun-po’i bdud);
− con l’ “acquisizione” si sottomette il “demone delle emozioni” (klesha-mara,
ñon-mons-pa’i bdud);
− con la “grande acquisizione” si sottomette il “demone [della distrazione, noto come il] figlio della divinità” (deva-putra-mara, lha-pu’i bdud).
Così, nel Tantra, non si percepisce più il proprio corpo come qualcosa di ordinario o impuro, ma si diviene consapevoli della sua dimensione divina, identificando
− i 5 skandha con i 5 Dhyanibuddha;
− i 5 elementi con le 5 Consorti dei Dhyanibuddha;
− le 8 coscienze (rnam-shes)(4) con gli 8 Bodhisattva.
Non si tratta di costruire una natura di Buddha o di diventare qualcun altro : si
tratta solo di dissipare i veli dell’ignoranza per riconoscere lo stato primordiale,
nudo. genuino, puro, privo di distorsioni concettuali. Si acquisisce semplicemente la
visione di ciò che siamo (cioè, del proprio stato di natura) piuttosto che ottenere
qualcosa di cui saremmo privi o raggiungere uno stato di Buddha che ci sarebbe
estraneo. In altri termini : allenando gli ordinari corpo, voce e mente (le “3 porte”)
si arriva a rendere evidente la loro vera condizione che è quella indistruttibile del
vajra, cioè illuminata (e a quel punto assumono la denominazione di “3 vajra”).
 



(NOTE):
1 Cioè i vari aspetti della realtà samsarica (che verranno nel testo elencati per primi) hanno la medesima ed identica natura dei corrispondenti aspetti della realtà nirvanica.
2 E’ la “coscienza del momento precedente”, che funge poi da sostegno alla “coscienza puramente mentale” (manas-vijñana) - che quindi sorge da quella; oppure è la facoltà mentale (manas-dhatu) che sorge dopo la “coscienza tattile” (kaya-vijñana-dhatu).
3 Suddivisi in aspetti condizionati (samskrta) da cause primarie e secondarie, e in aspetti incondizionati (asamskrta).
4 Le 5 coscienze sensoriali, quella mentale (cioè la coscienza degli oggetti mentali, associata alle facoltà sensoriali), la mente egoica, la coscienza di base (alayavijñana).

 



(Gentilmente ripreso dal sito: http://www.mahayana.it/index1.html)