Natura, Causa (e Cura) della Sofferenza (Tsaatan Mimamsa)

Tratto da- www.exoticindia.com

 

 

La Bhagavad Gita tiene molto a sottolineare la necessità di mantenere una equanimità della mente tanto nelle circostanze favorevoli che negative (Bhagavad Gita: 6,7; 12,18 e 14,25). Tuttavia, questo è più facile a dirsi che a farsi. Nello Shrimad Bhagavata Purana, quel gradevole testo traboccante del nettare di dolci parole uscite dalle deliziose labbra di Krishna, il Signore dice in termini inequivocabili:

“Sia che voi siate rimproverati o insultati, ridicolizzati o vilipesi, picchiati o incatenati, o perfino privati di mezzi di sussistenza, ricevendo addosso sputi ed urina dai malvagi - quando le proprie fondamenta sono scosse in questo modo, si dovrebbe cercare di redimersi mediante il ricorso alla ragione".

In risposta a questa istruzione, Uddhava, grande devoto e amico di Krishna, contestò:

“Questi oltraggi contro di noi da parte dei malvagi sono i più difficili da sopportare, perché la nostra natura di reagire nei confronti di tali maltrattamenti è molto potente e difficile da resistere. Pertanto, spiegami come posso comprendere e realizzare lo stato spirituale esaltato di cui stai parlando".

(Shrimad Bhagavata Purana 11.22.57 - 60).

In uno stile inimitabile e affascinante, Krishna procede poi a raccontare una storia, inserita all'interno di ciò che è un modo creativo per realizzare l'equanime stato d'animo (shamata) di cui sopra.

‘Molto tempo fa, nella antica città di Ujjain viveva un brahmino, che tuttavia era un brahmino solo di nome. Poiché si interessava a varie faccende, egli aveva accumulato una grande ricchezza. Egli era pure estremamente avaro, e non spendeva mai un soldo per sé, o per uno qualsiasi dei suoi familiari e amici. A causa di questo suo temperamento estremo, egli era fortemente antipatico a tutti i suoi cari e ai suoi vicini, i quali gli erano perfino addirittura ostili.

Non passò molto tempo che un tale innaturale stato di cose alla fine cambiò, e tutta la sua ricchezza, guadagnata con molto duro lavoro, e immagazzinata con uno sforzo ancora maggiore, venne a finire davanti ai suoi stessi occhi. Una buona parte fu saccheggiata dai suoi stessi parenti e vicini, parte di essa fu rubata da ladri, parte fu confisticata dal governo ed il resto venne rovinato da cause naturali come incendi, ecc. Così andò persa tutta la sua ricchezza, che egli non aveva mai utilizzata per il suo personale godimento, né per fare la carità.

Ridotto in questa pietosa condizione, un grande scoraggiamento prese il brahmino. Appena cominciò ad incombere su di lui, le lacrime gli si strozzarono in gola e, di conseguenza, egli sentì un’angoscia quasi insopportabile. All’improvviso, però, lo stesso scoraggiamento divenne la causa di una strana contenuta felicità che sentiva scorrere attraverso il suo corpo, e un forte sentimento di rinuncia arrivò facendogli dire a se stesso:

“Ahimé! Io mi sono tormentato inutilmente lavorando in modo così duro per accumulare la ricchezza che non è stata utilizzata né per meriti religiosi (dharma), né per mio stesso piacere. Invero è detto che gli avari devono sempre soffrire - in questo mondo essi bruciano per l’ansia di guadagnare e per salvaguardare il loro denaro, e dopo la morte vanno all’inferno a causa di aver trascurato il Dharma, nel corso del loro ciclo di vita ".

“Effettivamente, prima il guadagnare denaro, e poi l'ambizione di aumentarlo, mantenerlo al sicuro, o saperlo spendere bene - tutto questo coinvolge un costante e duro lavoro, paura e angoscia. Fratelli, moglie, genitori, tutti i vicini e i parenti sembrano legati a noi per amore, ma diventano tutti estranei non appena non abbiamo più un solo centesimo".

“Avendo ottenuto questa nascita umana, che è ambita anche dagli dei, coloro che le mancano di rispetto (come ho fatto io), distruggono il loro più alto interesse personale. Questo corpo umano è un  ingresso sia per il Cielo che per la liberazione finale (moksha). Quale persona intelligente sarebbe disposta a perdere questa opportunità piuttosto che coinvolgersi nell'attività di denaro, causa di tutte le calamità. Io ho mancato dal mio dovere supremo e incurantemente ho sperperato via la mia vita, il denaro e l’energia che, se correttamente utilizzati, avrebbero potuto diventare le porte di liberazione. Non capisco perché perfino le persone intelligenti si lascino turbare con così tanti sforzi inutili per acquisire la ricchezza…? Di sicuro questo mondo è sotto l’illusione di una ignota ‘Maya’ ".

“Questo corpo umano è in una costante e orribile morsa della morte. Di conseguenza, quale scopo c’è di servirsi del denaro di per sé, o di quelli che danno soldi per il piacere o di quelli che danno il piacere? Cosa può essere ottenuto attivando il karma se non l’essere portati a una perpetua rinascita nel ciclo senza fine di nascita e di morte? Tuttavia, non vi è alcun dubbio che oggi il grande Signore Hari è immensamente compiaciuto con me perché egli mi ha portato a questa condizione miserabile in cui ha seminato in me il seme del malcontento, aiutandomi a raggiungere vairagya, il distacco da tutte le cose materiali, che altro non è, se non la barca per attraversare l'oceano delle miserie del mondo".

“Fortunatamente, io sono stato ridotto in questo stato, e per quanto tempo ora resta della mia vita, io praticherò le austerità e farò fronte soltanto alla nuda necessità".

Dopo aver risolto in questo modo la sua mente, il brahmino si fece silenzioso e andò in giro a vagare liberamente in questo mondo come un cencioso mendicante. Che cosa successe dopo?

Che ovunque fosse il vecchio brahmino, ora in cenci, le persone malvagie l’insultavano terribilmente. Alcuni volevano strappargli via il bastone che aveva per sostenersi, mentre altri volevano togliergli la sua ciotola per il cibo. Alcuni volevano portargli via la sua Rudraksha Mala (rosario di legno) mentre altri volevano togliergli la veste dai fianchi. Come se ciò non bastasse, molti volevano dargli oggetti solo per riprenderseli. Quando il vecchio si sedeva sulla riva per condividere le poche elemosine che aveva raccolto, rozzi individui venivano con l’intenzione di sputargli, urinargli addosso, o persino fare le loro arie posteriori su di lui. Essi cercavano di far rompere il silenzio al monaco, di farlo parlare, e quando egli non lo faceva, lo colpivano.

Spesso alcuni screanzati lo chiamavano ladro e lo legavano con corde, alcuni lo chiamavano ipocrita, ricordandogli il suo passato e insinuando che fosse stato buttato fuori di casa dalla moglie e dai figli, e che ora avesse fatto della religione la sua nuova attività.

Il brahmino mendicante, tuttavia, sopportava tutto pazientemente. Egli era quindi esposto ai seguenti tre tormenti:

1). Adhyatmic: la sofferenza fisica che ha origine nel proprio corpo, ad esempio, febbre, dolori, ecc.

2). Adhidaivik: la sofferenza che viene imputata agli dei: calore, freddo, pioggia, ecc.

3). Adhibhautik: la sofferenza imposta dagli altri esseri viventi, in forma di umiliazione, ecc.

Benché le persone malvagie cercassero continuamente di scuotere duramente la sua determinazione, egli rimaneva fermo sulla sua piattaforma spirituale. Egli prendeva ogni tipo di sofferenza in modo positivo, riconciliandosi con tutte, lavorando a fondo sulla natura della "sofferenza", esprimendo il suo pensiero con le seguenti parole:

“Le mie gioie o i miei dolori non sono dovuti a queste persone, né agli dei, né al mio corpo, non ai pianeti, né al mio karma o al ‘tempo’ (kala). Le Scritture affermano che solo la mente è la causa di tutti questi, e in effetti è solo la mente che perpetua i ripetuti cicli di nascita e morte. La mente è molto potente, e attualizza gli stati mentali, che poi evolvono nei vari tipi di karma che portano ai vari stati di esistenza, in base alla "qualità" del karma. La mente è l'iniziatore di tutte le attività. Pertanto, lo scopo supremo di tutte le imprese spirituali, sia che si tratti di carità, la pratica del proprio dovere, lo yoga, lo studio dei Veda, il celibato o il digiuno, è la sottomissione della propria mente".

“Infatti, colui la cui mente è in pace con se stessa, che cos’avrebbe da guadagnare da una meritoria attività come la carità, eccetera? D'altra parte, colui la cui mente è ancora incontrollata, anche se egli eseguisse la pratica di questi fatti meritevoli, non otterrebbe granché da essi. Tutti gli organi di senso sono sotto l'influenza della mente, tuttavia, la mente non è sotto il controllo di nessuno di questi. Questa mente è più forte del più forte, e chi è in grado di metterla sotto controllo, è realmente il dio degli dei (Deva-Deva)".

“Una mente indisciplinata è il peggiore di tutti i nemici. Il suo attacco è pressocché insopportabile. Non solo essa tormenta il corpo, ma affligge anche le parti emotive (come il cuore) del nostro essere più intimo. La mente è difficile da sconfiggere. Nondimeno, essa è il primo e principale nemico che l'uomo deve cercare di vincere, ma ciò che purtroppo succede è che l'uomo non cerca di conquistare la sua mente, ma invece cerca di attribuire la colpa per la sua buona o cattiva situazione a persone o circostanze estranee. Se io vedo che le persone che mi fanno la carità sono la causa della mia felicità e quelle che mi molestano sono la causa della mia infelicità, allora io sono assorbito solo nel concetto corporeo della vita e sono solo in grado di grattare la superficialità della vita, piuttosto che afferrare il suo significato ultimo".

Il mendicante allora stabilì di delineare sistematicamente ognuno dei fattori che si poteva dire fossero stati logicamente la causa della sua sofferenza, e attraverso un'approfondita analisi mostrò il motivo per cui nessuno di questi poteva essere stato la causa ultima della sua infelicità.

 

1). Gli altri esseri umani:

Il brahmino disse: “Se noi sosteniamo che gli altri esseri umani sono responsabili per la nostra felicità o infelicità, allora in che modo ciò incide sul Vero Sé (atman), che è immateriale, mentre sia l'autore del fatto che colui che lo soffre, non sono che corpi fatti della stessa polvere. Se un uomo morde la sua stessa lingua con i suoi denti, su chi poi potrebbe dare la colpa per il dolore che sperimentò?"
Il Sé rimane al di là sia del corpo che della mente. Questo Sé non si ingrassa insieme al corpo, e né condivide la gioia o i dolori della mente. Il mondo esterno può colpire solo il corpo e la mente, e mai il Sé. Quando il corpo di una persona è abbellito, la sua mente è euforica, e quando la sua forma è presa a calci, è ancora la mente che si ribella. Il Sé è soltanto il testimone del suo soffrire o gioire.

Tutti i corpi fisici sono costituiti degli stessi cinque elementi - spazio vuoto (akasha), aria, fuoco, acqua e terra. All'interno di tutti i corpi fisici, vi è la stessa coscienza divina che dimora in essi come il Sé ultimo. Qual’è allora la differenza tra due di noi? Quando le persone si onorano o si disonorano a vicenda, esse sono solo modificazioni della stessa terra, che si onorano o si disonoraino l’un l’altro. Nel quinto canto della Shrimad Bhagavat Purana, c’è la storia del grande santo "Jada Bharata", il cui nome nome di Bharata, incidentalmente, è stato dato al paese oggi conosciuto come l'India.

Una volta accadde che Jada Bharata fu costretto da un re a diventare portatore del suo palanchino. Il santo, per nulla avvezzo a tale compito, incespicò e fu rimproverato per aver fatto prendere un grave scossone al re. Egli allora rispose: “Un grumo di fango sta sopra ad un altro. Uno crede se stesso un portatore di palanchino e l’altro un re. Tuttavia, in sostanza, entrambi sono solo fango, senza alcuna differenza di sorta. Conoscendo questo, l'uomo saggio rimane imperturbato".

“Il mio dolore è come il dolore della lingua quando viene morsa dai denti, e il dente che aggredisce la lingua fa sempre parte di me. Perché io considero sia i denti che la lingua come me stesso".

“Allo stesso modo, colui che insulta e chi è insultato, sono entrambe espressioni, manifestazioni o condizioni dello stesso Sé, poiché il Sé che è in me è il Sé in tutti. Allora chi è che insulta chi, quindi perché uno dovrebbe reagire o soffrire? Tutto il dolore sta nel senso di alterità - in cui c’è ‘qualcuno’ che ‘mi ha ferito’.

Non sapendo che in lui il Signore è sempre il Sé, Shishupal combattè con Shri Krishna. Quando morì, la luce che emerse dal suo corpo si fuse nel Signore. Non realizzando che il ‘Sé’ è lo stesso in tutti, anche noi lottiamo con noi stessi, in tutte le nostre vite.

 
2) Gli Dèi come causa della nostra sofferenza o felicità:

Nella filosofia Indiana, tutti gli aspetti individuali del corpo umano (adhyatmik) e tutte le varie forze fenomeniche (adhidaivik), sono gli stessi e medesimi. Pertanto, secondo le Upanishad, la visione degli occhi, e l’energia del sole sono in sostanza la stessa cosa. Similmente, Indra è il sovrano del cielo e allo stesso tempo anche la divinità che risiede nelle nostre vite, e Agni la divinità della nostra bocca. Perciò, quando la mano schiaffeggia la bocca, è Indra che lo sta facendo ad Agni. Perché? Supponiamo allora che la bocca morda la mano. Come può tutto questo influire sul Sé informale che è al di là del corpo? Inoltre, quando le stesse divinità sono presenti in ciascuno dei corpi formati in modo differente, non è forse lo stesso gruppo di divinità che agiscono l’un verso l’altra, dato che non vi è alcun "altro", che possa essere ritenuto responsabile per quella cosa?


3). Può la Causa essere l’Astronomia dei Pianeti?

I pianeti non possono essere la causa ultima della nostra felicità (sukha) o dolore (dukha), in quanto essi influenzano solo ciò che è nato ed è soggetto a variazioni. Tuttavia, il ‘Sé’ è non-nato e, quindi, non può mai essere sotto l'influenza dei pianeti.


4). Sono le nostre azioni (karma) che stanno dietro a Sukha e Dukha?

Prima di dire che le nostre azioni sono la causa delle nostre gioie e dolori, dobbiamo capire che ogni azione è possibile solo da una combinazione di coscienza e le cose inerti. Il corpo è inerte, mentre il Sé è consapevole.

Solo ‘colui che compie l'azione’ (karta), può diventare il ‘fruitore’ dei suoi risultati (bhokta). Per di più, l'azione può modificare l'oggetto dell’azione e anche colui che riceve l'azione. Il Sé non è né l’Agente, né il Ricevente (che probabilmente è la mente), né l'oggetto dell’azione e, di conseguenza, non ne è influenzato da essi. Il Sé è il soggetto non-agente che testimonia tutte le azioni.

Ciò che è inerte, di per sé non può agire. Perfino la coscienza non può agire senza un corpo, senza strumenti, ecc. E quindi, solo con la combinazione di cio che è inerte ed il ‘senziente, l'azione potrà essere possibile. Una tale combinazione è tuttavia impossibile, poiché la consapevolezza  e l’inerte sono di natura opposta, come la luce e le tenebre. Quindi, quando il karma stesso non ha una base ultima, sia nel corpo fisico che nell'anima, dov’ è allora il problema di un qualcosa, che è inesistente, che possa provocare la gioia o il dolore?.

 
5). È il Tempo (Kala) che è responsabile per il dolore e il piacere che sperimentiamo?

Nella Bhagavad Gita, il Signore Krishna dice: “Io sono (la natura di) Kala"(10.30). Il ‘tempo’ (kala) può essere vissuto o sperimentato soltanto come il ‘presente’, ed il momento presente, scendendo giù fino al microsecondo, può essere diviso e suddiviso finché il tempo stesso scompare e resta solo il ‘Sé’, la sola Presenza testimoniante. Allora come può il tempo, che è l'essenza dello stesso Sé, essere la causa della sofferenza o della gioia?. La fiamma non può essere tormentata dal suo stesso calore, né il ghiaccio può essere influenzato dalla sua stessao freddezza.


Conclusione:
Il corpo materiale è materia inerte e di per sé non può sperimentare nulla, sia che si tratti di felicità o angoscia. Tuttavia, lo Spirito, l’Anima, (il ‘Sé’) è pura coscienza e completamente trascendentale e, quindi, ognuno dovrebbe fissare la propria mente sul Signore Trascendente che è al di là della gioia e del dolore. E’ solo quando la coscienza trascendente, condizionata dalla mente, si identifica con la materia inerte che l’entità vivente immagina di star godendo o soffrendo, nel mondo materiale.

Tuttavia, questa trasformazione dal corpo allo Spirito richiede un cambiamento radicale nel nostro processo di pensiero, e raccontando la storia del Brahmino mendicante, Lord Krishna mostra proprio come una grave crisi o un momento di estrema sofferenza nella nostra vita può darci una impulso altamento creativo, spingendoci sul sentiero dell’auto-realizzazione.