Centro Ch'an Nirvana
 


L'INSEGNAMENTO DEL TANTRA SHIVAITA KASHMIRO
di Daniel Odier

(http://www.danielodier.com/it/laVia.php)
 

 

  

La freschezza assoluta di ogni istante fluisce ed il corpo infinito dello yogi e della yogini, non ostacolato dalla memoria e dalla proiezione, reagisce nell'istante, spontaneamente, conosce nell'istante, dimentica nell'istante, poiché la pienezza non lascia alcuna scoria sul rubino del cuore. Il suo fremito infimo e continuo è la vostra stessa natura.

Senza limite, della medesima essenza e della medesima natura di tutto ciò che vive, non più separazione. Nella danza, non più identità separata, tutto è connesso, tutto è immagine e riflesso all'infinito. Far fronte alla realtà vedendo in ogni cosa la manifestazione dell'essenza del Cuore. Nessun blocco emozionale, nessun blocco del pensiero discriminante, nessuna chiusura del corpo. Nessuna fuga, nessuna ricerca. Nessun evitare, nessuno scontro. In questa apertura, tutto è yoga. Essere uno con le cose.

Il corpo ha la natura dello spazio. Le emozioni hanno la natura dello spazio. La materia ha la natura dello spazio. Libera e senza limiti dalle origini, la nostra vera natura non è che spazio. Nulla può bloccarla o limitarla. L'attaccamento al corpo è fonte di sofferenza,  la realizzazione del corpo spaziale è la liberazione.

Nulla di fisso in alcun luogo. Nessuna materia inanimata. Tutto è movimento. Tutto è connesso.

Senza la minima volontà individuale, lasciate il vostro corpo obbedire al mondo. Lentezza e felicità sono al centro del corpo cosmico. Essere centrati, è perdere la periferia. Perdere la periferia, è perdere il centro. Perdere il centro è essere centrati…


 

La parola "tantra" deriva dalla radice "tan" che significa espansione, totalità e rimanda anche alla trama del tessuto. Questa via mistica ha segnato in profondità il buddhismo e l'induismo conservando interamente le proprie caratteristiche shivaite. Derivato da numerose linee di tradizione, di cui alcune trovano origine cinque o seimila anni fa nella valle dell'Indo, il tantra è una via non-duale giunta al suo apogeo tra il VII ed il XIII sec. nel regno dell'Oddyana, nel vicino Kashmir e nell'Assam, posto agli antipodi della catena himalayana. Dall'Oddyana, nell'VIII sec., Padmasambhava introdusse il tantra nel Tibet, e nello stesso periodo esso si diffondeva in tutta l'India, nel Nepal e persino in Cina, Giappone ed Indonesia.

La mia maestra, la yoginikashmiraLalita Devi, appartiene alla scuola Kaula (la via assoluta, la totalità cosmica nel corpo del praticante) e alla linea Pratyabhijna che, unita alla linea Spanda, rappresenta la via tantrica più spoglia e si rivolge direttamente alla nostra essenza originale. Pratyabhijna significa "riconoscimento spontaneo" e Spanda "fremito, vibrazione interiore" che emerge quando il praticante si identifica con il cosmo.

Il lavoro dello yoga kashmiro descritto nel Vijnanabhairava tantra, il più antico testo sullo yoga che ci sia pervenuto, verte sul riconoscimento spontaneo della nostra essenza divina o assoluta che si traduce nel fremito interiore della non-dualità. Questo percorso, che io pratico e insegno, è chiamato anche Sahajiya o via del risveglio spontaneo, è descritto nel Vijnanabhairava tantra, il più antico testo sullo yoga che ci sia pervenuto.

La ricerca tantrica è totalmente imperniata sul concetto che nell'essere non vi è nulla da aggiungere o da eliminare, poiché esso possiede l'essenza assoluta e soltanto la libera manifestazione della sua umanità è Coscienza. È l'ascesi laica per eccellenza, situata al di là del dogma, delle credenze, della religiosità, dei precetti morali, completamente integrata alla realtà della vita quotidiana. È una via femminile e sferica che include tutti gli esseri e riconosce pienamente il potere della donna. È una via di ritorno alla fonte originaria, all'essere embrionale che contiene la "Totalità".

Abhinavagupta, il grande filosofo tantrico che visse in Kashmir nel X sec., in uno dei suoi poemi dà questa meravigliosa definizione della ‘Via Assoluta’: "Ora, poniti fuori dalla progressione spirituale, fuori dalla contemplazione, fuori dall'abile loquacità, fuori dalla ricerca, fuori dalla meditazione sulle divinità, fuori dalla concentrazione e dalla recitazione dei testi. Dimmi, qual è la Realtà assoluta che non lascia spazio ad alcun dubbio? Ascolta bene! Smetti di aggrapparti a questo o a quello, e così restando nella tua vera natura assoluta, gioisci tranquillamente della realtà del mondo".

L'approccio di Abhinavagupta e di tutti i maestri tantrici della tradizione Kaula è l'esposizione dell'insegnamento cominciando dalla via assoluta o la non-via (anupaya), per avvicinare poi le tre vie tradizionali. Ogni praticante ha così la possibilità di cogliere l'insegnamento al punto più alto a cui abbia accesso.

"Quando trafitto da una grazia potente, avendo ascoltato una sola volta la parola del Maestro, egli comprende la realtà assoluta da solo, la fusione con Shiva è indipendente da qualsiasi progressività" dice Abhinavagupta. Questo essere, liberato nel momento, non deve compiere alcuna pratica, tutto è l'espressione del "Io sono". La via divina di fusione immediata con Shiva/Shakti (sâmbhavopâya)…

Se non si può penetrare all'istante l'assoluto, alcuni esseri eccezionali sono toccati dalla grazia di una grande libertà che li conduce rapidamente all'identificazione con Shiva/Shakti.

La via del desiderio puro, accessibile a chi ha il cuore aperto.

Questo eroe è immediatamente immerso nell'universo non duale e non andrà mai più incontro alla confusione. È la via di un risveglio spontaneo e definitivo che nulla può offuscare. Il tantrika è vivo e allerta in un'unità continua. In lui non c'è più alcuna differenza di soggetto/oggetto. Tutto non è altro che coscienza vibrante nella quale emergono e scompaiono tutte le tracce, le formazioni mentali, le sensazioni di separazione dall'assoluto. È l'essenza pura e semplice dell'amore divino. Questo liberato vive disteso, presente ad ogni cosa, immerso nel divino.

La via dell'energia della ragione intuitiva (sâktopâya)

Quando il pensiero duale si è calmato grazie all'iniziazione diretta delle dee o dell'insegnamento del Maestro e dei testi sacri, il tantrika "cancella la traccia della dualità" grazie alla propria ‘prajna’, o capacità intuitiva. Questa via è al di là dei diversi yoga e delle pratiche destinate a situare gli yogin nella percezione non-duale. Questo praticante vede ogni cosa come uguale a Shiva/Shakti. Tutto non è altro che coscienza. "Tutto ciò che è prescritto o vietato non può servire d'accesso né ostacolare la via verso la Realtà suprema" dice Abhinavagupta. Questo yogin realizza che non è vincolato dall'atto karmico, che non ci sono né impurità né dipendenze e che nulla e nessuno può privarlo del suo essere Coscienza. "Allora, penetrato dall'identità del Sé e della Coscienza del corpo e della totalità, egli è uguale al Divino".

La via dell'individuo e della pratica (ânavopâya)

Qui l'accesso passa attraverso i diversi yoga : meditazioni, visualizzazioni, e le pratiche insegnate nel Vijnanabhairava tantra. Progressivamente il praticante si libera dalla dualità, dai nodi intimi che impediscono lo schiudersi della Coscienza, dalle abitudini ripetitive, dalla paura, dall'angoscia e dalla sensazione di essere un individuo isolato. Poco a poco l'ego si distende, la presenza diviene continua, la Coscienza emerge e la non differenziazione del tantrika e dell'universo prepara lo yogin alla via della ragione intuitiva.

Queste tre vie non costituiscono delle tappe, tutte portano alla Coscienza. L'insegnamento non le utilizza singolarmente, ma le mescola in risposta ad ogni praticante e ad ogni istante. "Solo l'amore è divino in questa via senza illusione. Nessuno yoga, nessuna ascesi può condurre a lui".

Per una visione completa di queste tre vie si rimanda a:Abhinavagupta, “La luce dei tantra (Tantra-loka)”, a cura di Raniero Gnoli, Biblioteca Orientale 4, Adephi edizioni, Milano 1999.

Tre vie, tre modi di meditare

Il primo maestro tantrico che ho incontrato nel 1967 era il capo spirituale dei Nyingmapa, il grande maestro Dzogchen Dudjiom Rimpoché. Viveva a Kalimpong e le visite in quella zona erano limitate a tre giorni per i problemi di frontiera con la Cina. Dudjiom Rimpoché mi insegnò molto semplicemente tre modi di meditare che corrispondono al tantra kashmiro e dell'Oddyana, così come lo stesso Guru Padmasambhava li aveva introdotti nel Tibet nell'VIII sec.

La non-meditazione

"In una posizione confortevole, nella calma e nel silenzio, la schiena ben diritta, perfettamente disteso, la respirazione naturale, dolce e silenziosa, poni la tua attenzione in uno stato di presenza assoluta senza che la mente vaghi nei tre tempi. E' lo stato naturale della mente che dimora restando spontaneamente nella condizione di non-distrazione, di non-produzione, di non-meditazione".

La meditazione del Cuore

"Se non puoi entrare subito in questo stato, concentrati su una lettera rosso fuoco nel centro del cuore, di una misura che senti appropriata. Che questa immagine sia vivamente presente. Che essa assorba tutta la tua attenzione".

La concentrazione e la quiete

"Se questa meditazione è difficile, prendi un oggetto semplice, come un ciottolo o un pezzo di legno, posalo davanti a te, dirigi il tuo sguardo sull'oggetto senza sbattere le palpebre, non lasciare null'altro occupare la tua mente e poniti nella presenza in modo naturale e disteso. Guarda tutto ciò che ti si presenta senza afferrarlo e gradualmente raggiungerai la pace. Tutto ciò che emerge, naturalmente si libera, senza sforzo da parte tua. Ben presto non potrai più uscire da questo stato non concettuale e non avrai più neppure il desiderio di muoverti. Sarà il segno che ti stai familiarizzando con la quiete e arriverai alla spontaneità".

Questo insegnamento impartito a un neofita totale mi è stato molto prezioso e non ne ho mai trovati di più semplici e più profondi. Ancora oggi pratico e insegno in questo modo.

Perché la meditazione-seduta ?

Meditare è accedere alla parte più profonda del nostro essere che, non contaminato dalla nostra cultura, dalle nostre credenze, dalle nostre esperienze, dal nostro senso dell'ego e della separazione, si situa al di qua di tutte le scissioni tra noi e l'assoluto. È scoprire in sé lo spazio e la totalità situati a monte del pensiero differenziatore. È "cancellare la traccia della dualità" ritrovando lo stato naturale della mente.

Qual è la nostra pratica ?

La nostra pratica, è semplicemente svuotare il mentale dall'attaccamento a forme fisse, restituendo al corpo il suo spazio regale. Il corpo coglie naturalmente la non-dualità, mentre la nostra mente non può neppure concepirla. "Il corpo è ricolmo di tutte le vie, riempito delle diverse modalità del tempo e luogo di ogni movimento speciale. Il corpo cela in sé tutte le divinità. Colui che penetra questo corpo giunge alla liberazione" dice Abhinavagupta.

Noi viviamo l'istante nella presenza non mentale, nella presenza nuda alla realtà che sfocia nella più pura spontaneità. Alla fine nasce una gioia che non dipende più dalle circostanze esteriori. Allora noi giungiamo alla libertà. Perciò,qual è la Realtà assoluta che non lascia spazio ad alcun dubbio? Smetti di aggrapparti a questo o a quello, e restando nella tua vera natura assoluta, gioisci tranquillamente della realtà del mondo".

 

REINTEGRARE LA TOTALITA'

Lo yoga kashmiro esposto nel Vijnanabhairava tantra è una via millenaria di ritorno al Sé. La modalità dinamica della ricerca e della pratica permette di riunire i diversi fili che costituiscono la trama del tessuto cosmico, rendendoci così coscienti dell'intreccio, della specificità e dell'unione nel Tutto di ciascun filo. Praticare è affidarsi al gioco infinito che ci rivela sial'architettura intima dell'essere e la sua espansione nello spazio; è divenire espressione della totalità.

Il tantrika non ricerca nulla all'esterno di se stesso, il suo motto potrebbe essere "né dei, né maestri". Shiva (l'energia maschile) e Shakti (l'energia femminile) non formano una coppia, essi sono "uno" e risiedono nel corpo del praticante. Simbolicamente sono rappresentati da un linga (fallo) che emerge da una yoni (vulva) anziché penetrarla; mentre nell'iconografia li troviamo spesso riprodotti in unione sessuale per esprimere il Tutto. Numerose pitture tantriche mostrano yogin o yogini in meditazione e nel loro spazio interiore fluttuano simboli di ogni genere per raffigurare la non esclusione del mondo esterno.

La pratica dello yoga tantrico si rivolge direttamente alla nostra fonte più profonda. Partendo da una accettazione globale di ciò che siamo nel singolo istante, essa si traduce nella reintegrazione stessa del nostro corpo, normalmente abbandonato a se stesso e ridotto al silenzio, mutilato da un'oscura incoscienza.

La nostra vita non è un insieme di momenti lodevoli o condannabili, né un'espressione di bellezza o di abiezione, è piuttosto un flusso costante, una manifestazione dell'assoluta creatività del ‘tutto’, che rimuove ogni staticità. Lo yoga è il fiume la cui la corrente porta con sé le differenze e le conduce al mare della tranquillità. La nostra vera natura include la totalità, contiene l'intera tavolozza umana e quando per idealismo spirituale vogliamo abbandonare l'oscuro, perdiamo la luce.

Praticare è divenire il mondo, comprendere che è il nostro riflesso, che nessuna delle sue espressioni ci è estranea. Dall'orrore assoluto al sublime, noi siamo ciò che vediamo. Appena cerchiamo di identificarci con una sola parte del tutto, indossiamo una maschera. Questo oblio della nostra vera  natura globale può trasformare la via spirituale nell'identificazione a un ideale che ci rende sterili e ci porta ad essere null'altro che il fantasma di noi stessi, a scivolare fuori dal tutto originale.

Nella ricerca tantrica non si aspira all'astrazione dal tessuto umano, ma al contrario, al suo totale ri-emergere come coscienza dell'espansione. È la grande difficoltà di questa via, spesso paragonata a una folle corsa sulla lama del rasoio. La pratica restituisce movimento ai nostri pensieri, alle nostre emozioni e alla nostra sensorialità. Attraverso questo movimento il corpo/mente ingloba l'espansione ed in essa l'ego si dissolve: il giudizio differenziatore si sfuma, l'agitazione mentale si acquieta, ed il concetto di separazione svanisce nello spazio.

Allora, noi comprendiamo che tutte le forme rigide sono come una foto istantanea che blocca il flusso in un modo arbitrario, e che ogni volta che veniamo affascinati da un'immagine specifica noi lottiamo invano contro il fluire stesso del mondo. Quando neghiamo il corpo e la fluidità, noi siamo una fonte tranquilla che esprime la propria violenza; mentre quando siamo nella pace e nell'accettazione, nella

fluidità e nell'amore, siamo una fonte violenta che esprime la propria tranquillità. Perciò, quando alla fine ci riconosciamo, riconosciamo di essere lo specchio del mondo. Attraverso questa comprensione dissolviamo il senso di colpa ancestrale e siamo pronti a praticare per far ritornare ogni sensazione,

ogni pensiero ed ogni emozione alla fonte di tutte le cose, che è spazio, tranquillità, gioia. Questa accettazione, questa reintegrazione della totalità viene chiamata "Essere".

 

SEDERSI IN SILENZIO ED ESSERE IL MONDO

La seduta silenziosa ci permette di uscire dall'immobilismo che trova espressione nell'azione priva di coscienza. Nel tantra c'è una grande libertà riguardo alla postura. Molte terrecotte e le sculture più antiche della valle dell'Indo rappresentano yogin o yogini seduti con le ginocchia alzate vicino al petto e gli avambracci posati sulle ginocchia, altre mostrano la classica posizione del loto o del mezzo loto.

La seduta è il laboratorio della tranquillità. Poco alla volta le concrezioni intime si ammorbidiscono, la respirazione addominale profonda e silenziosa si radica e di tanto in tanto perdiamo l'illusione della separazione.

In questo modo,noi reintegriamo il tutto in una dissoluzione momentanea di quella staticità che costituisce la base dell'ego. Questa esperienza è il samadhi, l'apertura di una sfera priva di centro, all'interno della quale il mondo scorre, si manifesta e si riassorbe con creatività spontanea. Definirla esperienza è eccessivo, perché in quel momento non c'è più il centro, non c'è più lo sperimentatore, c'è soltanto l'espressione dell'espansione.

Per sedersi semplicemente e lasciar andare l'ego occorre qualche anno di pratica regolare, anche se questa "esperienza" può accadere inopinatamente sin dal primo giorno. Quando noi pratichiamo la seduta con piacere, possiamo cominciare ad esplorare l'espansione e ci familiarizziamo col passaggio da uno stato di tranquillità ad uno stato di contrazione e chiusura. L'insegnamento della seduta è proprio l'alternanza di questi due stati che appaiono opposti.

Un certo giorno, all’improvviso perdiamo di vista alti e bassi, dilatazione e contrazione e facciamo esperienza della continuità, come fossimo un'onda dell'oceano che dal suo punto più basso trae la forza per risalire. Assaporato il piacere dell'onda, emerge la sensazione più profonda di essere acqua e dimenticando la dualità di alto-basso, contrazione-rilassamento, noi siamo finalmente fluidità. Si produce uno shock : comprendiamo all'improvviso che noi siamo ciò che cerchiamo. La via ha così raggiunto la semplicità: nella seduta si sgretolano tutti i sogni spirituali e le proiezioni.

Ritorniamo al nocciolo incandescente della nostra vera natura, che i testi chiamano "il rubino del Sé", e riconosciamo che niente e nessuno ha il potere di alterarlo sia in positivo che in negativo. A questo punto la nostra dipendenza da un sistema, da un insegnante, da stati meditativi, da obiettivi spirituali cessa completamente.

Nella tradizione tantrica la seduta è solo un istante della ricerca, nulla pareggia la meditazione fatta in azione. Quando il corpo/mente ha riscoperto la sua fonte, l'introduzione del movimento evita che la seduta e la tranquillità si feticizzino e divengano momenti privi di creatività. Il tantra, finalmente, è completamente calato nella vita sociale, e mira a integrare la percezione della seduta nella vita attiva così da non avere alcuna separazione tra l'esperienza interiore e l'azione, tra il mondo interiore e quello esteriore. La meditazione si pratica anche cogli occhi aperti per testimoniare la comunicazione con il mondo degli ‘altri’ esseri.

L'uscita dalla seduta è particolarmente importante, quando avviene con dolcezza ci permette di fluire nell'attività successiva mantenendo lo stato di meditazione. Meditare è essere totalmente presenti a ciò che accade, e dal momento in cui la seduta è consolidata l’obiettivo dello yoga è condurci ad una sana integrazione del movimento e dello spazio.

Lo yoga kashmiro è fondamentalmente non posturale, poco alla volta include movimenti molto dolci e molto semplici compiuti senza volontà, unicamente attraverso la presenza al respiro. Può seguire uno yoga più fisico, ma soltanto dopo una lunga preparazione. Lalita Devi insegnava che per diventare un buon hata-yogin occorrevano quindici o vent'anni di pratica complessa, mentre facendo prima una buona preparazione sarebbero bastati pochi anni per integrare il movimento e lo spazio, così da poter raggiungere l'obiettivo dello yoga.

 

VERSO LA FLUIDITA'

Quando accettiamo di essere a immagine del mondo noi pratichiamo pienamente la seduta; quando riconosciamo l'emergere della tranquillità la includiamo nel movimento; quando il movimento inizia ad essere pregno della presenza non duale realizziamo lo yoga.

Le due stanze del Vijnanabhairava tantra che si praticano all'inizio dell'ascesi ci introducono all'idea che tutto può essere yoga appena lasciamo che lo spazio penetri il nostro corpo, le nostre emozioni, il nostro pensiero. Una di esse precisa:"Là dove trovi soddisfazione, l'essenza della felicità suprema ti sarà rivelata se resti in questo spazio senza fluttuazione mentale". L'altra dice:"Il desiderio esiste in te come in tutte le cose. Realizza che si trova anche negli oggetti e in tutto ciò che la mente riesce ad afferrare. Allora, scoprendo l'universalità del desiderio, penetra il suo spazio luminoso".

Entrare nella realtà invertendo il polo del desiderio è per noi la prima pratica. Dall'istante stesso del risveglio, il tantrika si dedica a comunicare col mondo, animato o inanimato che sia, e riconoscendo il desiderio al di fuori di sé modifica immediatamente il proprio modo di relazionarsi. Grazie alla potente percezione di ogni minima traccia di soddisfazione nella vita quotidiana, scopre un universo vibrante all'interno della banalità ed il suo essere profondo si apre alla gioia e all'appagamento. Ecco perché queste pratiche portano realmente a far comparire la coscienza in ciascun momento della vita.

Il tantrika sceglie di creare ogni giorno la propria pratica lasciandosi andare al puro ‘stato della presenza’ e traendone una profonda soddisfazione. Alzarsi, posare i piedi a terra, nutrirsi, farsi una doccia, vestirsi, uscire, guardare il cielo, sono le prime pratiche dello yoga. Per qualche secondo, noi siamo interamente presenti a ciò che facciamo e ogni volta che ci riusciamo reintegriamo la Totalità.

Il nostro corpo/mente riconosce immediatamente l'impatto profondo del nutrimento che gli offriamo e così immaginando che il cielo ci desideri guarderemo veramente il cielo, immaginando che l'acqua ci desideri potremo veramente raggiungere la fluidità e assaporando il delicato profumo di un the noi integreremo lo spazio.

Il testo non ci parla di una soddisfazione limitata legata all'ego, piuttosto mette in risalto che lo stato della presenza fa ‘cortocircuitare’ il mentale differenziatore e ci fa toccare la "fluidità suprema". Lo yoga della realtà ci spinge ogni giorno a vivere pienamente l'istante ed a trovare all'interno stesso della ripetizione banale l'essenza della nostra libertà fondamentale.

Uno dei punti più importanti di questo yoga è scoprire continuamente l'energia minima di cui noi abbiamo bisogno per essere presenti al mondo. Essa si modifica di ora in ora, è in relazione diretta con tutti gli elementi della nostra vita: l'aria, la luce, il cibo, la fluidità del corpo o le sue contratture, le cose viste o ascoltate, i momenti del ciclo, i corpi con cui entriamo in contatto, gli istanti stessi di presenza o di automatismo.

Poco alla volta arriviamo a una vera intimità con i nostri ritmi biologici, le nostre emozioni, i nostri pensieri. Lo yoga si pratica per brevi tocchi leggeri, come un gioco che duri qualche secondo. Lo yogin si accorda così al ritmo veloce della mente, senza più tentare di immobilizzarlo attraverso la

staticità. Accomuniamo lo yoga al gioco perché ritrovare il gusto del gioco trasforma la banalità in un'esperienza intensa dove più nulla ci appare come non degno di attenzione, al contrario tutto ci riconduce regolarmente alla nostra fonte.

Ci ricordiamo allora che Shiva, nella mitologia, è il creatore della danza e dello yoga e il nostro corpo si alleggerisce, si àncora alla realtà, si fluidifica ed entra nella grande danza dell'universo dove tutto comunica, dove tutto esprime l'armonia silenziosa della totalità. Il corpo si fa ricettore del tutto e la sua accettazione diviene ciò che un maestro ha chiamato la lettura del "grande sutra del corpo".

 

IL RITUALE QUOTIDIANO

Il rituale è una celebrazione che segna alcune tappe dello yoga della presenza e interviene molto tardi, poiché nel tantra il grande rituale è vivere nella coscienza. Anziché recitare formule (mantra) o

compiere celebrazioni davanti alle immagini di Shiva, Tara o Kalì, i primi anni di pratica sono dedicati interamente a comunicare con ciò che accade. Quando siamo in grado di seguire i meandri di una continuità fluida che ci lascia scivolare sinuosi nel quotidiano, quando il nostro corpo ha riconosciuto la sua universalità, la sua non-separazione, allora possiamo celebrare questa unione compiendo un rituale a Kalì, figura preminente nella nostra tradizione.

Anche i rituali sessuali, che tanto hanno affascinato gli Occidentali, avvengono molto raramente, non sono un mezzo magico di realizzazione, ma una grande celebrazione che determina l'entrata del praticante tantrika nella non-dualità, sono il segno che lo yoga della presenza è stato perfettamente radicato, che il rituale d'identità con Kalì è realizzato secondo tre modalità. La prima di esse è molto formale e consiste nell'offerta del fuoco, dell'acqua, dei fiori, dei profumi, del cibo e del corpo/mente del praticante; la seconda si svolge mentalmente, senza la presenza di divinità o di accessori poiché

il tantrika si è riconosciuto come divinità; la terza include la grande unione sessuale o energetica, e suggella l'uguaglianza assoluta tra il maestro e il discepolo che può essere riconosciuta sin dall'inizio della sadhana (cioè, la pratica spirituale).

Toccare il reale in modo continuo implica la spontaneità e l'abolizione del tempo. Non c'è più nulla che non sia il presente, non perché ci sia una volontà di essere nel qui e ora, ma nella comprensione profonda che tutto avviene nel presente, anche i ricordi, anche le nostre proiezioni. Vivere questa istantaneità permette di accedere poco alla volta a un'espressione autentica, non ragionata della nostra appartenenza al tutto. Anche le azioni esteriori sono riconosciute come parte del tutto. Così, noi entriamo in risonanza con tutto  il mondo.

Questo lavoro, questo gioco, comincia dall'osservazione di ciò che è. Il tantrika non proietta alcun cambiamento, non pronuncia alcun voto, non si attiene ad alcuna regola morale…dato che il suo obiettivo è di considerare sempre la realtà così come è. Egli non aderisce ad alcun programma, non esamina il passato, ma osserva con passione il funzionamento del proprio essere così come è….. Invece di bloccare comportamenti e attitudini spirituali sul terreno dell'ego, osserva il modo in cui egli percepisce, pensa, agisce.

Questa nuda presenza alla realtà del comportamento rivela un'immagine umana totale ed autentica, anche se non conforme a un ideale o a una morale. A partire da questo riconoscimento, il tantrika entra in un'accettazione del reale che scioglie i nodi psicologici stretti da tutti i conformismi. Quando il comportamento è osservato nella sua realtà si modifica profondamente, diviene fluido e approda infine alla spontaneità che è in armonia con il Tutto.

E questo è il lavoro sottile e continuo in cui si impegna il tantrika; egli, non accettando alcuna forma stabilita, lascia emergere la propria libertà fondamentale, ritorna alla fonte e non si aspetta più nulla dall'esterno. La relazione che egli intrattiene con colui che lo guida è di altra natura, è una relazione di indipendenza fondata sul riconoscimento dell'uguaglianza assoluta di tutti gli esseri. La presunta sottomissione non fa parte della sadhana. Questa via si rivolge a tutti coloro che sono pronti a non credere a nulla, a non subire nulla, a non ammettere nulla senza averlo sperimentato personalmente. Resta soltanto il piacere che provano due esseri umani di ritrovarsi l'uno di fronte all'altro nella nudità totale. Insieme vanno verso la spoliazione, verso una semplicità radicale e gioiosa.

 

LA PRESENZA ALLA REALTA'

Quando abbiamo accettato la nostra identità col tutto, quando la meditazione è stabilizzata e tutte le centotrenta pratiche dello yoga della presenza sono in funzione, allora ha inizio un'attenzione leggera ma continua ai processi interiori. È un metodo semplice ed efficace che potenzia e riunisce le diverse

pratiche yogiche. All'inizio, la presenza alla realtà si incentra su tre momenti: le percezioni sensoriali, l'attività cognitiva e infine,la nascita, lo sviluppo e l'espressione delle emozioni.

In tal modo, noi tracciamo un collegamento tra le diverse pratiche focalizzate di volta in volta su una sola manifestazione, come il respiro, il movimento corporeo, il pensiero o le emozioni. Si tratta ora di prendere coscienza dell'interazione sottile e rapida tra i sensi, la mente e l'emozione. Questo è un lavoro difficile, ma particolarmente chiarificatore sulle modalità del nostro funzionamento.

Noi possiamo notare come una percezione dei sensi metta in moto il processo mentale e pure come un'emozione interpreti il fremito sensoriale. Tale stato di coscienza ci aiuta a scoprire che l'emozione

passa a volte dal mentale, ma molto più spesso è la risposta diretta del corpo a uno stimolo esterno. Portare alla luce questo legame diretto permette di gustare sempre più profondamente ciò che dai tantrika è chiamata la ‘nuda percezione’, cioè non filtrata, non censurata dal mentale.

La mente umana, che ha la mania di appropriarsi delle percezioni e credersi indispensabile al nostro funzionamento, si trova  ‘corto-circuitata’ dalla presenza diretta, e quindi poco alla volta si abitua a non intervenire più. Questa è una tappa fondamentale dello yoga.

In un secondo tempo, portiamo la nostra attenzione ad osservare come nella percezione diretta del mondo il tempo venga abolito: esiste solo una successione di momenti presenti, un flusso di realtà che accade continuamente e naturalmente. Questa presa diretta di coscienza ci decondiziona dalla successione temporale. In un terzo momento, lasciando liberamente scorrere la nostra nuova percezione chiara e tangibile dei fenomeni del mondo, scopriamo che l'ego cessa di identificarsi con gli avvenimenti, cessa così di essere il centro l’arbitrario dell'attività, cessa di essere attivato da ciò che accade. Allora cominciamo a vivere la fluidità e il nostro comportamento diviene sempre più libero, entrando spontaneamente in armonia con ciò che ci circonda.

Abbiamo così la sensazione di essere totalmente vivi, la nostra tavolozza sensoriale si arricchisce, le emozioni nascono, si manifestano e ritornano naturalmente allo spazio da cui sono emerse. Lasciamo cadere le maschere ed entriamo in un rapporto diretto e autentico con la vita. Ogni movimento è accompagnato fino allo spazio, ogni sensazione ritorna alla calma e alla quiete, le emozioni non sono più sottomesse ad un ego che vuole questo e rifiuta quello.

Comincia così a stabilirsi un'accettazione totale della vita, una gioia profonda che permea qualsiasi cosa, e l'essenza intrinsecamente libera del nostro essere si manifesta ad ogni occasione. Noi non vediamo più le cose a partire da un centro esclusivamente egoico, la nostra prospettiva è diventata totalmente priva di un centro personale, e alla fine ci reintegriamo nella vastità dello spazio. Quindi, ci avviamo a divenire un reale essere umano totale e vibrante. I testi e gli insegnamenti verranno assimilati alla vita, e non abbiamo più bisogno di cercare, di essere approvati, di essere condizionati e definiti dall'avvallo di qualcun altro.

In questo istante, realizziamo che tutto è Coscienza. L'insieme delle percezioni, delle emozioni e dei pensieri è la Coscienza Assoluta. Non c'è più nulla che non sia pregno di Assoluto. Possiamo infine toccare la trasparenza, agire senza affidarci al discorso interiore, percepire ed esprimerci senza fare ricorso a dei riferimenti, senza essere legati ai pilastri del tempo che sino a quel momento ci hanno assoggettati alla sfera del divenire. Ogni luogo diventa sacro, ogni attività è l'espressione del tutto, e gustiamo ciò che Saraha chiamava "il meraviglioso sapore della Realtà".

Liberati dalle catene degli opposti, possiamo finalmente sperimentare il Soham, il "Io sono", l'essere assoluto che trascende l'essere e il non-essere. Gli Shivaiti lo chiamano il "Sé", i Buddhisti tantrici lo chiamano il "Non-Sé". Esso è uno stato al di là di ogni distinzione, ogni coppia di opposti, uno stato

che è totalità e abolisce l'adesione ai concetti. Non c'è che fremito (Spanda) e riconoscimento della nostra natura assoluta (Pratyabhijna). In questa peregrinazione attraverso la riunificazione del nostro corpo/mente col mondo dei fenomeni noi perdiamo totalmente l'idea che un'entità, cioè un "me", possa conoscere un'esperienza che si chiama risveglio, perché tutto ciò non può che manifestarsi nel momento dell'abolizione totale del ricercatore (cioè, dell’Io egoico).

Giunti a questo livello è possibile che "ciò" accada,dopodiché non ci resta che lasciar scorrere la vita sulla pepita ancora avvolta dalle concrezioni delle abitudini mentali, dei riflessi fisici, delle inclinazioni

psicologiche. Dopo venti o trent'anni, restando in questa attenzione leggera e continua, chiunque di noi forse raggiungerà la realizzazione perfetta, diventando un essere umano integro che sente tutto ciò che gli altri percepiscono a loro modo senza deviare dalla propria natura originale.

Ma perché pensare a questo? In fondo, l'inizio della liberazione è l'essenza stessa della liberazione totale, il primo secondo di semplice presenza alla realtà è in sostanza il risveglio totale. Ed è, quindi, la grande felicità della Spontanea Natura di Illuminazione!.