Su: DUALITA’ e NON-DUALITA’  di Aliberth

(Tratto dall'Incontro tenuto al Centro Nirvana di Roma, il 16/12/1999)

 

   Tutte le persone che hanno una mente innata tendente allo Zen hanno già in embrione, nel loro DNA mentale, una spinta motivata verso la comprensione dei segreti extra-ordinari del Ch’an. Per questa ragione, quando  ascoltano le istruzioni che vengono loro lette, spiegate e commentate, la loro mente ha già formidabili doti di captazione e assimilazione. La fiducia, che è parte integrante della loro capacità mentale, spazza via qualsiasi dubbio e l’adesione a queste verità è istantanea. Ecco perché si chiama "Illuminazione Improvvisa". Queste rare persone ‘avevano già' quelle verità nel loro intimo, solo che non sapevano spiegarsele, e inoltre non avevano ancora trovato qualcuno che sapesse presentar-gliele con chiarezza.

   Queste intuizioni profonde, germogliano da sole dentro di noi per meriti karmici. Pertanto il riconoscere che la dualità così come ci appare, non esiste dalla sua parte ed è solo un difetto della nostra percezione, viene consapevolizzata come verità incontestabile, seppur indimostrabile. Quindi pur non potendo avere dimostrazione del contrario, perché mancano le basi dell’istruzione, si è spesso costretti ad accettare l’apparente realtà degli opposti. Per cui è chiaro che quando un maestro Ch’an ci apre la strada verso la comprensione, si stabilisce istantaneamente un aggancio alla catena di trasmissione. Ovviamente soltanto se crediamo con convinzione a quanto il maestro, o anche un testo occasionale, ci dichiarano fermamente.

   La maggioranza della gente crede che il mondo sia un'entità a sé stante, multiforme e indifferenziata. Perciò ogni singola persona, se non verifica attentamente i dati della percezione, non può aprire gli occhi al fatto che il mondo ci appare secondo il nostro proprio karma, anche se con determinate condizioni comuni ben prestabilite. Il mondo della dualità non può apparire non-duale. Il mondo della dualità apparirà sempre con l'aspetto della dualità. Il problema è che non bisogna pensare che quando comprenderemo la non-dualità, potremo vedere il mondo in maniera non-duale. Ai nostri occhi fisici, il mondo apparirà sempre con la dualità. Ecco perché, la volta scorsa parlavo del terzo occhio. Il terzo occhio non può cadere nella dualità, sebbene gli occhi fisici non possano impedirsi di percepire solo la dualità. Per poter attraversare senza contrasti e difficoltà il mare della dualità e non affogarci dentro, dobbiamo sperare che si apra il terzo occhio. Esso ci aiuterà a non naufragare e a superare la visione dualistica: non ad eliminarla, attenzione, ma soltanto a superarla.

   Se qualcuno di voi ha letto “Il Libro Tibetano dei Morti”, avrà saputo che la nostra coscienza non può morire e quindi continua ad esistere anche dopo la morte fisica. Essa si troverà proiettata in altri tipi di mondi, in mondi mentali e non nel mondo fisico materiale come lo conosciamo in questa vita. Un po’ come accade nei sogni, in cui tutti abbiamo esperienze di esistenza alquanto diverse dalla cosiddetta “realtà concreta” dello stato di veglia. Queste esperienze, del mondo onirico e dello stato post-mortem, indubbiamente non possono essere ritenute identiche e concrete come quelle della nostra attuale situazione di vita fisica. Perciò, la coscienza sicuramente ne avrà percezioni ben diverse. Eppure, dal punto di vista dello sperimentatore coscienziale, le cose cambiano poco. Sembra quasi che siano variati gli scenari, anziché il soggetto. Come se vi fossero dei mondi di esistenza paralleli e la coscienza dovesse attraversarli secondo la sua condizione, materiale o spirituale.

   A questo punto possiamo cominciare a capire il significato di “dualità e non-dualità”. Nello stato di esperienza materiale, la coscienza mentale è sottoposta alle leggi fisiche della materia che “occupa” fisicamente lo spazio e, quindi, la prospettiva degli occhi fisici è condizionata dalla visione di oggetti e persone, presenti nello spazio circostante. Questa sorta di concretizzazione delle visioni, apporta un’esperienza di tipo dualistico. Cioè, ciò che si vede sembra essere collocato al di fuori dello sperimentatore percipiente. Da qui il numero “Due”, il vedente e le cose viste. Nell’esperienza spirituale, di cui abbiamo illustrato alcune possibilità, al contrario risulta primaria l’esperienza intermedia del “vedere”. Cioè, il sogno e le proiezioni dello stato di “Bardo” dopo la morte, non arrecano sostanziale concretezza né al vedente, né alle cose viste, che sembrano fluttuare e svanire in lampi di luce e di fluidi fantasmagorici.

   Tutto sembra, perciò, portare alla logica constatazione che, dove è presente l’Io individuale, si genera un’esperienza dualistica, mentre quando è la Coscienza impersonale a fare esperienza, allora la percezione diventa non-dualistica. In considerazione di ciò, poiché la funzione della coscienza esprimerà la qualità della visione sperimentata, diventa importantissimo valutare le caratteristiche peculiari della coscienza stessa. Una coscienza ignorante, che è ignara della sua natura reale, cosa vedrà dopo la morte del corpo? Vedrà i mondi che le competono, che si merita, che si aspetta. E’ probabile, perciò, che faccia esperienza di mondi paurosi, abitati da esseri demoniaci e spaventosi. Visioni di inferni bollenti che procurano sofferenze indicibili, dato che il suo background è composto da queste paure e da queste aspettative terribili. Se, in vita la coscienza è stata istruita e condizionata alla paura della morte, le conseguenze non possono essere che quelle descritte.

   Al contrario, una coscienza realmente informata della verità non avrà nessun tipo di paura della morte e di conseguenza non sperimenterà quel tipo di visioni terrifiche. In più, essa non cadrà nell’inganno di credere realmente alle esperienze che sta sperimentando, perché avrà consapevolizzato, durante la vita, la verità della Vacuità dell’esistenza e l’illusorietà di tutte le apparenze. Perciò in realtà, tutti questi mondi non esistono, sono esclusivamente e totalmente stati di coscienza, periodi di tempo illusorio con esperienze immaginarie prodotte dal karma irreale di una mente ignorante. Così come questo preciso momento, che è il nostro attuale stato di coscienza, pur sembrando maledettamente reale, in realtà è un’illusoria esperienza in una immaginaria condizione di vita prodotta dal karma della nostra mente ingannevole.

   Lo so che è dura, cari miei, ed io non vi chiedo di crederci ciecamente, dato che sarebbe comunque impossibile. Vi chiedo soltanto di aumentare l’indagine e l’osservazione silenziosa del vostro composto psicofisico, di arrivare al punto critico in cui la dualità non può più farla da padrone ed aspettare il risultato di un simile lavoro introspettivo. La verità apparirà da sola, con tutto il suo potere rivelatore. E tutto ciò che abbiamo detto fin qui, frutto dell’esperienza indagatrice dei grandi Saggi del passato, diventerà la vostra esperienza diretta e reale. E, soprattutto vi chiedo di non negare a priori queste informazioni, voi dovete dar tempo al vostro karma positivo di assimilare e accettare queste verità. Perché, se voi le accetterete con fede e convinzione, questo vuol dire che appartenete già alla famiglia del Ch’an e stavate, da chissà quanto tempo, aspettando qualcuno che ve le potesse mostrare.

   Gli eventi della coscienza e dei suoi risultati karmici determinano il mondo in cui viviamo, di cui abbiamo esperienza. Tuttavia, per lo Zen, <vivere> è un’espressione sbagliata. Secondo lo Zen, vivere non significa un corpo che respira, vivere vuol dire “avere esperienza di essere”. Perciò, per lo Zen, anche dopo la morte si vive. Se si mantiene la coscienza sul puro e semplice Stato di Essere, si è vivi anche dopo la cosiddetta morte. Non c’è morte.

   Quando si arriva alla Coscienza Non-duale, si ottiene la Prajna, vale a dire la profonda esperienza intuitiva della Realtà, così com’è. Come è realmente e non come appare ai nostri sensi o alle nostre percezioni umane: può essere frutto di un lampo, oppure può richiedere migliaia di vite. E, perfino in una sola esperienza di vita, può richiedere poco tempo oppure tutta la vita, spesa nella incessante ricerca interiore. In questo caso, quando veramente arriviamo all’Illuminazione, allora viviamo la Realtà. L’Io stesso non sarà più un problema. Che sia o meno illusorio, anche l’Io torna ad essere ciò che realmente è: solo Pura Energia.

   Tutto acquisisce una forma di pura energia e non ci sentiamo più costretti a vedere le cose con l’ottica obbligatoria della dualità. L’Io, così com’è reputato dalla nostra mente, è una solidificazione arbitraria della pura energia. Dal momento che si ritiene reale, in modo arbitrario e falso, costringe se stesso a vedere la realtà divisa in due, una parte di qua, in se stesso; ed una parte di là, in tutto ciò che sta fuori di sé.

   Come se un raggio del Sole, improvvisamente diventasse solido e ritenesse di essere qualcosa di separato dal sole stesso. Una cosa impensabile. L’Io si attribuisce quest’assurda ed inconcepibile certezza. Quando siamo nello stato illuminato, l’Io torna ad essere un tutt’uno con la pura energia assoluta; perché noi stessi e tutto ciò che ci circonda, siamo pura energia. E la coscienza non è altro che il testimone di questa energia. Quando la coscienza è illuminata, torna ad essere essa stessa, pura energia. E, dunque, tutto ritorna allo stato fluido, tutto ridiventa integrato in questa energia. La Coscienza è consapevole di se stessa e di tutto il resto, senza alcuna divisione e separazione tra se stessa e tutto il resto.

   Questa è una visione più o meno ipotetica che, però se non viene verificata, allora noi entriamo di getto nei vari mondi della coscienza. Ci perdiamo istantaneamente nel mondo materiale o nei mondi della mente, e abbiamo necessità di un soggetto-attore che impersoni il ruolo costruito dal karma. In questo modo e per questo motivo sorge l’Io, causa e vittima della nostra disperata angoscia esistenziale. E questo mondo composto di forme, colori, suoni e materia sorge dal potere della coscienza mentale, a far da corollario alla illusa e presunta separatività dell’Io dualista e usurpatore. La coscienza, quindi ha convenienza di fruire del suo potere per generare i mondi che le servono, secondo il suo livello spirituale. Così, quando la coscienza non avrà più un supporto corporale fisico, ne adoprerà uno psichico per sperimentare altri mondi, altre forme di esistenza. Ma sarà, purtroppo, ancora una coscienza egoica, dotata ancora di quel soggetto individuale, obbligato a pensare in termini di Io separato e antitetico rispetto alle sue esperienze. Soltanto quando la Coscienza avrà abbracciato la Verità come Assoluto, il suo Io diventerà parte integrante della Mente Unica riunendo finalmente le due parti separate in una sola ed unica Totalità.

   D’altra parte, dobbiamo comunque constatare che, se ci immergiamo troppo in queste visioni metafisiche, perdiamo di vista la praticità delle cose. In fondo, stiamo facendo la pratica proprio per questo scopo preciso. Dobbiamo utilizzare il nostro potenziale, qui ed ora, senza fare appelli ad una visione impalpabile, incomprensibile ed incompresa, che ci trasporta non si sa dove. Dovendo, invece, rimanere coi nostri piedi concreti fermamente piantati su questa concreta terra, non ci resta che praticare col tipo di conoscenza che abbiamo adesso. Infatti, CHI è che sta facendo la pratica? Ora come ora, deve interessarci di più la risposta a questa domanda.

   È questo corpo con all’interno questa coscienza e con intorno questo mondo. Ma siamo sicuri che la coscienza sia SOLO dentro questo corpo? Se guardo il mondo intorno a me, come posso dire che la mia coscienza non stia anche lì? Se ora guardiamo fuori della finestra possiamo vedere una bella luna piena. Ma se la possiamo vedere, come possiamo dire che quella luna non stia entrando immediatamente dentro di me? E continuando così, chi mi dice che non sia GIA’ stata all’interno della mia coscienza? Insomma, la coscienza stà qui, nei miei occhi, o sulla luna che vedo? O in tutti e due i luoghi?  Dunque, perché darle dei limiti? Siamo d’accordo che se vediamo, o sentiamo, o tocchiamo qualcosa, la nostra coscienza si trova anche sulla cosa che portiamo alla nostra conoscenza?

   Ed allora, chiediamoci come sia possibile questo miracolo della coscienza che sta qui, lì, ovunque… La risposta è che la Coscienza non ha e non può avere limiti! E allora, come può questo mondo essere un limite? Come può essere, quindi, la realtà?… Diciamo che è solo una componente della realtà che è stata bloccata e solidificata per convenienza, come è accaduto per l’Io. Così, come il raggio non può illudersi di essere il Sole, così l’Io ed il mondo da esso percepito non possono illudersi di essere la totalità della realtà.

   Colui che comprende tutto questo viene rapidamente affrancato dall’obbligo di questa convenienza e potrà continuare ad usarla semplicemente come fruizione della funzione. Gli antichi sostenevano che la convenzionale realtà che percepiamo è solo una “funzione della sostanza”. La coscienza fruisce di ciò che crea, di ciò che ha creato e di ciò che creerà. Se noi continuiamo a credere a queste fruizioni, come fossero reali, resteremo sempre imprigionati. La prigione è il nostro pensiero di come pensiamo che sia la realtà.

   Il vero significato della pratica di Dana-Paramita, primo gradino delle Sei Paramita o Perfezioni per il Risveglio predicate dal buddhismo, è l’abbandono di ogni idea di ottenere un qualsiasi raggiungimento. Quindi, per essere veramente generosi nei confronti della Totalità bisogna abbandonare per prima cosa l’attaccamento al dualismo. Ciò significa l’abbandono totale delle nostre idee sulla natura dualistica del bene e del male, dell’essere e del non-essere, dell’amore e dell’avversione, del vuoto e del non-vuoto, del puro e dell’impuro, del reale e del non-reale, ecc. Abbandonando tutte queste idee, raggiungiamo uno stato in cui tutti gli opposti sono visti come vuoti. Anzi, per evitare di presumere che vi sia un Io che vede le cose, si dovrebbe proprio pensare che tutti gli opposti appaiono vuoti, come in realtà sono.

   In quanto, anche al meditante più incallito può capitare che sorgano pensieri di un Io che abbandona tutto. Un Io che si santifica, che diventa illuminato, che si impone perfino sulla vera mente Zen. L’Io è talmente furbo e subdolo che, come ultima azione diversiva, si illude di metterci in testa la corona dell’illuminato e del santo. L’Io è talmente potente, nel suo resistere, che prospetta a se stesso il massimo della gratificazione: il vanto di poter fare ciò che è impossibile per tutti gli altri: il raggiungimento della Buddhità. Un pericolo cui hanno dovuto sottostare numerosi studiosi e tantissimi praticanti di meditazione e di cultura spirituale. Molti di loro, più di quanti si possa pensare, sono caduti in questa trappola e, probabilmente, essi neanche lo sospettano.

   Agghindandosi con ampollose vesti di Maestri del Dharma, Guide Spirituali, dottoroni e professori di Etica Filosofica, molti di loro continuano a vagare nel mondo della forma, prigionieri della retorica, del pensiero mondano e della Dualità più sfrenata. Carnefici e vittime della loro sterile erudizione che, però, pomposamente sventolano di fronte a masse inermi di individui inconsapevoli. Essi si scagliano, novelli Scribi e Farisei, contro gli umili ricercatori silenziosi che vivono nell’anonimato e cercano soltanto nella loro mente lo svelamento della Verità segreta. Per tutti costoro non potrà esservi scampo quando la mente esigerà il pagamento karmico, mentre al momento si ostinano testardamente, continuando ad ignorare il vero rapporto con l’Assoluto.  Se soltanto veramente sapessero… se solo osassero introspezionare la loro mente…

   L’Io è pomposamente pieno di sé soltanto di fronte ad altri Io. Quando è solo di fronte a se stesso, l'Io si cala le braghe, rimane nudo ed inerme. Se ci trovassimo soli in una caverna e nessuno ci vedesse, di cosa e con chi potremmo mai vantarci? A chi interesserebbe il nostro apparire illuminati? Di sicuro, neanche a noi stessi. Ecco come si può vedere l’Io, lo si può veramente cogliere solo quando è in competizione, in paragone ed in opposizione con gli altri Io. Questo invece è quello che succede e qui possiamo vedere quanto l’Io è ignorante proprio perché crede ciecamente alla propria ed all’altrui esistenza.

   Ma la Coscienza liberata spazza via tutte queste falsità. La Coscienza, in origine, è già illuminata senza sforzo e non ha certo bisogno di andare in giro a dichiararlo o a mostrarlo. Però, essendo stata soffocata dall’Io, la Coscienza non può manifestare e scoprire la sua illuminazione. Essa, pur essendo libera nella non-dualità, viene condizionata dall’Io tiranno a sottostare alla illusoria dualità, al punto di limitare la sua consapevolezza agli oggetti, in contrapposizione alla conoscenza di Sé come Soggetto. Che assurdità!                                  ===JJJ