I Tre Corpi del DHARMA (La Pace della Mente)  di Aliberth-

(INCONTRO tenuto il 18/12/2000 al Centro Nirvana di Roma)

 

 

…Oggi è il 18 dicembre dell’anno 2000 dopo Cristo. In questa settimana di attesa del Natale vi è una convergenza energetica nota non solo nella religione Cristiana ma anche nella spiritualità Orientale, in quanto vi sono delle favorevoli situazioni inerenti al solstizio d’inverno. E’ un periodo assai propizio per assorbire e sentire questa linea ombelicale che ci unisce al Divino, all’entità Assoluta, per mezzo di questi elementi superiori della manifestazione. Quindi, è opportuno che la persona motivata verso la ricerca spirituale approfitti di questo periodo favorevole per indagare all’interno di sé, verificare la sua motivazione e stabilire un ponte tra la sua vita di tutti i giorni, quella del ‘piccolo io’, e la soprannaturale vita del grande Sé. Si potrà così riconoscere la propria appartenenza al fuoco cosmico, non più come semplice scintilla, ma come fiamma fusa nell’intero elemento. Per il praticante sincero, in questo periodo, si prospetta un aumento delle sue facoltà meditative, una maggiore sensibilità delle sue capacità interiori.

E’ da notare che in questi particolari momenti di incontro delle energie cosmiche, qui nel nostro mondo materiale gli effetti arrivino invece con un aumento del caos, poiché l’accrescimento di energia produce una moltiplicazione delle qualità dina-miche delle modalità di manifestazione. Se qualcuno si dedica maggiormente ai godimenti momentanei della sua entità fisica, allora è evidente che quest’energia rafforzerà queste sue intenzioni, le sue prospettive, le sue attività e la sua volontà. Ecco perché, non a caso, sia ora che quando c’è il solstizio d’estate, questi sono due momenti particolari in cui la voglia di vivere aumenta, si misura e si rapporta con le situazioni mondane. In questo periodo, quindi, con la scusa del Natale, a tutti viene una certa frenesia di vivere, di provare forte ebbrezza nei rapporti interpersonali, nelle situazioni di movimento, e perciò giù con spese, divertimenti, regali, piaceri, incontri e scontri….

Questo avvenimento resterebbe comunque in auge, anche se un qualche governo oscurantista volesse eliminare il Natale; ci s’inventerebbe una nuova festa, una altra occasione. Perché in questo periodo c’è un aumento di energia e quindi le persone, che non conoscono il linguaggio dell’energia, il messaggio dell’energia, la provenienza dell’energia, sono costrette a subirla e utilizzarla al proprio livello di coscienza. Stessa cosa accade in giugno quando, attorno al solstizio d’estate, ci sentiamo tutti belli, pieni di vita e di voglia di vacanze, di voglia di viaggiare, e di relazioni con l’altro sesso. In questi due periodi di sconvolgimento cosmico, veniamo irraggiati da grandi flussi di energia. Personalmente, se ben ricordo, proprio in questo periodo di quasi trent’anni fà, io stesso ebbi una forte carica motivante, e mi sentii proteso verso la ricerca del mio vero “essere”. Quasi in contemporanea con un’inizio di perdita di interessi umani e una obbligata rinuncia ai valori affettivi, mi si sprigionò nel profondo una forte energia spirituale, e cominciai quasi per caso a scrivere un piccolo diario. (Questa cosa del diario è molto utile, specialmente in determinati momenti, in cui non si è ancora padroni della pratica spirituale. Un piccolo diario aiuta molto, e permette di fissare, di evidenziare determinati stati d’animo rivolti alla ricerca interiore e quindi può essere, come analisi di sé, anche una valida testimonianza di eventuali passi in avanti).

Dunque, mi ricordo che, circa trent’anni fa in questo periodo, cominciai a scrivere questo piccolo diario appuntato di sensazioni, di intuizioni e introspezioni. Tutto quello che in quel giorno avevo constatato, nel mio rapporto con le situazioni ed i contatti umani avuti. Annotavo le reazioni della mia mente nelle situazioni affettive e lavorative avute nella giornata trascorsa. Tutto ciò che era riuscito a colpirmi. Quindi penso che, quello sia stato per me un grande dono avuto in un periodo particolare. Più tardi mi fu svelato che quello era stato un periodo propizio.

Nella meditazione, quanto più siamo ricettivamente passivi, tanto più la pace può entrare senza nessuna fatica e inondare tutto il nostro essere. Per quei venti minuti, mezz’ora, anche per soli cinque minuti di apertura totale, noi non siamo più nella nostra dimen-sione. Quando la mente diventa spazio e fa posto al Santo Vuoto, cioè a quella pace indefinita, quella pace naturale e autenticamente priva di imposizioni, accade ciò che deve accadere. In quanto non siamo noi che stabiliamo l’entrata della pace, noi facciamo solo il lavoro di lasciare la porta aperta, e di fare spazio nella nostra mente. Questa pace spontanea, ricettivamente percepita con l’evidente certezza che non appartiene alle cose di questo mondo, non è di natura terrena, mondana; non è una pace di cui possiamo portarci appresso il ricordo e la traccia e utilizzarla nella nostra vita quotidiana. Sebbene gli effetti di questa pace producano poi, nella nostra vita frenetica, dei rallentamenti, delle parentesi in cui questa pace germina e viene assaporata dai nostri ritmi che si adeguano al suo ingresso. Pure, questa pace non è una cosa che noi possiamo metterci in tasca o nella borsa e usufruirne a piacimento quando vogliamo, quando siamo nel movimento, quando siamo nella situazione di stress. Non possiamo purtroppo evitare lo stress, perché l’elemento di contatto tra lo stress e chi lo subisce è la componente karmica. Per cui, se il nostro “continuum” mentale ha questo debito karmico, a causa del quale si trova in questo spazio-tempo, in questa dimensione chiamata mondo o vita, è evidente che l’ individuo non può sbarazzarsi di ciò che ha accumulato, e cioè l’esperienza sia pur dolorosa della situazione stressante.

Ma, se questo individuo ha aperto la porta alla pace attraverso una meditazione benedetta, allora questa pace comincia a inondare il rapporto individuo-karma, ed è misurabile in un aumento di fiducia sia verso la pratica e sia verso il praticante stesso. E’ come un meccanismo che si rafforza con l’informazione che il rafforzare se stessi rafforza se stessi. Cioè in pratica lo sviluppo della mente-coscienza dona e produce una maggior sicurezza, una maggior certezza, quindi anche un miglior distacco dalla situazione stressante. Si può dire che lo stress, prima che fossimo introdotti alla pratica meditativa, portava conseguenze anche dopo che il fatto stesso era terminato, attraverso la memorizzazione ed un appesantimento del nostro lavorìo mentale. In altre parole, il pensiero, sovraccaricato a dismisura, si portava appresso le conseguenze continuando a macinare e rimuginare anche quando la cosa era cessata. Oggi la diversa utilizzazione della energia mentale, oltre a produrre maggiori capacità di forza, di resistenza nel momento topico dello stress, possiede il vantaggio di esercitare una forte carica di autoconsapevolezza subito, quando l’effetto dello stress cessa, subito, quando il fatto che determina lo stress cambia. Quindi, si capisce perché quei saggi yogi, avendo una forte consa-pevolezza durante la loro giornata, potevano permettersi di dormire solo tre o quattro ore per notte e ricaricarsi già di energia con quelle poche ore di sonno.

Questo sta a dimostrare come la carica meditativa quotidiana, durante l’arco della giornata, non fa diminuire questa nostra energia attivata che si ricarica quando il periodo di stress è passato. Ecco come possiamo utilizzare gli effetti benefici e positivi della meditazione, in periodi come questo, o in altri periodi particolari della nostra vita quando il contatto terra-cielo è facilitato da eventi astronomici, o anche sociologici, come quando ad esempio il mondo si volge verso la pace. In questi momenti particolari le nostre meditazioni, così come i punti che raccogliamo per vincere dei regali, valgono doppio, così pure le nostre meditazioni valgono doppio.

Una buona meditazione è riscontrabile e verificabile quando siamo consapevoli di noi stessi. Quando il personaggio principale di ogni scenario, di ogni cambiamento di fondale della nostra vita quotidiana, sta eseguendo l’introspezione all’interno di se stesso. Quando troveremo il bandolo della nostra matassa; quando questa meditazione introspettiva, che ormai non possiamo più confondere né scambiare per qualcos’altro, sarà la capacità di rimanere vigili sulla nostra mente. Quando, benché si sia circondati dalle mille cose e i nostri sensi vaghino nelle mille dire-zioni, essa permetterà alla nostra mente di essere consapevole che questi sensi e queste attività partono da un centro che noi stiamo tenendo sotto osservazione. Quando questa meditazione si sarà così auto-stabilizzata, così effettuata, così costituita, allora la via della pace è obbligatoria, non può più andarsene, non può più tornare indietro, perché la pace ha trovato dimora dentro noi stessi.

Credo che questo sia il miglior regalo per il nostro natale che tutti ci auspichiamo. Grazie. Ora leggeremo un paragrafo del Prajnaparamita-Sutra, forse uno dei principali testi che confermano le intuizioni penetranti del Ch’an…( Viene letto il paragrafo in cui Subhuti chiede al Buddha delucidazioni circa la rivelazione del Dharmakaya…)

…Ora che abbiamo ascoltato questo paragrafo del Sutra della Prajna-Paramita, cerchiamo di riaccordarci a quanto detto prima circa quella pace spontanea che risiede nella mente. Se c’è questa mente, quella che noi conosciamo come essere la nostra mente, non può esservi la pace, perché è come un vaso pieno di acqua sporca che non può contenere acqua pulita. Così com’è, la nostra mente piena di concetti personali, opinioni individuali, pregiudizi, precon-cetti, non potrà, se non si fa prima un vuoto, contenere e conservare il vero Dharma. Di più, c’è anche il rischio che questo Dharma, inserito in una mente abituata a trattenere concetti allo stesso modo di com’era riempita prima, faccia diventare questo vero Dharma nient’altro che un ulteriore concetto. Proprio perché essa non capisce la sua verità di non-mente, che non dovrebbe trattenere nulla di concettuale, e così la pace non può entrare in una mente di questo tipo. Perché la pace possa entrare nella mente, la mente deve diventare non-mente, per poter essere vera-pace.

 Quando Bodidharma fu avvicinato dal suo primo discepolo Hui-kò, questi gli rivelò di non riuscire a trovare la pace, che la sua mente non trovava pace. Allora egli rispose: ” Dammi la tua mente e io te la pacificherò.” Hui-kò si scervellò ma non riuscì a trovare la mente. Quando lo disse a Bodidharma: ” Ma io non riesco a trovare la mente”, egli gli rispose: ”Hai visto? Essa è già pacificata!”- Dobbiamo cercare di capire questo fatto, senza però che diventi un nuovo ulteriore concetto. Perciò il Buddha, nel Sutra che abbiamo appena letto, disse: “Il Prajna Paramita non è il Prajna Paramita!”. Affinché nella mente di Shubuti non si depositasse il germe dell’attaccamento a ciò che egli poteva ritenere sacro, a discapito di ciò che veniva considerato profano. Allo stesso modo, Bodhidharma insegnò al suo discepolo che NON essendoci la mente, NON poteva quindi esservi spazio per qualsiasi altra cosa che NON fosse la pace! Vedete come è importante capire la verità delle cose nel loro essere e, soprattutto, nel loro non-essere.

Se noi siamo abituati a portarci dietro il peso delle cose, non appena le riteniamo esistenti, è chiaro che la nostra mente diventa sovraccarica. Immaginate la mente di uno scienziato come Albert Einstein (facciamo una trasgressione all’argomento) con tutta la massa di cognizioni con cui era riempita. Qual è stata la sua fortuna? Aver scoperto la teoria della relatività; questo permise di alleggerire le sue teorie e di non portarsi dietro tutto il peso del suo sapere. Einstein, involontariamente, in una maniera non religiosa, scoprì che la mente è come una fisarmonica che si espande e si restringe. Ma quando essa si restringe non è che le cose se ne vanno, è come se a loro volta si restringessero, come se diventassero atomizzate. Di conseguenza, se noi lasciamo la mente libera di essere quello che è, e cioè pura energia, anche le nostre paure di perdere la mente, non avranno più alcuna necessità di esistenza. La mente, per sua natura può contenere l’universo, ma per la sua salute, se ne deve dimenticare, perché se si porta appresso la constatazione di avere dentro di sé l’universo diventa così pesante da non poter neanche più muoversi. E quindi noi, possessori di una mente simile, saremmo condannati come Sisifo a dover trascinare sempre questa ruota pesantissima. Invece, con la consapevolezza istantanea, immediata e spontanea, noi abbiamo la chiave per utilizzare l’energia della mente momento per momento. Avremo tutto ciò che serve, nel momento che serve. Se in noi sorge appena un pensiero del tipo: “Ah, ma poi quella cosa mi può servire, ecc.” ecco che la chiave magica sparisce e la mente torna ad avere tutto il suo peso disastroso.

Nella lettura che stiamo studiando, si parla più volte dei tre corpi (kaya)-Buddha. Sono, in definitiva, tre modalità espressive di uno stesso, unico essere. Tre aspetti energetici, a differenti livelli di manifestazione. Tanto per il Buddha, che per tutti gli esseri ordinari. Allora, le catalogazioni della venuta in essere della mente, per il buddhismo sono tre, Nirmanakaya, Sambhogakaya e Dharmakaya, ma sono tre per puro utilizzo strumentale, non è che sono tre in modo reale e fisso. Sono tre e non sono tre, nel senso che esistono e non esistono, nel senso che la mente viene a esistere in un corpo e contemporaneamente non c’è nessuna mente che venga a esistere in alcun corpo. Dalla parte dell’esistenza temporanea del corpo, le condizioni di esistenza di un corpo in una persona vivente, sono tre:

1) Il Nirmanakaya. Questa è proprio la forma fisica così come la vediamo, o addirittura come la tocchiamo. E’ la forma fisica percepita dai sensi. Sapete bene che i sensi sono cinque, sei con la mente, quindi da tutti e sei i sensi. Cioè il corpo fisico, così come lo si vede esistente, con i suoi flussi di energia, i canali, le nadi, i chakra, il sistema nervoso, muscoli, sangue, ossa e pelle …

2) Il Sambhogakaya. E’ quello che viene considerato il corpo sottile, astrale, cioè il corpo energetico, etereo. Così come una rosa, anche fatta uscire da una stanza, fa permanere il suo odore sebbene non sia più presente, allo stesso modo anche il corpo, l’elemento vivente corporeo, lascia una traccia energetica, sia quando è presente sia quando è scomparso. La famosa percezione di avere una persona dietro le spalle  lo testimonia. Succede spesso, e ad un certo momento ci giriamo, oppure guardiamo verso l’alto perché sentiamo che qualcuno ci sta osservando. Questi sono i messaggi e i segnali del Sambhogakaya, e cioè la manifestazione energetica della mente nel corpo. La mente oltrepassa i limiti fisici del Nirmana-kaya, del corpo fisico materiale, tant’è vero che una voce può essere sentita pure in un’altra stanza, lo sguardo se non trova barriere non conosce limiti, e perciò la mente attraverso la voce e lo sguardo supera i limiti corporali. Questo è ciò che è chiamato il Sambhogakaya. E infine,

3) Il Dharmakaya. E’ la più alta, la più profonda espressione del modo di esistere dell’essere. A quel punto non si parla neanche più di persona e di entità corporea. Tuttavia, questo Dharmakaya, il nucleo vivente, lo spirito universale, si può dire che sia miracolosamente dimostrato, racchiuso e combaciante, dalla persona stessa così com’è. Questo è il concetto di Dharmakaya. Allorché la persona, praticando e mantenendo continua consapevolezza su di sé, raggiunge la visione e la comprensione del Dharmakaya, la Prajna (cioè la Saggezza Trascendente) si instaura completamente, totalmente, senza più retrocessione. La comprensione del Dharmakaya equivale alla comprensione della Vacuità perché, lungi dall’essere differenti, Dharma-kaya e Vacuità, Buddhità, o Assoluto, sono sinonimi.

Tutto ciò è molto importante, perché tutte le volte che noi leggiamo le ingiunzioni stabilite da Coloro che superarono i limiti della dialettica e della terminologia, (coloro che ricevettero le istruzioni necessarie per capire determinati termini), dobbiamo ritenerci fortunati per la possibilità di poter applicare, a nostra volta, queste verità. La lettura della Prajna-Paramita-Sutra contiene questa frase, assai illuminante: “E’ detto: Quando uno ha raggiunto la cima di un palo alto cento piedi, deve ancora fare un passo avanti…”

L’allegoria è che, quando uno sente di dover lavorare su se stesso, cioè comincia a avere il dubbio esistenziale, questa è la visione del palo. Quando poi inizia il lavoro su se stesso, allora inizia ad arrampicarsi su questo palo. Via via che si sale sul palo, questa è l’ascesi evolutiva della nostra mente che arriva a indagarsi. Quando si è arrivati in cima al palo, ipoteticamente alto cento piedi, manca l’atto finale, che è il gettarsi giù da quel palo sul quale ci si era arroccati. Perché?

Perché una ristretta parte di persone può anche impegnarsi in questo lavoro di scalata del palo, ma poi molti di loro si insediano lassù e dicono: “Vedi quanto sono bravo?”. E se non lo dicono, lo pensano. E comunque, in essi, tutti i concetti, sia vecchi che nuovi, non sono per niente spariti. Queste persone se ne stanno lì, troneggiando sul palo come avvoltoi, a guardarsi intorno e a sentenziare: “Eccomi arrivato…allora io la penso così…la mia mente è questa, o quest’altra…”

Essi, cioè, utilizzano il Dharma, l’insegnamento ed il lavoro spirituale, soltanto per pavoneggiarsi ancora di più, soprattutto con gli altri, oltre che con se stessi. Ecco perché, vedere il Dharmakaya vuol dire gettarsi giù dal palo, cioè abbandonare qualunque tipo di presunto raggiungimento….

La lettura prosegue con il consiglio, da parte del Buddha a Shubuti, di far presto ritorno a casa, cioè di rientrare nel Dharmakaya senza indugi, allorché tanto il Nirmanakaya che il Sambhogakaya, per ineluttabili esigenze karmiche, dovranno essere abbandonati…Noi tutti, in questa nostra vita, stiamo permanendo in terra straniera; quando comprenderemo, quando avremo la visione del Dharmakaya, la nostra mente di diamante sarà tornata a casa.

E questo diverrà possibile, (anche vivendo ancora cinquant’anni in questo corpo Nirmanakaya-Sambhogakaya) nel momento in cui daremo importanza soltanto al Dharmakaya. Gli altri due corpi vivranno per le loro stesse proprietà energetiche, ma la mente-Dharmakaya non si preoccuperà più di essi. Come se avesse raggiunto la certezza e la sicurezza che, così come il Diamante non può essere scalfito da nulla, nessuna paura potrà più invadere questa mente, nessuna paura neanche mondana, ma soprattutto nessuna paura ultramondana. Quando la mente avrà riconosciuto la sua natura di Diamante, non avrà più nessun tipo di perdita o di danno. Il Vaso d’oro non avrà più buchi né falle. Ed il contenuto sarà solo luce luminosa che non avrà peso, non svaporerà e né potrà perdersi dalle crepe, perché la Mente di Diamante non può avere crepe, non può avere titubanze, non può avere nessuna tentazione o disturbo da parte dell’Io.  ………………

Ora parliamo del rapporto di questo Dharmakaya rispetto all’andirivieni delle cose del mondo fenomenico. Vi ricordate la storia dell’abate e del Samurai? Quando il Samurai entrò nel tempio, l’abate era profondamente e saldamente impostato nella meditazione. Il Samurai giapponese si avvicinò al monaco in meditazione e gli prospettò la morte. Gli disse: “Tu non sai che io sono un Samurai che è capace di rimanere indifferente, mentre la mia spada ti taglia in due!”. L’abate Cinese, del tutto imperturbabile, rispose: “Ed io sono un monaco che è capace di rimane indifferente mentre viene tagliato in due!”. Qui abbiamo proprio una prova di vera Realizzazione del Dharmakaya nella mente di quest’uomo.

 Eppure le cose del mondo, quando entrano nella nostra mente, sono capaci di creare non poche preoccupazioni, paure ed attaccamenti. Se noi riuscissimo a fissare la nostra attenzione, la nostra curiosità, il nostro interesse, su questa mente-contenitore, che viene continuamente attraversata dall’andirivieni delle cose, anziché sulle cose stesse, questo va-e-vieni delle cose sarebbe ben presto trascurato e dimenticato. Ma poiché la mente si fissa sulle cose, l’incidenza del samsara diventa terribile, e l’effetto karmico della sofferenza non si fa attendere. Quand’è che la mente si fissa sulle cose fenomeniche? Quando manca il lavoro di auto-osservazione, quando ignoriamo il potere dell’auto-coscienza, quando non meditiamo nel modo corretto e quindi, non facciamo spazio al Dharmakaya!

La vera meditazione, come osservazione-di-sé, testimonia e manifesta il Dharma-kaya. Quando non c’è auto-osservazione cosciente, acuta, continuata, spontanea, allora il Dharmakaya viene ricoperto dagli involucri più grossolani. Cioè dal Sambhogakaya, che magari, al massimo può giocare con le magie, le percezioni extrasensoriali e con gli esseri di altri mondi e di altre dimensioni; e soprattutto dal Nirmanakaya che è totalmente preso dalle sue incombenze psicofisiche e dalle sue incidenze con le cose fenomeniche e materiali.

Se noi manteniamo la mente fortemente stabilizzata e radicata in se stessa, non dovremmo tenere in nessun conto queste incidenze quotidiane pur vivendole, pur affrontandole e pur trovandocisi immersi. Potremo riconoscere che in, definitiva, la mente stessa non potrà esserne realmente danneggiata. Anche se non è che tutto quello che ci aspetta domani o in seguito, possa sparire schioccando le dita!.

Noi possiamo schioccare le dita, ma tutto quello che ci aspetta domani, ciò che è relativo al Nirmanakaya e al Sambhogakaya, rimane lì pronto a manifestarsi. Ma, stabilizzandoci nel Dharmakaya, tutte le cose del mondo fenomenico verranno trattate come il sogno manifestato stanotte, che pure era sembrato così reale e angosciante, e che al nostro risveglio è svanito nel nulla. Potremmo mai preoccu-parci del sogno notturno? Non possiamo evitarlo, ma possiamo preoccuparci del sogno che abbiamo fatto stanotte e che ancora faremo? Ecco qual’è la posizione che dobbiamo assumere; il Dharmakaya farà apparire la vita stessa come una serie più o meno continua di sogni.

Non credo che debba essere aggiunto alcun altro commento a quanto sopra detto, dato che finché se ne continua a parlare, tutta l’impalcatura filosofica della conoscenza spirituale rimane lettera morta. Solo con l’applicazione pratica diretta, la voce del Dharma potrà diventare effettiva ed attuale. Gli esseri idonei alla comprensione della Verità, avranno di certo compreso da soli. Per tutti gli altri, al momento, non vi è alcuna speranza. Dovranno, necessariamente, aspettare la maturazione karmica della loro mente, sperando che avvenga se non in questa vita, almeno nelle successive vite future                                             --- JJJ

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