L'INTUIZIONE PROFONDA    
(INCONTRO del  6/12/1999, tenuto a Roma, presso il CENTRO NIRVANA)     

                                                  
Abbiamo spesso parlato dell’intuito, o dell’intuizione, che è indispensabile nella comprensione del Ch’an. L’intuizione è assai utile anche nella nostra vita ordinaria, per risolvere i problemi di tutti i giorni. L’intuizione si presenta con facilità quando la mente è calma. Se la mente è calma, anche il corpo è rilassato. E la mente calma non funziona allo stesso modo della mente nevrotica. La mente nevrotica, quando funziona alla sua maniera, opera con sprazzi di ragionamento confuso e instabile. Non può esservi intuizione, nella mente nevrotica. Ma nella mente calma, ogni tipo di ragionamento è immediato e stabile, non deriva dalla volontà dell’ego, ma da una sede superiore, la sede dell’intuizione.
   Siccome i problemi della vita tendono ad agitare la mente, di conseguenza essi producono una inversione del processo ragionativo, con riflessi negativi anche sul corpo. In questo modo si creano le sindromi psicosomatiche cui dobbiamo sottostare quando corpo e mente non sono in sintonia. In situazioni come queste è molto difficile, se non impossibile, che si generi lo spazio mentale idoneo all’insediamento della PRAJNA intuitiva.
   L’intuizione profonda comincia a svilupparsi allorché siamo giunti ad un certo livello della pratica meditativa, quando lo Zen diventa il nostro respiro, il nostro modo di vedere la vita. Allora, questo senso di pienezza ci prende totalmente e ci aiuta ad affrontare la vita nei rapporti interpersonali, negli affari, nelle situazioni affettive, insomma in ogni circostanza. Sarà l’intuizione a risolvere tutto, in quanto la mente funzionerà nel miglior modo possibile, con la concentrazione adatta per superare gli ostacoli.
   La mente occidentale, di solito, vuole tutto e subito e perciò è portata a funzionare freneticamente. Se non lo facesse, l’uomo avrebbe paura del ritardo di risposta, che gli farebbe temere il sopraggiungere di una sorta di annichilimento mentale. Secondo la tradizione Zen, questo è il vero problema, il nostro grande nemico. Questa nostra mente ordinaria, dal momento che funziona in modo frenetico, viene portata a dare una risposta reattiva, perciò si proietta assai velocemente all’esterno dimenticandosi totalmente di se stessa. Nel metodo Zen, viceversa, bisogna mantenere ferma la mente su se stessa e conservarne il perfetto dominio.
   Ecco perché, con queste due ore di meditazione e riflessioni, cerchiamo di rilassare la mente e la funzionalità biologica del nostro essere, sicuramente nevrotizzate durante il resto della settimana. Come una vera e propria combinazione alchemica, questo lavoro può produrre una funzionalità della mente altrettanto rapida, ma certamente non nevrotizzata. La mente diventa rapida e veloce, tuttavia sciolta, intuitiva e libera dai ristretti spazi del nostro egocentrismo. Dunque, non bisogna credere che con la contemplazione Zen si diventi insensibili, come degli zombi in cui ci si sente estranei a tutto. La verità è che la mente Zen è estremamente pragmatica, quando e quanto è giusto che lo sia.
E’ la mente dell’uomo di successo, dell’uomo sicuro di sé, di colui che non deve chiedere mai, soprattutto perché non ha interesse a chiedere nulla… Solo che di questa mente, così capace e così potente, il praticante Ch’an non ne abusa. La mantiene segreta e raccolta in sé, utilizzandola soltanto quando serve, dedicandola per lo più al bene comune e non per esclusivo uso personale.  Mentre la mente ordinaria funziona un passo avanti e due indietro, perché si porta sempre appresso il pesante fardello del ricordo, la Mente Ch’an, o Mente-Buddha, non viene mai frenata, se non dall’attenzione posta a se stessa. Essa procede sempre leggera e spedita, senza intoppi e senza ripensamenti.
   Il termine "Buddha", che viene dal Sanscrito, non indica soltanto il personaggio storico, di cui abbiamo conosciuto la vita e le gesta, ma soprattutto indica una persona nel pieno possesso di tutte le sue potenzialità, una persona risvegliata. Se la vita degli esseri comuni può essere paragonata ad un sogno, in cui si è prigionieri degli eventi, senza alcuna difesa, la coscienza del Buddha permette di vivere la vita in piena padronanza. L’essere umano, risvegliato alla sua natura reale ed alla sua totale coscienza, vive non solo con i due occhi ben aperti, ma con tre, con quattro, con tutti quelli che servono.
   Noi abbiamo solo due occhi per vedere all’esterno, ma ne abbiamo migliaia interni: sono gli occhi della consapevolezza, della nostra intuizione profonda (Prajna). Quando ci viene posto un quesito, la mente Zen è già in funzione per cercare la risposta. Quanto più questa mente è sviluppata al giusto livello, tanto più la risposta spesso anticiperà addirittura la domanda. Ecco cos’è l’intuizione ed è per questo che i Saggi conoscono le verità nascoste e possono prevedere il futuro. Anche molti tra i praticanti più umili hanno ottenuto, con la meditazione costante, una sorta di chiaroveggenza e, spesso, riescono a sapere ciò che sta per accadere. Siccome il meditante serio ha compreso che la sua mente non è esattamente “sua”, ma ha attinto dall'Energia Suprema quel potere, allora può riversare nel mondo fenomenico i benefici di quell’ottenimento.
   Tuttavia non bisogna venire qui, con lo scopo di utilizzare la meditazione per questi fini. Non si deve fare la pratica con l’intenzione di ottenere i numeri per vincere al lotto. La voglia ed il desiderio di ottenere qualcosa per se stessi creano aspettativa e ingordigia, che sono terribili difetti mentali e distruggono la mente, anziché renderla libera, risvegliata e invincibile. Noi dobbiamo venire qui perché abbiamo preso un impegno con noi stessi: l’impegno di voler capire come stanno le cose in realtà. Noi siamo cellule incarnate di una mente meravigliosa e miracolosa e, quando lo avremo capito, potremo essere questa mente meravigliosa che utilizza il suo potere per esclusivo spirito altruistico. A quel punto, vi sarà un senso di appartenenza universale, per cui il bene dell’altro corrisponde al nostro bene personale, e viceversa.
   Qui non si fa religione, almeno non nel senso con cui viene intesa, umanamente parlando. La religione, lo yoga, l’unione è già dentro di noi. Io non ho nulla da dirvi sulla religione e lo yoga. Nessuno deve imporre niente a nessuno, ma se la religione universale si attiva spontaneamente dentro di voi, allora state facendo il giusto Zen. Non è necessario stare qui come ebeti, con le gambe intrecciate ad aspettare che il fluido divino scenda su di noi. Le cose devono andare per il loro verso: si devono rallentare i flussi nevrotici della mente affinché questa mente si connetta e si unisca all’energia divina. Ecco il vero scopo, la mente deve conoscere se stessa, questo è esattamente lo spirito dello Zen.
   Purtroppo, poiché siamo dotati del potere del linguaggio e ci comprendiamo l’un l’altro quasi solo per mezzo di questo potere, dobbiamo anche far ricorso alle parole. Se diventiamo padroni del mezzo verbale, allora non ci sono problemi, ma spesso le parole diventano il problema stesso e noi ne diventiamo schiavi. E, quando le parole ci rendono schiavi, diventiamo perfetti idioti. Lo Zen tenta di sottomettere le parole, ma con mezzi piuttosto strani, almeno per chi non vi è abituato. La principale ragione per cui la dialettica Zen sembra quantomeno strana, è perché gli esseri umani dipendono esclusivamente dal loro intelletto.
    L’intelletto umano dovrebbe sempre essere sostenuto da alcune comprensioni più profonde, che potremmo anche chiamare fede. L’intelletto unito alla fede, pur riuscendo ad aumentare di molto la facoltà di comprensione dell’uomo, è ancora assai insufficiente nel confronto con l’intuizione. L’intuizione è la valvola di sfogo della razionalità che non trova sbocchi, è l’apertura della religione verso la filosofia metafisica e soteriologica. Per questo, in India e nell’Asia buddhista la religione è sempre associata alla filosofia.
   Quando la filosofia Indiana giunse in Cina, sotto l’aspetto della dottrina buddhista, i Cinesi la accettarono parzialmente, ma allo stesso tempo vi trovarono qualcosa cui ribellarsi. Ve l’aspettavate? Uno studioso del Celeste Impero affermò che il Ch’an è stata la rivolta della mente Cinese contro il buddhismo, che pure era stato accettato. Come ho già detto, la fede e la religione, tout court, non possono essere imposte, ma bisogna aspettare che producano l’effetto del trapianto. Il Ch’an è il frutto di questo trapianto e, pur essendo buddhismo, in realtà non lo è completamente e totalmente. Ecco perché lo Zen, cioè il Ch’an, non snocciola regole o comandamenti, né impone comportamenti ieratici o mistici e neppure predica di recitare preghiere e mantra o di approntare riti e cerimonie.
   Alcune dottrine teologiche impongono, per l’ottenimento della salvazione dell’anima, perfino sacrifici corporali, rinunce e privazioni. Per il Ch’an, la strada giusta è adeguarsi all’esistenza e non di stravolgerla! Noi veniamo al mondo con un corpo e non possiamo debilitarlo o ucciderlo! Se facciamo del male al nostro corpo, finisce che strozziamo anche la mente; come pure debilitando la mente, uccidiamo il nostro corpo. Una mente depressa crea un essere umano depresso e la depressione non aiuta nessuno, né l’individuo stesso né gli altri. Perciò, la prima cosa da tenere in conto è questa “vività” dell’essere.  L’uomo deve sapere di essere vivo, deve arrivare alla perfetta conoscenza di questa evidenza, ma non può e non deve subire i condizionamenti che derivano da questa forma di esistenza. Deve conoscere i mezzi per affrontare e superare questi condizionamenti. Ed il Ch’an gli fornisce questi mezzi.
   Attraverso l’introspezione e con l’utilizzo dell’intuizione profonda, si arriva alla piena consapevolezza che l’ordinarietà della nostra vita nasconde un significato profondo seppur esplicito. Con questa consapevolezza attivata costantemente si evita il rischio di vivere come automi. Non sembra anche a voi che, in questa attuale società, siamo in fondo tutti un po’ come automi? Per paura di non voler essere degli zombi, siamo diventati automi, facciamo le cose così meccanicamente, spinti da impulsi che iniziano, uguali per tutti, fin dal primo mattino. Suona la sveglia e scattiamo in piedi, come dei robot programmati, pronti via! La metropolitana, l’ufficio, il pranzo, di nuovo l’ufficio, poi infine, il ritorno a casa e, forse, il meritato riposo. Ma che vita è, questa? Perciò, quando noi parliamo di vita, non intendiamo certo riferirci a questa, in cui siamo delle vittime predestinate, ma a quella misteriosa realtà che non conosciamo affatto.
   Noi non conosciamo niente dei nostri comportamenti quotidiani, delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni. Non ci soffermiamo mai ad indagare, a studiare come e perché è nata una certa sensazione. Vediamo un bell’oggetto, un bel fiore, una bella persona: bene, fermiamoci un attimo a considerare “chi è” che, dentro di noi, vede e 'considera' belle queste cose! Invece no, le ingoiamo e le digeriamo in un battibaleno, mettendole subito nel ripostiglio mentale delle cose interessanti. Ma la cosa veramente più interessante, ci sfugge: la nostra coscienza che sperimenta queste cose! Siamo proprio nevrotici! Lo Zen dice: via la nevrosi; vediamo com’è il mondo senza nevrosi, vediamo com’è la vita quando io attivo l’interesse per la mia coscienza! Un antico maestro disse: "Nello Zen non vi è nulla di speciale, tranne la nostra coscienza di ogni giorno!". In effetti, quando viviamo nel modo spontaneo, nella nostra vita quotidiana, in esso vi è tantissimo Zen!
   Tuttavia è necessario un occhio speciale, un terzo occhio. Con i due occhi fisici vediamo due soli lati delle cose, ma vi deve essere un terzo occhio per cogliere contemporaneamente tutte le cose e colui che le sta guardando! I nostri due occhi vedono in modo dualistico ed il dualismo è la causa principale di tutte le nostre difficoltà. Ciò non significa che si debba obbligatoriamente abolire il dualismo, ma soltanto che vi dovrebbe essere un occhio supplementare. L’occhio della intuizione, della comprensione profonda, che non deve eliminare i due occhi fisici, ma che li compenetri e li sublimi in una visione intera, assoluta. Una visione che comprenda in un unico insieme il vedente e la cosa vista, l’oggetto ed il soggetto, senza frammentarli e senza dividerli. Questo è possibile, secondo le ingiunzioni del Ch’an, soltanto se il terzo occhio mantiene costante l’attenzione e la consapevolezza sulla mente di colui che osserva.
   Cosa vuol dire, questo? E’ come l’asserzione di prima. I due occhi il terzo occhio! Dobbiamo trovare la vita nella vita estraendo da noi quella qualità che non sapevamo di avere. Se io, con i miei due occhi, vedo una certa cosa, in questi due occhi deve esservi il potere di un terzo occhio, che mi fa avere la consapevolezza della cosa che sto vedendo. In pratica, il terzo occhio è come se io vedessi che sta vedendo le cose! Il terzo occhio è ciò che fa sì che io sia consapevole che i miei due occhi stanno guardando qualche cosa.
   Avete capito come si sviluppa l’intuizione? Si sviluppa solo con il mio essere consapevole, con la consapevolezza della mia visione della cosa. San Francesco disse: - Quando io mi muovo, si muove Dio; quando io vedo, è Dio che vede! - E’ proprio la stessa cosa! Quando funziona il terzo occhio, la dualità non inganna più anche se non viene annientata, altrimenti sparirebbe il mondo! Il mondo dualistico non può sparire, finché siamo in vita. Ma può sparire il giudizio e l’errata concezione sulle cose del mondo. Quindi, il terzo occhio, cioè l’intuizione profonda, permette di continuare a percepire la dualità, con i due occhi fisici, ma non ci fa più averne il condizionamento.
   E’ chiaro, perciò, che la persona potrebbe essere più serena, più tranquilla, meno infelice, sia quando le cose vanno in un senso, sia quando vanno nel senso opposto. E’ questo lo spirito che deve emergere dal mondo della dualità. Lo Zen sta sempre molto attento ad evitare sia il nichilismo, sia l’eternalismo, perché impone di restare sempre nel mezzo, al centro della dualità. L’equilibrio, l’equidistanza tra le cose, è un punto d’arrivo importantissimo.
   La vita è come un fiume pieno di gorghi e mulinelli, in cui ci sono forti correnti opposte e contrarie. Venendo risucchiati e sballottati da queste correnti, per noi sarà veramente molto dura. Non avremo scampo, perché l’una o l’altra ci porterà sott’acqua. Ma se riusciamo a star sopra a queste correnti e a non farci coinvolgere dai trabocchetti della vita, se riusciamo a star in equilibrio, allora domineremo le correnti. Questo non farà sparire le cose, siano esse piacevoli o spiacevoli, ma farà in modo che noi si possa usare le cose nel modo migliore, a seconda di come ci vengono proposte. E, in ogni caso, la mente ed il cuore, centro del nostro essere, resteranno imperturbabili di fronte agli avvenimenti. La parte esteriore di noi, poi, può anche manifestare gioia, dolore, rabbia, serenità o qualsiasi altra emozione, ma il nostro cuore sarà comunque sempre sereno.
   Mettiamo, ora, un’attenzione particolare al nostro senso dell’udito. La mente tende, normalmente, a localizzare i suoni sempre all’esterno, per abitudine. Ora, per rafforzare la capacità intuitiva della nostra facoltà mentale, dobbiamo fare un esercizio concentrativo che ci costringa a sentire i suoni al nostro interno: cioè, come se provenissero da dentro la nostra mente. Quindi, l’attenzione al suono è l’attenzione a CIO’ che, dentro di noi, "sente" i suoni. Che cosa c’è, all’interno della nostra mente, che permette all’organo uditivo di percepire i suoni?
   Questa meditazione concentrativa, tipica del Ch’an, si dice che fu applicata, per la prima volta, dal Bodhisattva Avalokitesvara, uno dei discepoli primari del Buddha. Utilizzando, per il massimo tempo disponibile, questa forma di concentrazione introspettiva sull’origine del suono, facendola coincidere con la possibilità della mente di recepirlo come sorgente in se stessa, egli raggiunse velocemente l’Illuminazione. Vale senz’altro la pena di mettere alla prova la nostra capacità di fare altrettanto.
   Quantomeno otterremo, come risultato immediato, un forte potere di concentrazione sul punto più nascosto della nostra mente, il captatore del suono. Credo che si sia tutti d’accordo sul fatto che l’udito è il senso più dipendente dall’errata convinzione che le cose, che percepiamo fuori di noi, siano poi realmente all’esterno. Infatti, perfino la vista, può sottostare alla momentanea persuasione di poter vedere qualcosa anche ad occhi chiusi. Ma certamente l’udito è il più difficile da far recedere dalle sue convinzioni, di una realtà fenomenica esteriore che segnala la sua presenza, oltre che con le immagini, soprattutto con le parole e con i suoni.
   Allora, tentando questo esperimento, e magari agganciandolo fermamente alla nostra consapevolezza, noteremo con meraviglia un notevole aumento della percezione intuitiva. In più, la tenacia con cui ci obbligheremo a praticare questo metodo, fungerà da ottimo coadiuvante per il mantenimento della pratica dell’autocoscienza, con indubbi e presumibili vantaggi sul piano della possibilità finale nei riguardi dell’Illuminazione. Inoltre, e questo non è assolutamente da sottovalutare, il richiamo delle energie verso il nucleo più nascosto del nostro segreto essere, ci permetterà di rilassare totalmente il nostro corpo, calmando le nostre eccitabili sensazioni mentali e nervose.
   Ciò significa che verremo affrancati dalle emozioni e dalle nevrosi, dal sentirci annoiati o confusi, dal reputarci impauriti o insensibili e dall’essere apprensivi o tormentati. Se possiamo mettere da parte ogni emotività ed ogni condizionamento che ci disturba e riusciamo a concentrare la mente sul metodo Ch’an di convertire il suono, allora questo sarà il massimo rilassamento possibile, che non ha paragoni con nessun metodo empirico finora conosciuto.
Non vi sembra, già questo, un validissimo motivo per tentare?…Per far si che questa mezz’ora di meditazione non sia più un tormento, ma una vera occasione di godimento spirituale…qualcuno tra voi, in seguito, sono sicuro che mi ringrazierà e, soprattutto, ringrazierà il Ch’an.-        JJJ