La Luce Brillante di YUNMEN

Di ROSS BOLLETER, Sensei – Primavera 1991 

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dell’Archivio buddhista DharmaNet – [ 29 settembre 1993] 

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                        "LA LUCE BRILLANTE DI YUNMEN". 

[questo testo fu prima pubblicato nel “Mind Moon Circle”, estate 1991, pp. 6-10] 

 Yunmen diede istruzione dicendo, "Ognuno ha la sua propria luce. Se la si vuole vedere, non ci si può riuscire”. L'oscurità è troppo oscura. Ora, qual è questa vostra luce?". La sua stessa risposta fu: "La dispensa. La porta". E ancora, lui disse, "Sarebbe meglio non aver nulla, anziché avere qualcosa di buono". 

Benché Yunmen fosse un discepolo di Hsueh Feng, egli era stato di fatto illuminato dall’anziano ed eccentrico maestro Mu-Chou (Chen Tsun-Su). E’ detto che Mu-Chou vivesse da solo in una capanna vicino alla grande strada frequentata dai monaci quando andavano in pellegrinaggio da un monastero all’altro. Mu-Chou faceva sandali di erba e li lasciava sul lato della strada, così che i monaci potevano sostituire le vecchie calzature che essi portavano. Riguardo a ciò Mu-Chou era molto segreto e ci vollero anni per scoprire chi fosse responsabile di queste azioni generose. 

I metodi di insegnamento di Mu-Chou erano estremamente grezzi, repentini ed improvvisi. È detto che ascoltava il suono dei passi dei monaci che si avvicinavano e se essi non indicavano la Via, egli rifiutava di aprire la sua porta. Yunmen capitò da lui due volte e Mu-Chou rifiutò di aprire la porta; la terza volta, Yunmen riuscì a mettere il suo piede all’interno. Mu-Chou l’afferrò scuotendolo e gli gridò, "Parla! Parla!". Appena Yun-men stava quasi per dire qualcosa Mu-chou lo buttò fuori, sbattè la porta dietro di lui, rompendogli una gamba. L’intenso dolore risvegliò immediatamente Yunmen. 

Yunmen divenne poi un grande insegnante con più di sessanta discepoli illuminati, diventando senza volerlo il fondatore della Scuola Yunmen che finì nel tredicesimo secolo in Cina, quando fu assorbita nella Scuola Linchi (Rinzai). La scuola di Yunmen fu responsabile della creazione e conservazione di alcuni dei grandi capolavori della letteratura Ch'an di quel periodo, incluso il libro di cento koans intitolato ‘La Raccolta della Roccia Blu’, da cui questo caso è preso. Oltre a La Luce Brillante di Yunmen, ci sono tredici altri koans che hanno come protagonista Yunmen in La Raccolta della Roccia Blu. 

Lo stile di Yunmen è splendidamente incisivo e lui divenne celebre per le sue monosillabiche risposte, che divennero note come "La Barriera della Parola Unica". 

<Un monaco chiese, "Qual’è la Via diretta alla Montagna di Yunmen?"- 

     Yunmen rispose, "Chi'in!" (L’intimità!) (1) 

<Un monaco chiese a Yunmen, "Qual è la parola che trascende il Buddha ed i Patriarchi?" 

     Yunmen disse, "Kobyo!" (una torta di riso al sesamo!) (2) 

<Un monaco chiese a Yunmen, "Che cos’è il Buddha?" 

     Yunmen disse, "Kanshiketsu!" (Lo scopettone del cesso!) (3) 

Con i termini "Ch'in!", "Kobyo!", "Kanshiketsu!", Yunmen rivela vividamente la Grande Via. Egli usa le parole all’improvviso e senza inutili giri, con o senza nozioni e concetti significativi. La Barriera della Parola Unica, benché potente e penetrante, non è mai soltanto grezza, e lo spirito del suo metodo è alto seppur accomodante; intransigente, però assolutamente generoso. 

  Yunmen disse all’assemblea, "All'interno di cielo e terra, nel mezzo del cosmo, c'è un tesoro che è nascosto nel corpo. Questi, tenendo una lanterna, si reca verso la sala del Buddha. Poi apre le tre grandi porte e lo mette sulla lanterna". (4) 

<Un monaco chiese, "Qual’è il ruggito del bue di montagna sulla cima della cresta nevosa?" 

     Yunmen rispose, "Cielo e terra si scurirono di rosso!" (5) 

C'è uno strano splendore in questi koans che mostrano le spaziose profondità immacolate della visione di Yunmen come poeta e maestro di Zen. Yuan Wu nel suo commento sul "Il Tesoro di Yunmen" ne ‘La Raccolta della Roccia Blu’, di Yunmen dice che "pur non richiesto, grazie ad una incondizionata compassione, lui agisce come un eccellente amico!" (6) 

Yunmen disse che se noi vogliamo vedere la nostra luce, non possiamo farlo. Quando ci giriamo verso l’interno per vedere la fonte del nostro essere, e scoprire la luce dell’auto-natura, tutto è scuro e non c'è niente che possa essere visto. Cercare all’interno il nostro vero ‘sé’ è come se un occhio cercasse di vedere se stesso, come il sole che tenta di illuminare il sole. 

In questa condizione l'oscurità è invero assai scura. Se la guardiamo da una sola angolazione, questa sembra essere l'oscurità di una morte finale, dove tutta la nostra impresa sembra essere sprofondata nella disperazione e nell’illusione. Però questa condizione non è meno che l’aprire i nostri freschi occhi sulla Stella del Mattino, o vedere un lontano albero di pesco fiorire, è la Via stessa, che trasmette la nostra natura essenziale. Quando la pratica è asciutta ed infruttifera e a noi sembra di uscire dallo stesso buco vuoto, quando "l'albero appassisce e cadono le foglie", (7) noi troviamo tutto proprio lì. 

Se noi continuiamo a praticare ed a portare il koan nel luogo dove "l’oscurità è più scura", allora l’interno e l’esterno diventano una cosa sola; non c'è più nessuna separazione tra se stessi e gli altri e non c'è più niente da cercare. Questo è un punto familiare nella pratica ed è stato più e più volte riferito nella letteratura Zen. Ecco Bassui Zenji, un maestro Rinzai Giapponese del 14° secolo, il cui koan naturale era "Chi è (il Maestro) che sente questo suono?", che mostra come poter lavorare con questa condizione: 

<Alla fine, ogni vestigia di autocoscienza scomparirà e ti sentirai come in un cielo senza nubi. All'interno di te, non troverai nessun "io", né potrai scoprire ‘qualcuno’ che sente. Questa Mente è come un vuoto, però non ha un solo punto che possa essere chiamato ‘vuoto’. Non si cada nell’errore di prendere questo stato per una ‘auto-realizzazione’, ma si continui addirittura ad investigare ancor più intensamente su se stessi,"Ora, chi è quello che sente?". Se si continua con questa domanda ancora ed ancora, dimentichi di qualsiasi altra cosa, anche questa sensa-zione di vuoto svanirà e non si sarà più consapevole di nient’altro - l'oscurità totale prevarrà. (Non ci si fermi qui, ma) si continui a chiedersi con tutta la forza,"Chi è quello che sente?". Solo quando si sarà completamente esaurita la volontà interrogatoria, la domanda scoppierà; allora ci si sentirà come una persona che è tornata dalla morte. Questa è la vera realizzazione. Qui si vedrà davanti a sé il Buddha di tutti gli Universi ed i Patriarchi del passato e del presente.>(8) 

Anche quando le nostre risorse sono completamente svuotate, noi non smettiamo ma torniamo fermamente al koan usando tutta l'energia che abbiamo in quel momento, però non forzandosi, né costringendosi. Per Bassui era "Chi è che sente?", per noi potrebbe essere più facilmente ‘Mu’, ma la procedura è la stessa, la stessa luce ferma, stabile, e decisa vigilanza. 

Prima di lavorare con il koan e prima che il koan lavori su di noi, si prepari il terreno che, nel senso più fondamentale, è la base della realizzazione. Noi, in questo stato profondo, del tutto inconsapevolmente, ci prepariamo e qualunque scintilla può illuminare la caverna. Per Yunmen fu il suo dolore per la gamba rotta dalla porta, quando Mu-Chou la sbattè; per Wu-men fu il suono del tamburo che annunciava il pasto di mezzogiorno; per Ling-Yun, dopo trenta anni di pratica, fu la vista dei fiori di color rosa sui distanti alberi di pesco; per Kyogen fu il suono della pietra che colpì il bambù - "Tok!". 

"La dispensa. La porta". Per Yunmen queste sono le nostre luci e quando noi siamo pronti ed improvvisamente aperti, esse risplendono con la nostra vera natura. Non solo il magazzino, la porta, ma anche la stella ed il cestino di vimini, l'ubriaco che ci avvolge col suo alito di birra alla festa, lo scopettone nella toletta; tutti questi oggetti sono le nostre proprie luci. E non solo le chiamate acute e cristalline del mondo, ma anche quelle fastidiose, che ci rendono furibondi e le voci dolorose che sorgono nel nostro zazen; tutti gli stati e condizioni che generano e formano il nostro ambiente emotivo; tutti i senza-casa e le parti reiette del ‘sé’, che si lamentano a lungo nel prendere ed essere presi, nel dare e ricevere rifugio. Anche questi, con la dispensa, la porta, sono le nostre proprie luci. 

Tuttavia, se noi cerchiamo la nostra vera natura nel mondo di colori e forme, noi non potremo trovarla. Il cercare il fiore, la stella, la dispensa, la porta, che possa essere l'agente della nostra illuminazione è vano, come l’introspettiva ricerca interiore della nostra stessa luce. Se cerchiamo  di rivolgersi verso di essa, la perdiamo. Il nostro stesso cercare non può scoprire o confermare la nostra luce brillante, una volta vista; d’altra parte, il nostro stesso cercare e sforzarsi è la vera questione. Ciò è riportato in un bel modo di dire nella prima delle Tre Barriere di Tosotsu: 

<"Lo scopo di andare in luoghi solitari ed erbosi a fare zazen, è il cercare la mia auto-natura. Ora, in un tale momento, dov’è la mia auto-natura?"> (9) 

La figura solitaria che la cerca nel sottobosco, provvede alla sua propria luce, non meno che la dispensa, o la porta. 

"Sarebbe meglio non avere niente, che avere qualcosa di buono". Dicendo questo, Yunmen ci mette in guardia contro l’attaccamento all’illuminazione e di non farci prendere dal desiderio del conseguimento; è meglio, lui dice, vivere senza alcuna traccia di avere o non avere, allora gli alberi di platano ruggiscono, il canto degli uccelli penetra dappertutto, noi ridiamo e piangiamo, ci svegliamo, dimentichi di svegliarci, facciamo l’amore, ci vestiamo, andiamo al mare, si nasce e si muore; tutto questo senza gli impedimenti della proprietà. Tuttavia, sfortunatamente, non c’è neppure preoccupazione nel riconoscere di chi è il conto telefonico che arriva sulla nostra scrivania! 

Ancora, dicendo, "Sarebbe meglio non avere niente, che avere qualcosa di buono", Yunmen ci avverte pure di non continuare ad aggrapparsi alle sue parole. Ci sono gravi rischi nell’utilizzare "La dispensa, la porta" o "lo scopettone del cesso", o "la torta di riso al sesamo", come risposte-koan meccaniche che non solo non illuminano la Via e neanche riescono a sostenerne la porta. Meglio mostrare l'intero universo vuoto nel nostro silenzio, che reiterare in modo formale le sue parole. In un primo momento il loro bagliore illumina il mondo intero, ma il momento successivo ce le trasciniamo dietro come carcasse. Ancor peggio se esse sono riversate contro gli altri. Una volta è già abbastanza. E abbastanza è già troppo. 

Yunmen rifiutava di permettere che i suoi ascoltatori prendessero note durante i suoi discorsi. "A che vi serve di registrare le mie parole e tener chiuse le vostre bocche?". Si dice che egli gridasse quando scacciava via quelli che volevano memorizzare i suoi insegnamenti. È grazie a Hsian-lin Ch'eng-Yuan, che si vestì con una tunica di carta e vi scrisse sopra i detti di Yunmen e i suoi dialoghi con lui, che noi abbiamo la sostanziale collezione di koans e storie che nutrono la pratica Zen ai nostri tempi. (10) 

Nella vibrante e instabile oscurità della pratica, noi arriviamo un migliaio di volte sulla porta e al passo finale. Similmente, l’Universo stesso presenta più e più volte tutta la materia fino a che le cose ordinarie risplendono con la lusinga della nostra auto-natura. Allorché la pratica diventa più profonda, noi a malapena accettiamo la paura e l’esitazione quando arriviamo alla porta, ma non la attraversiamo; in ogni occasione noi a malapena riesumiamo la nostra vigilanza col koan. A volte, il mondo "interiore" di desiderio e sforzo, ed il mondo "esteriore" di ‘dispensa e porta’ precipitano in una sempre più profonda affinità. Da sé-stessa, la Via sta cercando la Via. 

Yunmen parla di noi volendo vedere la nostra propria luce; Rilke, il grande poeta Tedesco del ventesimo secolo, le cui successive opere (specialmente la nona Elegia di Duino) mostrano una considerevole sovrapposizione con lo Zen, pende da un’altra parte quando scrive della brama ardente delle cose, affinché noi ci si accorga di esse, per inglobarle in noi: 

   <…Sì, le primavere ti servivano. Spesso una stella stava aspettando che tu la osservassi. E vi fu un'onda che rotolò verso di te dal lontano passato; oppure come quando camminando sotto una finestra aperta, un violino produsse il suo suono affinché tu lo sentissi.....> (11). 

Questo è il fluente mondo fugace che ha bisogno di noi e che in qualche strano modo ci tiene a chiamarci, Rilke lo pone come il più fugace di tutto (12). Come lo desideriamo noi, allo stesso modo lo fa anche la stella, l'onda, il violino. Il fugace mondo risplende momento per momento come i fiori di jacaranda che cadono in giù fissando il prato, il crà-crà dei corvi, il figlio o la figlia che protestano, sfidando la nostra autorità - ciascuno pretende di essere incluso. Noi troviamo nella nostra tradizione questo stridere, questo pretendere di essere notati, quando nel primo dei dipinti Zen del Bue, il mandriano sta cercando inutilmente il Bue (che nella serie di dieci ritratti ritraenti i particolari stadi della Via, sta per la Mente di Realizzazione). E’ sera, ed il mandriano è stanco ed esausto, e non riesce a trovare alcuna traccia del Bue, sentendo solamente le cicale sugli alberi. Le cicale friniscono con tutta la loro forza; il Bue è proprio là, ma il mandriano non è pronto per questo, e il viaggio e la ricerca per un rifugio continua. Però le cicale continuano a cantare e, momento dopo momento, ogni cosa brama per essere inclusa; il gatto viene fuori dalla porta posteriore per il suo pasto serale, qualcuno accende una radio nella casa vicina. Gli eventi si trascinano, spingono per venire ad essere. "Ecco, sono qui!", essi reclamano. 

Dogen vide chiaramente questo quando scrisse: "La Ruota del Dharma gira fin dall’inizio. Non c’è eccedenza né carenza. L'intero universo è imbevuto di nettare, e la verità è pronta ad essere colta". (13) 

Quando noi accettiamo l'invito, il ‘sé’ e l'Universo trovano il rifugio quando non c'è nessun ‘sé’, nessun ‘altro’. In questo reame, tutti gli esseri sono salvi, come sono sempre stati fin dall'inizio. Quando Shakyamuni stando seduto ogni notte sotto l'albero Bodhi guardò su e vide la Stella del Mattino con occhi nuovi, anche la Stella del Mattino, non meno di Shakyamuni, trovò la sua vera casa: ognuno era proprio la luce brillante dell’altro. 

Yunmen lo mise in questo modo: "Medicina e malattia si corrispondono mutuamente l'un l'altra. L'intero universo è medicina. Cos’ è il ‘sé’?" Nel chiedere cosa sia il ‘sé’, Yunmen sta facendo una domanda simile a "Qual è la nostra propria luce?". 

La notte è piena di cicale; il ventaglio soffia rumorosamente, stelle tremolanti ricoprono il cielo a mezzanotte; noi ce ne stiamo seduti ciondolando la testa, ripetendo il koan. In profondità richiamiamo la profondità. Ogni persona, ogni essere, ogni cosa brama per ssere inclusa. 

In questo momento, qual è la nostra propria luce?-   

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RIFERIMENTI e NOTE:

 

1. Chang Chung-Yuan,  Original Teachings of Ch'an Buddh. (Vintage Books, New York, 1971 p. 268). 

2. Yamada ed Aitken (trad.) “The Blue Cliff Record”. Caso 77, (versi inediti). 

3. Yamada ed Aitken (trad.) Mumonkan, Caso 21 (versi inediti). 

4. Yamada ed Aitken, The Blue Cliff Record, Caso 62 (versi inediti). 

5. Chang Chung-Yuan, ibid, p 293. 

6. Thomas Cleary, e J.C. (trad.) The Blue Cliff Record (Shambhala, Boulder, 1977) Caso 62, p. 400. 

7. Yamada ed Aitken (trad.) The Blue Cliff Record, Caso 27, "Unmon’s Manifestation". 

8. Bassui Zenji, "The Talk on One Mind” da Philip Kapleau, I Tre Pilastri dello Zen (Ànchor Books, Doubleday, New York, 1980) p. 272. 

9. Yamada ed Aitken (trad.), Mumonkan, Caso 37. 

10. Chang Chung-Yuan, ibid p. 267. 

11. Rilke, R.M., "La Prima Elegia di Duino" da Stephen Mitchell (trad.) - The Selected Poetry of R.M. Rilke, (Vintage Books, New York, 1984), p. 151. 

12. Stephen Mitchell, (trad.) ibid, p 199 (dalla Nona Elegia di Duino). 

13. Robert Aitken Roshi, The Mind of Clover (North Point Press, San Francisco, 1984). 

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IL DISCORSO SULLA
FINE DEL MONDO
(1)

 O, IL SERMONE SUI SETTE SOLI. 

Fatto dal BUDDHA nell’ (ANGUTTARA NIKÂYA VII. 62)- (Paralleli Evangelici con i TESTI PÂLI, sesta serie)

(Traduzione dal Pâli di Albert J. EDMUNDS).   (Tratto da www.sacredtexts.com)-          
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PREFAZIONE. 

Una successiva espansione di questo discorso è stata data da Warren, nel suo ‘Buddhism in Translations’, da
‘La Via della Purezza’
di Buddhagosha, compendio Pâli del quinto secolo d.C.(2). Quando Warren lo scrisse, l’originale Pâli non era ancora apparso nell'edizione della ‘Pâli Text Society’, che è stampata in lettere Romane. È ben noto agli studiosi del Nuovo Testamento che il grande Discorso Escatologico nei Vangeli Sinottici (cioè, il Sermone sulle Cose Ultime, dato sul Monte degli Ulivi) è una miscela di vaticini storici e spirituali. Come io stesso ho indicato nel 1893 (3), l'Evangelista Luca tentò di separare la profezia spirituale dalla predizione storica, mettendo la prima nel suo diciassettesimo capitolo, e la seconda nel ventunesimo. Ma evidentemente Luca capì anche che il cataclisma fisico si riferiva all'assedio di Gerusalemme e alla distruzione dello Stato Israelitico. Anche Marco, ed il redattore di Matteo, capirono probabilmente la stessa cosa, benché le nostre traduzioni inglesi di Matteo traducano la sua "consunzione degli eoni" con la "fine del mondo". Dopo l'assedio, i primi Cristiani assegnarono in effetti a questo Discorso Escatologico il significato di una ‘convulsione cosmica’. Ma le uniche parole che possono giustamente applicarsi a tale cosa sono quelle che si trovano in tutti i tre i Sinottici: "Il cielo e la terra passeranno via, ma le mie parole non passeranno mai"(4). Noi perciò abbiamo usato questo verso fra i nostri paralleli alla presente dissertazione del Buddha, ma abbiamo riservato il testo della profezia Evangelica per una futura traduzione dal famoso'Anâgata-bhayâni’, scelto da Asoka fra i suoi testi favoriti. Il suo soggetto è il declino della religione. 

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LA FINE DEL MONDO. 

Marco,xiii.31. Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno mai. 

2, Pietro,iii.10. Ma il giorno del Signore verrà furti- vamente all’improvviso, ed i cieli con un gran rumore si sfalderanno, e i corpi (o elementi) celesti si dissolveranno in un fuoco ardente, e la terra con le opere che vi sono in essa saranno tutte bruciate (o, scoperchiate). 

Rev.xxi.1. …Ed io vidi un nuovo cielo ed una nuova terra: perché il primo cielo e la prima terra sono stati distrutti; e perfino il mare non c’è più. 

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RACCOLTA NUMERICA VII. 62.  - Così io ho udito. Una volta, il Beato si trovava a Vesâli, nel bosco di Ambapâli. Ed il Beato si rivolse ai monaci, dicendo: "Oh Monaci!" "Si, Signore!" risposero quei monaci. Ed il Beato così parlò: 

   "Impermanenti, o monaci, sono i costituenti dell’esistenza, instabili, non-eterni: così tanto, che già questo da solo è sufficente a deprimere e disgustare uno da tutto ciò che costituisce le cose, e con ciò emanciparlo. O monaci, il Sumeru, il Re di tutte le montagne, è grande ottantaquattromila leghe in lunghezza e larghezza; profondo ottantaquattromila leghe (5) nel grande oceano, ed ottantaquattromila al di sopra di lui. 

   Ora, O monaci, verrà un tempo, dopo molti anni, molte centinaia e migliaia e centinaia di migliaia di anni, in cui non pioverà più; e non piovendo, tutte le piante e la vegetazione, tutte le erbe, cespugli ed alberi si seccheranno, appassiranno e cesseranno di essere. Ed è così, O monaci, le cose costituenti sono impermanenti, instabili, non-eterne: così tanto, che già questo da solo è sufficiente a deprimere e disgustare uno da ciò ed emanciparlo. 

   E ancora, monaci, verrà un momento, fra molto, molto tempo, in cui apparirà un secondo sole. Dopo che questo secondo sole sarà apparso, monaci, i fiumi ed i laghi si prosciugheranno, spariranno e cesseranno di essere. Così impermanenti sono le cose costituenti! E poi, monaci, verrà un momento, dopo enormi spazi di tempo, in cui un terzo sole apparirà; e tutti i grandi fiumi: il Gange, il Jamuna, il Rapti, il Gogra, il Mahî,- si prosciugheranno, spariranno e cesseranno di essere. 

   Dopo un altro lungo periodo, un quarto sole apparirà, e quindi i grandi laghi da cui quei fiumi avevano la loro origine: cioè, i laghi Himalayani, l’Anotatto (6), il Balzo-del-Leone, il Carraio, il Chiglia-nudo, il Cuculo, ecc., si prosciugheranno, svaniranno, e cesseranno di essere. 

  E, o monaci, quando, dopo un altro lungo lasso di tempo, un quinto sole apparirà, le acque nel grande oceano caleranno di cento leghe; poi di duecento, trecento, e anche di settecento leghe, finché l’acqua resterà solo alla profondità di oltre settecento leghe, e così via sempre più in profondità. Cosi, o monaci, come quando nella stagione piovosa ci sono grandi piogge, le acque in alcuni punti sono alte ben oltre i piedi; anche così, monaci, le acque del grande oceano in alcuni luoghi sono ancora oltre la profondità di un piede. Dopo l'apparire del quinto sole, o monaci, l'acqua nel grande oceano non sarà neanche della misura di un solo dito. Dopo un’altro pò di tempo, alla fine apparirà un sesto sole; ed allora questa grande terra e perfino il Sumeru, il Re delle montagne, esaleranno e manderanno grandi nuvole di fumo. Così come il forno di un vasaio, quando l’impiastro prima esala e poi fuma, tale sarà il fumo della terra e delle montagne quando apparirà il sesto sole. 

   Dopo un ultimo enorme intervallo, un settimo sole apparirà, e allora, monaci, questa grande terra, e il Sumeru, il Re delle montagne, con bagliori e vampate di fiamma, diverrà un’unica massa di fuoco. Ed ecco che poi, dalla terra arsa e dalle montagne consumate bruciando, una scintilla è portata dal vento e va lontano come i mondi degli Dèi; e le vette del Monte Sumeru, bruciando, consumandosi e morendo, crollano giù sbriciolate in una enorme massa di fuoco per cento, o anzi cinquecento leghe. E, o monaci, di questa grande terra e del Sumeru, il Re delle montagne, consumato e bruciato, non resteranno che ceneri e fuliggine. Proprio come quando il burro o l’olio è consumato e bruciato, o monaci, non rimane né ceneri né fuliggine, così accadrà con la grande terra e il Monte Sumeru. 

   Così, o monaci, impermanenti sono i costituenti dell’esistenza, instabili, non-eterni: così tanto, che già questo da solo è sufficiente per deprimere e disgustare uno verso ciò che costituisce tutte le cose e con ciò emanciparlo. Perciò, monaci, coloro che deliberano e credono, così dicono: 'Questa terra e il Sumeru, il Re delle montagne, tutto sarà bruciato e perirà e non esisterà più', eccetto coloro (7) che hanno visto il Sentiero. 

RELIGIONI ANTICHE ECLISSATE DALLA RELIGIONE DELL’AMORE (8) 

Matteo,vv.17,18,43,44. Non pensate che io sia venuto per distruggere la legge o i profeti: Io non venni per distruggere, ma per compiere. Perciò, in verità io vi dico, ‘Finché il cielo e la terra non svaniranno, mai in nessun modo nulla potrà svanire dalla legge, fino a quando tutte le cose non siano portate a termine.  

  Voi avete udito ciò che fu detto,

‘Tu ami il tuo amico, e odi il tuo nemico:

ma in verità io vi dico, Amate i vostri nemici,

e pregate per coloro che vi perseguitano!. 

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  "Nell’antichità, o monaci, c'era un insegnante religioso (o Maestro) chiamato Sunetto, fondatore di un ordine, e libero dall'indulgere in concupiscenza; egli aveva diverse centinaia di discepoli. Il Maestro Sunetto predicava ai suoi discepoli la dottrina della fratellanza col mondo di Dio; quando lui predicò questa dottrina, quelli che compresero completamente tutta la sua religione, dopo la dissoluzione del corpo alla loro morte, rinacquero felicemente nel mondo di Dio. Quelli che non compresero totalmente tutta la sua religione, alla dissoluzione del corpo dopo la morte, alcuni rinacquero nella comunità di quegli angeli che tramutano le delizie soggettive in oggettive e le condividono con gli altri(9); alcuni nella comunità degli angeli che si dilettano nelle creazioni soggettive; altri in quella degli angeli del Paradiso (Tusitâ); altri ancora con Yâmâ; altri ancora con gli angeli dei Trenta-tre; altri nella comunità di quelli dei Quattro Grandi Re; ed infine altri ancora nella comunità dei magnati Guerrieri, i magnati Brahmini, ed i magnati capifamiglia. 

   "Ora il Maestro Sunetto, o monaci, pensò: 'Non è affatto giusto che io debba permettere che i miei discepoli abbiano sempre questo destino: e se io praticassi l'Amore Supremo?' Ed allora, monaci, il Maestro Sunetto praticò la Benevolenza (o, meditazione sull’amore) per sette anni, e per sette eoni di consumazione e restaurazione egli non fece ritorno in questo mondo(10). Anzi, o monaci, alla fine di quel ciclo di mondo(11) egli divenne un Angelo di Splendore, ed alla successiva restaurazione del mondo lui rinacque nel vuoto palazzo dei Brahmâ. E dopo, anzi, o monaci, fu egli stesso un Brahmâ, il Gran Brahmâ (o Dio), il conquistatore, invincibile, che tutto-vede e controlla. E trentasei volte, o monaci, lui fu Sakko, il Signore degli Angeli; molte centinaia di volte lui fu un re, un retto Reggitore del mondo e Imperatore, vittorioso nei quattro mari, giunto alla sicurezza della sua terra, e in possesso dei sette tesori. Inoltre, ebbe più di mille figli, eroi di possente struttura, distruttori di eserciti nemici; egli dimorò su questa terra circondata dagli oceani, comandandola senza armi, ma con rettitudine e nobiltà. Tuttavia, anche il Maestro Sunetto, benché così longevo e a lungo durevole, non fu esonerato da nascita, vecchiata, malattia, morte, dolore, lamenti, sofferenze, e disperazione; Io dico che lui non fu emancipato dal dolore. E perché? A causa del suo non essere risvegliato alle quattro cose sacre (dhammâ), e non vedendo in profondità dentro di esse. E cosa sono queste quattro? La Nobile Etica, il Nobile Samâdhi, la Nobile Saggezza, e la Nobile Liberazione (o Emancipazione). Quando questi, O monaci, saranno conosciuti nella loro sequenza e penetrati in profondità (12) l'ardente brama per l’esistenza sarà annichilita, il suo rinnovarsi sarà distrutto: ed allora uno non dovrà rinascere mai più." Così parlò il Beato, e dopo che ebbe detto questo, il Maestro disse ulteriormente: 

"Moralità, Concentrazione, Ragion Pura, e Liberazione Suprema;   

"Queste cose sono ben comprese dal celebrato Gotamo (Buddha),   

"Così illuminato (buddho) da superna conoscenza, Egli disse il Dharma ai monaci. 

 "Il Maestro, che fece cessare la sofferenza, il Veggente, trapassò nel Nirvâna". 

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Note in calce 

1. Sesta Serie di Paralleli Evangelici da Testi di Pâli. 

2. A pag. 323 del libro di Warren il presente Sutta è citato per nome. 

3. Haverford College Studies,1893: Le Citazioni di Nostro Signore dal Primo Libro dei Maccabei. 

4. La seconda clausola indica l’applicazione di questo verso: La distruzione di cielo e terra non appartiene al soggetto del sermone, ma è usato come un modello per misurare il livello di perpetuità degli oracoli di Cristo. 

5. ‘yojana’, un yojana è approssimativamente lungo circa otto miglia. 

6. Non sono sicuro del significato di questa parola e del suo equivalente Sanskrito Anavatapta, ma a me sembra che voglia dire "senza calore nel fondo." 

7. Traduzione incerta. Il termine saddhâtâ non è in Childers, e non vi trovo alcun equivalente nel Sanskrito; ma nella diversa lettura, saddhâratâ, ne indica il senso. 

8. Non c'è un’interruzione nel Pâli, ma la presente divisione è fatta nell'interesse di un altro parallelo Evangelico. 

9. Sono stato portato qui da Warren, p. 289, e L. Hearn, ‘Gleanings in Buddha-fields’, p. 245. 

10. Vedi ‘Itivuttaka’ 22, tradotto nell’aprile 1900, in cui Gotamo riferisce la stessa cosa di se stesso. 

11. nell’ Itivuttaka c’è il termine ‘eone’. 

12. "conosciuti nella loro sequenza e penetrati in profondità", riporta le stesse parole tradotte in precedenza: "essendosi risvegliati a", e "vedendosi all’interno". Quindi, ancora, "Ragion Pura" (Pannâ, o Prajna), che è nel verso successivo, in altri punti appare come "Saggezza." 

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 (Traduzioni eseguite da Alberto Mengoni (Aliberth) per conto del CENTRO NIRVANA – di ROMA – ad uso esclusivo dei meditantie dei lettori del sito.)


 

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