LA TURBOLENZA delle EMOZIONI

(di Aliberth - INCONTRO del 9/01/2006 al Centro Nirvana)

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(Dopo aver pubblicato i vecchi resoconti sull’Insegnamento spirituale del Chan, avvenuti negli anni 1999, 2000 e 2001, trascritti nei precedenti numeri di Nirvana-News, concludiamo la serie con un ultima trascrizione di un Incontro avvenuto nel Gennaio del 2006, a coronamento del nostro sforzo di far praticare e comprendere il Chan alle persone Occidentali…)
 

->Bentornati tutti… In questi giorni di feste natalizie abbiamo avuto intorno a noi molto movimento energetico, molta confusione e probabilmente ciò ha un po’ disturbato la nostra pratica di consapevolezza, anzi forse più che disturbato, l’ha resa più necessaria, perché quando intorno a noi il mondo fiammeggia con maggior violenza, la mente deve difendersi attenuando le sue risposte, abbassando la propria adesione, il proprio aderire. Se noi impariamo veramente a condurre la mente in questo sentiero fatto di autodifesa, essa da sola stabilisce l’entrata in funzione dell’abbassamento dei toni, della capacità di rimanere tranquilla e indisturbata. Anche e soprattutto quando intorno a noi i fermenti della vita dinamica, del movimento delle energie samsariche, prendono corpo e in qualche modo provocano una nostra adesione.

Se noi stessimo sulla cima dell’Himalaya, di quello che succede più in basso non è che ci importerebbe molto, i clamori del mondo non arrivano in cima all’Everest. Ma noi non siamo in cima all’Himalaya, nemmeno in quell’Himalaya virtuale che dovremmo creare nella nostra mente. Noi siamo a contatto con quella sfera dell’esistenza in cui il karma ci ha proiettato; bene o male, ognuno gode o patisce i frutti delle passate azioni, dei passati comportamenti e dei passati pensieri. Ma il vero problema non è questo: tutti siamo sottoposti alla retribuzione karmica, tutti. Il problema vero è che la maggioranza delle persone queste cose non le sa, non le vuole sapere, non le vuole sentire e quando le sente, le rifiuta, anche se non apertamente ma, direttamente all’interno di sé, non le fa posto, non fa posto alla verità. E allora, ecco che il tumulto delle cose esteriori ha liberamente accesso e prende il sopravvento nella captazione di ciò che è poi la funzione della mente.

La mente è impastoiata nei fenomeni mentali, perché essi fanno parte della sua natura e perché a livello primordiale, la mente ha voluto creare i fenomeni derivanti dalla sua stessa energia, dal suo stesso potere. Soltanto con un’azione dirompente di attenuazione di questa dinamica si può riportare la mente alla sua pace originaria, avendo capito attraverso l’insegnamento del Dharma che il problema della mente è proprio quello di perdersi dietro le sue stesse creazioni e di aver generato in se stessa un’entità chiamata ‘Io’ o ‘Ego’, che gestisce a suo proprio piacimento queste funzioni naturali della mente.

Ad un certo punto, tutto si è scomposto, come se un atomo si fosse espanso per deflagrazione, e da questo nucleo avesse preso corpo tutta la manifestazione. Ma, in questa manifestazione ci siamo immersi tutti, tutte le menti di cui noi siamo la parte manifesta e avendo stravolto questo primordiale nucleo, ora ognuno di noi è come un pirata all’arrembaggio, che cerca di prendere e cogliere tutto quello che ritiene indispensabile o addirittura ritiene sua proprietà, perché l’Io non ragiona in termini di equidistanza, o equanimità, altrimenti non sarebbe…l’Io. Se l’Io fosse naturalmente equanime, quanto meno si chiamerebbe…’Noi’. Non vi sarebbe un ‘Io’, ma vi sarebbe un ‘Noi, come certe specie di insetti che si riconoscono in una collettività e non nel singolo individuo. Qualche volta, l’Io determina una sorta di ‘fusione collettiva’ e gestisce il Noi, ma lo fa allo stesso modo come se gestisse se stesso, cioè l’Io. Vi è un capo che prende il dominio di questo gruppo collettivo e alla fine, l’Io o l’Ego di questo capo diventa l’Io o l’Ego di tutta la collettività. Quindi, la cosa non cambia. Se l’ego di questa persona è buono, ne guadagna tutta la collettività, ma se questa persona è negativa e nefasta, la collettività è costretta a sottomettersi a questa negatività.

Prendete, ad esempio, il caso in cui siamo afferrati da forti e violente emozioni, come quelle agonistiche o sessuali. L’io, in tal caso, smette proprio di ragionare. I suoi impulsi primordiali, amplificati dalla volontà acquisitiva, diventano del tutto  ingovernabili e quindi insopprimibili. Solo con una potentissima capacità di autocontrollo e con la più che evidente comprensione dell’illusorietà di quella causa che si è manifestata (vale a dire, l’oggetto della concupiscenza o del desiderio), si può raffreddare la mente e farla tornare alla ragione. E’ proprio nella natura dell’Io di attirare l’energia e renderla personalizzata, e tuttavia anche questo nella natura della mente ci può stare, purché attraverso l’insegnamento del Dharma noi si riesca però a comprendere questo meccanismo.

Se noi riusciamo a comprendere questo meccanismo, automaticamente tutte le pulsioni e le tensioni emotive di quest ‘Io’ tenderanno a minimizzarsi, a far rimanere vive, diciamo, solamente quelle necessarie per il sostentamento del corpo, per il sostentamento della funzionalità della stessa mente e per non subire pericolosi traumi negativi, perché una delle prime regole da capire è che per poter proseguire sul Sentiero occorre una mente sana, una mente che abbia tutte le facoltà funzionanti. Perciò, l’Io dovrebbe servire a questo, nella sua originaria imputazione. Ma quanti di noi riescono veramente a far sì che questo ‘Io’ sia una regolatore di funzioni mentali, una sorte di gestore che sappia condurre la mente a quella perfezione che, di per sé, è una sorta di meravigliosa capacità di avere dentro di sé un autonomo regista che, invero, nell’insegnamento Chan è la mente-Buddha, è la natura di Buddha… è il Buddha stesso.

Dunque, questa trasformazione dall’ ‘Io’ al Buddha, cos’è che comporta? Anche il Buddha è un individuo, pur se illuminato. E’ un individuo che vive e si muove nel mondo e funziona, attraverso le funzioni della mente, in un modo sicuramente migliore degli altri individui. Ma, sempre con una dimensione ‘naturale. Nessuno potrebbe mai riferirsi al Buddha come al peggiore degli esseri umani, perché nella storia della sua vita, tutti gli riconoscevano una superiorità di comportamenti, ma questi pur essendo ai vertici dei modi di comportarsi, erano comunque riconosciuti come comportamenti di livello umano, altrimenti non sarebbero stati nemmeno capiti. Perciò, dato che possiamo capire il livello superiore di un individuo ed il suo comportamento, quando quel livello superiore viene raggiunto, questo significa che si ha un comportamento da Buddha. E qualunque cosa noi si faccia, anche ciò che alle altre menti appare come ‘peccaminoso’ o ‘morboso’, in realtà, tutto è solo frutto del comportamento illuminato di chi è liberato e non risponde più ai canoni della comune interpretazione morale.

E allora, come si fa a trasformare questo ‘Io’ da ordinario, a una mente-Buddha’? Lo stesso Buddha, ed i Patriarchi del Chan, ce lo rivelano in continuazione: “Dobbiamo osservare la nostra mente”. Noi diciamo, ‘Si, ma lo facciamo, e perché non siamo ancora dei buddha?’. Diciamocelo onestamente. Per quanto tempo, noi riusciamo ad osservare la nostra mente prima che la mente stessa abituata ai vecchi schemi sfugga alla nostra attenzione e si riappropri dei suoi meccanismi e li riproduca?. Meccanismi a cui il karma l’ha condizionata, poiché la mente è stata obbligata a rincarnarsi in miliardi e miliardi di forme in esistenza. Ed ogni forma di esistenza, come singolo ‘Io’, ha dato la sua impronta a questa mente, creando così ulteriore karma per la successiva forma di esistenza che, anch’essa, ha aggiunto le sue risultanze e le sue esperienze di quel karma, creando una nuova massa di karma da scontare. Quindi, gioia e felicità da fruire come karma positivo, ma dolore, sofferenza e disperazione da pagare come karma negativo. E questa mente ha assorbito tutto questo e quindi ha imparato a gestire questo processo, cercando di evitare il dolore e la sofferenza, ma non riuscendo a sublimare e ad evitare la terribile trappola delle emozioni incatenanti…

Allora, se noi non siamo in grado di rimanere al 100% costantemente aderenti alla osservazione impersonale della nostra mente, come possiamo ritenere di essere dei buddha? E come possiamo pensare di adeguare il nostro comportamento etico restando immuni dalle pericolose tendenze emotive che ci ripresentano la terribile discesa verso il karma e l’identità egoica? Il problema sta tutto nel saper interpretare correttamente l’insegnamento del Dharma. L’istruzione spirituale, il Chan soprattutto, insegna che le emozioni vanno osservate, sia che le si reprima o se le si traduce in azione. Anzi, il reprimerle, sovente ne impedisce proprio una spassionata osservazione. Perciò, almeno agli inizi della pratica, quando non si ha ancora la forza di reprimerle, ma anche dopo la avvenuta realizzazione, quando non c’è più bisogno di reprimerle, l’unica vera cosa da fare è di esserne soltanto totalmente consapevoli… attivare una forte e potente osservazione di esse, come se non fossero emozioni nostre, ma solo forze o energie da vedere, considerare e lasciar andare.

Questo è l’aspetto più profondo ed il lato più difficile da comprendere. Se non si arriva prima ad una capacità di ‘spersonalizzazione’, ma si mantiene sempre vivo il subdolo ‘Io’, che vuole sperimentare e provare sensazioni, allora tutte le emozioni non saranno altro che… emozioni turbolente, che costringeranno la nostra mente a restare invischiata nell’effetto che esse producono. Futile e breve soddisfazione quando si cerca di esaudirle, dolorosa e amara frustrazione quando ci si sforza di reprimerle. Nella mente di un realizzato, gli oggetti del desiderio non sono più visti come tali. Essi appaiono come semplici apparizioni illusorie e fuggevoli, alle quali è davvero impossibile attaccarsi, perché si sa bene che non hanno vera esistenza, ma stanno lì solo momentaneamente, come delle bianche nuvole che disegnano delle forme, ma poi subito si trasformano in altre forme, anch’esse prive di una qualunque solida sostanza.

Se nella nostra mente già avviene questo, allora stiamo tranquilli. Anche ammesso che si voglia correre dietro alle nuvole, come dei bambini felici, cercando di volerle afferrare, tutto resta confinato nella sfera del gioco. E, come ben si sa, ogni gioco dura poco, quindi non è proprio il caso di attaccarsi ai giochi infantili. Se la nostra mente ha capito tutto questo, allora non dobbiamo avere alcun timore se il karma umano talvolta si trasforma in ‘lila’ (gioco divino). Basta soltanto che si resti ben consapevoli dell’illusorietà e dell’impermanenza di questo gioco. Fare o non-fare qualcosa, agire o non-agire nel mondo, partecipare o non-partecipare a situazioni create dalle emozioni, è solo una scelta occasionale. Il resto non ha più granché importanza, è come se accadesse tutto su uno schermo cinematografico, in cui le immagini vengono proiettate e poi, dopo un istante vengono sostituite da altre immagini… questa è la realtà predicata dal Chan.

Ma, attenzione, se crediamo di poter fare così, non avendo però la mente di un buddha, allora mal ce ne incoglierà… la punizione karmica sarà terribile, ed il nostro presunto gioco divino, diventerà un orribile incubo, che si trascinerà dietro tutti gli effetti nefasti della ‘consecutio’ di causa-effetto, poiché la nostra mente non si è staccata dalla adesione alla presunta ‘realtà’ delle cose, degli eventi, delle persone e delle loro condizionanti emozioni. Ed, allora, tutto ritornerà come era prima, con i fermenti di desideri e bramosie, le paure di dolori e malattie, le angoscie di invidie e gelosie, le sofferenze di emozioni febbrili che non lasciano in pace il cuore e la mente e, in definitiva, con tutto ciò che affligge la vita degli esseri viventi. ------------------------------------------------------------------------- JJJ