"Scendere dalle nuvole dello ZEN"

Una Critica dell’attuale Situazione dello Zen Americano-di Stuart Lachs

 

[Copyright (c) 1994;- da uno studio di Stuart Lachs. Questo articolo non può essere riprodotto in alcuna forma senza il permesso scritto dell'autore.]

Indirizzo Web: http://www.human.toyogakuen-u.ac.jp/~acmuller/articles/USZEN3.htm 

  

Il buddhismo Zen fu ampiamente conosciuto in America grazie agli scritti di D. T. Suzuki, che promossero una interpretazione moderna e non-tradizionale dello Zen. Suzuki era uno scrittore intellettuale Giapponese che da laico aveva sperimentato l’addestramento Zen e che, scrivendo nel clima intellettuale e nazionalistico del Giappone dei primi anni del ventesimo-secolo, enfatizzò uno Zen liberato dal suo contesto buddhista Mahayana, centrato su un tipo speciale di esperienza "pura" e senza la tradizionale preoccupazione buddhista per l’etica morale(1). Questa visione della filosofia religiosa, rappresentata oggi da Masao Abe e la "Scuola di Kyoto", accentuò quegli aspetti del buddhismo che sono più diversi dalle tradizioni Occidentali e più distintivamente Giapponesi. In Occidente, questa visione ha nutrito una ampia concezione del buddhismo Zen come tradizione di importazione esclusivamente conoscitiva, esageratamente preoccupata dalle idee di Sunyata, la non-dualità, e non-esistenza assoluta, ma con qualche vasto discorso sul karma, Marga (il Sentiero), e compassione, o anche le "meravigliose qualità" dello Stato-di-Buddha. Una tale visione non dà un’adeguata attenzione alle discipline positive, inclusa la moralità, e l’attuale vita dei buddhisti, e facilmente conduce a pensare che i buddhisti siano incapaci di trattare seriamente il mondo ordinario dell'attività umana(2). Questa visione ha anche messo un’enfasi estrema sulla repentinità dell’illuminazione, insieme all'idea che "coltivare le corrette visioni" è considerato come un auto-miglioramento, cioè un sentiero graduale.  

Il buddhismo Zen in Occidente fu ricevuto da una comunità fortemente addestrata in maniera universitaria che accettò, di massima in modo acritico, la modernistica visione presentata da Suzuki. Forse la più grande attrazione Zen per gli Americani di questo periodo (post-2°Guerra-Mondiale) era la nozione delle esperienze pure, illuminate, con la promessa di una certezza epistemologica, raggiungibile tramite un training di meditazione sistematica(3). Diversamente dai movimenti basati psicologicamente per la trasformazione personale i cui leader apparivano come gli stessi ricercatori, il buddhismo Zen promise, nella persona dell'insegnante, un maestro che aveva realizzato davvero la mèta buddhista dell’illuminazione ed aveva manifestato le sue qualità continuamente nella sua vita quotidiana.  

Gli Studenti Zen Americani, furono tesi a mantenere una forma riverenziale verso questi insegnanti, al punto di considerare ogni loro azione come pura ed altruista. Questa tendenza ad idealizzare l'insegnante arriva in parte dall'inesperienza degli studenti, ma è fortemente incoraggiata dall'organizzazione Zen e dall'insegnante stesso. Recentemente ho sentito alla radio un Roshi Americano che promuoveva il suo libro. Egli enfatizzava l'unicità Zen del lignaggio della "trasmissione da mente a mente" da Shakyamuni all’attuale, e come il Roshi parlasse in luogo del Buddha. Essendo stati attratti al buddhismo Zen dalla presenza di una "persona illuminata", gli studenti arrivarono a considerare il comportamento dell'insegnante oltre la critica, un irrealistico atteggiamento che ebbe delle conseguenze sfortunate.  

A cominciare dal 1975 e arrivando ai giorni nostri, una serie di scandali sono scoppiati in un centro Zen dopo l’altro, rivelando come molti degli insegnanti Zen abbiano sfruttato sessualmente e finanziariamente gli studenti. Questo elenco vede inclusi, in varie epoche, gli insegnanti principali della Società di Studi Zen nella Città di New York, il Centro Zen di San Francisco, il Centro Zen di Los Angeles, il Centro Zen Cimarron in Los Angeles, il non-più-attivo Centro Zen Kanzeon in Bar Harbor, nel Maine, lo Zendo Morgan Bay, in Surry, nel Maine, il Centro Zen di Providence ed il centro Zen di Toronto (Canada). Questi sono alcuni dei più grandi e la maggior parte dei centri più influenti. In molti casi gli scandali persistono tuttora da anni, e sembrano finire solamente per sorgere di nuovo. Per esempio, in un centro, sono accaduti scandali sessuali con lo stesso insegnante per circa venticinque anni coinvolgendo molte donne. Questi scandali sono stati tanto penetranti quanto persistenti, colpendo pressocché tutti i maggiori Centri di Zen Americani.  

Si dovrebbe enfatizzare che la fonte del problema non è nell’attività sessuale in se stessa, ma nell'abuso di autorità degli insegnanti e nell'ingannevole (e infingarda) natura di questi affari. Questi affari furono portati avanti in segreto ed addirittura pubblicamente negati. Spesso i studenti coinvolti furono smentiti dagli insegnanti sulla natura della relazione. In alcuni casi l'insegnante pretendeva che l'esperienza sessuale avrebbe fatto avanzare lo sviluppo spirituale dello studente. Un certo insegnante giustificò i suoi molteplici affari sessuali, dopo la loro scoperta, come necessari per fortificare il Centro Zen. Forse, questo era perché le donne coinvolte avevano intenzione di andare in altri centri alternativi al suo ed avendo una tresca segreta col "maestro" si sarebbe approfondita la loro comprensione e pratica.  

L'abuso di potere che questi uomini hanno praticato ha avuto ampi effetti in quasi tutti i casi. Gli studenti coinvolti spesso furono devastati dal venire a conoscenza di esser stati usati dalla stessa persona in cui essi avevano avuto più fiducia. Anni dopo alcuni ebbero bisogno di un po' di psicoterapia. C'erano stati guasti mentali e matrimoni rotti. I centri Zen furono lacerati in fazioni tra quelli che deplorarono il comportamento dell'insegnante e quelli che lo negarono o lo scusarono. Coloro che li scusarono, pur non negando l’evidenza di quanto era accaduto, tendevano a spiegarlo come "pazza-saggezza" dell'insegnante o più comunemente, addirittura biasimavano la vittima e la congedavano facendo commenti del tipo che neppure l'insegnante è perfetto. Un'altra spiegazione comune era che lo studente non capiva ancora veramente l'insegnamento. Pretendere di disciplinare gli insegnanti Zen in America è davvero impossibile. Di solito, quelli che obiettavano per quel tipo di comportamento se ne andavano volontariamente dal centro o ne venivano mandati via da quelli che erano fedeli all'insegnante o dall'insegnante stesso. Alcuni degli studenti che andarono via col tempo ripresero la loro pratica mentre altri furono così disillusi ed amareggiati, tanto da abbandonare il buddhismo.  

Raramente gli insegnanti Zen americani esposti nel loro abuso di potere sono stati pubblicamente criticati per il loro comportamento dagli altri insegnanti di Zen, sia qui o in Giappone. In un caso, i membri della struttura gerarchica Zen giapponese minacciarono di interrompere il training di uno studente che aveva ricercato un monaco giapponese immigrato abusivamente. Lo studente che si lamentava infatti si mantenne calmo e, finito il suo addestramento, oggi è un noto roshi. Il monaco in questione è il roshi già descritto che sfrutta la sua posizione da ben venticinque anni.  

Riflettere su questi argomenti mi ha condotto ad investigare più da vicino la storia dello Zen, specialmente certi termini chiave che sono venuti a caratterizzare il buddhismo Zen. Per esempio, cosa significano i termini "trasmissione del dharma" e "roshi" che rendono così pepate le conversazioni degli studenti Zen americani e danno così tanta autorità all'insegnante? La trasmissione di dharma è infallibile? Cosa dice la tradizione stessa circa le regole di comportamento dei monaci? Tra le religioni, lo Zen è l’unica nel non avere una dimensione morale o etica come molti praticanti credono? Queste problematiche sono uniche nella permissiva cultura americana? Abbiamo forse una prospettiva eccessivamente idealizzata della storia del Ch'an/Zen? C'è qualche cosa nella nostra pratica che è ‘carente’, se gli esempi supposti dell'addestramento non possono responsabilmente aver a che fare con le persone e le loro situazioni? Dovremmo tenere a mente che dalla visione Zen la verità non può essere espressa in parole ma piuttosto essere solamente allusa nelle spontanee e naturali attività della vita quotidiana (4). L’addestramento koan in particolare è fatto in un modo che non porta a vivere la propria vita nel vero mondo? Oppure, più fondamentalmente, l’addestramento koan è considerato erroneamente come se in se stesso completa il Sentiero del Buddha? È divenuto in se stesso uno scopo? L’addestramento Zen e koan in particolare studiano non la liberazione, ma piuttosto un unico avvio alla spontaneità imparando a vivere in certi modi stilizzati? Ci sono degli aspetti della relazione tra maestro/discepolo che necessitano di essere cambiati? Che tipo di valore dovrebbe essere concesso alle susseguenti trasmissioni di dharma di un malfamato insegnante? Che significato ha il termine stesso di "monaco"? Quant’è veramente Est-asiatico lo Zen praticato in Occidente, se non principalmente di cultura giapponese con il suo speciale e autoritario carattere ritualizzato?  

Una piena risposta a queste domande va oltre lo scopo di quest’articolo, ma io credo che questi temi esigano un esame e ed una riflessiva discussione. Il succo della questione è questo: come fanno le Istituzioni del buddhismo Zen ad operare nel mondo e a funzionare davvero in maniera opposta a come noi ce l'aspettiamo soprattutto in base alla visione idealizzata che abbiamo acriticamente accettato.  

Cos’è, poi, il contenuto di questa visione idealizzata? Per prima cosa, consideriamo il significato del termine "trasmissione del dharma". Secondo una visione ampia-mente sostenuta, la ‘trasmissione del dharma’ è il riconoscimento da parte del maestro che lo studente ha raggiunto la "mente-di-Buddha" e che la sua comprensione è uguale a quella dell'insegnante. È la continuità di questa catena di menti illuminate apparentemente unica allo Zen e risalente al Buddha storico che è la base concettuale per la considerevole 'autorità’ dell'insegnante attuale. Dal punto di vista della tradizione Zen è la trasmissione del dharma che giustifica la considerazione dell'insegnante come Buddha, che è ciò che la tradizione Ch'an ha fatto fin dalla dynastia Tang (5). E’ quest’ uso di un lignaggio spirituale come base per l'autenticità ("una trasmissione separata aldifuori delle scritture")(6) piuttosto che un particolare testo, che distingue la scuola Ch'an dalle altre sette buddhiste cinesi del periodo. Questa interpretazione implicherebbe che la trasmissione del dharma è data solamente sulla base del conseguimento spirituale dello studente. Investigando meglio, il termine "trasmissione di dharma" risulta essere un termine molto più flessibile ed ambiguo di quanto noi in Occidente supponiamo. Di sicuro, esso è dato in riconoscimento del fatto che lo studente ha raggiunto una realizzazione di mente profonda almeno come l'insegnante stesso. Questa visione, e correttamente solo questa, è chiamata talvolta "trasmissione da mente-a-mente". Trasmissione da mente-a-mente implica logicamente l’avvenuta illuminazione del discepolo. Tuttavia, la Trasmissione del Dharma è stata data per altre ragioni. Secondo alcuni studiosi, la trasmissione di dharma è stata davvero costruita come appartenenza ad un lignaggio di insegnamento, data per alcune delle seguenti, presumibili legittime, ragioni: stabilire corretti contatti politici vitali al benessere del monastero, cementare una personale connessione con il disce-polo, aumentare l'autorità dei missionari (7) che diffondevano il dharma in paesi stranieri o offrire la salvezza (soprattutto nel Giappone medievale) permettendo al destinatario deceduto di congiungersi alla "linea di sangue" del Buddha. Nella successiva Dinastia Sung (960-1280 d.C.), almeno, la trasmissione di dharma di solito era data a monaci ufficiali anziani, così che probabilmente la loro via verso la posizione di abate non sarebbe stata bloccata (8). Chiaramente, l’illuminazione non era più considerata sempre come essenziale per la trasmissione del dharma. Manzan Dohaku (1636-1714), un riformatore del Soto, sostenne quest’ultimo punto di vista citando come autorità la torreggiante figura dello Zen giapponese, Dogen (1200-1253)(9). Tutto ciò divenne e continua ad essere a tutt’oggi il punto di vista ufficiale dello Zen Soto.  

Philip Kapleau riferisce la storia che Nakagawa Soen Roshi, della setta Rinzai, gli aveva raccontato, che lui (Soen Roshi) non aveva il kensho quando Gempo Roshi lo nominò suo successore(10). Secondo l'interpretazione di uno studioso, la trasmissione formale costituì effettivamente niente più dell'investitura rituale di un discepolo in una genealogia certificatain modo istituzionale(11).  

Come lezione nel significato di storia istituzionale, osserviamo la attuale setta Soto in Giappone. Questa setta si sforza di combinare le strutture istituzionali del tempo di Dogen, quando ogni tempio Soto doveva avere un abate ed ogni abate doveva avere la trasmissione del dharma. Nel 1984 vi erano 14.718 templi di Soto Zen in Giappone e 15.528 preti del Soto. Siccome ogni abate deve essere un prete, ne consegue che pressocché ogni prete di Soto (95%) ha la trasmissione di dharma. Si dovrebbe notare che una maggioranza di questi preti passerà meno di tre anni in un monastero. Più interessante è che, mentre molto è scritto nei testi di Soto sul rituale di trasmissione del dharma, non vi è pressocché nulla sulle qualifiche per essa(12).  

Il termine "roshi" è stato anche usato in una varietà di modi. Ancora una volta, un'interpretazione piuttosto idealizzata prevale fra gli studenti Zen che prendono il "roshi" per "maestro", cioè qualcuno che è pienamente illuminato al punto che ogni suo gesto manifesta l'Assoluto. Storicamente, in Giappone, "Roshi" è stato talvolta inteso effettivamente per indicare il rango basato sullo sviluppo spirituale mentre altre volte si usò come un termine per indirizzarsi, connotando nulla più che del rispetto. Sembra che in giapponese (specialmente nel Soto) sia usato in occasioni che denotano soltanto un rango amministrativo. Non c'è una autorità centrale in Cina o in Giappone o in qualunque altro luogo che possa certificare un qualunque passaggio ufficiale nel titolo di roshi basato su un qualche criterio, e certamente non su un conseguimento spirituale. Non è errato dire, come fece Soko Morinaga Roshi il primo Presidente [Rinzai] dell'Università di Hanazono, che una volta rimarcò, "Un roshi è chiunque chiama se stesso con quel termine e può lasciare che altre persone facciano lo stesso."  

Un esempio interessante può essere visto nella persona di Philip Kapleau. Il Sig. Kapleau usa il titolo "roshi", ed i suoi studenti, come studenti di Zen, lo chiamano così. Mr. Kapleau è stato estremamente influente, sia tramite il suo insegnamento personale e i suoi scritti di libri ed articoli, nel diffondere lo Zen in America ed all'estero. Per di più, lui insegna da molti anni ed è rimasto esente da scandali, cosa che molti altri con la trasmissione di dharma ufficialmente sanzionata e titoli vari non può dire. Comunque il Sig. Kapleau stesso ha affermato esplicitamente che lui non è un erede di dharma del suo insegnante, Yasutani Roshi, e non ricevette il titolo di roshi da lui o da chiunque altro(13). Essenzialmente, egli si dette il titolo da se stesso. E ciò non significa che egli sia più o meno qualificato di chiunque altro. Inoltre, il Sig. Kapleau ha "dato la trasmissione" ad alcuni dei suoi discepoli. Questo, in pratica, è un lignaggio che comincia con lui, contrariamente ad ogni altro lignaggio Zen che, almeno retoricamente, mantiene il mito di una linea ininterrotta risalendo al Buddha Shakyamuni(14).  

"Sorprendentemente, nello Zen Coreano l'equivalente del roshi/maestro-Zen, il pangjang, è una posizione eletta e completa un decennio iniziale... Se il maestro non si comporta adeguatamente, una petizione di cinquanta monaci è sufficiente per avere un voto di rigetto... Un monaco ha più affinità di meditazione con i varii suoi monaci che con un maestro specifico"(15). Questo è estremamente diverso dal modello Giapponese che comunemente gli Americani presumono essere l'unica forma di Zen autentico.  

Il termine "monaco" è un'altra parola che richiede un certo scrutinio. Il termine Cinese significa "persona che ha lasciato la casa" e è applicato esclusivamente ad individui che hanno lasciato le loro famiglie e hanno seguito le regole per i monaci che fra gli altri requisiti includono il celibato. I Giapponesi usano la stessa parola (obosan) per "monaco" e "prete", e permettono il matrimonio come fanno le "nétte coreane(16). In America il termine "monaco", quando è usato da persone Zen che fanno parte di lignaggi originari del Giappone, non ha un significato ben definito. Il celibato è raramente implicito nell'uso americano del termine. Una persona che chiama se stessa ‘monaco’ può sposarsi, può vivere o stare insieme a qualcuno. Una situazione simile prevale tra le monache. Può esservi anche il caso che un "monaco" possa uscire con una "monaca." Persone che si riferiscono a se stesse come ‘monaco’ o ‘monaca’ possono infatti essere celibi, ma nel mondo dello Zen Americano sarebbero una minoranza. Inoltre, i monaci Zen d’America sembrano neppure seguire gli altri requisiti delle regole monastiche, come evitare i liquori, certe forme di divertimento, e il socializzare con membri del sesso opposto. Un certo gruppo Americano di Zen è andato così in là da istituire un nuovo rituale, "l’unione spirituale", per riconoscere e legittimare una relazione sessuale tra due membri che altrimenti si dovrebbero vedere come monaco e monaca celibi (17).  

L'idealizzazione inerente nei termini "trasmissione di dharma", "roshi" e "monaco" ha contribuito ai problemi che noi abbiamo sperimentato nello Zen in America. Per la stessa natura dei ruoli che lo studente attribuisce ai titoli, egli dà all'insegnante una fiducia che di solito non darebbe a nessun altro. Questa fiducia spesso è piuttosto completa e naturale, perché portare la tonaca tradizionalmente significa essere privi da motivazioni egoiste, esser votati a salvare tutti gli esseri senzienti e non infliggere danni. Ad un osservatore che non sia familiare con questo tipo di pratica religiosa, la misura a cui uno studente si sottomette può apparire stupefa-cente. Molte persone accettano questo tipo di fiducia nella pratica spirituale, ma essa pone problemi quando l'insegnante non è abbastanza emotivamente maturo o disciplinato per prendersi la responsabilità di guidare i suoi discepoli. Sebbene l'insegnante possa avere un certo livello di ottenimento, spesso è ancora troppo lontano dalla visione idealizzata dello studente o da quella promossa dalle istituzioni Zen. "Nella tradizione Ch'an, la retorica sostiene che ogni trasmissione è perfetta, ogni successore è l’equivalente spirituale del suo predecessore... la caratteristica primaria è la sua natura participativa; ricevere la certificazione di illuminazione da un maestro di Ch'an/Zen significa congiungersi alla successione dei patriarchi ed entrare in comunione dinamica coi saggi dei tempi antichi. Che si appartenga o meno al lignaggio dei maestri illuminati, nessuno sta nella categoria intermedia, cioè 'quasi illuminato' o 'quasi-maestro'(18)". 

Nello Zen, si può identificare un duplice processo, guardare-in-dentro e guardare- fuori. Guardare-in-dentro include il processo della meditazione; guardare-fuori include prendere l'insegnante come modello per vivere e come ispirazione per la pratica. Com’è comune nella pratica religiosa della Gnosi, nello Zen l'insegnante è l’arbitro finale della realtà. Non solo l’insegnante può giudicare il livello della saggezza dello studente ma, per gli studenti più vicini al minimo, spesso egli potrà fare dei commenti e giudizi su ogni aspetto della vita quotidiana del discepolo. Comunque, come abbiamo visto, spesso c'è una seria disparità tra la visione dello studente riguardo all'insegnante e la effettiva vita dell'insegnante. Gli studenti non ritengono che l'insegnante abbia un qualsiasi standard di condotta, e non solo perché sentono che a loro manca l'autorità per fare tali giudizi sull'insegnante. Essi temono anche che le critiche che minano l'autorità dell'insegnante gettino dubbi sul valore dei loro anni di pratica sotto quel dato insegnante. Alcuni sono arrivati anche a sentirsi protettivi nei confronti di istituzioni Zen immature negli Stati Uniti, ed esitano nel contribuire al danno che un pubblico scandalo potrebbe causare. Altri temono che la loro propria promozione al ruolo di insegnante potrebbe venir messo in pericolo.  

Come notato più sopra, mentre D. T. Suzuki ed altri hanno portato le persone a credere che non ci fosse una prescritta moralità nello Zen, un diverso ritratto emerge se noi guardiamo gli inizi storici dello Zen. In Cina, ove lo Zen ebbe inizio, i monasteri Zen si distinsero dagli altri monasteri buddhisti con le famose regole di P'ai-chang (749-814) che prescrisse un codice di comportamento in apparenza severo per i membri della comunità monastica e severe sanzioni penali per il comportamento improprio. Risulta che tutti i resoconti classici di Pai-chang, che si basavano su un sistema indipendente di  addestramento monastico Ch'an, possono essere riportati ad una sola fonte, "Regole dell’Approccio Ch'an" (Ch'an-men Kuei-shih) scritto approssimativamente nel 960 a.C.(19). Secondo questo testo, "Se l'offensore avesse commesso un'offesa seria dovrà essere colpito col suo proprio bastone. Il suo manto, la sua ciotola e gli altri attrezzi monacali saranno bruciati di fronte all’assemblea della comunità, e lui [con ciò] verrà espulso [dall'ordine dei monaci buddhisti]. Lui sarà poi scacciato [dal monastero] attraverso una porta laterale come segno del suo disonore". Le regole saranno applicate ad ognuno. P'ai-chang inoltre raccomandava che "una persona spiritual-mente percettiva e moralmente lodevole avrebbe dovuto essere chiamata abate." Questo implica certamente un aspetto morale e sociale alla vita del Ch'an. Questa è la logica Zen dalla sua prima formulazione come una distinta setta buddhista.  

Se gli studenti hanno concesso eccessivo potere agli insegnanti, ciò non ci spiega perché così tanti insegnanti Zen hanno approfittato dell'opportunità di abusare del loro potere. Non tutti loro lo hanno fatto, dopo tutto. Sorge spesso la domanda del perché non ci si chiede quale sia nei circoli di Zen in America il collegamento tra conseguimento e comportamento? Cosa dovremmo fare dell’evidente disparità in qualcuno con una sanzione istituzionale, cioè la trasmissione del dharma, che ha apparentemente un profondo insight ma si comporta in modo irresponsabile? È difficile capire perché insegnanti con titoli così elevati e con lunghi anni di pratica meditativa si comportino in modi così egoistici, autocompiacenti, disonesti e distruttivi? Lo stesso Sutra della Piattaforma dichiara che, "Se noi non la mettiamo  in pratica (la saggezza), essa equivale ad un'illusione e ad un fantasma"(20). Un parziale chiarimento potrebbe essere quello di Chih-i (531-597), fondatore del buddhismo T'ien-t'ai ed autore della più comprensiva guida alla meditazione Cinese che era consapevole che lo stesso sforzo dell’intensa concentrazione può agitare le klesha (afflizioni ed illusioni), generando i vari sentimenti e desideri che non accadrebbero durante la coscienza normale, e che tenterebbero di distogliere il praticante dal praticare correttamente(21). In ogni caso, raramente si mette in discussione il livello  di conseguimento dell'insegnante.  

Il problema potrebbe avere qualcosa a che fare con la descrizione e la prospettiva di illuminazione come statica, nel senso di vedere solo ciò che è, piuttosto che una visione più dinamica che coinvolge anche ciò che funziona? Una visione della realizzazione buddhista che si concentri anche sulla funzione, piuttosto che oggettivare un'esperienza, metterebbe anche primaria enfasi sul contesto e le sue connessioni, cioè le relazioni con le altre persone e la società come una unità(22).  

La questione della relazione tra illuminazione e coltivazione è sempre esistita nella tradizione Zen dalla fine dell'ottavo secolo in poi. Illuminazione, in questo contesto si riferisce all'esperienza di profondo 'insight’ nella vera natura della realtà. La coltivazione può essere presa vivendo la propria vita di tutti i giorni dal punto di vista illuminato che include una consapevolezza della piena umanità delle altre persone e la nostra connessione con esse(23). Ma-tsu (709-788), un notevole ed influente insegnante Ch'an, affermò che l'esperienza dell’illuminazione improvvisa era inerentemente così completa che in quell'esperienza si realizza l'intero e totale Sentiero del Buddha. Questa visione venne ad essere nota come la "coltivazione istantanea dell’Illuminazione Improvvisa". Altri notevoli insegnanti Zen, come Tsung-mi(24) (780-841), Yen-shou (901-975), ed il Coreano Chinul (1158-1210), presero la visione che l’illuminazione improvvisa portasse la piena realizzazione, ma forse soltanto per individui eccezionalmente dotati come il sesto Patriarca Hui-neng e Ma-tsu. Per l’umanità più ordinaria, che è spiritualmente meno dotata, l'esperienza dell’illuminazione offre effettivamente una vera visione della propria auto-natura, ma non ce la fa ad eliminare l'egoismo. Alcune illusioni, come la confusione esistenziale, possono essere superate da un'esperienza profonda. Altre illusioni più profondamente radicate, come la brama, l’odio e l’orgoglio possono essere superate solamente facendo "ciò che abbiamo visto nell'esperienza vivente e forgiando di conseguenza la nostra vita"(25). L'ingiunzione buddhista di vivere una vita etica è comprensiva non solo di esercitare il distacco e l’autocontrollo, ma anche di manifestare positivamente la compassione nei nostri rapporti con le altre persone. Il maestro Ch'an Yen-shou metta la questione in questo modo:  

"Se le formazioni che si manifestano non sono troncate, e le energie contaminate dell’abitudine persistono, o se qualsiasi cosa che vedete vi porta alla passione e qualsiasi cosa che incontrate vi produce ostacoli, allora anche se avete compreso il significato dello stato che non-sorge, il vostro potere è ancora insufficiente. Voi non dovreste afferrarvi a quella comprensione e dire, "io già mi sono risvegliato al fatto che la natura delle contaminazioni è vuota", perché successivamente quando deciderete di coltivare, la vostra pratica, al contrario, sarà invertita.. .. Quindi dovrebbe essere chiaro che se parole ed azioni sono contraddittorie, si potrà poi verificare la correttezza o la scorrettezza della propria pratica. Misurate la forza delle vostre facoltà; voi non potete permettervi di ingannare voi-stessi(26) ".  

Quanto al fatto storico, il lignaggio di Ma-tsu sopravvisse, e ha dominato la tradizione Zen dalla dinastia Sung (960-1280) ai nostri giorni, mentre il  lignaggio Tsung-mi, per esempio, si spense. Il risultato è che la visione della Illuminazione improvvisa comportò che la coltivazione istantanea divenne la retorica ufficiale del buddhismo Zen. L'opposta, seppur sempre ortodossa, visione Zen che l’illumina-zione improvvisa doveva seguire alla coltivazione graduale, è stata grandemente de-enfatizzata e resa minoritaria. Nelle parole di Tsung-mi, "Il Risveglio dalla illusione, è improvviso; ma la trasformazione di un uomo ordinario in un santo è graduale"(27). Difficilmente molti insegnanti sono Buddha pienamente illuminati, ma sono persone che hanno bisogno di coltivarsi ulteriormente. Noi abbiamo bisogno di ricordarci di ciò quando interagiamo con essi. Benché nella pratica Zen si debba perlopiù concentrarci sui nostri propri difetti, c’è posto per una comune sensazione di vedere le azioni degli altri, anche quelle dei nostri maestri. Il Dalai Lama, riguardo alla visione dell'insegnante da parte dello studente, ha scritto, "...troppa fede e imputatata purezza di percezione possono abbastanza facilmente diventare cose marce"(28).

  

NOTE 

1. Secondo Suzuki, lo Zen è "estremamente flessibile nell'adattarsi a quasi tutte le filosofie e dottrine morali, finché il suo intuitivo insegnamento non interferisce conn esse. Può sposarsi con l'anarchia, fascismo, comunismo o democrazia, l'ateismo o l'idealismo, o qualunque dogmatismo politico o economico". Zen and Japanese Culture’, Princeton University Press, 1959 p. 63. Per una discussione completa delle fonti e motivazioni nazionalistiche della presentazione di buddhismo Zen di D.T Suzuki, si veda l'articolo di Robert H. Sharf, "Lo Zen del Nazionalismo giapponese", in ‘Storia delle Religioni’, agosto, 1993. Bernard Faure analizza anche criticamente alcuni dei pensieri di Suzuki in ‘Ch'an Insights and Oversights’, Princeton Press, 1993, pp. 52-74  

2. Paths To Liberation; the Marga and Its Transformations in Buddhist Thought ed. by Robert E. Buswell, Jr. and Robert Gimello 1992, U. of Hawaii Press, p27. 
3. Vedi "Buddhism and the Rhetoric of Religious Experience." nel meeting annuale dell’ American Academy of Religion, 1992, p. 37, Sharf.

4. "Encounter Dialogue and Transformation in Ch'an" di John R. McRae in Paths to Liberation, ed. by Robert Buswell and Robert Gimello, Hawaii Press, 1992, p. 354. 
5. p. 195 "On the Ritual Use of Ch'an Portraiture in Medieval China", T. Griffith Foulk and Robert H. Sharf, Cahiers D'Extrême Asie 7

6. Per un’interessante discussione dell’ampia e spesso controversa accettazione di quest’auto-definita idea nel Ch'an vedi "Ch'an Slogans and the Creation of Ch'an Ideology': A Special Transmission Outside the Scriptures", presentato nel Annual Meeting of the American Academy of Religion by Albert Welter, November, 1995. 
7. Holmes Welch, Buddhism in China: 1900 to 1950, Harvard University Press, 1967, p. 315.
Welch riporta l’interessante caso di un monaco cinese nel ventesimo secolo che diede la trasmissione di dharma ad un altro monaco cinese allora in Birmania, "senza mai averlo incontrato, e invero, senza neanche scoprire se lui avrebbe mai accettato il dharma."  

8. "Myth, Ritual, and Monastic Practice," by T. Griffith Foulk in Religion and Society in Tang and Sung China, ed. by Patricia Buckley Ebrey and Peter N. Gregory, U. of Hawaii Press, 1993, p. 160.

9. Soto Zen in Mediaeval Japan, William M. Bodiford, U. of Hawaii Press, 1993, p. 215. "La trasmissione Zen di dharma tra maestro e discepolo poteva accadere anche se il discepolo non aveva realizzato l’illuminazione, proprio come se il rituale di iniziazione personale era stato compiuto." Per un'ulteriore discussione degli usi sorprendenti della trasmissione di dharma vedi, The Rhetoric of Immediacy, Bernard Faure, Princeton University Press, 1991, e Foulk. Vedi anche "On the Ritual Use of Ch'an Portraiture in Medieval China", T. Griffith Foulk and Robert H. Sharf, Cahiers d'Extrême Asie, 7, 1993 pp. 149-219

10. Lettera di Philip Kapleau a Koun Yamada, Feb. 17, 1986.

11. Vedi Sharf[2], nota 20, p. 44.

12. "The Zen Institute in Modern Japan" di T. Griffith Foulk, P. 157-177, in Zen:Tradition and Transition, Kenneth Kraft ed., NY: Grove Press, 1988.

13. Pubblica lettera di Yamada Roshi 16/1/86. Koun Yamada Roshi fu l’erede di Yasutani Roshi. Egli divenne leader della Sanbokyodan school of Zen iniziata da Yasutani Roshi e dette anche la trasmissione di dharma a Robert Aitken. Anche una lettera di Mr. Kapleau a Koun Yamada 17/2/86.

14. È puranche vero che quasi nessuno studioso moderno di Zen, Orientale od Occidentale, prenda sul serio l'idea di un lignaggio Zen ininterrotto che risalga a Shakyamuni Buddha.

15. “The Zen Monastic Experience", Robert E. Buswell, Princeton University Press, 1992, pp. 204-208 

16. Dal 1910-1945 la Corea fu sotto l'occupazione militare del Giappone. Sotto la pressione e l'influenza di preti Zen giapponesi sposati, alcuni monaci coreani presero moglie e fecero famiglie. Questo provocò una divisione con i tradizionali monaci celibi nel Sangha coreano, così severa che nel 1954 il Presidente Syngman Rhee fu chiamato per risolvere la disputa. vedi pp. 30-31,, The Way of Korean Zen by Kusan Sunim, Weatherhill, 1985.

17. Mountain Record Magazine, vol. XII, n. 1, Fall, 1993, p. 59, pubblicazione del Zen Mountain Monastery, Woodstock, NY.

18. "Encounter Dialogue and Transformation in Ch'an" di John R. McRae in Paths to Liberation, ed. da Robert Buswell e Robert Gimello, U. of Hawaii Press, 1992, p. 353,354. 
19. The Ch'an "School" and its Place in the Buddhist Monastic Tradition, Ph. D. dissertazione di Theodore Griffith Foulk, University of Michigan, 1987, da UMI Dissertation Information Service, U.S. tel: (800) 521-0600, p. 348

20. The Platform Scripture, trad. di W. T. Chan (New York, 1963), p. 69.

21. Paths to Liberation, "Encounter Dialogue and the Transformation of the Spiritual Path in Chinese Ch'an", McRae, p. 347.

22. In relazione al famoso verso di Bodhidharma: Una trasmissione separata aldi-fuori delle scritture  

Non basato su parole o lettere,  

Puntare direttamente alla propria mente  

Vedere la propria natura e diventare Buddha. (Jpn. kensho jobutsu) 

Nel curriculum dei koan Rinzai, "...kensho è qualcosa che uno fa [un verbo, non un nome], non è primariamente qualcosa che uno ha", da "Koan e Kensho nel Curriculum Rinzai Zen", una stampa inedita presentata all'Assemblea generale annuale dell'Accademia Americana di Religione da G. Victor Sogen Hori, 21 Nov. 1994. Permesso accordato dall'autore.  

23. Per una interessante discussione di essenza/funzione e "pratica integrale", l'idea che il grado di integrazione nel proprio comportamento era il criterio per la realizzazione degli insegnamenti dei saggi, vedasi A. Charles Muller, The Composition of Self-Transformation Thought in Classical East Asian Philosophy and Religion". Toyo Gakuen Kiyo, Marzo 1993. (trovabile anche nel Web, in http://www2.gol.com/users/acmuller/index.html) 
24. Tsung-mi fu un patriarca in un lignaggio Ch'an ed il Hua-Yen una setta del buddhismo. Egli scrisse l'analisi più completa delle "nétte buddhiste Ch'an nella Cina del nono secolo. Per un completo trattamento di questa importante personalità del Ch'an vedasi Tsung-mi and the Sinification of Buddhism, Peter N. Gregory, Princeton University Press, 1991.

25. Vedi The Jewel Ornament of Liberation di SGam.Po.Pa, traduz. di Herbert Guenther, Shambala Publications, 1959, nota 1, p. 252.

26. The Collected Works of Chinul, Robert Buswell, U. of Hawaii Press, 1983, p. 305. Questo intero libro è un tesoro per gli studenti Zen. Di speciale interesse è il capitolo intitolato, "Excerpts from the Dharma Collection and Special Practice Record with Personal Notes", scritto un anno dopo la morte di Chinul in cui egli fa commenti sulle varietà dell'esperienza dell’Illuminazione e come uno debba essere accurato nella propria pratica. Lo Zen Coreano moderno porta ancora l'impronta potente di Chinul.

27. The Collected Works of Chinul, Buswell, p. 278.

28. Snow Lion Magazine, Winter Supplement 1995, p. 1.                    

 

 

Post-scriptum, di Aliberth: Non è certo conveniente per un sincero praticante del Chan mettere in piazza questi panni sporchi che denigrano alcune situazioni (non tanto infrequenti) che accadono, in questo caso nell’ambito delle comunità Zen d’America, ma a nostro parere presenti anche qui in Italia e, quindi, ovunque.

Tuttavia, poiché a suo tempo anch’io fui tacciato di cose di questo tipo anche se, posso giurarlo, mai e poi mai arrivai fino in fondo e, in definitiva, nel mio caso fu solo e principalmente questione di erronee interpretazioni da parte delle persone coinvolte, val bene, allora, precisare che spesso si fa di tutta l’erba un fascio e si grida “Al lupo! Al lupo!” anche al solo apparire di un piccolo cagnolino. Anche se, poi, il sottoscritto fu messo al bando, vilipeso e chiacchierato, senza mai potergli dare la possibilità di un chiarimento o di una difesa, davanti alle istituzioni Ufficiali del Buddhismo Italiano ed Europeo. Tanto che da allora sono passati ormai più di dieci anni ed è sorto Aliberth, che si è ritirato in privato, continuando il suo lavoro meditativo con serietà e coscienza ed ha ben compreso che, spesso, è meglio non avere contatti né rapporti con le persone, specialmente dell’altro sesso, perché poi si fa presto a criticare ed a creare notizie false e tendenziose.

Eppure la pubblicazione di questo scioccante reportage chiarisce che così come dove c’è fumo deve esservi il fuoco, anche nelle più oneste istituzioni spirituali si trovano spesso angoli bui (peraltro in qualunque religione) e perciò è meglio stare in guardia. Una attenta lettura di quest’articolo ci fa capire che anche i nomi più famosi ed altisonanti spesso non sono garanzia né certezza di trovare maestri che siano davvero illuminati, come Buddha, allo stadio finale. E che, in fondo, tutti noi che fatichiamo nel nostro avanzamento, siamo tutti sulla stessa barca, tanto che risulta essere assai attuale la famosa frase di Gesù Cristo: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!”