(Tratto http://www.buddhanet.net/ftp11.htm) 

OTTO PASSI VERSO LA LIBERTÀ:  

Seguire l’Ottuplice Sentiero del BUDDHA nella Vita moderna - di Stephen Echard Musgrave-Roshi    

Data di pubblicazione in BODHINET:  Giugno 1994 * BodhiNet (72:1000/658) – Tiger Team Buddhist Information Network (510)

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(Prefazione, del Traduttore del Testo ItalianoQuesto testo è una meravigliosa apertura verso la profonda comprensione e pratica del Dharma buddhista, attraverso l’esperienza vissuta di Stephen Echard Musgrave che, per certi versi ed in alcuni aspetti, ma solo alcuni, somiglia abbastanza alla mia stessa personale esperienza - Aliberth)

Prefazione dell’Autore: 

E’ impossibile scrivere una qualsiasi cosa che riguardi la pratica spirituale, e che sia significativa, a meno che ciò che è stato scritto non provenga dalla propria esperienza. Così, durante questi ultimi venti anni, io sono stato molto interessato a trovare una pratica buddhista che si riferisse in maniera adeguata al vivere nella nostra società moderna. Una pratica che, con parole di Dogen Zenji, fosse veramente una pratica "autentica". Un tentativo di modernizzare la pratica buddhista al punto di non contenere più un’adeguata disciplina, oppure di accettarla, "ingoiandola integralmente", completa di tutte le forme culturali del passato. 

In questa società attuale, in cui noi stiamo continuamente cercando l'ultima invenzione per rendere la vita ancor più facile, la tradizionale pratica spirituale con le sue rigide pretese sembra fin troppo antica per essere vitale. Nei sistemi di informazione della ‘new-age’ vi sono annunci di "stimolatori di onde cerebrali che in venti minuti faranno di voi ciò che richiede vent’anni perché  lo ottenga un monaco Zen". Presumo che ciò che è raggiunto, sia la paziente attitudine verso la pratica spirituale che spesso appare in alcuni monaci Zen dopo vent’anni di settaria rigidità. 

Ovviamente, ci sono molte persone che credono che l’illuminazione sia una mera funzione biomeccanica e perciò esse si aprono ad un approccio meccanicistico. Lo Zen e le altre tradizioni buddhiste sono solo un altro modo di entrare ad assaggiare il buffet sulla tavola. Chiunque abbia mai ha letto un libro di Alan Watt è pronto a scrivere il proprio libro sul Water-Polo-Zen, sul Basket-Zen, o su qualunque altra cosa. Dopo tutto lo Zen non è solo fare meditazione ed essere tutt’uno col momento presente? 

Sarebbe meraviglioso dire che tutti i praticanti occidentali di Zen e delle altre tradizioni buddhiste non condividono questa semplice visione del mondo, ma sfortunatamente chi più chi meno ciò si può trovare in molti buddhisti occidentali. Queste persone sono in gran parte sincere, ma non hanno un forte background nella filosofia buddhista, e sono più spesso attratte dalla tradizione a causa di un sentimento emotivo che hanno per essa. Alcune di queste persone potranno essere abbastanza fortunate se si uniranno ad un bravo insegnante e ad un sangha, che sapranno condurle fuori da questo primitivo stadio verso un più serio rispetto e maggior comprensione della pratica. Gli altri, abbandoneranno il buddhismo e ritorneranno alle loro radici religiose occidentali, convinti di non riuscire a capire il buddhismo. Ancora, un certo numero di altri finirà in ospedali psichiatrici, perché ad essi mancava la necessaria maturità emotiva o comprensione intellettuale per sostenere la stabilità psichica attraverso le durezze della meditazione. 

È una realtà della vita, che la seria pratica spirituale possa avere serie ramificazioni sulla psiche di coloro che vi si sottopongono. Se non fosse così, allora non ci sarebbe alcun punto nel farla.  Quelli che hanno la professione spirituale per addestrare gli altri in queste pratiche devono essere ben consapevoli della realtà che c’è dietro all’entusiasmo dei loro studenti. Se quell’entusiasmo è basato su qualcos’altro piuttosto che una realistica comprensione della natura della disciplina allora il nostro studente sta dando corpo ad un guaio. E per noi, non c'è modo di condurli fuori da questo guaio, a meno che noi non si abbia un totale impegno alla vita buddhista, nella forma del nostro cammino sull’Ottuplice Sentiero. Questo libro, quindi, non è solo una guida verso la pratica spirituale basata sulla filosofia buddhista, ma in un certo senso una personale monografia del mio stesso viaggio spirituale. 

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Io praticavo Zen da circa dieci anni quando decisi di aiutare a formare un Centro Zen sotto la direzione del famoso Maestro di Zen Coreano, Seung Sahn Sa Nim. A questo punto della mia vita, io passavo molto tempo in zazen mentre stavo vivendo da solo. Vivere con altre persone in questo centro divenne estremamente difficile per me. Trovavo la mia pratica disintegrante e le mie azioni compulsive e inadeguate alla retta azione. Mi accadeva di giudicare tutto, di odiare lo stile coreano e idealizzare la tradizione giapponese. Non riuscivo affatto a fare la pratica dei Koan, che mi sembrava assolutamente insipida; un mero gioco. Nondimeno, io rimasi nel Centro finché le mie azioni divennero così misere che Seung Sahn Sa Nim dovette estromettermi dal Tempio. Tutto l’episodio, non era nel mio carattere, per me e per gli altri che mi conoscevano come un obbediente e buon studente di Zen. Seppi che questa serie di eventi ed il mio stato mentale erano entrambi un segnale di un difetto nella mia pratica ed un'opportunità per l’auto-esame. Io fui determinato nel capire e rettificare il problema. Dal mio studio in filosofia, avevo imparato che uno doveva sempre esaminarsi agli inizi di un'attività; ritornare ai fondamenti e da là ricominciare. 

All’inizio, mi sembrò che i fondamenti dovessero comportare di fare più zazen, dato che quello è il cuore e l’anima della pratica Zen. Poco dopo, però, capiì che questo approccio non stava funzionando, poiché restai seduto per lunghe tirate prima di superare la crisi al Centro Zen Tahl Mah Sah. A quel tempo avevo anche un'amicizia intima e personale con una persona che era pure lei buddhista e praticava vigorosamente ma, nondimeno, era in un perpetuo stato di disagio autoinflitto. Siccome è sempre più facile riconoscere i difetti in un'altra persona, io cominciai a ponderare sull'efficacia della meditazione vigorosa nel buddhismo, come un mezzo per l’auto- trasformazione, particolarmente come opposto al Sentiero della Fede, il Tantra, e lo studio praticato dalle altre tradizioni buddhiste. 

Un giorno, mentre osservavo il mio scaffale, mi accadde di scoprire una vecchia copia della Bibbia buddhista, una raccolta di testi buddhisti compilata nei 1930. Essa si apriva con una descrizione delle Quattro Nobili Verità e dell’Ottuplice Sentiero, i principi di base del buddhismo.  Immediatamente fui colpito dal significato di ciò stava di fronte a me: i principi ‘fondamentali’ del buddhismo, come tramandati dal suo fondatore, e più personalmente la risposta alle parti mancanti della mia pratica, la ragione per cui io ero incapace di integrare la meditazione con la mia vita di tutti i giorni. 

Cominciai così ad analizzare il perché io operavo con due visioni del mondo evidentemente contraddittorie.  Divenne chiaro che mentre io consapevolmente accettavo la dottrina del karma e l'interrelazione del karma nella crescita spirituale, nondimeno nella vita quotidiana io stavo ancora operando con una inconscia visione meccanicistica dell'universo; una visione che giusto considera la meditazione come uno strumento da usare per cercare l’illuminazione.  Fu circa in questo periodo che fui intento a studiare anche l'Avatamsaka Sutra, che è la base filosofica dello Zen ed insegna che tutte le cose nell'universo condividono un'essenziale unità di essere, come processo e con l’effetto di interpenetrare realmente l'esistenza di ognuno con gli altri. 

Per quanto lento io fossi nel capire la verità spirituale, mi divenne ben chiaro che questa era la soluzione al mio dilemma. La mia pratica non funzionava perché non era autentica. Non era autentica perché non era una pratica totale, che deve avere una visione ed una totalità di sforzo costanti con essa. Tutte le parti della pratica costituenti l'intero furono esposte di fronte a me nell’Ottuplice Sentiero. Prima della mia crisi, la mia mente addestrata all’occidentale credeva che gli otto sentieri venissero riferiti causalmente, e poiché io non potevo discernere prontamente il collegamento tra di loro, presumevo che essi avessero una relazione gerarchica, con all'apice la meditazione, in grado di correggere qualunque difetto in uno degli altri sentieri. 

Io non potevo vedere la fondamentale interdipendenza che costituisce l'unità della pratica.  Dai miei studi dell'Avatamsaka Sutra, cominciai a connettere l'interezza fondamentale del Sentiero e cominciai a vedere come ciascun Sentiero conteneva i semi di tutti gli altri; ciascuno crescente insieme per creare una perfetta unità con l’Ottuplice Sentiero e per diventare insieme una sorta di organismo spirituale. Il mio impegno alla disciplina di questo interconnesso sentiero spirituale proseguì come naturale conseguenza della mia comprensione. La fede in questo incomparabile dono del Buddha fa naturalmente seguire la comprensione della sua perfetta unità e guida la nostra pratica. È la qualità unica della fede buddhista che fluisce dalla logica e dalla intuizione come basi per la pratica, piuttosto che l’opposto come nel caso delle tradizioni monoteistiche. 

Passarono gli anni ed io praticai la meditazione seduta con vari maestri che custodivano il mio proprio stile Soto, mentre imparavo da insegnanti Rinzai, Tibetani e Cinesi. Presto mi dimenticai del mio voler raggiungere l’illuminazione e fui preso sempre più nella pratica dell’Ottuplice Sentiero. L’Illuminazione venne senza che io la cercassi. Cominciai a comprendere il mio karma ed abbandonai dieci anni di celibato. Quasi subito dopo aver capitoi la mia natura, io incontrai la mia meravigliosa moglie, Rhonda, ci sposammo e, anche se per più di quarant’anni ero stato scapolo, questa trasformazione fu naturale. Ora noi abbiamo un bel figlio, Shea, nato l’8, 8, 1988 alle 8:08 di mattina che è un vero essere di luce. Anche essere padre è naturale. Il bello della pratica dell’Ottuplice Sentiero è che presenta una visione e un modo dinamici di essere nel mondo e ci libera dalla fossilizzazione dell'ego. Perfino le lunghe abitudini di vita e le tendenze mentali si dissolvono in una nuova apertura e libertà di espressione. 

E fu durante questo periodo che il mio amico di lunga data e mio insegnante Soyu Matsuoka Roshi mi diede il titolo di Roshi o Maestro di Zen. Tutte queste cose vennero da sole, senza uno sforzo speciale. L’Ottuplice Sentiero ci conduce direttamente verso quello che è il nostro proprio karma, che aspetta solo di maturare nel sole della nostra pratica. Sono convinto che se un serio studente di buddhismo si applica consapevolmente a seguire questo Sentiero, aderendo alla pratica e meditazione della sua tradizione scelta, egli otterrà una vita e una pratica autentiche.  Questa autenticità non è null’altro che la vita e la Via di Buddha e Patriarchi che si manifestano nel presente. Non c'è niente di meglio da desiderare per chiunque, se non che essi sperimentino questo autentico modo di vita per loro.  

Lo studente Occidentale di Dharma è preso da un gran numero di dilemmi. Il problema di come adattare la nostra pratica spirituale a questa vita non è una domanda facile da rispondere.  Finché viviamo in questa società moderna, noi dobbiamo riflettere quella realtà nella nostra vita, e c'è così tanta tradizione intorno alla pratica buddhista, che è difficile accertarsi quale sia pertinente per la nostra crescita spirituale e quale non lo sia. Questo problema dovrà essere considerato se noi non faremo alcun progresso nel nostro Sentiero. Il Sentiero del Dharma ha fortunatamente una natura sistematica che ci permette di riflettere indipendentemente su ogni suo aspetto per poter giudicare nell'insieme la nostra pratica. Non importa a quale particolare disciplina una persona appartenga, se Zen, Vajrayana, Theravada, o qualcuna delle altre, c'è il  continuo segnale indicatore dell’Ottuplice Sentiero del Buddha che ci dà la direzione. 

L’essenziale comprensione dell’Ottuplice Sentiero applicabile alla vita quotidiana è il migliore metro di misura che noi abbiamo per giudicare la purezza e l'autenticità della nostra pratica.  Nonostante questo, esso è poco compreso e raramente vi si aderisce come guida per l’azione personale da parte degli studenti moderni. Così, sembra che molti studenti inciampino, perché non fanno molti progressi nella loro pratica, e se ne chiedono il perché. Essi invariabilmente si aggrappano alla meditazione come panacea spirituale, fraintendendo la pratica di meditazione per la pratica stessa del Dharma. 

La pratica del Dharma viene perfezionata nella meditazione come l'incarnazione dell'energia spirituale del Buddha, ma gli studenti devono tenere in mente che Dhyana non è che un aspetto dell’Ottuplice Sentiero. In nessun sutra si afferma che il Buddha disse che il successo nella meditazione può sostituire il fatto di non seguire gli altri sette sentieri. Tutti i raggi della ruota devono essere a posto per far funzionare bene la ruota. 

Per alcuni studenti, la mera pietà e l'adesione alle varie forme della tradizione è sufficiente.  Mentre poche di queste persone sono malintenzionale, esse sono tuttavia male informate. Solo portare la tonaca e radersi la testa, avere pietà e bravura nella meditazione, non condurrà alla illuminazione. L’Illuminazione è una risposta organica alla realtà, e come qualunque cosa organica, coinvolge un ecosistema. Per capire come funziona questo ecosistema noi dobbiamo proprio capire l’interrelazione dell’Ottuplice Sentiero.   

Vi sono state molte eccellenti opere sul tradizionale significato filosofico dell’Ottuplice Sentiero, ma assai poche che mostrano come riferire specificamente il Sentiero alla vita contemporanea. Poiché Io e tutti i miei studenti dobbiamo affrontare questo problema ogni giorno, per me questo problema è della massima importanza, nella mia propria vita e nel mio insegnamento.  Questo lavoro allora è un risultato di venti e più anni di mantenimento di questo infinito koan. Io spero che i lettori trovino questo libro di beneficio per affrontare quest’essenziale problema nella loro propria vita. 

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1 - RETTA VISIONE

All'inizio c'è l'idea. Il seme da cui germina tutto il resto. Nella pratica spirituale, è sicuro che la visione che noi abbiamo del mondo detti il corso delle nostre azioni. Nel buddhismo, il Sentiero della retta visione, o retta ideazione, comincia con una fondamentale comprensione delle leggi spirituali dell’esistenza. Che poi sono le quattro nobili verità: 1.) Vivere significa sperimentare il dolore e l’insoddisfazione, 2.) che questo dolore e insoddisfazione nascono dall'attaccamento al desiderio 3.) che questi desideri possono essere estinti, 4.) seguendo l’Ottuplice Sentiero. 

La prima nobile verità di solito si interpreta con l’essere vivi che significa soffrire. Tuttavia, nell’ originale Pali, il termine "dukkha" è un po’ più complicato della semplice sofferenza. Esso, in realtà, significa una fondamentale insoddisfazione di base intrinseca all’esistenza, una tensione psicologica. Il Buddha non insegnò mai che la vita stessa sia inerentemente sofferenza, ma che l’essere vivi con una coscienza mondana vuol dire essere in un stato di tensione con l’esistenza.  Ovviamente, la sofferenza è un'esperienza che tutte le cose viventi condividono, perché la natura stessa della vita è limitata e quando noi sperimentiamo i limiti della nostra limitatezza, noi sperimentiamo la sofferenza. 

Malattia, vecchiaia, e morte vengono incontro ad ogni essere nato in questo mondo. Essi sono i confini della nostra stessa condizione mortale. Essi portano con sé un certo livello di sofferenza così che ogni persona, secondo il proprio karma, sperimenta un diverso livello di disagio quando affronterà la propria condizione mortale. Per esempio, due persone possono rompersi le gambe sciando, con un identico livello di dolore fisico e disagio provato. Però, una persona può con pazienza accettare questo incidente, essendo matura abbastanza per comprendere che quando si sceglie di sciare, il potenziale danno fa parte del gioco. Quella persona potrebbe passare il resto della vacanza in albergo, godendo del vino e buona compagnia e tirando fuori il meglio di esso. Un individuo meno maturo potrebbe essere colto da rabbia per l’"ingiustizia" del suo incidente. Questo tipo di persona soffrirà un inferno psicologico per il suo stesso agire e la sua esperienza di questo inferno è molto peggiore del dolore per il danno e il disagio patito. 

L’essenziale differenza nell’esperienza di due persone che condividono una identica sfortuna è dovuta alla pacata accettazione di uno, contro l’eccessivo desiderio dell'altro. Per lo sciatore che si è adirato, la parte peggiore di questo scenario è che probabilmente egli in futuro soffrirà ancor di più a causa della sua inadattabilità a trattare con le sue situazioni. Egli porterà con sé questa incapacità, motivando il disprezzo e la rabbia dei suoi compagni a causa del suo comportamento infantile. A sua volta, ciò lo renderà amareggiato, pieno di auto-disprezzo, e più idoneo a ripetere i suoi errori in futuro. La fonte di questi problemi non sta nelle esperienze di questi individui, ma nella loro visione del mondo che ha reso quell'esperienza così infernale. È la naturale conseguenza dello star fuori dal contatto con la realtà. L'idea di base, o la prospettiva, di tali persone prive di essenzialità è che il mondo dovrebbe adattarsi alle loro aspettative. Questa è una visione del mondo guidata dal desiderio, piuttosto che dall'accettazione. 

Molti occidentali vedono l'accettazione come una specie di codardìa morale. Con parole di Dylan Thomas, "Non andare in modo gentile verso la buona notte, ma vacci arrabbiato; vai su tutte le furie contro il morire della luce". In verità, l'accettazione non è uno stato passivo che è opposto al desiderio. Questo è uno dei malintesi inerente alla moderna visione del mondo. L'accettazione è la consapevole consapevolezza della realtà della propria situazione e non implica la mancanza di energia. L'accettazione è la base per l’azione, perché tratta realisticamente con l'attualità.  L'attaccamento al desiderio è un tipo di frenetica non-azione dato che ignora l'attualità in favore di una innaturale possibilità. 

Comprensione e accettazione della realtà sono l'inizio dell'attività illuminata. Per raggiungere la mèta noi dobbiamo avere una comprensione di quelle che sono le condizioni che plasmeranno la direzione dei nostri sforzi. Se non riconosciamo il terreno, noi saremo incapaci di seguire la mappa. Sapendo questo, il Buddha sistematicamente delineò le forze che plasmano la vita e la coscienza. Egli non si interessò di presentare un sistema filosofico, ma di dispiegare una mappa di base della condizione umana, affinché tutti noi si possa trovare la nostra propria Via. Ed il suo insegnamento segreto fu l'espressione della sua stessa esperienza, anziché un carnet filosofico tramandatogli dalla tradizione. Il potere di questo insegnamento proviene direttamente dalla sua incondizionata libertà. Questa libertà può essere ottenuta soltanto quando si ha il coraggio di esplorare all’interno del proprio ‘sé’, senza l'aiuto di uno strumento pieno di dati filosofici e di speculazioni teologiche. 

L'insegnamento del Buddha fu, ed ancora rimane, un confronto intensamente personale con il problema della sofferenza umana e del suo antidoto. Questo confronto con la sofferenza fu anche più straordinario se consideriamo che la profonda angoscia del Buddha per la condizione umana non fu così generata tanto dalla sua stessa sofferenza personale, quanto dal suo ricono-scimento della sofferenza di quelli intorno a lui. Il principe, nel suo palazzo, fu commosso dalla malattia, la vecchiaia, e la morte che vide intorno a sé, proprio mentre lui era esente da queste afflizioni. 

Non fu solo la conoscenza del suo stesso potenziale di sofferenza che lo colpì, ma la realtà della sofferenza come un dato della vita che lo scosse in profondità. Per chi è veramente spirituale, la realtà della sofferenza dimora nel proprio spirito come una durevole fiamma di compassione. Questo è un fuoco che brucia via ogni distinzione tra sé e gli altri e riduce in cenere tutte le minime considerazioni, una volta che si è acceso. Il Buddha rifiutò perciò in modo adamantino di rispondere a domande che fossero puramente teologiche o metafisiche perché le ritenne inerentemente irrilevanti. Il suo insegnamento ebbe una sola priorità: il sollievo della sofferenza umana. Anche una persona semplice può riconoscere che, per gli esseri umani, non c'è alcun modo di evitare queste condizioni che producono la sofferenza a livello fisico. Finché un uomo esiste in una forma fisica, egli avrà le conseguenze di quella forma. Per possedere una forma, si dovranno avere dei limiti. Perché ciò che è senza limiti è per natura senza-forma. Muoversi in un mondo di limiti è sperimentare i limiti in sé-stessi, e l'esperienza personale dei limiti è per natura un'esperienza insoddisfacente per ciascuno che è definito dai suoi limiti. 

Fin dall’inizio della vita, il dolore fisico e la frustrazione psicologica marchiano il primo confronto dell'infante con i suoi limiti. Esso sperimenta direttamente l’insoddisfacente natura dei suoi limiti nei suoi iniziali movimenti nel mondo. Sbattere la testa, il giocattolo fuori di portata, rinforzano un senso di impotenza nella mente dei neonati. Questa inabilità di avere un proprio modo, e la tensione che essa produce col mondo, è ciò che nel buddhismo si intende come la prima nobile verità; cioè, che la vita è sofferenza. La parola originaria usata dal Buddha era ‘dukkha’, termine Pali che, come ho detto, implica assai più del termine europeo ‘sofferenza’. Dukkha si riferisce ad un tipo di tensione fondamentale o dis-agio verso l’esistenza. Esso descrive il confronto continuo dell’individuo coi suoi limiti. Non vi è niente di particolarmente rivoluzionario in questa visione, salvo la sottigliezza della definizione. Comunque, dopo il Buddha va avanti nel postulare un’altra verità che comincia a marcare il suo radicale allontanamento dalla percezione ordinaria.  La sofferenza è causata dal desiderio, e questa è la seconda nobile verità. 

Ancora una volta, la vera parola Sanskrita significa ben più del ‘desiderio’ nel senso Occidentale.  Ovviamente, vi sono molti desideri positivi che non sono produttori di sofferenza, ad esempio come il desiderio di illuminarsi, o aiutare gli altri, ecc. Ciò che rende differente i desideri negativi dai desideri positivi è l’adesione o 'attaccamento', associato con la negatività. Questa energia è chiamata ‘contaminazione’, o ‘Klesha’ in Pali, e significa un'energia ossessiva che lega l'individuo ad un concetto di ‘sé’, o situazione che non gli permetterà di affrontare i limiti con equanimità o con l'accettazione.   

Dukkha e Klesha sono come i due lati di un magnete; dukkha è l'energia che respinge i limiti, mentre klesha è l’energia che continuamente attrae i limiti verso di sé e si lega ad essa. Dukkha semplicemente non è in grado, all'interno dei limiti dell’esistenza personale, di restarsene senza tentare di spingersi continuamente via dalle situazioni di vita, tentare di manipolare il suo modo in una posizione di potere. Essa lo fa perché la mente è sempre protesa a limitare l'energia della spinta magnetica di klesha. L’aderente desiderio di essere o dimorare in qualcosa scelto proprio da noi, ci spinge costantemente diretti verso le varie situazioni di vita. E queste invariabilmente sono insoddisfacenti, poiché esse non possono placare l'energia del desiderio, e quindi in quel momento noi siamo respinti da esse per la forza di dukkha. 

Gli attaccamenti del desiderio ci attraggono, e l'insoddisfazione dell'esperienza del nostro essere limitati quando noi c'avviciniamo all'oggetto del desiderio di nuovo ci respinge. Quindi noi siamo incessantemente spinti emotivamente avanti e indietro in un turbine di infelicità. Noi in effetti possiamo diventare così abituati a questa situazione che alla fine impariamo ad accettarla, e non riconosciamo neppure il nostro stesso tumulto esistenziale. Un uomo che è stato sofferente fin dalla nascita, crede di essere abbastanza felice finché non arriva qualcuno che allevia il suo dolore. Dopodiché egli riconoscerà che per la prima volta lui è felice. La fonte di questo klesha che provoca la sofferenza giace in una incomprensione di base della natura del ‘sé’. Questa mancanza di comprensione è quella che il Buddha chiamò ‘avidyà’, l'ignoranza. L'uomo che è ignorante vede se stesso come un assoluto altro, e ne definisce attentamente i suoi limiti, così attivando l'energia dei klesha e la risultante esperienza della sofferenza. 

Secondo gli insegnamenti buddhisti, la fondamentale Realtà dell'Universo, la Mente-di-Buddha, non è altro che la nostra propria natura originale. Questa natura, a noi è nascosta a causa del condizionamento del desiderio e l'attaccamento al processo del divenire. Questo è il punto in cui l'ignoranza, nella forma di attaccamento al ‘sé’, non ci permette di vedere la nostra vera natura.  Noi letteralmente non siamo capaci di vedere la foresta come tutti gli alberi, eppure non c'è alcuna altra foresta che questi stessi alberi. 

L’effetto di praticare l’Ottuplice Sentiero è cominciare a vedere ogni albero, o cosa componente, per quello che è, una perfetta espressione di tempo e spazio. Ogni albero nella foresta diventa, nel processo del divenire, uno specchio che riflette la foresta stessa. Tutto ciò che è nella vita è unito in reciproca identità a questo sottile livello di comprensione. Questo è il risultato-effetto del cambiamento di visione, che permette una percezione della realtà un un intero dinamico, piuttosto che una serie di strutture ontologiche in una lineare relazione causale. Ad esempio, la nostra consueta comprensione è che un albero è un adattamento di uno specifico organismo ad un unico tempo e spazio Questa è comunque una prospettiva lineare, che non vede l'albero per quello che è. Essa ignora l'interazione dell'albero col resto dell'ambiente circostante. Un albero è un processo dinamico, prima ancora che un'unità concreta di essere. Il fatto che noi lo si percepisca come tale è dovuto ai limiti imposti ai nostri sensi a causa della loro stessa struttura, e alla corrispondente interpretazione dalla nostra mente. 

In altre parole, i nostri occhi sono capaci di percepire la luce riflessa da una fonte all'interno dei limiti imposti dallo spettro visibile. Anche se noi siamo scientificamente consci di altre radiazioni, come la luce infrarossa ed ultravioletta, noi siamo incapaci di percepirle. Sebbene l'energia della luce sia composta di strutture ondeggianti, o onde, la nostra percezione del cambiamento è limitata solo ad una rapida trasformazione. Ovviamente noi questo lo possiamo vedere quando osserviamo un lasso di tempo di un film su un fiore in un giardino. Ciò che appare alla nostra coscienza ordinaria come una rosa che sboccia, in realtà è una rosa in trasformazione. Tramite l’intervallo fotografico noi possiamo vedere germogliare la cresta e il gambo dell'energia della rosa mentre genera gemme, fiori, petali, e poi ricomincia, tutto mentre continua a crescere. Insieme a tutte le manifestazioni visibili del processo, vi sono gli innumerevoli aspetti della sua interazione con le altre forze del giardino. La rosa interagisce col suolo, assorbendo i nutrienti, lascia,do cadere foglie e fiori, che riciclano nutrienti, ospitando insetti, insetti che si alimentano l'un l'altro, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno. 

Nella rosa, nulla è statico. Infatti, il suo stesso essere è in interazione. Tuttavia, la nostra coscienza la definisce come una cosa. Un'unità che è separato dalle altre unità nell'arena delle menti. Essa viene sperimentata in primo piano o sullo sfondo. Quando la mente contempla un giardino, delega la rosa al ruolo di sfondo, e quando considera la rosa stessa, il cielo o il muro del giardino diventano lo sfondo. Comunque sia, la realtà della rosa è nella sua interazione col suo ambiente. I nomi rosa, giardino, cielo, e terra, sono meri strumenti dell'intelletto e della comunicazione che non hanno vera relazione nella realtà del fenomeno stesso. Ciò è sempre una questione di reciproca interazione o meglio, interpenetrazione. 

Il termine buddhista "reciproca interpenetrazione", riconosce l’assoluta coincidenza di essere che è l’ambiente circostante. Ogni aspetto del giardino si sta effettuando e sta venendo effettuato simultaneamente da tutti gli altri aspetti. L'evidenza di questa realtà è riconosciuta in molte discipline dall’ecologia alla fisica delle particelle. Per un buddhista, il punto essenziale è che il suo stesso essere anche è compartecipe in questa interpenetrazione. Non c'è nessuna effettiva e costante realtà del ‘sé’ aldifuori di questa interpenetrazione; nessuna anima, mente, o spirito permanente che non sia una sola cosa con questo eterno interscambio. Il processo è l’essere, e non c'è nient’altro. Le idee riguardo al ‘sé’ sono irrilevanti alla verità. Esse sono mere nuvole al disopra del giardino, che vengono ad essere e poi si dissipano. Tutto, mentre il continuo flusso dell’interazione continua. Come le nubi che di colpo si sciolgono quando il vento le spazza via, così lo studente del Dharma lascia che le idee di auto-libertà possano vagare attraverso il cielo di questo eterna reciproca interpenetrazione.  

La foresta è gli alberi e gli alberi sono la foresta. La rosa è il giardino, ed il giardino è la rosa.  Gli altri sono il ‘sé’, e il ‘sé’ è l'altro. Non c'è nient’altro che questo, nulla a cui aggrapparsi e nulla da averne paura. Perché se tutti sono il ‘sé’, allora non c'è nessun ‘sé’ che possa essere minacciato da un altro. Com’ è possibile, poi, per una persona, operare efficacemente in questo mondo di cose, mantenendo questa elevata visione di reciproca interpenetrazione? È possibile, perché ciascun fenomeno, sebbene condivida un essenziale essere con tutti gli altri fenomeni, mantiene tuttavia il suo proprio modello o struttura come espressione di questa interrelazione. Le cose non cessano di esistere quando noi diventiamo consapevoli del loro essenziale vuoto di sé. Se lo facessero, allora ogni esistenza svanirebbe con loro. Il processo di questa consapevole intuizione può essere trovato nel famoso detto Zen, "Prima c'èra una montagna, poi non c'è più la montagna, infine c'è ancora una montagna!".  

Quando all’inizio vediamo le cose, noi le consideriamo realtà concrete ed assolute in se stesse.  Una montagna è una montagna e null’altro. Poi, però, noi diveniamo consapevoli dell’essenziale vuoto della montagna che non esiste aldifuori della sua interrelazione col mondo. Alla fine, essa diviene di nuovo montagna, quando con l'occhio illuminato consideriamo la perfetta espressione dell'universo come montagna. Nella visione finale, non c’è nient’altro che non partecipi con noi nel reciproco essere del momento. Noi non sacrifichiamo nulla raggiungendo questa prospettiva illuminata. Nel mondo delle cose, noi siamo ancora capaci di funzionare come prima, con la stessa facilità.  Noi usiamo la ragione e la discriminazione nella nostra vita quotidiana con anche più abilità di quanto non si facesse quando consideravamo ogni cosa una realtà in se stessa.  Ora noi a livello viscerale comprendiamo che non c'è azione in cui noi prendiamo parte che non interagisca con l'intero. Azioni impetuose e stupide che prima noi avremmo attivato, pensando che fossero state fatte nel nostro stesso interesse, ora sono viste per ciò che veramente sono. 

Per la prima volta possiamo aver fiducia nella nostra intuizione di essere un partner totale con la nostra ragione nel determinare l'azione della vita. Questo, perché c'è stato un fondamentale e completo voltafaccia di coscienza che direttamente lascia fluire l'intuizione da quell'essere con-diviso che è la coscienza universale. Noi possiamo cominciare a muoverci attraverso il mondo con la grazia di un virtuoso che, avendo raggiunto il dominio tecnico del suo strumento, ora può lasciare che il suo genio intuitivo fluisca nella sinfonia della vita, ma col nostro proprio unico tocco ed accento. La vecchia prospettiva del ‘sé’, che noi credevamo ci potesse dare un senso di libertà, in realtà ci teneva lontani dallo sperimentare la bellezza della nostra vita. La bellezza che noi chiamiamo la Natura di Buddha; essa è l'armonia della vita di cui noi non siamo che una nota. Questa visione della vita che riconosce la natura di Buddha e le leggi della realtà spirituale è quella che è chiamata Retta Visione. 

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2 - RETTA  RISOLUZIONE

Una volta che una persona ha raggiunto una visione del mondo che percepisce accuratamente la natura della realtà spirituale, essa capisce che è necessario vivere una vita adatta a questa visione. Siccome nessun umano possiede una virtù perfetta, sarà necessario impegnarsi in un corso di azioni che possa rendere quella persona capace di trasformarsi secondo questo nuovo impegno.   

Retta risoluzione e retta visione formano quella comprensione che nel buddhismo è paragonabile all'energia ed allo scopo della fede nelle religioni monoteistiche. Nondimeno, il buddhismo è una tradizione basata sull’indagine sistematica piuttosto che sull’impegno teologico. Benché vi sia una cosmologia e una struttura metafisica, gli elementi della tradizione non hanno un ruolo attivo nel processo sistematico della trasformazione del ‘sé’, incarnato nell’Ottuplice Sentiero. La cosmologia, per i buddhisti, non è qualcosa che impone la loro attenzione come fondamentale parte della pratica. L’attenzione è diretta sui fattori psicologici ed epistemologici che governano il loro stato di coscienza e quindi, la loro crescita spirituale.   

Ecco perché il buddhismo è essenzialmente una pratica spirituale, piuttosto che una religione. I principi psicologici dell’esistenza umana, delineati dal Buddha, garantiscono uno strumento per l’auto-trasformazione. Essi sono gli unici costituenti fondamentali della realtà su cui un individuo ha un certo grado di controllo, e perciò possono offrire un potenziale per la pratica. L’individuo non ha alcun controllo sulla natura cosmologica e metafisica dell'universo; qualunque pratica basata su questi elementi dovrebbe avere qualcosa di magico, e perciò basata puramente sulla fede. Tuttavia, noi abbiamo il potere di focalizzare la nostra concentrazione su uno specifico oggetto di coscienza, che sia esso un'idea o un oggetto sensoriale, e che ci dà così la capacità di manipolare i fattori della coscienza. Si dà il caso che noi non abbiamo il potere di controllare le strutture metafisiche e cosmologiche dell'universo. Se non fosse per la nostra capacità di saper controllare il nostro fuoco di coscienza, noi non saremmo in grado di provocare l’auto-trasformazione, e l'idea di corretta risoluzione sarebbe senza significato. 

Poiché il buddhismo accetta la realtà di una volontà che è sì condizionata, ma anche capace di una scelta, un buddhista non si trova di fronte al dilemma di poter contare sulla grazia metafisica di un'agente esterno per la sua salvezza. La dottrina dell'identità reciproca e dell’originazione co-interdipendente lascia spazio alla possibilità di un individuo che causa la sua stessa salvezza grazie al proprio lavoro spirituale. Il problema della volontà spontanea (o libero arbitrio) è in realtà un problema del concetto di libertà. La visione standard di libertà può essere trovata nella definizione del dizionario di Webster "non determinata da nessun’altra cosa oltre la sua stessa natura di essere". Il problema con questa comprensione è che dalla prospettiva buddhista, nulla esiste che non condivida il suo essere con tutto il resto. Questo fa del concetto di libero arbitrio (o volontà spontanea) una glorificazione del ‘sé’ che non si attiene allo scrutinio filosofico del buddhismo. 

Prima di tutto, la libertà non ha significato, a meno che non si stia parlando di una libertà solo relativa. Ogni qualvolta facciamo una scelta, noi dobbiamo avere un qualche affermato fattore dietro alla scelta che in effetti poi limita la libertà. Se non c'è nessuna base per la scelta, sotto forma di una inerente predilezione verso uno scopo desiderato, allora la scelta diventa una que-stione di puro capriccio ed il concetto di volizione diviene insignificante. Se ci teniamo a seguire le nostre ragioni di voler fare ancora abbastanza scelte, alla fine noi arriviamo ad ereditare una natura condizionata in cui non avevamo alcuna apparente scelta da fare. Sono questi elementi che in effetti dettano la scelta piuttosto che un’astratta nozione di un sé che lo vuole. Perché vi sia una volontà vi deve essere una struttura, un senso del ‘sé’; e che il ‘sé’ debba consistere di elementi esistenti prima della volontà. Perciò, la volontà è condizionata dalla sua stessa natura. 

D'altra parte, anche parlare di una volontà che non ha libertà è un fraintendimento tanto della natura della volontà che della libertà. È ovvio che noi siamo continuamente coinvolti nel fare scelte per potenziali corsi di azione. Mentre le nostre scelte vengono affermate su preferenze che sono parte della nostra inerente natura, poiché noi siamo uno con quella natura, le scelte che noi facciamo rappresenteranno la nostra volontà. Quindi, la libertà della volontà viene poi a fondersi nella volontà con la nostra fondamentale natura di Buddha. Questa natura, come noi abbiamo già visto, è compartecipe della totale realtà che è intorno a noi e, nella misura in cui possiamo unire la nostra volontà a questa natura, che è la misura in cui scopriremo il mondo in accordo con noi. 

Dal punto di vista del buddhismo, il processo del pensiero non può essere separato dal processo della volontà. Uno è sempre in contatto con l'altro in una reciproca interazione. Questo per noi è importante da ricordare, perché ci costringe a riconoscere che le nostre azioni mettono in atto la nostra visione del mondo. È un semplice processo di analizzare come il nostro punto di vista effettui le nostre azioni perché in molti casi le nostre azioni sono affermate da un punto di vista consapevole. Ciò che noi non vediamo è che ogni qualvolta scegliamo di agire, quell'azione a sua volta rende effettiva la nostra visione del mondo. L’azione che intentiamo è registrata nel nostro inconscio come memoria e poi diviene disponibile come riferimento nelle azioni future. Ogni volta che affrontiamo una situazione che esige un’azione, noi siamo costretti ad analizzare la situazione attraverso il processo conoscitivo e poi fare una scelta, attivando la volontà. Nel processo, noi accediamo alla nostra memoria, ed essa contiene e mantiene sia la memoria delle nostre azioni precedenti come pure la nostra visione del mondo. Ciò dà inizio ad un processo in cui la mente cerca la continuità o conformità tra l'azione passata e la propria visione del mondo. 

La memoria deve collegare insieme dati pertinenti per dare alla nostra mente consapevole un modello di informazioni adatto alla situazione. Se le nostre azioni non sono attinenti e conformi con la nostra visione del mondo, si crea un problema per l'inconscio. Infatti, come può sapere quali sono le informazioni da darci, se i naturali modelli di riferimento non sono là? Il nostro inconscio è smarrito soltanto in due scelte; può ignorare la nostra visione del mondo e fornirci solo quelle memorie consistenti delle nostre azioni passate, o relegare le visioni mantenute ma non attivate su un certo tipo di sub-directory (prendendo in prestito un termine dei computers). Tuttavia, la mente non trova questo tipo di conflitto assoggettabile ad un funzionamento efficiente ed invariabilmente reagisce alla inerente tensione tra visione del mondo e le azioni prese, che sono incoerenti con la visione del mondo. In altre parole, ogni volta che noi facciamo un’azione che viola ciò che da noi è ritenuto giusto e corretto, si provoca del caos nel nostro inconscio. Se questa discordanza continua, ciò che alla fine si sviluppa è un vero e proprio tumulto emotivo o un carattere spirituale di falsa doppiezza.  

Da una prospettiva buddhista, ciò che io ho descritto è estremamente semplificato. Ci sono molte descrizioni assai sottili della coscienza nei Sutra, come ad esempio l’AbhiDharma Pitaka. Quello che è importante da capire per uno studente contemporaneo della Via, è l'interazione di base fra le sue azioni e come questo abbia effetto nella sua pratica spirituale. Il Buddha spiegò che la corretta risoluzione è triplice; prima c’è una risoluzione per la rinuncia, in secondo luogo una risoluzione per la benevolenza, e infine una risoluzione ad essere totalmente innocui. Queste tre decisioni contrastano rispettivamente l'influenza dell'attaccamento al desiderio, alla malevolenza ed alla volontà di danneggiare. Di queste tre, la più dura da capire per gli Occidentali è il principio della rinuncia. Quando di solito noi pensiamo ad un rinunciante, ci viene l'immagine di un monaco dalla testa rasata che vive in un chiostro o un anacoreta celibe che vive in qualche caverna. La verità è che tali individui possono o no, essere rinuncianti, in quanto dipende dalla loro motivazione e comprensione che li spinge a vivere una vita di povertà e castità. Se essi stanno compiendo la loro pratica con un'idea di uno scopo che è oltre la pratica, come ad esempio, l’illuminazione o la santità, allora loro non sono rinuncianti. Un vero rinunciatario è uno che sacrifica la sua azione del momento per un principio più alto. Egli rinuncia alla ricerca del frutto dell’azione in favore di dedicarsi alla purezza dell’azione stessa. 

Perciò, perfino un manager con sette bambini potrebbe ben essere un vero rinunciante se le sue azioni sono guidate da un amore per il buono ed il bello, senza interesse per la ricompensa.  Rifiutare le cose materiali o sensuali non è rinuncia, ma solo austerità. Un uomo può praticare l'austerità e però essere ancora schiavo del desiderio. C'è una semplice prova che indica se uno sta rinunciando a qualcosa nel senso spirituale, o semplicemente le sta negando. La rinuncia vera è basata su una completa comprensione dei principi spirituali che permettono di rifiutare con equanimità un corso di azione, perché intuitivamente si realizza la natura distruttiva di quell'azione per se stessi o altri. Quindi, in tali azioni è presente una naturalezza che impedisce sia l'orgoglio che la sensazione di aver perso qualcosa tramite la rinuncia.  Fra gli insegnamenti del grande saggio del Tibet, Milarepa, c'è un elenco delle Dieci Cose Uguali che tracciano il Sentiero del vero rinunciante. 

>1. E’ uguale, per la persona dedicata sinceramente alla vita religiosa, prendere parte in attività mondane o non farlo. >2. Meditare o non meditare, per la persona che ha realizzato la Piena Illuminazione, è uguale. >3. Praticare l'ascetismo o non praticarlo, per la persona libera dall’ attaccamento ai possedimenti mondani, è uguale. >4. Per un uomo illuminato è uguale se vive in solitudine, o se ne va con chi vuole. >5. Per la persona che ha raggiunto il dominio della sua mente, è uguale se gode dei piaceri del mondo o no. >6. Per una persona di piena compassione è uguale se indulge in meditazione isolata o lavora per gli altri nella società. >7. E’ uguale, per una persona che ha vera fede nel suo insegnante, stare con lui o non starci. >8. Per una persona che realmente comprende l'insegnamento spirituale è uguale se la sua sorte è buona o cattiva. >9. Per una persona che ha veramente rinunciato alle visioni mondane per la verità spirituale, è la stessa cosa seguire la convenzione mondana o no. >10. Per una persona che ha raggiunto la Suprema e Perfetta Saggezza, è lo stesso se lui è capace di manifestare i poteri miracolosi o no. Come si può vedere,  in questi insegnamenti, che non ci vennero da un "Lama Arruolato" o da un autoproclamato maestro Zen new-age, ma da un vero santo la cui austerità spirituale avrebbe fatto parecchie vittime, c'è più rinuncia che austerità. Una Corretta Intenzione dovrebbe portare con "né uno spirito di libertà e gioia. Questa è la prova della sua realtà. 

La benevolenza è la migliore medicina per guarire la malattia della rabbia e dell’odio. La cura della benevolenza che troviamo nel termine buddhista Pali "metta", ha la sua radice nella parola ‘amicizia’. Questo concetto ha molto in comune col termine Cinese confuciano "Jen", vale a dire l’umana sensibilità. Entrambi i termini descrivono una relazione con gli altri che si afferma su un sentimento di genuina comprensione e calore umano per un individuo, non basato sulla nostra relazione con lui, ma attraverso una comprensione della condizione umana. Noi non possiamo rifarci ad uno spontaneo calore ed amore che sorga ogni volta che trattiamo con un altro essere umano, poiché queste emozioni sono troppo rare. Ciò è dovuto alla copertura che esiste nel condizionamento conflittuale dell'ego. Noi dobbiamo riqualificare la nostra mente per eliminare il terribile pensiero aggressivo e meditare sulla gentilezza amorosa. Ciò ha inizio con una amorosa accettazione della nostra stessa realtà. Questo in sé non significa un'indulgenza, narcisismo o pietà. Ciò che è richiesto è un'analisi della nostra stessa persona dal punto di vista di un terza persona, vedendo le due realtà del nostro conscio ed inconscio. Il miglior modo di avvicinarsi a questo è guardare a noi con una mente parentale; in Giapponese questo è chiamato "Roshin". Un buon genitore ha un senso di compassione per il suo bambino che non preclude un’austera disciplina. Una persona deve augurarsi la felicità spirituale in un genuino spirito di accettazione.  Non appena cominciamo a sentire per noi un amore basato sulla comprensione della nostra stessa natura, molta della rabbia e ostilità che noi dirigiamo verso gli altri scompare. 

Questa pratica poi è diretta all’esterno verso gli altri, cominciando con qualcuno emotivamente più vicino, ed alla fine espandendola fino ad includere tutti gli estranei. Questo lavoro non è diverso da qualunque altra pratica. Più lo si fa, e più si diventa bravi nel farlo. Se lo si pratica essendo nevrotici, anche gli altri diventano nevrotici, ma se si pratica la gentilezza, anche loro diventano molto gentili. Ogni atteggiamento porta con "né la sua stessa naturale termodinamica.  La gentilezza produce una risposta di apprezzamento, amore e benessere che rinforza lo sforzo.  La nostra motivazione rimane libera dall'influenza di un risultato desiderato, mentre il nostro inconscio registra l'uniformità della visione con la volontà. Quando questo accade, la prospettiva della realtà spirituale è ulteriormente verificata da concomitanti ricompense che non erano state neanche ricercate nell'azione. 

La pratica meditativa sull’amorevole gentilezza è efficace quando siamo capaci di condividere la nostra stessa condizione soggettiva con l'altra persona. Questo è il punto in cui l’altro comincia a dissolversi nel nostro ‘sé’. Di solito, noi abbiamo un semplice senso di essere comune con un gruppo o un altro. Si comincia con l’identità di famiglia e poi si va avanti a prenderlo cogli amici, coi vicini di casa, i concittadini, e così via. Lo stesso processo di identità è un processo di identità inclusivo. L'identità inclusiva si condivide nella comprensione della comune esperienza emotiva e soggettiva del gruppo e produce un familiare calore nelle relazioni. L'identità inclusiva non richiede gli altri come base su cui fare definizioni di inclusione. Essa definisce quegli inclusi, semplicemente grazie ad una comprensione della natura comune, senza tenere in conto alcun giudizio verso gli altri fuori del gruppo inclusivo. L'identità esclusiva, d’altro canto, è basata solo sulla differenziazione di un gruppo da un altro. Essa proviene sempre da uno scenario diviso tra loro e noi. Per natura, questo tipo di processo di identità è una dilatazione dell'ego, piuttosto che un'espressione di compassione come è nella identità inclusiva. L'identità esclusiva è un'espressione di malevolenza che la Corretta Risoluzione punta a guarire.   

Il passo successivo nello sviluppo della Corretta Risoluzione è di generare un stato di costante compassione per gli altri. Dopo che uno è stato capace di realizzare che la natura essenziale degli altri è parte di se stesso, ed ha infuso quella comprensione con l’amore, egli sviluppa una compassione attiva. La compassione è l'energia correlata alla saggezza; la compassione è la manifestazione della saggezza in azione. La compassione mette in azione la gentilezza, facendo assumere una posizione di essere innocui verso le altre creature. La gentilezza testimonia un amore per gli altri ma non ci costringe ad iniziare un azione per alleviare la loro sofferenza, mentre la compassione lo fa. La compassione si sviluppa contemplando la sofferenza degli altri e riconoscendo l’uguaglianza comune di quella sofferenza col nostro stesso essere. Ed inoltre si accresce passivamente semplicemente identificandosi con gli altri ed augurandosi il loro bene, ed attivamente sentendo noi stessi la loro sofferenza. Quando questo accade, siamo stimolati dalla compassione di voler fare qualunque cosa sia necessaria per aiutarli. 

L'azione che è sempre presente con la compassione è l'essere innocui. Noi non possiamo aiutare attivamente ogni essere con cui entriamo in contatto, ma possiamo assicurarci che le nostre azioni non aumentino le loro sofferenze danneggiandoli. Questo allora diventa il primo passo nella compassione; divenire innocui. Essere innocui, è anche necessario per poter essere senza paura, dato che vi saranno molte occasioni in cui le persone illuse colpiranno noi. Paura e rabbia sono due lati della stessa medaglia. La rabbia non è presente se non quando il proprio sé si sente minacciato; la minaccia risveglia la rabbia. Questa è la parte più difficile della pratica in cui la maggior parte degli studenti ha la tendenza ad abbandonarla. Il guerriero del Dharma deve essere senza paura, per essere perfettamente e totalmente innocuo. Ogni volta che noi affrontiamo la paura e non precipitiamo in essa, diventeremo un pò più forti. Lasciando che le persone siano ostili, ma non rispondendo loro in un certo modo, ci dà uno strano senso del potere e di libertà. Questo è perché, per la prima volta, noi non stiamo cadendo nell'ego che ci dice che gli altri sono qualcosa da temere, ed hanno potere su di noi. A questo punto, noi cominciamo a capire in che modo abbiamo ottenuto questo senso di potere e come abbiamo permesso a tutta la nostra vita di esserne condizionata. 

Quando sperimentiamo questo nuovo senso di libertà e potere, la nostra paura dell'opinione di altre persone su di noi, ci fa generare ancor più compassione per loro. Ciò è curioso, perché in superficie sembrerebbe che un senso di potere, combinato con la libertà dalla preoccupazione, potrebbe produrre una sfrenata noncuranza per le altre persone. Se questo non fosse accaduto come risultato del nostro sforzo spirituale di corretta risoluzione radicato nell’amorevole genti-lezza e reciproca identità, allora questa trasformazione di atteggiamento sarebbe pericolosa. Ma il nostro nuovo atteggiamento verso gli altri è comunque basato su un'accettazione amorevole di essi. Noi riconosciamo in ogni persona qualcuno che condivide con noi una identità spirituale comune ed un identico modo di soffrire, come parte della loro condizione umana. Questa comprensione è troppo potente per permetterci di ignorarla cadendo nell'inganno che gli altri siano una minaccia per noi, e perciò richiede una posizione difensiva da parte nostra. Quando siamo colpiti dagli altri, noi non desideriamo rivalerci, perché ci sentiamo spiacenti per quelli che sono così disturbati da far loro attaccare qualcuno che augura solamente la loro felicità. 

Tutto questo non significa che noi dobbiamo degenerare in qualche sorta di compassione idiota che permetta agli altri di fare cose distruttive, quando abbiamo il potere di fermarli. Significa solo che qualunque azione noi facciamo verso gli altri deve essere guidata dalla compassione.  Ora, può essere vero che l’azione compassionevole può essere anche estremamente severa.  Per esempio, se un pazzo stesse camminando in un ospedale con una pistola e cominciasse a sparare alle persone e l'unico modo per fermarlo fosse di ucciderlo, allora quella azione sarebbe compassionevole. Anche un’azione così estrema sarebbe fatta senza rabbia o risentimento. Il Buddha affermò che qualsiasi cosa su cui si riflette costantemente diventa l’inclinazione naturale della mente. Questa è una cosa facile da capire, eppure c'è un’area nella nostra vita che noi non riusciamo a rendere chiara, e quello è il luogo in cui noi ci intratteniamo. La maggioranza degli studenti Occidentali di Dharma lavorano sodo sulla loro pratica e cercano di seguire al meglio i precetti. Nonostante questo, molti di loro sono ripetutamente presi dalle passioni e dalle illusioni che li hanno sempre afflitti durante la loro pratica. 

Non sembra che il problema siano le loro intenzioni, ma qualche loro apparato sensoriale che è cosi insidioso, e che forse gli proviene dal loro vivere in questa società. Noi siamo bombardati continuamente con stimoli il cui solo scopo è di venderci beni di consumo e di fare appello ai più bassi dei nostri istinti. I media, specificamente televisioni commerciali e film, offrono una solida dieta di visioni mondane così velenose che, se uno studente di Dharma le guarda troppo, per lui è come commettere un suicidio spirituale. Infatti, l'agente primario di divertimento di questo veleno è la distruzione violenta della vita umana, con dosi secondarie di glorificazione della ricchezza, del potere, e della denigrazione di donne e uomini come abominevoli oggetti sessuali.  C’è una pietosa assenza di giudizi morali, di gusto estetico e di una qualunque cosa che possa mostrare valori spirituali. Perfino alcuni aspetti della cultura, che tradizionalmente erano sani sbocchi di ricreazione e divertimento, come l’atletica, sono stati insozzati dalle sporche mani di Hollywood, Madison Avenue, e dall'industria della televisione. 

Il bambino americano medio guarda questa sporcizia per centinaia di ore ogni mese, divenendo totalmente inondato da questa insana, lasciva, superficiale visione del mondo. Anche la maggior parte degli adulti di oggi sono stati per innumerevoli ore esposti a queste melense scemenze, che sono state immagazzinate nella loro memoria come dei virus latenti, pronti ad eruttare. Vi sono individui pateticamente infantili, nello sport e negli spettacoli, che mettono in ridicolo gli oppositori e denigrano la comune decenza, ma che sono ritenuti come degli eroi. L'influenza sul nostro inconscio di questa negativa programmazione ed il suo effetto sulla pratica spirituale non devono essere sottovalutati. Perché uno studente di Dharma progredisca nell’Ottuplice Sentiero è assolutamente necessario che egli controlli attentamente il suo tempo libero, per assicurarsi che le influenze alle quali egli si espone siano coerenti con la retta risoluzione e la retta visione. Occorre ricordare che affinché l’Ottuplice Sentiero possa essere efficace, dev’esservi un'armonia di influenza tra tutti i suoi rispettivi elementi. Essa è la visione coerente in tutti gli insegnamenti buddhisti, che la vita spirituale rispecchi l’ordine naturale. Non c'è nessuna separazione tra il creatore e la creazione che, per far avvenire la salvezza, obblighi ad un salto fuori dal sistema. La salvezza deve avvenire come risultato del sistema stesso, e perciò essere una parte inerente della natura. Per il buddhista, l’illuminazione è salvezza e la mente illuminata che noi chiamiamo la natura di Buddha, è la terra-base della realtà. Questa prospettiva organica del mondo per avere successo richiede un’assoluta consistenza dello sforzo da parte del praticante. Ecco perché per lo studente Zen è di preminente importanza non rifiutare i suoi sforzi, non permettendo così agli effetti insidiosi della visione del mondo applicata dai media del divertimento di invadere il suo campo. 

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3 - RETTO PARLARE

Il nobile Sentiero del perfetto parlare è la via d'accesso ad un effettivo comportamento morale, perché la pratica morale comincia col controllo del proprio parlare. Per uno studente di Dharma la moralità è qualcosa che è intrinseca al suo modo di essere nel mondo. Non c'è nessun potere esteriore, in forma di Dio, che bisogna placare. Noi agiamo con una convinzione morale perché comprendiamo la relazione tra l’azione morale ed il suo effetto immediato sul nostro benessere. 

La moralità non è una serie di leggi che ci sono imposte, ma l'effetto del vivere nel mondo in una maniera equilibrata ed armoniosa. Probabilmente, nel pensiero buddhista non c'è principio che abbia così poca analogia nella tradizionale visione occidentale del mondo. In Occidente, la moralità è stata sempre considerata un’argomento di effetto secondario. Cioè, che nella visione occidentale l'effetto della moralità è una ramificazione di un altro processo o sistema, aldifuori di noi, che poi si applica a noi. O Dio, o lo Stato, ci raggiungono e ci castigano per i crimini commessi. Essendo utilitaristi Occidentali, probabilmente voi crederete che il comportamento scorretto è da determinare dal vostro ambiente o dal giudizio di Dio, che a turno vi colpirà. 

Nel pensiero buddhista, tuttavia, gli effetti dell’azione morale sono primari, poiché non esiste vera differenziazione tra se e l’altro, sia nella forma di un individuo o di un sistema. Questa idea non è del tutto assente neanche in Occidente. È espressa nell’asserzione di San Paolo che dice, "Il peccato è punizione". L'idea è che essere fuori di un stato di grazia è, per sua stessa natura, sofferenza. Comunque, questa è una premessa teologica che è latente nel pensiero occidentale e non occupa l'attenzione morale della media delle persone nella società occidentale. E alquanto stranamente, è una perfetta espressione della visione morale del mondo nel buddhismo. 

Per un buddhista, il fatto stesso che si sia nell’illusione significa che si sta soffrendo, dato che la sofferenza è la natura stessa dell’illusione, proprio come la non-sofferenza è la natura della illuminazione. Come si parla è la prima manifestazione della illuminazione o della illusione di una persona. Infatti, esso a sua volta può produrre o illuminazione o illusione. Proprio allo stesso modo di come abbiamo visto nell'interazione di retta visione e retta risoluzione, il retto parlare è

un'attività che produce effetti in ciascuna di queste due, ed è resa efficace da loro. 

Parlare rinforza l'energia della retta risoluzione, oppure la dissipa, corrompendo i principi della retta visione. Quando pensiamo, noi pensiamo con le parole. È assai importante comprendere che le parole hanno l'effettivo valore di plasmare la struttura del pensiero stesso. Ciò che ci  permette di aprire la bocca è direttamente governato dalla nostra risoluzione, ed esprime quella padronanza del secondo Sentiero. Un parlare sciatto, volgare o scorretto è il risultato sia di una debole visione che di una debole risoluzione. L'effetto di un parlare scorretto segue lo stesso paradigma di distruttiva interrelazione alle rette intenzioni, come le errate intenzioni alla retta visione. Il suo effetto è di disgregare l'ecosistema psichico alimentandolo di energia disarmonica e contraria agli scopi della mente consapevole. Se noi programmiamo l'inconscio per accettare il comportamento irrazionale come normale, il risultato è un aumento della sofferenza personale. 

Il retto parlare è compreso in quattro categorie; 1. parlare veritiero, 2. parlare non-calunnioso, 3. parlare gentile o non-aspro, e 4. parlare serio o non-frivolo. La prima categoria è abbastanza chiara. Noi abbiamo bisogno di parlare veritiero per essere in armonia con la verità. Come si è visto prima, per i buddhisti, essere in disaccordo con la verità è essere in uno stato di sofferenza.  Si potrebbe dire che, per i buddhisti, le conseguenze del parlare falso sono anche più odiose di quanto non lo siano per i religiosi Occidentali. Dalla prospettiva buddhista, qualunque tipo di assenza della verità elimina dal proprio sé la Via verso l’illuminazione, proprio come nel pensiero Cristiano si crede che una volontà perversa ci tagli via dalla Grazia. Da questa prospettiva di Dharma, vi è la verità come processo o non vi è.  Non c'è nessuna persona reale che riceva la grazia o la punizione, così quando nella nostra vita diciamo le menzogne, noi stiamo diventando il processo stesso della falsità. In questo caso, il nostro essere diventa fondamentalmente fuori fase nella sincronia dell'universo. 

A combinare questo, è il fatto che siccome noi siamo parte dell'ecosistema spirituale, noi stiamo inquinando il sistema stesso. La società è basata sulla fiducia, e se siamo falsi e la menzogna diventa un avvenimento normale, allora la società cessa di funzionare efficacemente. Questo significa che lo scopo fondamentale della società di integrare la vita dei suoi membri in un'unità di identità reciproca, viene violato. La società degenera in una mera organizzazione di individui regolati solo da un governo. Nessuno ha fiducia l'uno nell'altro in tale consacrazione ed ognuno si sente costretto a proteggersi con l'uso della forza o della legge. Sia delinquenti che avvocati cominciano a predominare e ci si deve per forza affidare all’uno o all'altro. L'altro aspetto del mentire, che lo fa così deleterio, è che ciò richiede sempre più bugie per sostenere la menzogna originale. Tutto un sistema di bugie è stato creato per sostenere una prospettiva del mondo che è incoerente col mondo. Nella vita di un individuo questo produce un disastroso scisma tra il mondo reale e quelle falsità. Le bugie isolano una persona dall’esperienza, e stende un velo di falsità tra il mondo e sé-stessi. 

Le menzogne possono essere motivate da avidità, malevolenza, o illusione/delusione. Così, noi diciamo menzogne perché desideriamo ottenere qualcosa, o perché desideriamo fare del male a qualcuno, o per compulsione coercitiva. Il primo tipo di falsità testimonia problemi con la retta visione, in quantoché il bugiardo non comprende che i possedimenti non sono di un vero e reale significato. Essi vedono le cose come più importanti delle relazioni armoniose con le persone.  Mentire allo scopo di fare del male a qualcuno, dimostra una mancanza di comprensione della nostra reciproca identità con gli altri. Quest’azione viola anche il nostro impegno di seguire il Sentiero dell'innoquità. Lo stato di illusione/delusione produrrà il bisogno compulsivo di mentire; mentire per divertimento o per iper-auto-valutazione. Illudiamo noi stessi col pensiero di aver bisogno di essere qualcosa che non siamo, e questo inganno richiede che noi si crei una storia del tutto immaginaria. 

In una società che apprezza l'onestà, non è troppo difficile vivere una vita in concordanza col principio del retto parlare. Tuttavia, in questa comunità che presta soltanto una finta devozione al valore della verità, il retto parlare richiede uno straordinario impegno verso i principi spirituali.  Ad esempio, se avete un capufficio irrazionale e tirannico che esige più di quanto voi possiate possibilmente produrre, vi sembrerà comodo scivolare nella menzogna come modo di tacitarlo.  Oppure potreste trovare un lavoro come portavoce di ditte che presentano falsamente i loro prodotti. Abbiamo visto come uomini dei più alti livelli statali utilizzano la verità come strumento conveniente nel modo che fa comodo a loro. La loro impudica noncuranza per la verità come principio spirituale, e la nostra accettazione di questo atteggiamento come un male necessario del potere, dice molto riguardo al perché questa nazione è più un governo che una vera società. 

Gli effetti dell’accettare menzogne e travisamento come mali necessari nella nostra vita sono così insidiosi che mineranno tutto il resto del nostro addestramento spirituale. L'idea che ad un governo o al datore di lavoro si possa mentire per sfuggire il castigo personale, è un inganno.  Questa è l'illusione fondamentale che spinge gli uomini a fare il male, ed a sentirsi giustificati finché quel male è obbligato dallo stato. Il pericolo, in una persona che giustifica il mentire, sta nell’essenziale negazione del processo spirituale. Che non è lo stesso come il senso Cristiano di peccato, che è un atto in violazione della volontà di Dio ed a a cui si può rimediare con la grazia ed il pentimento. È più come l'effetto ecologico di avvelenare una sorgente. Gli effetti delle menzogne provocano diverse reazioni negative all'interno dell'ambiente spirituale, e che richiede una purificazione dell’intero sistema. 

Pericolosa come gli effetti del linguaggio non-veritiero, vi è una cosa che può essere perfino più deleteria alla pratica spirituale, ed è il parlare calunnioso. Un problema che sembra essere endemico ai Centri Occidentali di Dharma, è l'uso del linguaggio calunnioso. Troppi studenti sono piuttosto pronti a ripetere l'ultimo pettegolezzo riguardo uno degli insegnanti o verso i suoi studenti, per sostenere come superiore la visione della loro propria tradizione. Essi prontamente citano agli altri insegnanti o studenti, maestri fuori del contesto per provocare una reazione.  Comunque, gli insegnanti validi non cadono nella trappola. Un esempio di questo, accadde un pomeriggio al Centro Zen Tahl Ma Sah in Los Angeles. L'insegnante, il grande Maestro di Zen Coreano Seung Sahn Sa Nim, stava rispondendo a domande riguardo alla pratica del dharma, quando uno studente in visita da un Centro Tibetano gli fece la seguente domanda, "Chogyam Trungpa Rinpoche dice che lo Zen è come il bianco e nero ed il Vajrayana è come il Technicolor.  Lei che cosa pensa?".  Seung San Sa Nim sorrise e rispose, "E Lei, quale preferisce?". Questo povero individuo non aveva comprensso il significato del commento di Trungpa Rinpoche che non era un giudizio sui relativi meriti di ogni tradizione (lui aveva un grande rispetto per lo Zen) ma sul rispettivo approccio per praticarli, essendo lo Zen spartano e diretto, mentre il Vajrayana è più elaborato e colorito. Questa persona era assai più desiderosa di creare discordia fra i due gruppi usando un linguaggio calunnioso. Si dice che il Bodhisattva voglia rallegrarlo, e cerca di spargere armonia e benevolenza. L'unico modo di fare questo è di evitare questa competizione infantile che cerca di elevare uno ingiuriando gli altri. 

Per adempiere alla nostra missione spirituale è necessario trattenersi dal linguaggio aspro di qualunque tipo. Ora, questa è una cosa molto difficile da fare se uno non è radicato in una visione di se che includa gli altri. Come abbiamo già affermato sopra, la retta visione esclude la nozione che noi siamo una cosa reale che esiste indipendentemente da altre cose. La nostra natura essenziale è l'interazione dinamica della vita, puro processo, che non è statico. Perciò, quando qualcuno fa qualcosa che ci offende, noi dovremmo riflettere su chi è che è offeso, e perché. Questo ci riporterà ad una conoscenza del processo come essere, e manderà in corto circuito il processo della rabbia. Se non facciamo questo, allora noi cadremo in un linguaggio aspro ed adirato che ingiurierà noi stessi e gli altri. Dobbiamo tenere in mente che ogni azione che facciamo ha ramificazioni oltre noi. Ciò si estende ad atti di auto-distruzione che avranno effetti sul nostro ambiente così come su di noi. È necessario essere austeri in ogni occasione, particolarmente quando siamo in posizione di autorità e responsabili per il benessere di altri.  Quell'austerità, comunque, non richiede mai un modo abusivo di esprimersi. Infatti, quando noi chiamiamo qualcuno con un epiteto offensivo, come idiota, stupido, ecc., siamo intrappolati nell'illusione che le loro azioni siano generate da un essere statico, piuttosto che da un processo dinamico. 

Quando indulgiamo in questo, stiamo dicendo a noi stessi che il nostro proprio essere è statico e quindi noi rinforziamo questa nozione sul nostro inconscio. Poi, dobbiamo per forza essere un genio, o uno sciocco, o idiota, o saggio, o qualunque epiteto che scegliamo per noi, invece di un 

processo dinamico come insegnato dalla retta visione. Allora, noi cominciamo a dare un enorme significato emotivo alle nostre azioni, che ci conduce ad eccessivo orgoglio o colpa. Se invece, ci vediamo come un processo, allora noi siamo capaci di accettare e cambiare i vari aspetti della nostra personalità che è temporale come il resto dell’esistenza.   

Quando realizziamo questo, allora noi guardiamo agli altri con lo stesso occhio che vede una persona come il risultato dell'innumerevole interazione delle forze del Karma, capace di sagacia e di sciocchezza. L’allarme prende il posto della rabbia in situazioni in cui si presentano elementi dannosi o pericolosi. Così smettiamo di fare giudizi sulle persone e di confinare la nostra attenzione alla qualità delle loro azioni. Come pure per le nostre stesse azioni, non ci sentiremo più interessati a noi stessi, se siamo superiori o inferiori, ma se le nostre azioni sono inferiori o superiori. Un esempio della differenza nel parlare, tra linguaggio corretto e linguaggio aspro, è il seguente. Voi state lavorando in un negozio di vernici ed uno dei vostri collaboratori mette un barattolo di diluente di vernice vicino ad un calorifero a gas. Un esempio di linguaggio aspro sarebbe gridando, "Ehi, idiota! Vuoi farci morire tutti?". Un linguaggio corretto sarebbe, "Ehi, John, occhio al barattolo vicino al calorifero. Di solito, sei più attento. Hai qualche problema?"  Mentre la prima uscita indubbiamente troverà l'attenzione di John, ma non renderà più facile la sua relazione con voi, la seconda, testimoniando la preoccupazione per la situazione, nonché la valutazione di John come persona, potrà creare una migliore relazione nel processo dinamico. 

Benché questo sia un esempio alquanto semplice di senso comune, nondimeno esso è il tipo di situazione che noi affrontiamo ogni giorno e che spesso manipoliamo male. Dopo aver trattato con parecchie situazioni di questo tipo, la gente spesso ha la reputazione di essere o persone gentili, o nevrotiche. Un altro tipo di linguaggio aspro che è molto sottile, ma proprio ancor più distruttivo, è l'uso del sarcasmo e di un’acerba arguzia. Sebbene questi siano qualcosa che la maggior parte delle persone non trova essere molto odiosa dato che, in questa società, noi teniamo in alta considerazione l’ingegnosità. In America, fin da adolescenti, noi sosteniamo il sarcasmo o la presa in giro, come una fine arte. Alcuni dei nostri più popolari attori comici sono esperti nel ridicolizzare. Questo fa sì che tutto sembri come un bel divertimento pulito, ma lo è? Dal punto di vista della pratica spirituale, il sarcasmo, l’invettiva, e gli insulti diretti ad una persona, sono il segno di qualcuno che non è serio nel Sentiero. Utilizzare l’ingegno in una situazione divertente per mostrare l'assurdità del cattivo modo di pensare ed agire, non è di per sé scorretto, finché quelle beffe non sono dirette ad una particolare persona o gruppo. Quando si attacca una persona o un gruppo, non si sta attaccando il pensar male, e si è responsabili dell'illusione del ‘sé’, che noi abbiamo già discusso in precedenza. 

Il problema è che noi prendiamo l'abitudine di stuzzicarci l'un l'altro per un senso di insicurezza che non ci permetterà di affrontare i problemi in una maniera razionale. Questo è un problema che possiamo spesso testimoniare nei matrimoni, con ciascuno dei due sposi che scherza sui vari difetti dell’altro coniuge. Questo tipo di comportamento può sembrare abbastanza innocuo, ma non lo è, e porta ad una situazione in cui i veri problemi non sono mai davvero affrontati.  Al contrario, essi sono circumambulati, come si fa con gli Stupa buddhisti, con ciascun partner che sputa fuori insulti al posto dei mantra. Purtroppo, noi possiamo diventare così schiavi di tale comportamento da trovare difficile liberarsi da esso. Cominciamo a perdere la nostra capacità di affrontare i problemi se non ci mettiamo l’umorismo di facciata. 

Quindi, troppo umorismo nei media è un tipo di umorismo auto-deprecabile, e la presa in giro è diventata lo scherzo per eccellenza per questa cultura. Il tipo di pathos umoristico alla Chaplin è scomparso in favore di quello alla Don Rickles o Roseanne Barr. Se uno trova divertente questo genere di cose, allora questa è una buona indicazione della patologia spirituale. Un pò di sano umorismo fra amici che si conoscono bene l'un l'altro può essere terapeutico, tenuto conto che sia diretto ad aree in cui l'altra persona è tranquillamente consapevole dei suoi difetti. Uno dovrebbe essere capace di ricevere gentilmente qualche colpo, con lo stesso spirito di umiltà.  La chiave della differenza tra il sano umorismo e l’umorismo patologico sta nella gentilezza e nella natura correttiva dell’uno contro la scortese natura diffamatoria dell'altro. 

Quando parliamo di quel tipo di umorismo che ci piace, cominciamo ad entrare in un'altra area di linguaggio che anch’esso può provocare molti guai alla nostra pratica spirituale. Questo è ciò che il Buddha descrisse come linguaggio frivolo. E’ il linguaggio che non fa niente per migliorare 

la nostra comprensione del mondo, la nostra pratica, o la nostra relazione l'uno con l'altro. Questa è un'area del problema del retto parlare che è un bel po’ più sottile della calunnia, delle bugie, del sarcasmo, e del linguaggio aspro. Ecco perché quello che può sembrare un discorso serio, a causa dell'argomento è in realtà un discorso frivolo e quello che può sembrare discorso frivolo può essere un discorso serio mascherato. La differenza sta nell'intenzione e spirito del discorso. Tutti abbiamo sentito persone saccenti, buddhisti ed altri, dibattere su qualche punto dottrinale esoterico. Ad un osservatore casuale, questo sembrerebbe essere un discorso serio poiché consiste di argomenti filosofici sottili. Tuttavia, questo è un esempio perfetto di discorso frivolo. Perché la sua mèta non è costante con la pratica. Non c'è niente da guadagnare nel venire a sapere quanti Bodhisattva possono ballare sulla testa di uno spillo o conoscere qualche altra conclusione del genere, puramente filosofica e speculativa. Il solo punto dell'argomento è l’assai probabile gratificazione dell’ego, a meno che non sia parte di un formale addestramento nella logica. D'altra parte una conversazione apparentemente banale con un bambino, su come mangiare i cereali, può essere un insegnamento di dharma. Purché vi sia l'intenzione di aiutare il bambino a relazionarsi meglio con il mondo. 

Un praticante buddhista deve sempre essere capace di applicare i ‘mezzi abili’ nel suo trattare con il mondo. Ciò significa una relazione al linguaggio radicato nella compassione e saggezza.  Nella nostra pratica, la cosa maggiormente sottolineata è la flessibilità, non solo di azione ma anche mentalmente. Questo ci permette di vedere l'importanza nel prendere tempo e di parlare con qualcuno che potrebbe avere un interesse totalmente diverso dal nostro, semplicemente per stabilire un legame di compassione con lui. Utilizzare ‘mezzi abili’ richiede che noi dobbiamo adattarci alle situazioni usando il nostro cuore e mente e non il nostro ego. Noi non possiamo aiutare un altro o essere aiutati, a meno che non permettiamo a noi stessi di aprirci ad un altra realtà. Perciò, non si dovrebbe evitare nessuna conversazione se essa causa un potenziale per portare l'armonia nel mondo. Né noi dovremmo prender parte in alcuna conversazione che ci separi dalla nostra visione e risoluzione per il bene. Ciò significa che noi non dobbiamo scegliere i nostri compagni per il loro intelletto o per interessi reciproci, ma per il loro cuore e reciproca risoluzione verso il bene. 

Questo potrebbe voler dire che se scegliamo come amici persone al di fuori della nostra propria tradizione spirituale, il loro amore per il bene e l’azione corretta dovrà essere più forte di quella dei nostri compagni di pratica. Noi dovremmo scegliere i nostri compagni secondo la qualità della loro vita. Dopo tutto, nessun’altra tradizione esercita così tanto controllo da forzare una persona a praticare ciò che essa predica. Vi sono sempre alcune persone, nella tradizione, il cui atteggiamento è meno che sincero. Mentre noi dovremmo tentare di incoraggiare tali persone, socializzare con esse potrebbe esserci più di danno, anziché farci del bene. Alla fine, il potere del retto parlare servirà come veicolo per l'energia di retta visione e risoluzione, da portare nella nostra azione quotidiana. La pratica del retto parlare è un’essenziale forza unificante nella pratica spirituale. Non è come la vecchia strofa dei bambini che dice, "Bastoni e pietre possono rompere le mie ossa, ma le parole non possono mai farmi male". Le parole, mal dette, portano invariabilmente ai bastoni ed alle pietre che poi feriscono noi e gli altri. I pensieri che formiamo nella nostra mente sono governati dalla nostra visione. Questi pensieri sono nella forma di parole, e se li lasciamo andare è perché noi li abbiamo risolti. I primi tre nobili sentieri sono collegati insieme in tal modo che è impossibile violarne uno e lasciare gli altri senza effetti. Ed in questo caso, noi dobbiamo essere ben attenti che quegli elementi che hanno effetti sulla nostra visione e risoluzione, siano salubri, altrimenti il parlare sbagliato è una necessaria conseguenza.  Questo rende obbligatorio ai praticanti spirituali di limitare il loro ambiente sociale, in accordo con la loro pratica spirituale. 

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4 - RETTA  AZIONE 

La Retta Azione è il quarto Nobile Sentiero, ed è un'espressione diretta dell'energia spirituale dei primi tre sentieri.  Come abbiamo visto, i primi tre sentieri sono collegati insieme per formare una simbiotica triade che si sostiene l'un l'altra. L'energia di sostegno si manifesta quindi all’esterno nella vita nell’azione fisica, come mente e parola.  Se noi abbiamo propriamente preparato la base della moralità mentale nei primi tre sentieri allora ne conseguirà come diretto risultato il nostro comportamento nel mondo. Nel buddhismo, c’è un costante riferimento alle tre purificazioni di Corpo, Parola, e Mente. Al livello iniziale dell’addestramento, i primi cinque sentieri preparano la Via per i tre finali, che sono la perfezione di queste purificazioni. L'energia karmica che è rilasciata seguendo la retta visione, risoluzione, parola, comportamento e sostentamento permette il conseguimento di un livello di maturità mentale ed emotiva che è il processo di illuminazione. 

Senza un livello di comprensione che vada oltre una visione egoistica della realtà, non è possibile poter maturare al punto in cui la meditazione condurrà all’illuminazione. La purificazione delle nostre azioni si riferisce al sacrificio intenzionale della banale visione del mondo obbligataci dall'ego. Dovremo arrivare a vedere il mondo e la nostra vita alla luce di una comprensione più matura, ed il nostro comportamento con le azioni che faremo nel mondo rifletteranno questa luce. Così i primi tre sentieri si uniscono col quarto per formare una sola energia dinamica, auto-armonica ed auto-sostenente. Se le parti componenti questa energia non sono in ordine, ci sarà un guasto in tutto il processo. Se accade questo, non è sempre facile determinare quale aspetto della nostra pratica sia stato la forza mitigante dietro al fallimento del sistema. L'unico modo di rimediare alla situazione è rivedere se stessi sistematicamente alla luce del nostro sentiero spirituale e tentare simultaneamente di correggere tutti gli aspetti.  Una volta ancora è di aiuto usare come metafora l'immagine di un ecosistema inquinato. Noi semplicemente non possiamo localizzare il punto dell’inquinamento e rettificare in quel punto tutti i danni all'ambiente. Noi dobbiamo seguire il percorso del veleno giù nel flusso e ripararlo come possiamo. Non è sufficiente soltanto comprendere l’origine di una decadenza spirituale. Dovrà essere intentata una azione per rettificarla. Ecco il punto in cui la pratica buddhista differisce da alcune visioni della contemporanea psicoanalisi. Noi sosteniamo che identificare la fonte storica di un problema non è in sé sufficiente per farlo scomparire. E sebbene già un bel po’ di psicologi professionali sostengano questa visione, molti laici credono ancora che l'identificazione della fonte sia sufficiente. 

Dopo l'iniziale addestramento nel correggere la nostra visione del mondo, la nostra volontà, e il nostro parlare, la parte successiva del nostro sviluppo spirituale ci conduce alle nostre rette azioni fisiche nel mondo. Il reame della retta azione è triplice. L’azione che preserva la vita e non la distrugge, l’azione che rispetta l'altrui proprietà e dose non appropriandosene indebitamente, e l’azione che non è sessualmente inadeguata alla vita spirituale. Ho deciso di correggere l'interpretazione letterale del Pali che dice ‘non uccidere, non rubare, e non avere una condotta sessuale sbagliata’, perché noi in Occidente tendiamo a guardare alle ingiunzioni spirituali nei termini del contenuto emotivo dei comandamenti biblici. Gli insegnamenti buddhisti sono una dinamica che richiede una comprensione più flessibile di quelli. Per i buddhisti, la legge del karma tiene conto della motivazione che c’è dietro ad un atto, così come l'atto stesso. Come ho detto in precedenza, quando si discuteva della compassione, talvolta è necessario commettere azioni che sembrano essere contraddittorie ai principi spirituali. Se è necessario uccidere una persona per salvarne molte altre, allora quella non è una violazione dell'ingiunzione contro l’uccidere, ma un'espressione dello spirito che sta dietro all'ingiunzione. Le ingiunzioni morali buddhiste non sono leggi che indicano il bene ed il male in assoluto, ma piuttosto espressioni di pratica spirituale dirette a creare una costruttiva energia di vita positiva. Ad esempio, l'ingiunzione di non togliere la vita dovrebbe essere interpretata come un'azione riparatrice per garantire che il principio del rispetto per la vita non sia violato. Non è tanto un condannare quanto piuttosto un'espressione di unità con la vita. Ancora una volta, affrontiamo l’essenziale diversità nella visione dinamica dell’ esistenza, piuttosto che una visione statica della realtà basata su una prospettiva ontologica. Essa, in nessun modo fa separare l’uomo dalle conseguenze del suo commettere una violazione del principio spirituale. Anzi. In realtà essa garantisce che lui soffrirà di un castigo per l’azione distruttiva, in proporzione diretta a quell'azione. Non si sfugge dal sistema tramite la grazia divina. Il meglio che si possa sperare è che un individuo sia in uno stato di illuminazione quando arriva il castigo, così che possa sopportarlo con equanimità. 

Il rispetto per la vita, come indicato nella direttiva di non togliere la vita, esprime una comprensione dell'unità dell’esistenza ed il nostro posto in essa. Essa focalizza l'attenzione del praticante sul fatto che tutti gli esseri condividono un amore comune della vita e una paura della morte. Questa comprensione quindi risveglia in noi l'immensa energia della compassione. Questa compassione è la vita essenziale che dà energia nel mondo. Dove è assente, l'energia che si trova al posto suo è un'energia di morte. Perché la vita stessa è processo ed unità, che permette di riconoscere che essa è compassione. Quando la compassione è assente, la mente è usata per pensare alle cose separate nel loro isolamento. Questo isolamento immaginato è la paura stessa della morte. Che cos’è la morte se non l'ultima solitudine? Il rispetto per la vita, allora, è una naturale estensione della nostra saggezza che è derivata dalla nostra pratica spirituale. Poiché noi non dimoriamo in quella saggezza in modo perfetto, abbiamo bisogno di un promemoria concettuale del nostro codice di inoffensività. Non è sufficiente per il Bodhisattva solo il frenarsi dall'uccidere per adempiere allo spirito di questa energia, egli vi deve anteporre l’atteggiamento e l’azione che manifestano la vita dandole qualità. Ciò significa che noi dovremmo aiutare, ogni qualvolta sia possibile, a sostenere gli altri esseri nel mondo attraverso le nostre azioni. 

Ora, è ovvio che non possiamo alimentare ogni animale affamato o persona nel mondo, ma però noi possiamo mantenere un atteggiamento che promuova la società a rispettare animali e persone. Noi non dovremmo prestarci ad attività che violano lo spirito della nostra intenzione, pur se vi partecipiamo soltanto passivamente. Ad esempio, non è necessario unirsi ad un gruppo di diritti degli animali, per effettuare un cambiamento di atteggiamento verso gli animali. Si può realizzare questo, purificando la propria pratica spirituale per farla diventare spiritualmente abbastanza attraente per altri, così che essi sentano di volervi emulare. Qualche persona può trovare che essere politicamente coinvolti in un'organizzazione che sposa i diritti umani o degli animali sia una retta azione. Tuttavia, essi devono essere sicuri che nel far così possano mantenere il loro spirito di compassione verso tutti gli altri. Per esempio, attaccare violentemente un pellicciaio per la sua mancanza di compassione verso gli animali, fa violare comunque il vero spirito di compassione. Perfino nel mio infantile stadio di sviluppo del Bodhisattva, dopo vent’anni di pratica, la rabbia ha cominciato a cedere il posto alla tristezza ed alla compassione verso gli individui che distruggono le loro vite, o quelle degli altri. Nella misura in cui sono stato in grado di convincere gli altri sulla dannosità delle loro azioni, vi è stato un risultato dell’interessamento che io sono stato capace di esprimere loro.  Io nemmeno una volta ho convertito qualcuno alla retta azione attraverso la rabbia o l’insulto. Né mai sono stato mosso a cambiare la mia prospettiva attraverso la rabbia degli altri. 

Non è facile controllare il proprio linguaggio, se si permette che il generale chiasso della società possa permeare il proprio pensiero. È neanche è possibile essere persone che durante l’orario di lavoro si scambiano le arguzie e si raccontano storielle, e poi la sera vanno in giro a fare meditazione in qualche posto per essere "spirituali". Tuttavia, questo è un modo non tanto comune di stare nel mondo per molti studenti. Per progredire sul Sentiero è richiesto uno sforzo di ventiquattro ore al giorno, il che significa che è necessario sacrificare gli abituali modelli del nostro comportamento. Peraltro, io suggerisco con forza che si limiti il contributo attivo che ci trattiene all’interno del nostro ambiente. Uno dovrebbe cercare di creare nel proprio ambiente una voglia di contribuire il più possibile alla pratica spirituale. Per esempio, non si dovrebbero guardare le notizie o gli spettacoli delle televisioni commerciali e si dovrebbe star attenti a non leggere giornali e periodici che sono inclini a confrontarsi con il mondano. Sarebbe una buon idea essere accorti nel non divenire troppo coinvolti a seguire sport e simili, dato che questo può portare ad un aumento di adrenalina e ad una contenziosa visione del mondo. 

È solo attraverso tale disciplina che uno può portare la propria vita in accordo con la vita che rispetta il principio, la base del quarto Nobile Sentiero. La vita è una forza che consolida il moto interno e l'attività esterna in un’unica unità di essere, ed essa si trova al suo più profondo livello nelle attività che esprimono l'equanimità, l'equilibrio tra l’interno e l’esterno. Essere costantemente mossi all’esterno dalle eccitazioni risulta dannoso alla salute spirituale.  L’eccitamento ci distrae dalla necessaria consapevolezza richiesta per seguire il nostro sentiero spirituale con successo. L’eccitamento per l’estetica è semplicemente inappropriato per la pratica spirituale. Esso trascina via uno dalla contemplazione della realtà e lo spinge all’attaccamento emotivo verso le cose. Tutto ciò che compie è una ulteriore alienazione dal corrente processo della vita. Esso porta direttamente al legame primordiale che c’è tra l'attaccamento e la sofferenza, e pertanto dovrebbe essere evitato. Il problema è che si dovrebbe creare o vivere  in un’estetica che rinforzi questo amore per l’equilibrio e l'equanimità. Ciò è tanto più difficile per il fatto che noi viviamo in una società i cui valori estetici sono alquanto equivoci. L'estetica che prevale nel mondo occidentale moderno è quella dell’eccitamento. Noi inseguiamo le cose che sono eccitanti, nuove ed abbaglianti per i sensi. Vari interessi economici promuovono a reclamizzare questa estetica di beni e servizi. Così è più facile vendere alla gente qualcosa di cui non ha bisogno, o un prodotto inferiore, se si può far appello all'emotività delle persone piuttosto che alla loro ragione. Inserzionisti tentano di spingere al consumo con umane emozioni fondamentali al fine di confondere il nostro conscio con l’inconscio. Le automobili vengono definite "sexy", come nella "nuova e sexy Ford Probe", nella speranza di poter creare un senso di confusione nel consumatore ad un livello che gli farà associare la sua desiderabilità sessuale con la macchina che dovranno guidare. 

Non si dovrebbe confondere l’entusiasmo, che è un'energia di apprezzamento per il valore dell'attività meritevole, con l’eccitazione. Generalmente, questo è il caso di persone che credono di doversi eccitare sulle cose per essere adeguatamente motivate. L’entusiasmo è una naturale energia di gioia, generata dall'apprezzamento per il valore intrinseco di qualcosa. Differisce dall’eccitazione per il fatto che non appassisce con il tempo, poiché è basato sulla comprensione, e non sull'emozione. L’eccitazione si esaurisce nel luogo comune, mentre l’entusiasmo si glorifica nell'attualità del momento. Queste distinzioni non sono soltanto filosofiche, ma sono fatte per dirigere l'attenzione dello studente verso i livelli più sottili della comprensione che produce la crescita spirituale. Il processo della vera innoquità ed amorevole gentilezza comincia col disciplinare se stessi e le proprie azioni per produrre la vita che dà buoni risultati. 

L’aspetto successivo del retto comportamento che il Buddha delineò, è il rispetto per gli altri attraverso il rispetto per le loro proprietà. In parole semplici, non rubare. Vorrei enfatizzare che quando noi rispettiamo l’altrui proprietà, è per riguardo verso le persone, non verso il valore della proprietà. La proprietà di una persona rappresenta i suoi sforzi e l’energia di vita e perciò ha una qualità che rende la proprietà spiritualmente importante. Violare questo principio rubando, significa violare la persona. Questo tipo di energia è una energia che nega la vita, dato che non valuta la vita nella forma di energia e sforzo di qualcuno. Quindi, essere così legati alle cose da non riconoscere la sofferenza causata agli altri rubando, sarà come allearsi con questa energia di morte. Ancora una volta, si è scelto le cose anziché il processo. Statici e illusi valori anziché l’illuminazione. Ogni volta che uno ruba, egli sta praticando l’illusione, ed ottiene di impantanarsi di più nella palude dell'ignoranza. Non è importante solo per le conseguenze karmiche del rubare riguardo al futuro, ma per l’immediato prodursi di illusione che si rafforza, che si dovrebbe temere. Rubare è ignoranza al quadrato. Primo, si è legati alle cose temporali; secondo, c’è l’attaccamento ai concetti di se stesso ed altri; terzo, si viola la moralità di base. Questo è come grattarsi per il morso di una pulce con un ramoscello di edera velenosa. 

La ovvia virtù che fa dell'onestà una naturale espressione del proprio essere è l'appagamento. Per essere appagati veramente, si deve avere una visione del mondo che sia vasta abbastanza da non essere affascinati dalle cose che sono in esso. Se ci teniamo al mondo, allora noi saremo come la grande bocca di un pesce persico che morde ogni esca che luccica nel lago. In questa società, vi sono molte persone che conoscono proprio quali esche gettare per ottenere la nostra attenzione, se noi siamo così disposti. Fascino, potere, sesso, e ricchezza, avvolgono quasi totalmente tutti gli inconsapevoli. Non tutti i pescatori sono adatti a questi affari. Alcuni di essi portano le tonache di Lama, Maestri di Zen e Guru. Le frodi spirituali possono derubarvi più della vostra proprietà. Essi possono rubarvi la vostra innocenza spirituale e l’entusiasmo. Alla fine, una persona deve usare il comune buonsenso nel trattare con gli insegnanti, proprio come quando si relaziona a chiunque altro. Tuttavia, se voi siete attratti dalle luccicanti esche e da eccitazione per i falsi valori, allora siete pronti per essere accalappiati. 

L'ultima area della condotta morale, inclusa sotto il sentiero della retta azione, è di governare la condotta sessuale.  Il tradizionale vinaya, o codice di condotta morale per monaci, preclude ogni attività sessuale. Ad un vero monaco è richiesto di essere astinente, e basta. Tuttavia, in Occidente, quasi tutti buddhisti sono persone laiche o preti, non monaci, e quindi è necessario un realistico codice di comportamento sessuale. L'essenza dell’attitudine buddhista verso il comportamento sessuale è che non dovrebbe mai essere distruttivo.  Perciò, qualunque attività che metta in pericolo la salute fisica o spirituale di se stessi o di un altro essere umano è proibita. Il sesso non è considerato buono o cattivo di per sé, esso è semplicemente nella natura delle cose. Ma diventa buono o cattivo, sulla base di come è usato. Se porta intimità ed amore in una relazione e non danneggia nessuno, è buono. Se è motivato solo dal bieco desiderio, e spinge le persone a fare sesso senza rispetto per se stessi o l'altra persona, allora è cattivo. L'attività sessuale promiscua è quasi sempre cattiva. Essa testimonia un'attrazione patologica verso i sensi, che poi sommergono il naturale istinto di collegamento e comunicazione. Persone che indulgono spesso in questo tipo di comportamento hanno un fondamentale problema con il rispetto verso se stessi e gli altri. Vi sono molti guru che vanno in giro a promuovere la "libertà" sessuale come un metodo di Moksha (liberazione). La vera libertà sessuale non deve essere posseduta da desiderio. Il desiderio sessuale verso il proprio partner significa avere come risultato amore, compassione e intimità che si provano uno per l’altro. 

Ancora una volta, stiamo trattando il vivere in una società che non condivide i valori spirituali del nostro Sentiero.  Il sesso è un fenomeno assai confuso in questa cultura. Considerato con colpa e venerato come un dio allo stesso tempo. Se questi stessi particolari atteggiamenti fossero applicati ai normali aspetti dell’esistenza umana come il mangiare ed il defecare, la gente lo riterrebbe assurdo. Eppure, le persone sono pronte ad allinearsi con i poli alternati della deificazione o demonizzazione della funzione sessuale. L'attività sessuale è una naturale funzione dell’esistenza umana. Non richiede né glorificazione né svilizzazione. Dobbiamo perciò esaminare quali sono le energie che in questa cultura stanno dietro a questi due atteggiamenti polari verso il sesso e capire i loro possibili effetti su di noi. Molti dei nostri problemi con il sesso provengono da una reazione all’atteggiamento Giudaico-Cristiano verso il mondo. Questa cultura è permeata dalla tradizionale visione di separazione tra il creatore e la creazione che è intrinseca al pensiero ebreo e cristiano. Poiché la sessualità è un'espressione della creazione per eccellenza, essa sta in contrapposizione allo spirito di divinità. Perciò, la sessualità in essenza deve per forza allontanarci via da Dio. L'unica eccezione a questo è quando il sesso è santificato nel matrimonio.  Perfino qui, poi, c’è un residuo di profanità messo nell’atto che colora il nostro atteggiamento verso di esso. 

Quelli che consapevolmente rifiutano questa prospettiva religiosa del mondo, nondimeno sono ancora soggetti ad esso con il sostenere i suoi valori culturali.  Molti agnostici funzionali aderiscono alla nozione di esser stati generati dall'idea di un Dio e dal suo giudizio. Che lo facciano consciamente o meno, il loro inconscio mantiene ancora le immagini di ciò che è stato insegnato loro. A meno che una persona non abbia applicato una completa analisi su se stessa attraverso una disciplina psicologica o spirituale, essa non potrà mai essere sicura di ciò che precisamente la sta motivando nell’inconscio. Assai pochi tra noi sfuggono gli effetti di una precedente esposizione in una chiesa o sinagoga. Le potenti influenze di musica e rituali, aggiunte alla maestosità degli edifici rispetto alla nostra piccola statura, ci danno un sentimento di impotenza. Queste immagini sono troppo potenti perché le nostre giovani menti possano lottarvi contro ed indubbiamente rimarranno con noi per tutta la nostra vita. Credere che quando noi non sentiamo più che la religione sia vitale per noi, e che ce ne siamo liberati, è da sciocchi. Essa rimane come parte della nostra personale eredità psicologica e culturale, che ci piaccia o no. La questione è se noi la utilizziamo come parte della nostra comprensione, assumendola come punto di riferimento della nostra continua crescita spirituale.  Ogni volta che noi arriviamo ad una comprensione del mondo come rinnegante qualche condizionamento di base del nostro passato, noi dobbiamo consciamente riferirci a quel condizionamento per prevenire un inconscio tumulto emotivo. 

Per esempio, se noi siamo giunti ad un punto nella nostra pratica in cui la nostra idea personale sulla divinità è più razionalmente difendibile, dobbiamo accettare un certo aumento di disordine psichico come provvisorio risultato.  La mente deve imparare a trattare con questa nuova comprensione, riguardo alle sue immagini ed al contenuto inconscio, che indubbiamente contengono un gran numero di precedenti impressioni teistiche. Se non lo facciamo, allora noi saremo soggetti ad indesiderate influenze psichiche sotto forma di discordanze nelle nostre personali azioni, provocate da conflitti tra modelli emotivi del passato e visioni intellettuali del presente. Il nostro stesso atteggiamento verso il sesso è un perfetto esempio di questo dilemma tra condizionamento passato e visione del mondo attuale. Quelle visioni del mondo di un Giudaico-Cristiano non possono che aiutare a vedere la sessualità come, nella migliore delle ipotesi, un'influenza inferiore sulla vita, e nella peggiore, come demoniaca, perché lega l’uomo alla creazione invece che a Dio. Il resto della società che ha rifiutato consapevolmente questa visione ma non ha riconciliato il proprio inconscio con essa, ha elevato il sesso ad un vero e proprio ‘dio’ in se stesso. Nel loro inconscio, c’è ancora l'immagine primitiva di Dio che esige di sacrificare l'amore per la creazione all'amore per lui.  Noi diventiamo pro-creazione (il termine stesso dice tutto) come opposto a pro-Dio ogni volta che sperimentiamo la nostra sessualità. Allora, questo è il ‘peccato originale’, se si sceglie la procreazione al posto di Dio. L'inconscio, essendo un fenomeno fondamentalmente naturale, aborrisce il vuoto. In assenza di Dio, il sesso come 'immagine primordiale’ della procreazione, prende il potere di Dio nel nostro inconscio. Il sesso diventa una normale ribellione ed espressione del potere personale diretto a sconfiggere questa nozione di Dio e della cultura che lo sostiene. Il sesso diventa così antisociale. Esso allora è diventato una forza che è identificata all'inconscio che è in opposizione ad una società pesantemente imbevuta dell'immagine di un Dio biblico. 

Al fine di poter bilanciare se stessi in accordo con la retta azione sessuale, si devono abbandonare entrambi questi estremi e vedere il sesso per la naturale energia che è, comprendendo che il suo potenziale può aver effetto sul nostro benessere. Distruggere le relazioni esistenti dalle nostre azioni sessuali; asservire psicologicamente un'altra persona attraverso il sesso; danneggiare o mettere in pericolo la propria salute fisica attraverso il sesso; questi sono esempi di cattiva condotta sessuale. Il fatto più importante riguardo alla retta azione nel sesso sta nel suo potenziale di aver effetto sulla vita, sia nostra che degli altri. Non è solo una questione tra adulti consenzienti, ma anche di quegli altri che possono avere effetti dalle relazioni sessuali. Uno studente dell’Ottuplice Sentiero non dovrebbe mai violare una relazione intima che esiste tra due persone, diventando un terzo incomodo. Ora questo non significa semplicemente evitare di dar inizio ad un contatto sessuale, ma evitare il contatto, sia che noi lo si inizi o no. Ed infatti, troppo spesso le persone in una relazione in crisi, cercheranno il sollievo dalla tensione della crisi, avendo una tresca. Esse possono anche protestare che la loro relazione sia finita, quando magari non lo è, per persuaderci che è del tutto corretto. Inoltre, possiamo dare a noi stessi diverse scuse per mandare avanti la relazione. La verità della questione è semplice, noi non dovremmo farci coinvolgere, a meno che non siamo sicuri che la persona con la quale siamo coinvolti, abbia fatto una formale separazione dal suo partner, e gli abbia annunciato quell'intenzione. Poi si dovrebbe anche analizzare la situazione, ed essere sicuri che le conseguenze del coinvolgimento non siano dannose per altri.   

Un’altra relazione sessuale molto distruttiva è quella in cui ci si approfitta dell’essenziale debolezza sessuale di qualcun’altra persona per manipolarla. Questo significa che anche una relazione santificata come il matrimonio può comportare una cattiva condotta sessuale. Sia donando sesso o negandolo, si può manipolare un'altra persona per far sì che essa non possa fare a meno di questa coercizione sessuale, allora anche questa è una cattiva condotta sessuale. L’esempio finale di cattiva condotta sessuale è esporsi volontariamente ad attività sessuale che potrebbe danneggiare la propria salute o quella di qualcun altro. Qualunque attività sessuale che potrebbe diffondere una malattia a causa di mancanza di attenzione è una cattiva condotta sessuale. Il rimedio all'attrazione per una cattiva condotta sessuale è di sviluppare un atteggiamento verso il sesso che lo consideri un'espressione di amore. Se uno vede il mondo attraverso questa prospettiva, poi non dovrà più coinvolgersi con quella che è specificamente una "cattiva condotta sessuale". Quando una persona ha sviluppato una corretta attitudine verso il mondo, basata sulla saggezza e compassione, tutti gli aspetti della sua vita saranno illuminati nella luce della comprensione. 

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5 - RETTO SOSTENTAMENTO 

Una volta che abbiamo disciplinato le nostre azioni nel mondo così da corrispondere alla nostra nuova risoluzione e visione spirituale, dovremmo assicurarci che il modo in cui ci guadagniamo la vita sia anche coerente col resto della nostra pratica. Questo problema viene espresso nel quarto nobile Sentiero, il Retto Sostentamento. La professione di una persona quindi è una rappresentazione della sua stessa energia di vita, tanto che spesso definiamo un uomo in base alla sua professione. John è un poliziotto, Bill è un pompiere, è il modo in cui noi di solito descriviamo qualcuno. Noi non diciamo che John è una persona che lavora come un uomo che sta nella polizia. In qualche modo l'essere di John è divenuto sinonimo con la sua attività professionale. Ciò non è solo importante per gli altri, ma ci aiuta anche a definire noi stessi, nella misura in cui ci identifichiamo con le nostre azioni. Da una prospettiva buddhista, vi sono soltanto poche professioni che sono intrinsecamente malvagie per natura, cioè attività criminali.  Sono i mestieri che hanno a che fare con la distruzione o denigrazione della vita, (venditori di armi, allevatori o uccisori di animali per profitto) e quelle attività che trattano con intossicanti. Vi sono molte professioni che possono o non possono essere un retto sostentamento, dipende da come l’attività viene eseguita. Per esempio, il venditore è una professione accettabile se uno è onesto nella sua relazione con i clienti. 

La cosa importante non è il titolo professionale, ma l'energia che la professione ha verso il mondo. Per colui che è sul Nobile Sentiero, è vitale che l’energia messa sul lavoro risuoni con l’energia della sua vita spirituale. Se non lo si fa, si è incoerenti con la stessa vita. Una persona spirituale che partecipa ad un'attività distruttiva, ruberà agli altri individui la loro stessa energia, come pure l'energia collettiva che essi condividono col mondo. Una persona è privata delle sue risorse spirituali quando si permette di partecipare ad un’attività che sà di essere deleteria agli altri esseri. Quando scegliamo di lavorare in una professione sapendo che è sbagliata, noi alimentiamo una sorta di tensione tra la nostra visione del mondo e la volontà che produce dukkha, cioè la sofferenza. L'energia spirituale di unità con il nostro mondo è disgregata, e l’azione distruttiva stessa mette in moto ancor maggiore disgregazione nell'ecosistema spirituale. Alla fine, la disgregazione nel sistema sarà al massimo e si manifesterà con un impatto negativo sulla nostra stessa vita.   

La maggior parte degli studenti di Dharma sono più consapevoli delle ramificazioni morali del sostentamento errato che non la generale popolazione. Molti di loro sono ambientalisti che operavano nei movimenti di pace degli anni sessanta, e mentre hanno abbandonato molte esagerazioni di quel periodo, il loro impatto positivo ancora rimane.  In alcuni casi, le persone hanno cambiato i loro valori abbastanza per sanzionare le più distruttive attività. Tuttavia, sfortunatamente, vi sono alcuni studenti che sono andati all'estremo di determinare che quasi ogni cosa che fa fare affari è sbagliata. In questo caso, essi stanno facendo erroneamente politica invece che Dharma e hanno stabilito un attitudine critica verso lavori che sono dannosi alla loro pratica. E’ nella natura della nostra esistenza che noi dobbiamo accettare un certo aumento di oscurazione nella nostra vita. Non c’è nessuna professione che non abbia un contatto con elementi dannosi. Noi possiamo certamente impedirci di partecipare ad attività che richiedono  attitudini distruttive, ma non possiamo sfuggire dal poterle incontrare. 

Vi sono ben pochi lavori nel mondo moderno che non richiedono l'uso di una qualche tecnologia che comporti la chimica, che potenzialmente è pericolosa per l'ambiente. Vi sono anche poche professioni che non richiedono una comunicazione con persone che siano moralmente discutibili. Se allora noi dovessimo scegliere di non accettare un qualsiasi lavoro che sia coinvolto con persone o situazioni distruttive, noi non lavoreremmo affatto. Una parte che è essenziale nel retto sostentamento è di promuovere un corretto atteggiamento verso il nostro ambiente circostante e gli esseri umani, essendo noi stessi degli esempi. Se semplicemente lasciamo il nostro lavoro quando noi siamo di fronte ad atteggiamenti scorretti verso il mondo senza tentare di influenzare gli altri in un sano approccio al lavoro, allora possiamo ritenerci colpevoli di un’azione sbagliata. Ovviamente, qualunque professione che richieda una violazione del retto parlare e retta azione, è una professione sbagliata. Comunque, non c'è alcun modo di evitare il confronto con questi problemi nel proprio lavoro. Il compito più difficile sta nel convincere i colleghi di lavoro ed i superiori ad abbandonare un modo di pensare scorretto verso il mondo. E ciò raramente può essere fatto con un approccio diretto. Noi non possiamo predicare la buona coscienza a chicchessia, tutti prima o poi dovranno vedere la realtà da soli. 

In quelle rare situazioni in cui qualcuno ci ordina di dire menzogne, noi dovremmo sostenere ciò che è corretto, ma nel far così, dovremmo però essere gentili e conciliatori pur rimanendo fermi. Noi non dovremmo mai adottare un retto auto-atteggiamento, perché non farà niente per agevolare la situazione. Piuttosto, dovremmo considerare l'altra persona allo stesso modo in cui si considera un bambino che insiste nel voler giocare col nido di una vespa, malgrado i nostri avvertimenti. Non siete voi che verrete punti dal pungiglione, ma la persona che dà l’avvio all’ azione scorretta. Perciò, non c'è nessuna ragione di essere eccessivamente adirati con loro. Invece, noi dovremmo compatire la loro ignoranza e intrattabilità. Impegnarsi in una vita di retta azione richiede sempre un po' di fede in noi-stessi e nel nostro Sentiero. C'è un'unità di vita che risponde ai nostri sforzi spirituali. Una risonanza di spirito che trova la sua via nel nostro destino. Questo è qualcosa che ciascuno deve sperimentare da sé. Nella mia stessa vita, io ho trovato che non ho mai realmente perso niente facendo una retta azione. Quando ho dovuto sacrificare qualcosa per quello che io sapevo essere corretto, ho sempre avuto in ritorno assai più di ciò che avevo lasciato. 

Quando uno va avanti con questa fede nel bello e buono, permettendogli di risuonare in tutte le aree della propria azione personale, egli troverà un corrispondente tono nel proprio ambiente, e l'armonia della vita comincerà a fluire. Le persone difficili non hanno una mente radicata nell’amore per il buono. È come se, attaccando con un bastone qualcuno che non si accorge dell'attacco, tentaste di colpire la vostra ombra. Il pericolo più grande che la maggior parte di noi fa nella ricerca per il retto sostentamento sta nell’affrontare il problema dell'onestà. Il termine ‘etica commerciale’ nel mondo moderno è divenuta pressocché una contraddizione in termini. La stessa verità è vista come una nozione di importanza solo relativa; è sorto un concetto utilitaristico di una verità flessibile, dando origine ad una nuova arte plastica. Le persone spesso considerano la verità uno strumento per fare affari, ed il mentire come un metodo di far complimenti. Una piccola verità qui, ed una piccola bugia là, e noi arriviamo con una "bella promozione". La Verità invero è un'accettazione della realtà della vita e non può essere separata dalla vita. Mentire è separare se stessi dalla realtà, che è la vita.  

Poiché nella pratica buddhista noi non ci affidiamo alle parole per sostenere la realtà, uno studente illuso potrebbe anche montare su questo carro, dicendo "non c’è nulla di giusto o di sbagliato". Questa asserzione, tuttavia, è solo vera a metà, anche se giusto e sbagliato, come concetti, non esistono come assoluti. In ciascun momento, non c’è niente se non proprio l’azione corretta e l’azione sbagliata. Comprendere questo è capire l'altra la metà della verità. Queste asserzioni apparentemente contraddittorie su ‘giusto e sbagliato’ stanno esprimendo la stessa realtà, quegli stessi concetti morali, separati dalla base del dinamico flusso di esistenza, non hanno sostanza. Nell’azione, in quel momento, ogni azione incarna un'energia che è per la vita, promuovendo unità, compassione, salute ed amore, o per la morte, promuovendo odio, rabbia, illusione, avidità, ecc. Il problema sorge quando si astraggono i concetti di ‘giusto e sbagliato’ dallo spirito del momento e li si rende insignificanti. 

C'è un vecchio detto Zen, "Non c'è nessun giusto o sbagliato, ma il giusto è corretto e lo sbagliato è errato". Lo spirito della retta azione richiede ‘abili mezzi’; l'abilità di adattarsi ad una situazione, e compiere miracolosi atti di compassione in essa. Ogni volta che noi influenziamo un altro essere a osservare se stesso ed il mondo, alla luce della saggezza e compassione, abbiamo compiuto un atto miracoloso. Sono questi atti che alla fine formano una catena di eventi magici e trasformano il mondo. Noi dobbiamo portare questa magia nella nostra vita, nel luogo di lavoro, con libertà di mente. Una mente che vede solamente la possibilità di amare l’azione e non si preoccupa se essa ha le polarità di buono, cattivo, corretto, sbagliato, di accettazione, o di rifiuto, riesce a trasformare il mondo miracolosamente in un equilibrio di armoniosa azione. È solo attraverso una libertà di mente che noi possiamo avvicinarci al problema del retto sostentamento con il necessario equilibrio perché abbia successo. Per esempio, dei seri studenti mi hanno chiesto se dovevano essere vegetariani e se si dovrebbe evitare di lavorare in luoghi che al pasto servono la carne. La mia risposta fu che sarebbe meglio essere vegetariani, sia dalla prospettiva della salute che della compassione, senza menzionare il fatto che ciò ha un grande significato economico. Tuttavia, il Buddha addirittura permise ai monaci pienamente ordinati di mangiare la carne, purché l'animale non fosse stato ucciso per loro appositamente. Non sembra ciò un po' contraddittorio? Non esattamente, se si considera che prima di tutto, molti degli animali che noi mangiamo non potrebbero esistere senza che i coltivatori li sostengano. Se noi domani smettessimo di mangiare manzo e pollame, cosa accadrebbe a tutti quegli animali? Dovremmo lo stesso continuare ad alimentarli e permettergli di continuare a vivere la loro vita? Permetteremmo loro di riprodursi indisturbati? O li lasceremmo liberi allo stato selvatico per far loro distruggere l'ecosistema, o li lasceremmo morire per incapacità di adattamento? Tutto ciò presenta un vero dilemma, non vi pare? 

Il fatto è che gli animali di fattoria hanno il loro proprio karma, ed esso è legato con l'essere mangiati dall’uomo.  Io non vi sto incoraggiando a questa terribile attività menzionando la realtà della situazione. Io sto solo chiarendo come il karma sia complesso, e come ognuno di noi deve riflettere su come affrontarlo nella nostra professione. Al retto sostentamento ci si può avvicinare con successo soltanto con un atteggiamento di apertura e compassione.  Poi ogni persona, all'interno di ciscuna situazione, sarà capace di trovare il suo proprio Sentiero. È secondo la natura della propria pratica spirituale che uno si comporta nella vita, e quello che in un periodo era adatto, in un altro, può non esserlo. Più noi pratichiamo, e più il nostro cuore si apre alla sofferenza degli altri, umani e non-umani. Si arriva ad un punto in cui la sofferenza degli altri ci diventa così intollerabile che ci sentiamo chiusi in un angolo e non possiamo uscire da quell’angolo se prima non ci siamo completamente trasformati. Solo una persona che ha subito il proprio personale inferno e paradiso è capace di identificarsi completamente con questo mondo e di immergersi in esso oltre la sofferenza e la non sofferenza, solo una tale persona può adempiere serenamente alla professione di Bodhisattva. 

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6 - RETTO SFORZO 

I primi tre nobili sentieri trattano esclusivamente con l'accumulazione della comprensione spirituale e la limitazione morale che questa conoscenza crea. Non c'è niente nei primi cinque sentieri che nell’approccio differisca radicalmente dagli insegnamenti morali della religione occidentale basata teologicamente. La differenza principale di approccio può trovarsi nella totale enfasi del buddhismo sul processo di auto-trasformazione che è auto-generato piuttosto che altrui-generato. Diversamente da questo, c'è poco che diversifica l'insegnamento morale buddhista da qualunque altro sistema di pensiero eticamente basato, religioso o altrimenti. Il distacco integrale dalle altre tradizioni religiose comincia col sesto Nobile Sentiero, il Sentiero del Retto Sforzo. Retto Sforzo, Sama Vayama in Pali, potrebbe essere chiamato anche la perfetta o corretta concentrazione, in quanto esso significa sforzo con una specifica direzione. La direzione è il primo passo nel trasformare l’energia in sforzo. Ovviamente, per avere una direzione, è necessario avere la base della comprensione che viene dal seguire i precedenti sentieri spirituali. Una volta ancora, ci si rivela la natura indivisibile dell'interdipendenza di questi sentieri. Un'analisi accurata di questo processo spirituale rivela che il tempo e ancora il tempo è un sistema organico, che consiste di rispettivi sentieri la cui reciproca integrità è così interconnessa da rendere impossibile violare un Sentiero, senza disgregare il processo intero. Ecco perché tradizioni buddhiste, che si sono affidate troppo pesantemente su un solo aspetto del Sentiero a detrimento degli altri, producono risultati non equilibrati. Quelle "nétte Zen che ignorano l'importanza della stretta adesione al comportamento morale dei primi cinque sentieri, mentre ricercano vigorosamente l'esperienza della illuminazione, possono produrre equivoci maestri di Zen. Questi maestri potranno avere l'abilità di una potente meditazione, ed i poteri di una personalità che sconfina nell'occulto, ma non sono illuminati in alcun vero senso buddhista. Perché la vera illuminazione non può essere separata da un illuminato metodo di vita, come lo stabilisce l’ Ottuplice Sentiero. 

Ci sono altresì molti buddhisti moralisti che schivano la pratica della meditazione perché spiritualmente troppo difficile. Queste persone si affidano solo sulla fede nel Buddha, o su qualche formula magica, che li possa salvare.  Tali persone insegnano che questa èra è troppo oscura per produrre esseri illuminati, ecco perché li infastidisce. Ma

i buddhisti che sostengono tali nozioni hanno dimenticato che il Buddha insegnò la Via di Mezzo, incorporata nell’ Ottuplice Sentiero, e nessun altro individuo o tradizione è stato in grado di superare questa dottrina nella sublimità o efficacia. Il Buddha creò adattamenti per i vari temperamenti di ciascun individuo, insegnando svariati modi di avvicinarsi al Sentiero utilizzando le proprie forze inerenti. Tuttavia, egli non proclamò mai di abbandonare un certo Sentiero come troppo difficile o non rilevante. È importante, perciò, che noi non si perda mai di vista la necessità essenziale di perfezionarsi in ogni Sentiero, ed anche come noi concentriamo la nostra attenzione su un particolare Sentiero come centro della nostra pratica. Allo stesso modo, è ugualmente importante che noi rispettiamo tutte le varie tradizioni del Dharma di Buddha e del Dharma non-buddhista, non denigrando nessuna di esse dato che tutte rappresentano approcci diversi all’Ottuplice Sentiero, a seconda della comprensione e disposizione spirituale dei vari praticanti. Si dovrebbe menzionare che ci sono un paio di organizzazioni quasi-buddhiste che non prestano del tutto attenzione all’Ottuplice Sentiero, ma che sostengono solo il semplice recitare una particolare formula magica (mantra) per poter ottenere l’esaudimento di qualunque desiderio, come se questo fosse lo scopo del buddhismo.  Questa sorta di degenerazione spirituale esiste in tutte le tradizioni religiose, in un periodo o l'altro, e facilmente si può considerare separata dalle vere tradizioni spirituali per la superficialità della sua dottrina e degli aderenti. Al fine di padroneggiare l'energia necessaria a completare il sesto nobile Sentiero, bisogna aver fede che tramite i propri esercizi si potrà giungere alla mèta. La fede è un elemento della pratica che nel buddhismo non è mai troppo stigmatizzata, perché la nostra stessa pratica è sistematica e se è fatta in maniera adeguata, si auto-sostiene da sola. Tuttavia, ciò non significa che il concetto di fede non sia attinente alla nostra pratica. Infatti essa è di estrema importanza, se noi avremo la necessaria elasticità per trattare con le sfide della vita spirituale. 

Benché si sappia che il Buddha e i suoi discepoli abbiano raggiunto la Via seguendo lo stesso Sentiero che dovremo seguire noi, noi non abbiamo ancora nessuna diretta esperienza del potere della loro illuminazione, finché noi stessi non saremo illuminati. Il meglio che possiamo sperare è di trovare venerabili insegnanti che incarnino la tradizione nella loro persona, fino al punto che noi si sia ispirati e motivati per seguirli. Tuttavia, c'è un problema con questo tipo di fede. Prima di tutto, il fatto di essere un essere umano significa avere il karma. Ciò vuol dire che ognuno è soggetto alle forze della Legge di Causa ed Effetto. Soltanto quando uno giunge allo stato elevato di un Buddha o di Bodhisattva avanzato si potrà dire che uno sia perfetto in senso morale. Sfortunatamente, ci sono ben poche di queste persone che possono guidarci. In loro assenza, dovremo ripiegare su esempi più mondani di Maestri Zen, Lama e simili. Alcuni di questi sono Bodhisattva avanzati, ma certamente non tutti. Anche dei praticanti spirituali avanzati sono capaci di errori nell’etica morale, e quindi potenzialmente capaci attraverso le loro azioni di condurre fuori strada studenti più deboli. C'è molta differenza tra la nostra ordinarietà di maestro buddhista ed un realizzato Buddha vivente. Penso che sarebbe d'uopo esaminare la differenza, con un Maestro Zen come esempio. E chi è un vero Maestro Zen? Questo è un termine che in Occidente è usato piuttosto facilmente. Io ho sentito spesso di alcuni praticanti Zen avanzati, in America, considerati come Maestri Zen. Quando questo titolo è usato in Giappone esso significa un prete a cui è stato dato il titolo Roshi o Zenji. Roshi letteralmente significa ‘riverito’, o il prete più vecchio, e di solito è dato soltanto a preti di Zen anziani, oltre i cinquanta anni, che si ritiene siano degni preti nella tradizione Soto. Il termine ‘Zenji’ è usato nel Rinzai in modo intercambiabile con Roshi, mentre nel Soto si usa solamente per quelli che ricevono il titolo dall'Imperatore. Nella tradizione Rinzai, il titolo ‘Roshi’ è dato a ogni prete a cui sia stato dato l’Inka Shomei. ‘Inka’ è il sigillo di trasmissione che certifica che un Maestro Zen legittimo riconosce il prete come illuminato e degno di dare l'insegnamento a quel livello. Nel Rinzai, questo avviene quando lo studente è passato attraverso tutti i vari livelli dei Koan, e l’insegnante sente che egli è pronto a prendersi la responsabilità inerente al titolo. Nel Soto, il processo di certificare la trasmissione del lignaggio Zen passa tramite lo shiho, un continuo confronto faccia a faccia tra Maestro e discepolo. Questa è una peculiarità del Soto, ma essa si può paragonare all'interscambio del Roshi Koan che si trova nel processo dokusan del Rinzai. 

Dokusan e sanzen sono incontri privati col Roshi in cui lo studente testa la sua comprensione dello Zen tramite il lavoro sui Koan o semplicemente discute la sua pratica con l’insegnante. Nello Zen Coreano un prete deve ricevere la certificazione da cinque Maestri Zen, prima che il suo Maestro gli dia la trasmissione. In Corea, il titolo di Maestro Zen è Sa Nim ed un monaco regolare Su Nim. In Cina ed in Vietnam, il processo per la trasmissione non è più costante, dovuto alle disgregazioni del lignaggio sopravvenute a causa dei cambiamenti prodotti dal Comunismo. Per capire cosa sia un Maestro Zen, si deve capire il principio di illuminazione. Si considera che un Maestro Zen sia Illuminato, il che significa che debba aver sperimentato il Satori, l'esperienza diretta della sua propria vera natura. Essere Illuminati, è lo stesso che essere nell’illuminazione, che significa che uno dimora nello stato di illuminazione. Se uno dimora nello stato di illuminazione, allora è un Buddha. Un Buddha è uno che è la manifestazione della Bodhi o Illuminazione. Essere un Buddha significa avere un Karma ultra-mondano, ed ecco perché nella mitologia buddhista si dice che un Buddha abbia i 32 marchi del super-uomo. Il numero trentadue, si riferisce all’Ottuplice Sentiero moltiplicato per le Quattro Nobili Verità. In altre parole, questi segni sono un simbolo della perfezione delle verità dell’esistenza nella vita di un individuo. Il Buddha che possiede questi marchi rappresenta la fusione dell'universale (le Quattro Nobili Verità) con la sua manifestazione in questa sua vita (l’Ottuplice Sentiero).   

Un Buddha è uno che non crea più Karma perché la volontà individuale, che è il creatore, non è più presente. C'è solo la realtà continua della Mente di Buddha che, essendo infinita, non può avere una forma limitata. Poiché il Karma è la manifestazione di un’energia individuale, un Buddha non lo crea più. Un Buddha è chiamato Tathagata o uno che è ‘quiddità’ o ‘talità’, in riferimento alla fusione della sua personalità con la manifestazione dell’esistenza. La ‘quiddità’ o ‘talità’ è la qualità eterna della presente realtà così com’è. Come noi diciamo nello Zen, "I fiori sono rossi, le foglie sono verdi". Un Maestro Zen è uno che non vede fiori rossi e foglie verdi come separati da lui stesso.  Uno che è fiori rossi e foglie verdi. Tuttavia, un Maestro Zen non è un essere ultra-mondano che ha posto fine al suo karma. Poiché egli ha ancora il karma, è ancora soggetto all’illusione, ad un livello o un altro. Quindi, egli è ancora capace di fare un errore morale. Un Maestro Zen dovrebbe però essere una persona moralmente superiore anche se non è perfetto. Il titolo dovrebbe riflettere non solo l’esperienza della sua saggezza, ma anche una certa conoscenza della legge morale e la compassione per gli altri esseri. E ciò preclude la possibilità che questa persona possa fare continui errori morali di cui essi rifiutino però di pentirsi. 

Sfortunatamente, l'esperienza dell’illuminazione nelle sue manifestazioni più deboli, non obbliga le persone in un comportamento più morale. Essa può, in alcuni casi, avere proprio l'effetto opposto. Essa può dare ad una persona un senso di unicità che fa sembrare le considerazioni morali non più importanti della paglia che vola nel vento. La vera illuminazione trascende il senso di unicità e tutte le altre considerazioni mentali. Uno si comporta moralmente perché il comportamento morale è la perfetta espressione della nostra compassione per il mondo. Non ci sono più gli arbitrari confini di se stesso e gli altri, perfino ad un livello sottile. Maestri Zen ed altri Maestri buddhisti, essendo capaci di errore, presentano un problema per quelli che guardano a loro come perfetti e come fonte di fede nella loro pratica. La fede deve essere radicata in una ferma convinzione nella realtà dell’Ottuplice Sentiero, come un veicolo per l’auto-trasformazione, e questa fede deve essere completata da un atteggiamento realistico verso il karma degli individui. Uno dei migliori avvertimenti dati agli studenti di Dharma sul pericolo della fede mal-riposta, si trova ne ‘Le Dieci False Somiglianze’, una serie di avvertenze date ai suoi discepoli dal grande saggio del Tibet, Milarepa. Esse sono tanto pertinenti oggi, come lo furono nella sua epoca: 1. Il desiderio, erroneamente preso per fede. 2. L’attaccamento, preso erroneamente per benevolenza e compassione. 3. La cessazione del processo del pensiero, presa erroneamente per la tranquilla mente illuminata. 4. Percezione dei sensi e visione psichica, prese erroneamente per la Realtà. 5. Una fugace visione della Realtà, erroneamente presa per completa realizzazione. 6. Quelli che professano esteriormente, ma non praticano il Dharma, erronemente presi per veri adepti. 7. Gli schiavi delle passioni, erroneamente presi per maestri di yoga che si sono liberati dalle leggi convenzionali. 8. L’interesse personale, erroneamente preso per altruismo. 9. Metodi ingannatori, erroneamente considerati come prudenziali. 10. Veri e propri ciarlatani, che erroneamente possono essere presi per Saggi. 

Come possiamo vedere dagli avvertimenti di Milarepa ai suoi studenti, la fede negli insegnanti, come la fede per la stessa tradizione, si giustifica solamente quando uno ha il necessario buon senso per discriminare tra saggi, uomini ordinari, e ciarlatani. La fede negli insegnanti dovrebbe essere primariamente basata su una comprensione delle credenziali dell’insegnante e della sua sincerità. Credere che una persona rappresenti tutta una tradizione spirituale è illusorio. Tutte le tradizioni contengono all'interno di se stesse un’ampia varietà di individui, ognuno con livelli diversi di addestramento, intelligenza e sensibilità spirituale. Se non fosse così, ci sarebbe un livello molto limitato e stereotipato di istruzione disponibile. È il lavoro dello studente, trovare la giusta tradizione e l’insegnante che siano assai efficaci per il suo sviluppo spirituale. Nel momento in cui uno sceglie il proprio Sentiero spirituale, si dovrebbe generare un impegno a seguirlo completamente con tutto il cuore. Questo non richiede una sospensione della facoltà di ragionare o del proprio giudizio morale, ma un’applicazione di quelle qualità alla propria pratica. Qualsiasi insegnante che richiedesse ad una persona di commettere una qualsiasi azione che sia inerentemente distruttiva o immorale, violerebbe la fiducia spirituale di quella persona. La relazione tra insegnante e discepolo è una fiducia sacrale che richiede un totale impegno da parte di entrambe le parti. L’impegno più importante è nella pratica stessa. Questa è la vera pratica, non l'adorazione dell'insegnante, ma l’impegno a mettere in pratica le istruzioni dei nostri insegnanti. 

L'inizio della pratica del retto sforzo sta nel controllare la propria mente, per evitare stati di coscienza distruttivi o insalubri. Proprio come con il corpo fisico, la coscienza che è il corpo mentale, è tenuta meglio sana attraverso la medicina preventiva. In primo luogo, è molto più difficile liberarsi delle deleterie condizioni mentali che non impedir loro di sorgere. Il Buddha delineò cinque condizioni mentali che risultavano ostacoli peril retto sforzo. Queste sono, il desiderio sensuale o la bramosia, la malevolenza, l'ottusità e sonnolenza, e l’inquietudine e preoccupazione. Il primo ostacolo, la bramosia per le cose materiali e il desiderio sensuale, è il più forte degli ostacoli. L'attaccamento al piacere sensuale, alla posizione e alla fama, sono le forme più comuni di questo complesso di desideri. Questo predominio di questi elementi può facilmente essere considerato come l'adescamento nelle pubblicità commerciali. Gli inserzionisti devono sapere che gli elementi della psiche moderna hanno tutti i motivi per essere efficacemente introdotti sul mercato. In una società in cui la ragione mantiene una posizione elevata, le persone introducono sul mercato beni e servizi, la reclamizzazione efficace con lucida esposizione dei loro prodotti, merita. In questa società le persone introducono efficacemente sul mercato facendo appello all’appetito sessuale, all'insicurezza sociale ed al desiderio per il riconoscimento personale. Perciò, abbiamo automobili descritte come sexy, e stelle del cinema, ed atleti di dubbio intelletto, tutti a caccia di snacks e calzini. Anche se è irrazionale associare un'automobile con il sesso, o comprare un paio di calzini perché un attore li promuove, tuttavia le persone agiscono con tali motivazioni. 

Ciò che accade quando permettiamo ai desideri di scorrere nella nostra vita, è che veniamo gettati in un perenne stato di confusione. La confusione esiste perché la nostra mente ci dice che se otteniamo una particolare cosa, allora noi saremo soddisfatti. Quando la otteniamo, la soddisfazione ricevuta non è commisurata all'energia spesa per ottenerla. Allora veniamo motivati a cercare qualche altra cosa per colmare il vuoto di insoddisfazione, e così via, finché diventiamo così assuefatti alla ricerca e al desiderio, che a fatica riusciamo ad avere un momento di calma. Sfortunatamente, questo è il modo in cui molte persone vivono la loro vita, prive di intuizione e pace, spinte da una situazione all’altra, totalmente alla mercé delle loro sorti temporali per il loro senso di benessere. 

Ad una persona radicata nell’Ottuplice Sentiero, questo stato penoso non sarà possibile. Uno comprende che lo star bene è contingente ad una mente che è libera dell'attaccamento a cose e situazioni, poiché queste per natura sono tutte effimere e transitorie. Realtà e piacere devono essere trovati nella bellezza del momento e la sua possibilità per l’azione intelligente e compassionevole. Non c'è alcun bisogno di inseguire una catena infinita di cose, cercando la mitica pentola d’oro alla fine degli arcobaleni. Un arcobaleno è una cosa di consumata bellezza; perché cercare qualcos’altro? Anche la malevolenza è un'altra brutta attitudine che predomina in società, e il nostro attaccamento ad essa è usato dai media per vendere i loro prodotti. Odio, risentimento, rabbia, Sporco Harry, Rambo, Desiderio di Morte, tutti nati dallo stesso ignorante atteggiamento verso il mondo. Le nostre vie sono piene di persone ostili ed alienate. Le nostre strade sono diventate gallerie di caccia ed i media si chiedono, "Perché?". Perché no, se ad ogni ora i nostri bambini possono essere esposti a innumerevoli assassini, spari, vendette, bastonate, stupri e altre forme di divertimento televisivo. Per una persona che è sul Sentiero, c’è un riconoscimento che poiché tutte le faccie sono la propria, non è possibile prendere piacere in vendette o appagarsi in bisogni di rabbia, basati sulla illusoria nozione di un ‘sé’ assoluto e di un assoluto ‘altro’. Noi riconosciamo che ogni odio è auto-odio, e l’auto- odio è il risultato di una personalità che non è integrata. Perciò, quando sperimentiamo l’odio, noi cerchiamo una auto-correzione per noi stessi e non di vendicarci. Similmente, noi non troviamo divertimento in romanzi o film che promuovono la vendetta come una cosa giusta. La giustizia talvolta è rapida e mortale, ma quando essa è la vera giustizia, l'ombra emotiva dell’odio è completamente assente. L'unica emozione adatta per applicare le sanzioni estreme è il dolore. 

Sfortunatamente, la mente è una bestia intelligente e piuttosto abile nello spostarsi dall’odio per gli uomini all’odio per le situazioni o cose. Essa fa così perché è stata abituata a certe emozioni e quando è privata di esse e dello stato psico-somatico che esse rappresentano, si sente a disagio. La mente ed il corpo non sono realtà separate per il buddhista, ma manifestazioni una dell'altro, come l’energia e la materia. Essi sono correlativi di una costituente realtà unica. La mente manifesta il corpo attraverso il karma, ed il corpo manifesta la mente nelle sue azioni. Noi non possiamo testimoniare la mente aldilà dei movimenti del corpo, e non possiamo percepire il corpo aldilà della mente. Per usare l'analogia di energia e materia, possiamo dire che tutta la materia è composta di modelli di energia e l’energia esprime sempre se stessa in modelli che sono materiali o che attivano la materia. Se non fosse così, noi non saremmo affatto capaci di riconoscere l’energia perché non avremmo alcun riferimento di essa. 

È la stessa cosa con la mente e il corpo. Ciascuno ha effetti sull'altro e produce l'altro in maniera interdipendente.  Quando si diventa abituati ad un particolare stato emotivo come la rabbia, là vi è una matrice di mente e corpo; la mente ha effetti sul corpo suscitando una chimica appropriata alle emozioni, come l’escrezioni di ormoni. Il corpo poi si abitua a questi livelli chimici degli ormoni e quando ne viene privato diventa ipersensibile ad ogni reazione mentale che potrebbe corrispondere all'emozione originale, e quindi rilascia gli stessi effetti chimici. Un esempio di ciò può essere visto ogni volta che abbiamo un'emozione che non è adeguata alla situazione a causa dell'intensità dell'emozione o per la natura dell'emozione stessa. Io avevo un amico che, da bambino, era stato abituato male, il che diede luogo ad un grosso problema con sentimenti di rabbia e inganni. Questa persona era uno studente di Dharma, e nel corso degli anni era arrivato a capire che il suo odio verso le altre persone era inappropriato.  Tuttavia, quest’individuo era stato per anni abituato ad irritarsi e aveva la condizione psicosomatica di una persona in quello stato. Ogni volta che si presentava l'occasione in cui non ero d’accordo col suo punto di vista o con la sua convenienza personale, il mio amico montava in un'ira cieca. Quest’ira non era diretta a nessuno in particolare, ma contro il mondo o la vita stessa. Questo non è un avvenimento insolito con molte persone che trovano da infuriarsi e deprimersi per differenze politiche, religiose o artistiche. Così come è disturbante l’inquinamento, la corruzione, l'ingiustizia e l'ignoranza, pure la rabbia non è un veicolo adatto da parte degli studenti di Dharma. Per rimediare a queste condizioni, la compassione e l’entusiasmo dovrebbero prendere il posto di rabbia, risentimento e repulsione.  Queste emozioni non fanno assolutamente niente per rimediare alle situazioni scorrette, ma anzi esse aumentano soltanto la probabilità di farle peggiorare. 

Le condizioni mentali negative sorgono perché noi abbiamo permesso ai nostri sensi di portarci in lungo e in largo senza una direzione. È come essere in una canoa ed avere le pagaie, ma non usandole, così da andare alla deriva nella corrente. La Meditazione e l’Attenzione sono i nostri remi, che ci permettono di navigare lungo il fiume della esperienza, spingendoci anziché ostacolarci. Noi non possiamo uscire dal fiume facendo a meno dei nostri sensi.  Ma dobbiamo imparare ad usarli e non farci usare da essi. Questo si fa concentrandosi sul senso stesso, e facendo spegnere l'eco della concettualità che gli fa seguito. Quando vediamo un bell’oggetto, è un piacere stargli davanti, ma quando il nostro ego ci ordina, "io voglio questo", noi dobbiamo ignorare quel suono e dobbiamo concentrarci solo sull’essere nel momento. La nostra pratica di meditazione e attenzione (settimo e ottavo sentiero) ci permette di acquietare la nostra mente e penetrare la bellezza del momento. Poco a poco, l'ego, che non è nient’altro che una serie di stratificazioni di opinioni, comincia a scomparire come quando si spella lentamente una cipolla. Non c'è alcun ‘sé’ rimasto a volere qualcosa, e però c'è tutto un universo che può essere goduto nel momento. Questo stato illuminato non potrà mai presentarsi, a meno che noi non si sia propriamente disciplinati nel frenare la mente  dominata dall'ego nel suo collegamento con i sensi, per farci stare fuori dal momento ed in un vortice di insistente bramosia. 

La successiva sfida del Sentiero è di superare l'accidia mentale, nella forma di una mente ottusa e sonnolenta. Non c'è alcuna possibilità di ottenere qualche guadagno mentale sia intellettuale o spirituale, se la mente sta languendo nel torpore. La pratica della concentrazione spirituale richiede una mente vigile e motivata. Parecchi studenti di meditazione si lamentano con me di trovar difficile stare in allerta quando sono rilassati. Questo è il risultato di una dipendenza all’eccitamento nella vita quotidiana che fa esaurire mente e corpo. Quando il corpo e la mente hanno l'opportunità di riposarsi da questo continuo tumulto, cadono naturalmente nel sonno e nell'inconsapevolezza. Così, questo problema non può essere risolto semplicemente applicando una o l’altra tecnica di meditazione. Vi si può rimediare solamente cambiando il modo in cui ci si riferisce alla vita, così che la mente si abitui alla tranquillità ed all'equanimità nel mezzo della stessa attività. Poi quando dovrà confontarsi con l'opportunità per meditare, essa se ne resterà naturalmente calma e riposata. La meditazione deve avvenire come una naturale parte della propria vita e dev’essere fatta in modo costante. Se qualcuno vive una vita basata sull’eccitamento e l'attaccamento al mondo, allora la meditazione non avrà un effetto permanente sulla loro qualità di vita. Infatti, ciò sarebbe come andare ad una riunione di Alcolisti Anonimi di mattina ed essere presente nei cocktail-party di sera. 

Un atteggiamento mentale come quello appena descritto è per metà la ragione per cui gli studenti soffrono di una mente assonnata ed ottusa. L'altra metà, di solito è a causa di cattive abitudini igienico-salutari, come disturbi della digestione, o semplicemente mancanza di esercizio, di riposo e poco sonno. La mente e il corpo sono in continua comunicazione e noi la rendiamo molto difficile, quando non ci prendiamo una ragionevole cura del nostro corpo. Il Buddha insegnò la Via di Mezzo e questo certamente si applica agli atteggiamenti verso la salute. Noi dovremmo fare del nostro meglio per un ragionevole mangiare, esercitarci, ed aver cura del nostro corpo. D'altra parte, si dovrà anche evitare appropriatamente un certo fanatismo riguardo alla salute. Il corpo è impermanente e nessun tipo di esercizio o dieta lo terrà vivo per sempre. Passare ore ogni giorno esercitandosi, e fare un'arringa agli amici sulle loro abitudini di salute non è definitivamente il segnale di una mente illuminata. Sorprendentemente, molti dei miei studenti sentivano che questo comportamento era in qualche modo adatto. Io l’ho considerato il risultato del condizionamento che in questa società si introduce continuamente sul mercato con l'idea di un’eterna gioventù. Io non li incoraggio certo in questo inganno, tuttavia se essi usassero nell’addestramento spirituale metà dell’energia che sprecano per i loro corpi, loro potrebbero essere già tutti saggi. 

Il gruppo finale degli ostacoli è composto da inquietudine e preoccupazioni. Esso è uno dei più facili da controllare degli stati mentali negativi. Richiede una ferma convinzione nell'efficacia dell'insegnamento ed una comprensione della realtà spirituale, trovata nel primo nobile Sentiero. Se uno crede fermamente nelle leggi spirituali di causa ed effetto e si dedica ad agire di conseguenza, nella psiche comincia ad avvenire una trasformazione miracolosa.  L’inquietudine, che è causata da una combinazione di paura e dipendenza agli stimoli, sensoriali e concettuali, è eliminata alla radice quando la mente si insedia in una visione spirituale del mondo. Comprendere che il proprio vero essere non è affatto diverso dalla stessa Mente di Buddha è realizzare la libertà dalla paura. Noi dobbiamo semplicemente agire con compassione in una maniera costante. Il risultato sarà una compassione diretta ancora e ancora nella nostra vita. Nell’analisi finale, lo sforzo che esercitiamo nella nostra pratica è efficace fino al punto in cui abbiamo imparato la lezione dei sentieri precedenti. Gli studenti di Dharma che si scoprono incapaci di sforzo sostenuto nella pratica invariabilmente sono carenti in diligenza nell'aderire ai primi quattro nobili sentieri. 

In Occidente, noi siamo diventati così abituati a separare le funzioni dallo scopo dell’analisi che non riusciamo più a vedere l'importanza dell'intrinseca dinamica di interrelazione, che costituisce la realtà. Mentre tutti gli aspetti della realtà sono relativi, la realtà in se stessa è assoluta. Quando non c’è questa comprensione, noi ci perdiamo nella prospettiva, che è un tipo di sonno spirituale. Allora diventiamo capaci di razionalizzare le azioni distruttive perché isoliamo gli effetti di quelle azioni a ciò che la nostra prospettiva illumina al momento. La conseguenza spirituale di ciò, è simile all'effetto di usare indiscriminati pesticidi nell’agricoltura. Per ottenere l'effetto di uccidere gli insetti, noi inquiniamo anche la fattoria, che a lungo andare viene più danneggiata che non la minaccia degli insetti. Così, è assurdo concentrarsi troppo sulla fede, sulla meditazione, o sulla moralità, al punto in cui tutta la vita spirituale è eclissata da questa singolare ossessione spirituale. La perfezione dello sforzo spirituale si trova in un equilibrato approccio alla vita che vede come integrante ogni parte del Sentiero spirituale. Per stimolare pienamente questa integrità spirituale è necessario essere a conoscenza di ciò che ci viene richiesto al momento. Senza questa utile consapevolezza noi non abbiamo una direzione per il nostro sforzo, ed ecco perché il nostro prossimo Sentiero di azione è il Sentiero della Retta Attenzione. 

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7 - RETTA ATTENZIONE

La Retta Attenzione (o Consapevolezza) è la base su cui la meditazione è radicata. È la fonte della realizzazione di tutti gli altri sentieri. La Retta Attenzione tira via l’attenzione ordinaria dalle fantasie dell'ego, e la porta nella realtà del presente. Quando è ben applicata, non c'è alcuna possibilità di avere la visione, la risoluzione, il parlare, il sostentamento, o lo sforzo che non siano più che corretti. Questa Consapevolezza buddhista vede il mondo, tanto oggettivo che soggettivo, come un processo e non si perde in un senso di falsa identità. Non c'è una vera vita di meditazione senza l’applicazione della Retta Attenzione. Semplicemente sedere e fare meditazione non è sufficiente per portare uno all’illuminazione, perché non possiamo stare per sempre in meditazione. Noi dobbiamo vivere ed agire nel mondo, quando non stiamo seduti in meditazione. L’essenza della meditazione si trova nella tranquillità, nell'accettazione e nell'equanimità, ma queste non hanno significato se non ci sono disponibili nella vita quotidiana. 

La Natura di Buddha, o la stessa realtà, non è nascosta dietro ai fenomeni né è qualcosa che dobbiamo ottenere.  La Natura di Buddha è presente in tutta l’esistenza, che include i nostri stessi processi conoscitivi così come la realtà fisica. Infatti, se in sostanza vi fosse una differenza essenziale tra la realtà soggettiva e la realtà oggettiva, la coscienza, come noi la conosciamo, sarebbe impossibile. Per esempio, quando ci svegliamo da un sogno, il sogno è svanito perché essere svegli e sognare sono fenomeni contraddittori. Ogni qualvolta sperimentiamo la realtà di tutti i giorni, noi siamo in grado di sperimentare il nostro stesso processo epistemologico interno, simultaneamente col diretto contatto del mondo esterno. La coscienza non richiede che la nostra mente vada in una sorta di modello input-output, come fa un computer, separando l’esperienza da noi stessi. Al contrario, noi sperimentiamo la realtà come noi stessi. 

Noi siamo in grado di sperimentare la realtà perché tutta l’esistenza è un dialogo interno con se stessa. L’ospitante è l'ospite, l'ospite è l’ospitante (cioè chi cerca e la cosa cercata, sono la stessa cosa). Non c'è una realtà speciale da ricercare, che sia separata dalla nostra stessa natura. Semplicemente, Noi siamo la realtà. Questa realtà, tuttavia, è il semplice “così è” (quiddità), non è le idee o i concetti, ma l’essere, in se stesso. Con le parole di Meister Eckhart, "Existence es Deus"; L’Esistenza è Dio. Nello Zen, noi diciamo ‘i fiori sono rossi, le foglie sono verdi’. L’Attenzione è il ‘gioioso entrare’ nel nostro stesso spirito, il presente. Esso è l’abbandonare l’attaccamento ai modelli di esistenza sotto forma di parole e concetti e penetrare con fragore direttamente attraverso il muro di ghiaccio del ‘sé’. Idee e pensieri sono parte del fenomeno della vita, e devono essere godute in libertà. Questa libertà richiede che noi si debba essere costantemente consapevoli, che ogni ideazione è essa stessa vuota di realtà permanente, e nulla più che un fenomeno. I pensieri non sono né reali né irreali. Non c'è da accettarli, né da rifiutarli. Lasciamo solo che vi siano. Sensazioni e percezioni sono sperimentate come nubi che attraversano un cielo blù, incorniciando la bellezza del cielo, né togliendo né aggiungendo perfezione alle loro imperfezioni, o illimitatezza ai loro limiti. Esse sono solo così. Inchiostro nero su carta bianca. La mente consapevole, allora, è mente di libertà. Essa è disciplinata da gioia ed azione, esprimendo se stessa in compassione ed energia. 

Normalmente, noi pensiamo alla disciplina come un'attività che rafforza ed esterna il codice di condotta di un ‘sé’ che le resiste. Tuttavia, l’attenzione è una disciplina che è intrinseca alla nostra natura, quando siamo liberi dalla schiavitù del nostro ego. Che poi noi si sia inconsapevoli, è dovuto al nostro attaccamento al senso del ‘sé’, il quale ricerca continuamente esperienze, piuttosto che controllare se stesso. Essenzialmente, l'ego non è nulla di più di un continuo processo di riferimento che è rivolto verso se stesso, al punto in cui l'esperienza immediata è diventata secondaria rispetto ai concetti ed al sentimento personale. Quando noi sperimentiamo una qualsiasi cosa, l'ego comincia immediatamente a riferire l'evento in termini della sua stessa capacità di comprensione. Questo rimuove la nostra attenzione dalla cosa in sé, e la dirige verso i nostri sentimenti riguardo all'evento. La nostra esperienza della realtà, mentre è dominata dall’ego, diventa inestricabilmente legata ai sentimenti personali. Il mondo assume allora un aspetto personale che ha una connotazione piacevole o sgradevole di esso, a seconda dei casi. La nostra esperienza non rimane a lungo oggettiva, ma diventa soggettiva per natura. 

Le sensazioni personali sono l'apparato concettuale che ci distacca dall'esperienza diretta della realtà. Le sensazioni personali non sono la stessa cosa delle emozioni, che sono le naturali risposte a situazioni primarie. Le sensazioni personali sono risposte secondarie legate ad una struttura concettuale ed emotiva, che interferisce con la nostra capacità di auto-comprensione. Questa costruzione oscura il Sentiero dell’auto-comprensione, anziché illuminarlo. L'emozione è primaria, come opposta al sentimento personale. Essa comporta una naturale risposta istantanea agli stimoli, come la paura che noi potremmo sperimentare quando improvvisamente scopriamo un serpente a sonagli lungo la nostra strada. In altre parole, l'emozione è una risposta organica ad un particolare evento della vita. La sensazione personale, d'altra parte, è un complesso di memoria emotiva contenuta all'interno di una struttura concettuale che non lascia spazio ad una immediata risposta al momento, senza rifarsi alla sua stessa complessa matrice. Liberarsi della sensazione personale vuol dire che noi ritorniamo ad una più semplice, più diretta relazione emotiva col processo della nostra vita. Una persona non è più legata dal condizionamento passato ai modelli emotivi, bloccati in una matrice di esperienze personali ed emozioni passate. Questo permette ad un individuo di sperimentare pienamente la vita nel presente, senza portarsi dietro il carico della storia di una vita di emozioni. E l'emozione nel presente non è più interrotta dai modelli del passato. Noi siamo liberi di sperimentare la nostra vita in un modo organico piuttosto che attraverso la schiavitù del condizionamento patologico. Questo non significa che noi si debba tarpare la nostra memoria. Noi siamo ancora in grado di ricatturare le emozioni passate. Solo che queste emozioni passate non sono più capaci di disgregare la nostra vita attraverso la creazione di modelli negativi di condizionamento. 

L'unico modo in cui si può realizzare questa liberazione è attraverso un sistematico dissotterramento di questi modelli emotivi. Questo dev’essere fatto in un ambiente controllato che possa facilitare il processo di separazione delle emozioni dalla struttura concettuale nella quale risiedono. Ciò che noi stiamo facendo, è di disinnescare la nostra memoria, e perciò dovremmo stare ben attenti, come se stessimo seduti su una bomba, perché se tentiamo di farlo senza la corretta preparazione e diligenza, potrà avere lo stesso esplosivo risultato! La trasformazione della nostra psiche è analoga alla trasformazione del bruco in farfalla. Il nostro ego con la sua struttura del ‘sé’ è un bozzolo psichico dal quale noi emergeremo trasformati quando il nostro sviluppo sarà completo. Esso evolve fin dall’infanzia per far sviluppare in noi un senso del limite necessario alla sopravvivenza. Comincia con la coscienza del corpo, diventa consapevole di mani, piedi ecc. e poi evolve in una matrice di relazioni, collegata a questo tipo di funzione. Per esempio, quando la nostra mano tocca il fuoco, noi sperimentiamo il dolore e così all'esperienza del fuoco sorge una paura o un senso di rispetto. Ovvero, cominciamo a considerare il fuoco come una cosa che esiste in relazione a noi. Ciò è diverso dall’esperienza infantile che lo percepisce soltanto come oggetto della coscienza. Prima dello sviluppo dell'ego, gli oggetti esterni sono sperimentati soggettivamente come in un sogno. Perciò, l’esperienza del mondo dell'infante è come quella di un sogno, in cui tutti i contenuti del sogno sono il ‘sé’. Una volta che ha inizio un senso di separazione con l'esperienza relazionata, una correlata emozione comincia a legarsi all’esperienza. Ecco quindi, perché questa energia dell'emozione può essere utilizzata come un elemento vincolante che focalizza la nostra attenzione ad un particolare Sentiero di sviluppo. Lo stato di coscienza che ne seguirebbe, senza una forza vincolante ed emotiva, potrebbe facilmente far precipitare in un caos, in mezzo ad una miriade di input sensoriali. L'emozione, perciò è una primaria forza vincolante che aiuta a mantenerci concentrati nell’infanzia. 

Nell'adulto ben istruito, l'emozione esprime un tipo di energia unificante tra il mondo e l'individuo. L'emozione, per un bambino, è coercitiva per natura, perché un bambino indulge in una coscienza che non si è ancora pienamente  delineata in realtà soggettiva ed oggettiva. Poiché non c'è nessun punto di riferimento oggettivo da vedere come un fondale all'emozione, l'emozione diventa onni-inclusiva alla coscienza. Naturalmente, questo rende il bambino incapace di agire se non esprimendo una semplice emozione. Che questo fatto non minacci la sopravvivenza è solo grazie alla protezione provvista dai suoi genitori. Un bambino allevato in una casa emotivamente matura imparerà dai suoi genitori come affrontare il mondo, in modo da non cercare di riferire tutti i fenomeni ad un'emozione. Nel bambino si svilupperà così un senso del ‘sé’ che è relazionale, ma motivato razionalmente anziché emotivamente.  Al contrario, se l’esperienza del mondo familiare del bambino è in relazione all'emozione, allora egli svilupperà una dipendenza all'energia dell'emozione stessa. Allorché il senso di ‘sé’ comincia a crescere, esso legherà in modo non opportuno il contenuto emotivo a tutte le aree della sua auto-comprensione. 

Perciò un bambino che non faccia parte di una squadra di baseball può sperimentare paura e depressione del tutto inappropriate all’effettiva importanza oggettiva dell'esperienza. Il bambino, in questo esempio, ha identificato certi aspetti del suo sé con un modello direttamente collegato ad una primordiale struttura dell’ego che in qualche modo definisce la sopravvivenza. La depressione è un stato emotivo, non un'emozione. È la risposta dell’organismo psico-fisico al collegamento della vita primordiale che minaccia la risposta emotiva ad un fenomeno continuativo. La sua psiche non è capace di tollerare questa prolungata crisi emotiva. Ciò che ne consegue è la creazione di uno stato emotivo che è la reazione della psiche ad un inaccettabile modello di emozione a cui è stato abituato. Se il modello di emozione fosse lasciato intatto, potrebbe esaurire l'organismo. Ad esempio, la depressione è una sorta di risposta organica all'identificazione di un continuo modello minaccioso di emozione non vitale con questa base di paura primordiale. L'organismo psicofisico non può tollerare il sostenuto stress di tale connessione e quindi si deprime tutto l’intero sistema emotivo. 

Tutto questo processo dell'emozione diventa patologico a causa dell'insistenza dell'ego nel riferire ogni fenomeno a se stesso. Lo stesso ego non è nient’altro che questo continuo riferirsi, e perciò, l'abbandono dell'attaccamento alla sensazione personale è sperimentato come una minaccia alla vita stessa. Un essere umano non ha bisogno di riferire le cose a se stesso per comprenderle, o apprezzarle, così come coscienza e ragione non sono affermate sul dialogo interiore, ma su un processo sistematico. Il dialogo interiore è il ‘modus operandi’ dell'ego, mentre la consapevolezza e l'analisi distaccata è la realtà della mente stessa. L'emozione è la dialettica immediata della mente-corpo verso il mondo. Perciò, è un legittimo soggetto dell’attenzione, così come è un fenomeno esterno. Il Buddha tradizionalmente insegnò che ci sono quattro aree di attenzione per la Retta Attenzione. Esse sono il corpo, le sensazioni personali, gli stati di coscienza e i fenomeni esterni. Il primo oggetto di Attenzione è il corpo che in Occidente è qualcosa che ha assunto un significato quasi sacro. Il corpo di una persona è ciò a cui essa è più legata in termini di identificare se stesso. Quando ad una persona viene chiesto di descrivere se stessa, essa inizia quasi invariabilmente con una descrizione dei suoi attributi fisici. ‘Io sono alto sei piedi, sono biondo, occhi blu’, ecc. Il corpo è un fenomeno miracoloso. Un microcosmo dell'universo stesso. Come l'universo, esso è un intero che non esiste aldifuori delle sue parti, e la sua vera legge di essere è inestricabilmente legata con il processo e la interazione. Proprio come nell'universo nessun oggetto può esistere senza il cambiamento, venendo ad essere e poi cessando, anche il corpo non è diverso. La stessa natura del corpo esiste soltanto in modo identico con questo processo di vita e morte. Per esempio, la stessa struttura del DNA rende possibile la vita ma garantisce anche che non può continuare per sempre e la sua inerente composizione chimica respinge l’infinita auto-riproduzione delle cellule. Ciò che è eterno non può essere vivo. Per essere viva, qualsiasi cosa deve essere mortale. 

Sapendo questo, noi possiamo dirigere la nostra attenzione sul nostro corpo e nel momento realizzarne i fluidi e la natura transitoria, liberandoci dall'attaccamento ad esso. Il corpo è pressocché deificato nell’attuale nostra cultura come se fosse qualcosa di importanza religiosa. L’attenzione ci dice che il corpo è in un costante flusso. Esso è una enorme sacca di fluidi che non ha nessun fascino inerente, ma contiene soltanto sangue, bile, orina, pus, saliva, ecc. Cercare di preservare il corpo all’infinito è un segno di qualcuno che non ha capito la natura della realtà. La vita non è possibile senza la morte. La crescita non è possibile senza la trasformazione. Invecchiare non è solo un segno di decadimento, ma anche un simbolo di trasformazione. La vita non ha significato senza la trasformazione, perché è identica ad essa. La morte, d'altra parte, è la vera manifestazione del non-cambiamento. Parlare della vita eterna per un individuo è parlare in termini di contraddizione. Perché una cosa sia viva, deve essere mortale. Ciò che non cambia non può essere vivo, poiché la vita è processo, e perciò cambiamento. La vita come processo si alimenta di trasformazione, che significa morte delle cose individuali e la loro trasformazione in altre cose. La vita stessa è eterna perché include tutte le trasformazioni in essa come eterno processo. Le cose individuali che hanno vita condividono l'eternità nella vita, ma non sono eterne in se stesse. 

Il processo di consapevole attenzione è analogo alla coltivazione dei campi da parte del contadino. In ciascun caso, una persona è presentata con uno specifico spazio che richiede attenzione. Nel primo caso, quello spazio è fisico, mentre nell'altro, è spazio mentale o spirituale. Come nel caso di ogni cosa vivente, il processo della coltivazione agricola e dell’attenzione comporta l’interazione di elementi diversi, che creano un intero. La personalità umana per natura non è buona o cattiva riguardo al suo potenziale per l’azione morale. È come un campo che contiene al suo interno una vasta riserva di nutrienti capaci di sostenere un’ampia varietà di vita. Quello che cresce nel campo è determinato da ciò che è coltivato in esso. Se si lascia crescere maggese, allora erbacce ed erbe selvatiche saranno abbondanti, se invece viene coltivato, allora saranno abbondanti buoni raccolti. Come l'agricoltura, la coltivazione spirituale è un processo passo a passo. Prima noi ci accordiamo ad una specifica area della concentrazione, come le nostre emozioni o la contemplazione del nostro corpo. Poi aggiustiamo la nostra concentrazione a tutto ciò che la nostra vita ci presenta al momento, come un naturale oggetto di concentrazione. Quando mangiamo, noi stiamo solo mangiando; concentriamoci pienamente sul masticare, assaggiare, ingoiare. Nel buddhismo Theravadin, c’è una sistematica indagine meditativa in ognuno degli oggetti della Retta Attenzione. Nello Zen, lasciamo che il momento presenti se stesso e prenda la nostra direzione dal fluire di questo momento. Nessun Sentiero è superiore all’altro, ma il primo richiede un certo aumento di isolamento, mentre l’Attenzione Zen è più adatta all’applicazione nella vita quotidiana. 

‘Essere nel momento’ momento per momento, è un compito molto difficile ed esigente. Invece, noi andiamo oltre questo momento e guardiamo al futuro come una innumerevole catena di momenti a cui aggrapparsi. Se noi siamo in questo momento, allora c'è solamente questo momento. Paura ed esaltazione spariscono entrambi nella vacuità, e vi è solo il leggere, parlare, mangiare, camminare e così via. Noi non dovremmo rendere la nostra vita più difficile aggiungendovi le aspettative, e sbagliare direzione a causa dei desideri. Avere una precisa direzione è lavorare per il futuro restando nel presente, consapevoli che il futuro non si può mai afferrare. Il futuro è una fantasia. Quando noi ci arriviamo dal passato, esso si trasforma in un sogno. La giusta direzione è necessaria se dobbiamo portare a termine qualcosa, ma non richiede che si debba legare le nostre azioni ad uno specifico risultato. Nel fare così, si ignora la natura effimera e transitoria della realtà in cui non ci sono garanzie. La corretta applicazione della Retta Attenzione rispetto al nostro lavoro, vuol dire applicare un attitudine di sacrificio verso i nostri sforzi. Noi stiamo sacrificando il frutto dei nostri sforzi allo sforzo stesso, senza speranza o paura. Senza questo sacrificio, non è possibile creare il ‘momento per momento’, e noi saremo persi nel labirinto dei nostri stessi desideri. Per capire che le nostre sensazioni ci aprono l’ingresso all'attaccamento emotivo, noi dobbiamo rimanere attenti nel controllare il collegamento tra le semplici sensazioni e le strutture emotive che esse provocano. Se noi non applichiamo la Retta Attenzione a questo processo, saremo trascinati via dal torrente dei condizionamenti passati, e questo ci porterà fuori dal momento presente e  ci proietterà nel passato o nel futuro. 

Un'area difficile che i moderni studenti di Dharma devono affrontare è il loro attaccamento alle loro stesse opinioni.  Le opinioni sono fenomeni che, per natura, sono limitati e transitori. E questo è pure il caso delle opinioni spirituali.  Esse sono proprio così vuote, come le opinioni politiche o di qualunque altro tipo. Eppure gli studenti credono di poter andare in giro con un bagaglio di opinioni e poter ancora progredire nella Via. Ad essi non piacciono gli insegnanti o le tradizioni specifiche, e spesso a loro non piacciono neppure il loro stessi compagni di pratica perché sono troppo conservatori o troppo liberali. Anche le opinioni di un Maestro Zen non sono diverse dalle opinioni delle altre persone. Esse non hanno una loro realtà intrinseca. Mentre io non ho nessun problema a condividere le mie opinioni con gli altri, non sono minimamente preoccupato della loro validità ultima. Esse sono solo opinioni! Allora, qual è la differenza tra le opinioni e le comprensioni spirituali? La differenza è che la comprensione spirituale, nella misura in cui è vera, non interessa all’ego. Ovunque l'ego si senta interessato, ogni visione non è che un’opinione.  La comprensione spirituale non ha niente a che fare con il giudizio, ma ha a che fare con la decisione. Essa non dice che questo è buono perché quello è cattivo, ma questo è buono perché è buono, e quello è cattivo perché è cattivo. La comprensione spirituale riferisce tutto nel momento. La domanda da farsi è, quali sono i mezzi abili che producono la saggia azione compassionevole, in questo momento? L’attenzione che è richiesta nella comprensione spirituale del momento, raramente è complicata se siamo diligenti studenti dell’Ottuplice Sentiero. Diversamente, se la nostra vita non è in accordo con esso, noi siamo guidati dall'opinione dell’ego e qualunque scelta è in potenza complicata. Ovviamente, tutto ha inizio con la Retta Visione. Bisogna essere sicuri che queste siano davvero visioni corrette, e non corrette opinioni. 

Due persone possono avere identiche visioni, ma una di esse può avere la comprensione mentre l'altra ha soltanto opinioni. Non è l’idea che possiede la realtà, ma la realtà dietro all'idea, che determina se una visione è opinione o comprensione. Se qualcuno vive veramente con una certa visione, totalmente impegnato in essa, vivendo una vita coerente con essa, come abbiamo visto nell'interpenetrazione dell’Ottuplice Sentiero, allora quella vita è fatta con la comprensione. Il marchio di garanzia di qualcuno che ha la comprensione, è che mentre egli è radicato nella vita spirituale, pure ha la flessibilità dentro di sé. Egli non è neppure interessato alle sue stesse opinioni, molto meno a quelle di qualcun altro. Anche se qualcuno avesse memorizzato tutti i vari insegnamenti dei sutra buddhisti, ma non è stato in grado di impiegarli nella sua vita, tale persona è una mera sacca di opinioni. Se un'altra persona non ha che un semplice apprendimento di base del Dharma, ma lo riflette nella sua vita e nelle sue azioni, allora questa persona ha la comprensione. Il primo indulge nella sua opinione mentre il secondo dimora nella verità. 

Quando arrivai la prima volta a San Diego, io ebbi il desiderio di avere un contatto con uno degli insegnanti anziani di buddhismo nell'area. Io pensavo che sarebbe stato bene mantenere un’amichevole relazione, dato che noi tutti condividiamo lo stesso scopo. Poiché questa persona era molti anni più anziano di me, io naturalmente rispettavo la sua età e la sua vasta esperienza. La mia età e la mia esperienza manifestano un approccio leggermente diverso al Dharma, ed io pensai che ognuno dei nostri gruppi, pur mantenendo il loro proprio metodo, potevano l’un l’altro completarsi. Tuttavia, mi fu riportato che l'altro insegnante sentiva che io ero troppo giovane per essere un buon insegnante, e mi paragonò a molti altri giovani insegnanti che erano stati coinvolti in errori di moralità. Tutto ciò,  senza aver alcun contatto con me, se non una telefonata di cinque minuti! Questa notizia non mi disturbò affatto, poiché io in questo momento posso coinvolgermi solo con la retta azione. Io non so se sono un buon insegnante o un cattivo insegnante, troppo giovane o troppo vecchio. Io posso solo inchinarmi con rispetto a questo insegnante per avermi ricordato di controllare bene i miei passi! Le opinioni sono solo opinioni, non c'è alcuna ragione per dar loro considerazione o averne timore. L'indicazione più sicura per sapere se un insegnante di Dharma è un’occhio acuto o no, sta nella sua libertà dalle opinioni, pur mantenendo una severa moralità. Se egli è inflessibile e rigido mentre giudica chiunque, oppure è selvaggio e moralmente sciolto, allora egli è un cieco che guida i ciechi. La Retta Attenzione richiede libertà dalle opinioni, sia proprie che altrui, perfino se quelle degli altri possono essere la base di meritare i titoli spirituali. Il vero insegnamento deve integrarsi con la propria comprensione, altrimenti non ha valore.  

La consapevolezza richiede l'abbandono delle opinioni, poiché l’effetto del mantenere le opinioni altera la nostra attenzione dal momento presente. Il momento in cui cadiamo nella catena soggettiva di credenze che ci legano al nostro ego, noi siamo trascinati via dal momento. Nessuna opinione se ne sta isolata dall’intero complesso delle opinioni che va a creare il nostro falso senso di sé, l'ego. Non c'è nessuna prospettiva da poter sostenere che non sia la causa di una reazione a catena di schiavitù soggettiva che vede il mondo come sé e gli altri. La comprensione spirituale, d'altra parte, è un'attività che unisce la nostra coscienza al presente, riconoscendo che il nostro ‘sé’ è il processo del momento. Tenere fortemente alle opinioni e tentare di praticare la consapevolezza del momento non è semplicemente possibile. La nostra vera natura è un processo dinamico. Vita che trascende vita e morte, ma non è separata da loro. Le opinioni più difficili da liberarsene sono quelle che riguardano noi. Noi teniamo fortemente a quelle parole che ci definiscono in una maniera statica. Noi siamo bravi, gentili, buoni, fedeli, onesti, e così via.  Queste sono mere opinioni, perché infatti in questo momento c'è solo l'opportunità di applicare la gentilezza, l'onestà, e le altre virtù. Una rapida analisi delle azioni passate è proprio come produrre una serie negativa di auto-definizioni, ma l’auto-opinione, sia positiva che negativa, non ha alcuna validità nel trattare col presente. L'unica energia capace di soddisfare adeguatamente la sfida della consapevolezza è la duplice energia della saggezza-compassione che considera tutti gli eventi parte di sé, e tutti gli interessi delle creature come l'interesse del suo proprio cuore. Il fiorire di questa energia avviene nella pratica di meditazione, il nobile sentiero finale della Via del Buddha.  

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8 - RETTA MEDITAZIONE 

Il Sentiero finale della Via del Buddha è la Retta Meditazione, la pratica di tutti i Buddha e Patriarchi. Mentre la meditazione è la più diretta e semplice degli otto sentieri, essa è anche la più remota e lontana dalla nostra vita di ogni giorno. Sia che stiamo su un Sentiero spirituale o no, noi utilizziamo una visione del mondo, abbiamo delle intenzioni, facciamo dei discorsi, lavoriamo, scegliamo dei corsi di azione morale, ed applichiamo pure un po’ di attenzione nella nostra vita di ogni giorno. Tuttavia, noi non meditiamo come parte naturale della nostra esistenza normale. Questo, perché la meditazione porta con sé una qualità esotica nelle menti della maggioranza dei non-praticanti. Insieme a ciò, c’è tutta una serie di riferimenti fantastici ai poteri magici che possono essere raggiunti attraverso la pratica della meditazione. Allora, si presume che siccome la stessa illuminazione è il risultato finale della meditazione, anche l’illuminazione deve essere una sorta di magico stato dell’essere. La verità della realtà della meditazione è totalmente opposta, come qualunque studente di Zen che abbia passato anni a schiacciare il kopak (cuscino rotondo) con le sue natiche potrà attestare. Sedersi quietamente, confrontando il vasto panorama della nostra stessa ignoranza finché non la si esaurisce, è tutt’altro che magico. La miglior descrizione di una buona meditazione è che non vi è affatto nulla di speciale, ma solo meditazione. La Retta Meditazione è così noiosa che quella stessa noia si rivolta contro se stessa finché svanisce. Quando la noia e l’eccitamento spariscono entrambi, allora poi l’illuminazione arriva. 

L’Illuminazione stessa è noiosa fintanto che è illuminazione. La meditazione deve diventare parte di quella vita di tutti i giorni, come il mangiare, il dormire, il camminare, ecc. altrimenti non è la retta meditazione. Come tutti gli altri sentieri, essa è un'attività che è intrinseca alla vita del praticante. Noi non dobbiamo meditare per raggiungere l’illuminazione o migliorare noi stessi. Noi meditiamo perché è il nostro Sentiero, quello di meditare. In altre parole, la spinta per meditare deve saltar fuori dagli altri sette sentieri, che cominciano con la retta visione arrivando alla retta attenzione. Se non è seguita dalla continuata applicazione dei principi dei sentieri precedenti, allora non può essere retta meditazione. Non è solo la tecnica di meditazione che determina se la meditazione è corretta o no, ma la realtà della meditazione come parte dell'esperienza nel corso di una vita illuminata che è l’Ottuplice Sentiero. Ci sono numerosi tipi di meditazione che sono tradizionali ed efficaci, purché siano coerenti con la totale pratica dei praticanti. Quella pratica non può essere separata dalla vita stessa. La meditazione ha inizio nel Sentiero della Retta Visione, che dirige la nostra attenzione verso la realtà che ci è nascosta dalla nostra ignoranza e che ci può essere rivelata attraverso la meditazione. Se noi non comprendiamo pienamente l'importanza di capire la natura della vita spirituale, noi non saremo capaci a padroneggiare propriamente la meditazione. 

Proprio come nel caso degli altri sette sentieri, la meditazione si interpenetra con tutti gli aspetti della nostra vita spirituale. Essi a loro volta mettono sempre in atto i nostri sforzi per meditare. Quello che sto dicendo, è che due persone possono meditare usando identiche tecniche, ma mentre una può ottenere risultati che rinforzano la sua vita spirituale, l'altra rischia di finire in un ospedale psichiatrico. Non è la meditazione stessa che produce entrambi i risultati, ma la vita dell'individuo per come egli reagisce, e come effettua gli sforzi della meditazione. Non è necessariamente il flusso nel modo in cui la tecnica di meditazione è applicata che produce il disastro (anche se l’applicazione scorretta della meditazione è pericolosa), ma una vita incoerente con l'energia della meditazione che versa quell'energia dentro lui. Sta qui il pericolo, nella nozione di meditazione come una cura per tutto. La Retta Meditazione è soltanto "Retta", cioè è spiritualmente efficace se è coerente col resto dei nostri sforzi spirituali. La meditazione non guarisce i problemi della vita, essa stimola la mente per poter trattare con quei problemi oppure per gonfiarli dando ancor più potere all'ego. Questa è la ragione per cui talvolta una meditazione potente porta alla caduta in stati angosciosi. Quando la vita non è coerente con l’Ottuplice Sentiero, una meditazione tenace può rinforzare l'ego invece di dissolverlo. 

Il pericolo essenziale della meditazione, quando è fatta come un mezzo per un fine, è che nega l’intero processo di una vita spirituale, che è vivere la propria vita priva di attaccamenti. Come abbiamo già visto, è una buona cosa avere la direzione per delle mète, ma solo finché quelle mète sono viste come potenziali. Quando noi vediamo le nostre mete come potenziale, non ci perdiamo nel desiderio. Noi possiamo rimanere consapevoli della realtà della natura dinamica dell’esistenza, che preclude ogni possibilità delle nostre aspirazioni a ottenere la natura statica della prevista realtà. La realtà prevista è la natura della nostra visione del futuro ed è fondamentalmente illusoria, perché non può portare nel totale dinamico della nostra esperienza nel momento. Il futuro previsto arriverà come un presente, completo con gli stimoli uditivi, visivi, olfattivi e tattili appropriati al momento. Così come gli input sensoriali, abbiamo anche le sensazioni sottili presenti nella nostra coscienza. Queste sono basate su concezioni emotive e mentali che operano insieme coi nostri sensi per creare la nostra consapevole attenzione nel momento. Questo campo di coscienza è la nostra realtà, e quando noi lo lasciamo per ponderare un desiderato risultato futuro, noi stiamo partecipando nell'attività dell’ignoranza, che è identica alla sofferenza. La meditazione comporta il totale impegno al momento. È la manifestazione simbolica e letterale della natura della nostra pratica spirituale. Sedere in meditazione è la vera essenza della pratica. Consapevolezza senza scopi che accetta tutto e non rifiuta niente. 

La Retta Meditazione diventa l'energia del nostro Sentiero spirituale, non perché è qualcosa di extra che noi aggiungiamo alla nostra vita per darle un significato, ma perché è l'essenza stessa della pratica. Questo punto non può essere mai sottolineato abbastanza, poiché l'atteggiamento generale di molti praticanti sembra essere che essi debbano sedersi per raggiungere qualcosa. Sfortunatamente, questo approccio alla meditazione tende a ridurla ad una mera tecnica, svuotandola di ogni possibilità di farla essere un'attività illuminata. La Retta Meditazione è una attività illuminata nel suo modo di essere, proprio come l’azione compassionevole è l'attività illuminata nel suo modo attivo, ma entrambe queste attività sono co-interdipendenti. L'universo è un truogolo di modelli di energia.  La forma stessa, come materia, non è nient’altro che questa dinamica. I Cinesi hanno simboleggiato questo come lo yin e yang, azione e non-azione, perfettamente interconnesso e rappresentato nel cerchio del Tai Chi. L’oscuro che abbraccia la luce e la luce che abbraccia l’oscuro. La devianza occidentale verso l’azione vede la meditazione come uno spreco di tempo, a meno che non produca un qualche concreto risultato, come l’abbassamento della pressione del sangue. Di conseguenza, questo è il motivo per cui essa è una forte tentazione per alcuni insegnanti di mercificare i meriti della meditazione. 

La meditazione per i risultati è del tutto corretta, finché non è fatta passare come meditazione buddhista. Dato che il buddhismo non si interessa ai risultati che si ottengono, ma al vivere la propria vita autenticamente. La dottrina buddhista sostiene che vivere la propria vita autenticamente ci libera dalla sofferenza e spinge la propria vita verso l’Illuminazione. La meditazione buddhista poi, è un atto di fede che è affermato in base alla comprensione spirituale.  Se la propria pratica è autentica, allora la meditazione si fonderà con essa e la fede diventerà inseparabile dalla comprensione. Questa è la pura fede buddhista, la fusione di comprensione con accettazione e impavidità. Perché, nel senso buddhista, la fede è impavidità, un'idea non facilmente comprensibile per l’Occidentale, che è abituato a definire la fede come una sospensione della ragione e accettazione senza remore di una dottrina religiosa. Alcuni hanno detto che la meditazione è la preghiera del buddhismo, ma io penso che ciò non sia molto esatto. Finché si definisce la preghiera come una comunione con un ‘Sé’ più alto, allora si può dire che la meditazione sia simile.  Tuttavia, nel buddhismo la meditazione è un'attività che non cerca l'affermazione, come di solito si intende l'essenza della preghiera. La preghiera mistica, come la troviamo descritta da Meister Eckhart e altri Cristiani, Ebrei e adepti Sufi, fa eccezione. La ragione è che in tali mistiche preghiere, la separazione tra Dio e l’uomo scompare. 

C'è una forte tentazione per i moderni insegnanti buddhisti a psicologizzare il buddhismo e venderlo come un’ultima forma di Psico-terapia. Le intenzioni di tali persone sono buone. In generale, essi vogliono che il pubblico condivida le benedizioni della loro pratica. Sfortunatamente, in questo processo essi finiscono per annacquare il buddhismo in misura tale che non è più autentico. Per esempio, vi sono alcune pratiche di Zen in America che raramente fanno menzione della parola Buddha, come se avessero paura di offendere i loro clienti. Queste pratiche hanno altarini senza le immagini del Buddha. I loro insegnati spesso portano delle tuniche, ma non ci sono paramenti buddhisti e loro cantano solo in Inglese, mantenendo nomi e titoli buddhisti Giapponesi solo per se stessi e così via. Potrei pure capire che, poiché dobbiamo far praticare il Dharma in America, alcune delle forme tradizionali dovranno essere cambiate, però forme miste di pratica sono testimonianza di un certo tipo di incoerenza mentale. Se ci separeremo dalla tradizione religiosa buddhista, allora che lo si faccia dal principio alla fine; nessun Buddha, nessun titolo Sensei o Roshi, nessuna tunica buddhista, anzi non portiamo più vesti tradizionali. E non fermiamoci là, rinunciamo pure a recitare i dokusan; nessun Buddha, nessun lignaggio, nessun bisogno di formalità. Ma una tale pratica non è il mio metodo, io posso rispettarla come reale e coerente con se stessa, come la Ottuplice pratica lo è per i buddhisti. 

Tutti gli strumenti liturgici sono essenzialmente arte, e come tale hanno una bellezza particolare che può rinforzare la propria pratica, finché uno non è attaccato ad essi. Quelli che scelgono di impiegare i rituali tradizionali possono far così per riguardo verso la loro bellezza ed il sentimento religioso, o per puro attaccamento. Ogni insegnante deve giudicare da solo come relazionarsi alle forme che usa nella pratica. Il problema è che la forma nonreligiosa di alcuni Zendo sembra essere una reazione alle esperienze negative degli insegnanti verso la tradizione, piuttosto che naturali espressioni di sentimenti. Quasi invariabilmente, quando io vedo una pratica priva di alcune immagini concrete dello Zen tradizionale, posso essere sicuro che l'insegnante in carica è stato in qualche modo nauseato da un insegnante tradizionale che aderiva strettamente alla tradizione esteriore, o da personali idiosincrasie culturali verso la cultura tradizionale che egli trova offensiva, come discriminazione sessuale o razzista. Sarebbe meglio per tali persone affrontare i loro sentimenti di discordia, perdonare, e lasciar andare, piuttosto che esorcizzarli alla maniera di gettare via il bambino con l'acqua sporca del bagno. Non importa quanto la nostra meditazione sia potente, e non importa come eloquentemente possiamo esporre il Dharma, se noi stiamo portando una borsa di escrementi chiamata tradimento sulla nostra schiena, la nostra pratica puzzerà, anche se poi siamo noi gli unici che possono sentirne l’odore. Dobbiamo imparare dal passato e dobbiamo adattarci al presente, ma anche perdonare il passato. Se noi non impariamo a perdonare, poi il passato rimarrà eternamente presente in un modo più insidioso. 

Purtroppo, ho anche delle notizie scioccanti per alcune persone. Se vi aggrappate alla nozione biblica dell'idolatria e siete offesi dall'artistica mostra delle immagini del Buddha, e non sapete sentire l'emozione sincera di gratitudine che è inerente in esse, allora per voi la pratica Zen è uno spreco di tempo. La meditazione che non sia religiosa fondamentalmente non è una corretta meditazione. Questo è un punto cruciale nel buddhismo, dato che la pratica spirituale non costituisce necessariamente una religione. Religione nel senso come noi la intendiamo in Occidente non è religiosa nel senso buddhista. Alcune pratiche buddhiste sono divenute religioni, mentre altre pratiche hanno perso il sentimento religioso, ed entrambi questi estremi non sono sinceramente buddhisti in spirito. Non c'è alcun Zen nella manutenzione della motocicletta, o di qualsiasi altra cosa, a meno che non siano presenti una profonda riverenza e gratitudine per il lignaggio nella forma di sentimento religioso. Io non insegno lo Zen senza Buddha, io non difendo lo Zen senza Buddha, ed io non incoraggio lo Zen senza Buddha (In Inglese: Buddha-less Zen). Non c’è niente di sbagliato nella meditazione per Cristiani e la pratica Cristiana autentica è un vero Dharma, ma non è Zen. Se uno ha una vera mente di meditazione, egli potrà trovarsi a casa in qualunque ambiente. Io dubito che lo Zen non-buddhista duri una generazione, molto meno di 2500 anni, perché non ci può essere una pratica autentica senza conformarsi all’Ottuplice Sentiero. Infatti, la maggior parte delle tradizioni non-buddhiste non soddisfano il criterio del primo Sentiero, la Retta Visione. Riverenza per gli sforzi di tutti i praticanti che sono venuti prima è la natura del sentimento religioso buddhista. Non un sentimento per la storia, ma per la crescente unità di spirito in cui il passato, il presente, e il futuro sono fusi. 

È assai difficile per le persone moderne abbandonare il loro amore per la tecnica, poiché la tecnica nella forma del metodo scientifico ha prodotto la società moderna. Tuttavia, lo studente della Via deve essere capace di impiegare la tecnica, realizzando la fondamentale vacuità di essa. C'è la nozione che noi possiamo rimediare a qualsiasi cosa se solo possiamo trovare la corretta tecnica da applicare. Sfortunatamente, abbiamo trovato, perfino nella scienza, che la realtà fuori del laboratorio non risponde solo alle tecniche, senza provocare ogni sorta di ramificazioni.  Uccidi i cattivi insetti, e uccidi i buoni insetti; uccidi gli insetti, e uccidi gli uccelli; uccidi gli uccelli, e uccidi le bestie; uccidi le bestie, e uccidi il suolo; uccidi il suolo e uccidi le piante, i ruscelli, gli oceani, gli scienziati. Oddio! Uno studente della Via non mangia per vivere, non respira per vivere, non dà agli altri per essere ricompensato, non ama gli altri per meriti o medita per l’illuminazione. Essere vivo significa mangiare, respirare e praticare l’Ottuplice Sentiero. Lasciate che gli uccelli volino, che i pesci nuotino e che i buddhisti meditino. Il momento che voi applicate la tecnica e dite che gli uccelli volano per raggiungere i loro nidi, i pesci nuotano per riempire le loro branchie con l’ossigeno e gli studenti di Dharma meditano per raggiungere la Via, voi avete separato lo scopo dallo Scopo. È del tutto corretto applicare lo scopo all'esame di un particolare fenomeno per poter capire l’immediato collegamento tra una causa ed un effetto. Dove si commette l’errore è quando questo scopo (con la ‘s’ minuscola) è confuso con lo Scopo (con la ‘S’ maiuscola) che è la vita stessa. Il finito può essere esaminato, l’Infinito solo sperimentato.  

Quando a Bodhidharma, fondatore dello Zen, fu chiesto il significato del suo arrivo in Cina dall'India per insegnare la Via, lui rispose, "L'albero di quercia nel giardino": L'albero di quercia nel giardino è lo Scopo, è la vita, è il significato. C'è soltanto quest’albero, eternamente di fronte a noi, che sta manifestando nel suo essere tutto il cambiamento e l’interazione con l'universo. Sperimentare questo è sperimentare il perché noi meditiamo. Noi meditiamo perché siamo meditanti; l'albero di quercia nel giardino. Jean P. Sartre, filosofo esistenzialista Francese, una volta guardò un albero, cercando lo scopo (con la ‘s’ minuscola) e tutto ciò che provò fu una nausea. Se egli avesse guardato l'albero con gli occhi della retta meditazione, avrebbe visto lo Scopo stesso che guardava lui. È solo perché esiste lo stesso Scopo che lo scopo non può essere trovato, ed è solo perché noi siamo già Buddha che possiamo praticare la meditazione. Similmente, Sartre non poteva trovare l’uscita perché non riconobbe che essa era identica all'entrata. Se nella meditazione cerchiamo uno scopo, invece di vivere lo Scopo come meditazione, noi proveremo di sicuro la stessa nausea di Sartre. I sistemi psicologici sono tecnica e non importa quanto efficace possa essere la loro tecnica, essi non condividono lo spirito essenziale della pratica buddhista. La pratica buddhista è radicata in saggezza e compassione, la psicologia è radicata nella conoscenza scientifica. La saggezza differisce dalla conoscenza perché non c'è separazione tra conoscitore e cosa conosciuta, mentre la conoscenza richiede l’isolamento delle cose nelle loro parti componenti per studiarne le interrelazioni. Non importa come noi cerchiamo di sfuggirvi, il buddhismo ha dietro di "né un’essenziale metafisica. Una cosmologia religiosa che vede la coscienza, non come un evento della materia, ma come il fondamentale costituente dell’Esistenza. Allora la meditazione non può essere altro che un atto religioso, poiché è l'assorbimento della mente limitata nella stessa Mente Assoluta. Essendo così, la stessa vita deve possedere la stessa essenziale qualità come meditazione. Senza questa prospettiva, non è possibile avere la retta meditazione, e per lo stesso motivo, retta visione, retta intenzione, retto parlare, retta azione, retta attenzione, retto sostentamento e retto sforzo. 

Per ottenere l'accettazione nella comunità scientifica, vi è stato un intenzionale abbassamento dell'aspetto religioso del buddhismo in favore dei suoi aspetti filosofici e psicologici. Questa non è del tutto una falsa presentazione della tradizione, poiché il buddhismo, in vari modi, non si adegua al paradigma che noi di solito riconosciamo come una religione. Il buddhismo non è basato teologicamente, né è affermato sulla fede, che lo divide da ciò che di solito noi intendiamo come religione. Tuttavia, esso ha tutte quelle insegne della religione tradizionale, liturgia, preti, sacre scritture e rituali, per non menzionare nel Mahayana l'adorazione di una miriade di semi-dei e di Bodhisattva. In realtà, tutti questi orpelli religiosi di base del buddhismo, molti dei quali sono di origine pesantemente sciamanica, sono il risultato dell'abilità sincretistica del buddhismo di assorbire le tradizioni culturali delle religioni pre-buddhiste. In molti casi, esso è ritenuto il suo fondamentale messaggio della vacuità dei fenomeni e la necessità della pratica spirituale secondo la tradizione buddhista. In altri casi, tuttavia, esso è stato assorbito nella cultura sciamanica fin quasi a non essere più buddhismo, ma una primitiva religione magica, anche se con ornamenti buddhisti, come la "nétta di Nichiren in Giappone. 

La de-religionizzazione del buddhismo in Occidente, è un altro esempio del tentativo dei praticanti di adattare il buddhismo agli standard culturali della sua nazione ospitante. L'idea, dietro a questo, è che le forme e i rituali di religione sono superflui ed incoerenti con la vita moderna. Tuttavia, sostituire questi con forme di pseudo-religione come la psicologia, è assai poco probabile che producano un miglioramento nella qualità della pratica. Il problema essenziale con questo adattamento, è che non importa quanto crude e superstiziose le tradizioni sciamaniche possono essere, esse condividono un'unità fondamentale di spirito con il buddhismo nel loro riconoscere l’uomo come parte intrinseca di un intero, che deve adattarsi all'intero per avere significato e valore. La psicologia, ed il pensiero scientifico occidentale, sostiene che l'uomo essenzialmente è un’incidenza delle parti, una combinazione di fattori che sono venuti a mettersi insieme per formare un'unità provvisoria isolata da una sequenza causale e senza fine di altre unità provvisorie. Qualunque pratica di meditazione che sorga da tale struttura, è obbligata ad essere meccanicistica poiché quella è la spinta di quella culturale visione del mondo. La meditazione allora diventa uno strumento che, ovviamente, rinforza la nozione di un universo statico, a cui ci si può avvicinare solo con la tecnica. La conseguenza di questa attitudine è che i praticanti arrivano a credere che se questo approccio è valido, allora anche tutti gli altri aspetti della vita devono essere disponibili alla manipolazione della tecnica. In un breve periodo di tempo, avrete una pratica radicata nell’etica della situazione, ed un prospettiva del mondo completamente non-buddhista. 

Naturalmente, un non riflessivo approccio sciamanico alla pratica alla fine conduce ad una pratica spirituale non- razionale. Io credo che sia necessario sforzarsi per un senso di sacralità e sentimento religioso senza però essere intrappolati dalle forme e rappresentazioni artistiche che simboleggiano il sentimento. Ora, però, dobbiamo ben guardarci dallo smerciare un approccio improprio da praticare per un altro, nella credenza sbagliata di aver eliminato tutti gli atteggiamenti superflui verso la pratica. Dato che la religione in Occidente ha una tale storia non razionale e distruttiva, certi individui talvolta reagiscono esageratamente all'introduzione di qualsiasi cosa che odori di tradizione religiosa. In una persona di questo tipo, sembra che vi siano due tipi di sentimenti religiosi e questi sono riflessi anche in due atteggiamenti verso la meditazione. Una religione esclusiva, che cerca di separare l’uomo dal suo ambiente e l'uno dall'altro, è uguale all'atteggiamento verso la meditazione come tecnica. Entrambi gli atteggiamenti sono intrinsecamente egoistici e non-vitali. Essi portano ad un approccio sterile, ostile, e talvolta anche mortale, per qualsiasi cosa o chiunque disgregasse il loro programma. La religione che è inclusiva per natura considera il mondo e le creature parte di se stessa e perciò, sacri. Questo atteggiamento invece, ispira i praticanti a mantenere una relazione amorosa col mondo. Quelli che praticano la meditazione perché capiscono questa realtà religiosa, fanno così in comune con la loro pratica, ed il mondo, come un atto sacro. Questo è sacrificio nel senso più religioso di questa parola. 

Non possiamo però lasciare la discussione sulla retta meditazione senza stigmatizzare il problema della relazione 'insegnante-studente’. Nella pratica di meditazione, una solida relazione con un insegnante qualificato è essenziale.  Vi sono proprio molte fosse in cui i meditanti inesperti possono precipitare senza la guida di un buon istruttore.  La meditazione è un'attività che rimane completamente soggettiva finché viene messa ad una prova oggettiva, come la qualità della propria vita. Per giudicare propriamente gli effetti che la nostra vita sta producendo, noi abbiamo bisogno dell’obiettivo contributo di un insegnante. Se io potessi offrire un consiglio agli studenti circa l’impegnarsi nella disciplina spirituale, il migliore sarebbe nella scelta dell’insegnante. È meglio non cercare un insegnante che sia straordinario nella personalità, quanto piuttosto nella sua condotta. Cercate una persona che sia concentrata!  Una persona gentile, umile, aperta e compassionevole con ferma auto-disciplina. Questa persona dovrebbe avere anche nessun eccessivo attaccamento al denaro. Il costo dell’istruzione spirituale non dovrebbe essere mai troppo costoso. D'altra parte, una struttura spirituale che ha un tempio, o una chiesa, o anche una piccola sala, richiede l'appoggio economico dei suoi membri. Perciò, dovreste contribuire con la stessa intelligenza con cui nella vostra pratica investite il vostro tempo ed energia. In altre parole, non siate tirchi, ma non siate nemmeno stupidi. C’è un' altra cosa da considerare, ed è che è molto più facile mettersi una tonaca colorata e radersi la testa, che non cambiare ciò che c’è dentro di voi. L’auto-trasformazione non è sempre auto-evidente e non porta nessun requisito esterno né ricompensa sufficiente per ottenere l'attenzione di studenti più deboli. 

Io cerco sempre di ricordare ai miei studenti che loro dovrebbero diventare praticanti e non "veri credenti". I Veri Credenti tendono ad perdersi in dottrine a spese della vera pratica. Se si passa tutto il giorno a leggere le mappe, non si avrà mai tempo per fare il viaggio. E se uno è preso negli infiniti reami del potenziale, egli potrà sprecare una straordinaria quantità di tempo trattando con la fantasia ed arcane dottrine esoteriche che a tre Buddha e ad un Rabbino prenderebbero un millennio per classificarli. Le qualità dell’illuminazione non sono i poteri magici o l’attrazione psichica di un fachiro. Ma sono le qualità incarnate nelle Beatitudini del Sermone della Montagna e nel Ottuplice Sentiero del Buddha. Tuttavia, la magia non si dovrebbe denigrare, come se fosse un cartello indicatore della crescita spirituale. La magìa è una finestra aperta tra il reame noumenico e la nostra pratica. In effetti, una buona definizione di magìa è la penetrazione del reame fenomenico dal noumenico, che rivela il significato della vita. Tali esperienze hanno un grande potenziale per far avere l'illuminazione spirituale personale, ma se uno si attacca alla magia esteriore (fantasmagoria), allora egli sarà perso in essa. Dopo tutto, i praticanti spirituali sono obbligati a vivere le loro proprie vite in questo mondo ed in questo tempo e luogo. Il valore della pratica è nel qui ed ora, e non nell’antico Egitto, Tibet, Cina o Atlantide. Senza questioni, la persona che noi cerchiamo come guida per il reame spirituale dovrebbe essere capace di vivere in questo stesso mondo moderno con noi, in libertà e potere, senza rifiutare niente di esso. 

Fra gli insegnamenti del grande saggio del Tibet, Milarepa, c'è una lista dei dieci segni dell'Uomo Superiore. Credo che non si possa trovare una guida migliore per scegliere un istitutore spirituale. Essi sono: 1 Il segnale di un uomo superiore è avere poco orgoglio e invidia. 2. Avere pochi desideri ed essere soddisfatti con le cose semplici. 3. Non avere ipocrisia né falsità. 4. Regolare la propria condotta in accordo con la legge di causa ed effetto, così come si proteggono con cura le pupille dei propri occhi. 5. Essere fedele nei propri impegni ed obblighi. 6. Essere capace di mantenere vive le amicizie con imparzialità, riguardo a tutti gli esseri. 7. Guardare con pietà e senza rabbia quelli che vivono in modo sbagliato. 8. Lasciare ad altri la vittoria, prendendosi la sconfitta. 9. Differire in ogni pensiero ed atto dalla moltitudine. 10. E infine, osservare fedelmente e senza orgoglio i propri voti spirituali. Questi sono i segni di un uomo superiore. - Se voi potete trovare un insegnante con queste qualità, allora certamente avrete trovato una gemma rara. Sappiate mantenerla brillante per completare il vostro lavoro. Allora il carbone del vostro ego si trasformerà nel diamante della verità, e voi ed il vostro insegnante diverrete uno. Come il Maestro Zen Kokushin, voi sarete in grado di dire: “Sedendo Quietamente, Nulla Facendo, Viene la Primavera e l'Erba Cresce da Sola”. Avendo trovato questo tipo di insegnante, ed entrando completamente nella vita della meditazione che è identica all’Ottuplice Sentiero, voi vi unirete alle file dei Bodhisattva. JJJ  

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 (Finito di tradurre: il 21/12/2006 da Aliberth Meng, per conto del Centro Nirvana di Roma)