LA PREPARAZIONE CH’AN   di ALIBERTH

(Tratto dall'Incontro tenuto al Centro Nirvana di Roma, il 16/12/1999)                                                                 

                     

In uno dei nostri precedenti incontri serali, Micael, un ragazzo tedesco, mi ha chiesto: “Posso stare qui a conoscere il vostro metodo Zen? Io ho frequentato un corso di Sotozen, però ho saputo che il metodo CH’AN propone qualcosa di diverso. C’è una istruzione preliminare per i nuovi?”.

      Ho risposto: “No. Il maestro Ch’an si comporta come quegli insegnanti di nuoto che, per insegnare a nuotare ad un allievo, lo buttano direttamente in acqua. O imparano a nuotare o affogano”. Si è messo a ridere e ha detto: “ Allora è un buon sistema. Chi non riesce a nuotare dopo che gli viene dato questo tipo di opportunità, vuol dire proprio che è negato, come tanti che possono essere avversi al nuoto”.

       Il Ch’an è così, o lo si capisce subito, scendendovi bruscamente dentro, quindi stando ben attenti a non generare false illusioni, false idee, false aspettative, oppure si continua a correre il rischio di stare a galla, forse, ma non di saper nuotare.  Questo lo dico come anticipo alle contraddizioni che volta per volta sentiremo, ai paradossi che da più di mille anni hanno reso famoso lo Zen Cinese. Tutto ed il contrario di tutto, una cosa ed il suo opposto, perfettamente identici e combacianti. Quindi, se uno pensa di trovare qui qualcosa di logico e se la sua mente non coglie l'illogicità della logica, non potrà trovarvi una logica. Se però ha una mente acuta e capisce le contraddizioni che già esistono nel nostro esistere, nel nostro vivere, se capisce che il mondo non può essere così come appare o, meglio ancora, non può apparirci com’è realmente, allora costui possiede la MENTE CH’AN. Benché il mondo ci appaia come pensiamo che sia, se uno non coglie queste contraddizioni, e se uno non capisce che le contraddizioni sono proprio dovute alla difficoltà della mente umana a cogliere la verità della realtà, allora è chiaro che il Ch’an non potrà far nulla per questa persona e questa persona non potrà far nulla per se stessa.

 Perché dico “non potrà far nulla per se stessa”? Questa persona potrà fare, purtroppo, soltanto ciò che le sarà permesso in questo breve spazio di vita, dato che essa crede e si rifà a questo solo spazio di vita. E quindi potrà incontrare solo quello che gli spetta nella sua breve esperienza di vita, vale a dire cure alternative, meditazioni terapeutiche, maestri guaritori e cose simili; ma la sua mente rimarrà tale e quale a prima, cioè ottenebrata, illusa e ignorante.

Ignorante, vuol dire semplicemente una persona che non sa; ignorante non è un’offesa, è solo una deficienza, una carenza della mente umana che, per sua disgrazia, è ignara della vera realtà, ignorante della sua stessa origine. Quando uno non sa da dove viene, questa è già un’ignoranza. E purtroppo, a noi non insegnano da dove veniamo, se non che usciamo dal ventre di nostra madre. Dobbiamo capire, tuttavia, che dal ventre di nostra madre uscì soltanto il nostro corpo e non l’energia mentale che lo anima. Potremmo anche fare congetture, pensando che possa esser stata l’energia di nostra madre a trasmettersi in noi. E allora perché siamo così differenti dai nostri genitori, dal punto di vista caratteriale? Un figlio spesso può somigliare al padre o alla madre, ma mai è perfettamente identico nel carattere. La personalità, come pure l’energia che anima le persone, non deriva da un processo fisiologico. Ed è naturale perché l’energia non è fisiologica; essa attiva la creazione della forma, ma non è verificabile come qualcosa di visibile nel mondo fisico.

Se una persona non conosce come funziona la propria mente, come e da quando può aver avuto inizio il suo funzionamento e quando cesserà, ciò significa che la persona è ignorante. Per uscire da questa ignoranza non bastano informazioni metafisiche concettuali, oppure pratiche terapeutiche e yogiche, maestri guaritori o cose simili; ripeto, non bastano. Non basta nemmeno che qualcuno ci dica la verità, perché le parole non sono la verità. Le parole, dette da qualcuno che cerca di dire approssimativamente la verità, non corrispondono a ciò che è la nostra verità, una volta che la sperimentiamo. E se non la sperimentiamo, allora qualunque verità ci può essere data per buona, essendo costretti a fare affidamento sulle nostre orecchie e su ciò che ci viene detto. Qualunque verità può essere giusta, perché non ne abbiamo la controprova. Quindi, va bene che ci sia un Dio che ha creato il mondo in 7 giorni, va bene che ci siano le rinascite o quant’altro, va bene che noi siamo persone che nasciamo e moriamo e non esiste più nulla; qualunque verità che noi riceviamo attraverso le parole, gli scritti o altri mezzi, non può essere la nostra verità, la verità sperimentata da se stessi, da parte di ogni singolo individuo.

Anticamente, quando due persone che avevano entrambe sperimentato la verità si incontravano, vi era nei loro dialoghi un nesso reciproco di intuizione, in quanto improntati ad un’immediata e istantanea captazione della capacità dell’altro di essere nello stato reale. Frasi del tipo: “Che cos’è il Buddha?”, con la conseguente risposta: “E’ l’albero che sta nel giardino!”, lasciano interdette le nostre menti moderne che vogliono, a tutti i costi, rispettare una certa logica. Ma nei dialoghi di questi individui illuminati, c’era tutto il materiale possibile per arrivare alla comprensione. La domanda “Che cos’è il Buddha?” e la risposta “E’ l’albero che sta nel giardino!” dava veramente la percezione e la certezza, sia a chi aveva fatto la domanda sia a chi aveva dato la risposta, di essere perfettamente in sintonia.

Noi stessi, semplici individui umani, spesso non ci accorgiamo di usare spontaneamente il rapporto diretto con la verità, anche nei nostri comportamenti consueti. Il guaio, però, è che purtroppo questo barlume di realtà non lo rendiamo consapevole alla nostra mente: non siamo presenti. Diciamo, allora, che ciascun essere umano testimonia, spontaneamente ed inconsciamente, la propria realtà ma, per un difetto della mente, la persona non focalizza i suoi momenti di realtà. Accade, invece, che dia molto più corpo alle proprie opinioni ed ai propri flussi pensativi, così da venir di nuovo scaraventata nell’illusione, nella cosiddetta vita immaginata piuttosto che nella vita vissuta. I rari momenti di realtà possono manifestarsi in condizioni di grandissima felicità o di grandissimo dolore; in questi momenti, una persona consapevole può avere veramente una mente ferma, stabile, e riesce ad assaporare di colpo l’esperienza. Poi purtroppo, il meccanismo di autoidentificazione riproduce i vecchi schemi e quindi, inesorabilmente, la mente comincia di nuovo ad estrovertirsi e ad emettere giudizi, ad attivare aspettative, inganni, paure e desideri. Questo dramma allontana l’essere umano dall’impatto dell’esperienza spontanea e reale. Il Ch’an, dichiarando senza mezzi termini che tutti siamo già perfetti da sempre, ci indica il lavoro da compiere, che è quello di prestare attenzione al nostro vissuto spontaneo ed alle reazioni quasi immediate della nostra mente.

Se riuscissimo a cogliere il momento di vuoto, di silenzio, che c’è tra un pensiero ed il successivo, in quel ‘qualcosa che chiamiamo mente’, potremmo ottenere una certezza conoscibile di ‘quest’attimo vuoto’, presente tra un pensiero e l’altro. Potrebbe così avvenire che si riesca, per la prima volta, ad individuare la realtà, cioè la mente mentre è in assoluto silenzio. Viceversa, quando la mente comincia a pensare, immediatamente rientra in funzione e noi, non avendo la capacità di cogliere in maniera distaccata questo suo lavorio, entriamo forzatamente nell’energia che la mente crea. Così, nel momento che essa emette un pensiero, noi non siamo più qui che guardiamo, bensì diventiamo il pensiero e quindi siamo l’energia che poi mandiamo in circolo, facendole compiere così anche le susseguenti azioni. Poi, le azioni producono i loro effetti in ogni direzione e, poiché il pensiero era carico di certe particolari qualità, accadrà che un pensiero di odio potrà diventare un'azione aggressiva, mentre un pensiero di amore cercherà di provocare un atto di amore.

Ma le conseguenze karmiche, spesso diverse dalle nostre intenzioni, su chi andranno a ricadere? Ovviamente sulla persona ignorante che non ha visualizzato e non ha riconosciuto il momento in cui si generava il pensiero. Quando si entra, purtroppo inconsapevolmente, nel meccanismo di causa-effetto del pensiero, si è ignoranti delle energie che si scatenano. Chi ha causato le azioni ne pagherà le conseguenze karmiche e, nel caso che esse siano negative, saranno sofferenze e dolori. Chiaramente, anche chi fa un’opera buona e meritevole, senza però cogliere il processo pensativo che avviene nella propria mente, entra in questa dinamica di azione-retribuzione karmica. Il pagamento dell’azione è indubbiamente innegabile e imprescindibile dal fatto che, se è negativa riceve effetti negativi, se è positiva riceve effetti positivi. Perciò, una persona può ricevere effetti positivi dal suo pensiero e dal suo comportamento; tuttavia questi effetti, così come quelli negativi, colpiscono soltanto la singola persona. Tutto ricade sul personaggio illusorio che si perde nei pensieri e che crede che quella sia la realtà. Il positivo e auspicabile affrancamento dall’illusione non si verifica però nel profondo della coscienza. Quegli effetti non producono una mente illuminata, che sarebbe il vero premio, perché farebbe capire come stanno le cose. Non è così che si riattiva la mente trascendente, non è quello il modo di attivare la Natura di Buddha in noi.

 Ecco perché il Ch’an afferma che il bene e il male, in realtà, continuano ad alimentare la nostra illusione e la nostra ignoranza. E’ chiaro che una dichiarazione di questo tipo è indirizzata a persone che, da questo messaggio, non facciano sorgere ulteriori discorsi mentali del tipo: -Ah, ma allora, non devo fare il bene? ecc. ecc.-. Per le persone che, a questa asserzione, reagiscono immediatamente proprio con una sequela di pensieri, senza restarsene silenziosi e distaccati, il Ch’an è pressoché negato. È presumibile che queste persone non potranno mai concepire lo spazio vuoto della Mente Assoluta, né la vastità della loro mente reale. Ce ne dispiace moltissimo, ma purtroppo esse saranno sempre trasportate dall’energia incontrollata della mente e non saranno in grado di bloccare i missili del loro pensiero. Dopotutto, la loro stessa incredulità a ciò che stiamo dicendo e la loro incapacità di afferrare il significato di queste dichiarazioni, è la conferma che, almeno per questa vita, esse non possono approdare al metodo Ch’an. -------------------

Domanda di LILIANA: - Cosa vuoi dire con – “Il Ch’an è negato"? Che significa? Mi rendo conto che a volte, anch’io vago con la mente e non sono consapevole dei pensieri che mi invadono … però…. -

Risposta di ALIBERTH: - In questo caso, le dichiarazioni del Ch’an, hanno colto proprio nel segno. Prima ancora che tu parlassi, avevo già raffigurato questa situazione, cioè il fatto che noi aderiamo subito al pensiero. Tu hai avuto questo pensiero, e subito l’hai espresso in parole. E’ la situazione capitata a te, però capita a tutti. Il Ch’an è uno stato mentale, non è il processo. Il processo, la Via, in realtà, non esiste. Quello che noi facciamo qui, è il processo. Ad esso tutti abbiamo accesso e, singolarmente, poi decidiamo se farlo o non farlo. Il Ch’an è il raggiungimento. Cioè, la mente Ch’an è la mente che vede se stessa pensare e non vi aderisce. Se tu fossi stata già nella mente Ch’an, avendo visto sorgere questi pensieri, non vi avresti aderito e avresti detto a te stessa: – Questi sono i pensieri di questa mente illusa, che crede a tutto ciò che gli appare!-.

Questa mente che non esiste e che è fallace, è destinata alla morte. La tua Mente reale, la Coscienza, a tua insaputa è rimasta imperturbabilmente tranquilla, senza neanche interessarsi alle risposte. Però, essendo tu ancora una persona che aderisce al pensiero, (cioè il pensiero parte e tu non sei ancora capace di distaccartene), dato che sei ancora una persona ordinaria, (cioè dipendi dal pensiero), non sei nel Ch’an. Ma non è detto che tu non possa giungervi, prima o dopo.-

Liliana: - Potrebbe venir interpretato male: “Il Ch’an ti è negato, tu non puoi fare questa strada e te ne devi andare” Potrebbe anche essere interpretato così.-

Aliberth: - Tu puoi interpretarlo come ti pare. Sei tu l’interprete dei tuoi pensieri. Io non l’interpreto in questo modo. Ma se tu, onestamente, adesso cominci a distaccarti dai tuoi pensieri, pian piano ti distaccherai anche dalle irreali conclusioni che la tua mente alimenta riguardo alle cose che accadono intorno a te. A quel punto ti distaccherai anche da qualcuno che ti dice "il Ch’an è negato a Tizio e a Caio" perché tu sarai già nella mente Ch’an. Ti sarai distaccata da chi dice questa e tante altre cose. Dovete innanzitutto capire che il Ch’an è uno stato di mente, ed è uno stato totalmente autosufficiente e totalmente libero da ogni ipotetico coinvolgimento e da qualsiasi accalappiamento. Così, se io dico <rosso>, la vostra mente può essere posizionata sul bianco e non si lascia inquinare dal rosso; può vedere che qualcosa mostra il rosso, ma non diventa rossa, perché è posizionata fermamente sul bianco. Questa capacità della mente-Coscienza di staccarsi dalla mente-abitudine, quella che era stata finora, questa è la mente Ch’an.-

    - La mente Ch’an si svilupperà attraverso un processo, e questo processo è quello che stiamo facendo qui; ma se il tuo pensiero è più forte del processo, allora si, il processo è inutile. Se tu sei così condizionata da dire a te stessa -"Ma che ci faccio qui, se devo stare in silenzio…"; se cadi in questi tranelli della tua stessa mente, senza vederli, ti stai precludendo anche il processo. Sei tu che crei le cose. Questa constatazione è derivata dal fatto che effettivamente la tua mente ha avuto quel pensiero. La paura del piccolo io, cioè l’individuo egoico che è sovrapposto a te, la paura ha preso possesso di tutto e ha utilizzato queste energie per pensare e dire:  "Ma come, allora io non posso fare il Ch’an, dato che la mia mente ha pensato 'Ah, ciò è bene, è male, è negato, ecc” … -

Liliana: - Ho detto che potrebbe essere interpretato ….-

Aliberth: - Ed io sto parlando per chi interpreta. Noi, con i nostri involucri corporei, siamo una realtà relativa che vive la vita (relativa) in un modo automatico, e questo modo automatico si porta dietro tutte le nostre insoddisfazioni. Fino a qui, dobbiamo capirlo bene ed essere d’accordo tutti quanti. Se fossimo stati già tutti automaticamente fuori della mischia, fuori da questo problema dell’esistenza, nessuno cercherebbe da nessuna parte una qualche cosa da liberare, da realizzare o da illuminare. Nessuno avrebbe bisogno di dir preghiere, di accendere ceri a chicchessia, perché non ci sarebbe bisogno di accendere nulla. Ognuno sarebbe già acceso, avrebbe la chiarezza, per cui la vita non sarebbe un inganno, e potrebbe vivere savio in mezzo ai savi. Nessuno avrebbe bisogno del Ch’an, perché tutti avrebbero già la mente Ch’an. E invece, tutti andiamo in cerca di qualcosa. Questo testimonia già la malattia. E’ questo che testimonia la malattia della mente, il fatto che andiamo tutti in cerca di qualcosa, sia pure qualcosa al nostro livello; anche solo qualcosa che ci faccia star bene. Crediamo che comprando un elisir si stia bene, facendo quella determinata ginnastica si stia bene, trovando quel dato guaritore si stia bene. Questo è già il sintomo della malattia.-

   - Perciò il Ch’an dice – "devi eseguire il processo per arrivare alla conclusione, in cui non puoi più credere che qualcosa di questo mondo ti faccia bene". Forse può far bene al momentaneo corpo fisico che possiedi, che però non può avere il dominio della mente Ch’an. Diciamo che il corpo deve venir lasciato vivere per se stesso, in funzione del suo proprio karma. Il nostro corpo, se riusciamo a stare con la mente tranquilla, così come quando ha fame mangia, allorché dovesse arrivare la malattia se la cura. Almeno finché il Karma decide in tal senso. Quando il Karma presenterà la resa dei conti, allora questo corpo non potrà pretendere più nulla. Cesserà, come tutte le cose che in questo mondo finiscono. Così, anche il corpo se ne andrà e la mente dovrà rimanersene tranquilla. Questo è il Ch’an. Il Ch’an è la capacità di avere una mente che non segue gli influssi del corpo psicofisico, non si sottomette ai capricci della mente materiale. Il Ch’an è una mente-mente, per certi versi alquanto diversa dalla mente-corpo.-

Liliana: - Ma il “corpo-mente-spirito” non è un tutt’uno collegabile? Il Ch’an è forse al di fuori dello spirito individuale? -

Aliberth: - Non è che sia al di fuori. Il Ch’an dice che lo spirito individuale, o anima, non può esistere da solo perché, siccome tutte le cose che sembrano esistere da sole sono destinate a morire, così anche l’anima individuale non può essere eterna. Il Ch’an ipotizza, perché poi ognuno lo deve scoprire da solo, uno Spirito universale, una Mente Unica e Assoluta. L’individualità, per sua stessa natura è destinata a fluire, a passare. Anche la matematica ce lo insegna; un numero non può essere eterno, perché comunque si combina con tutti gli altri. Un solo numero può, al limite, essere ritenuto eterno, e cioè lo zero, che non modifica mai se stesso; modifica gli altri, ma non modifica se stesso. Se ci si fermasse allo zero, non ci sarebbe nemmeno la numerazione. Dunque, in termini matematici, lo spirito (e quindi la Mente-Coscienza, dato che nel Ch’an è così definito) non è identificabile ed è simile allo zero. Da solo è Assoluto, mentre in unione con altre entità temporanee, le modifica e pertanto riveste momentaneamente un ruolo relativo. -

  -Il termine ‘Spirito’ è occidentale. Gli Orientali hanno un termine che è intraducibile, perché definisce l’energia di tutto ciò che è esistente. E’ l’energia che genera le cose visibili, quindi un’energia che ha il potere di essere visibile quando diventa una, quando diventa numerica, ed è invisibile quando è la madre di tutto, l’invisibile Natura dell’Essere. Il Ch’an Cinese, come pure il Vedanta-Advaita Indiano affermano che noi, in realtà, siamo proprio e soltanto “Quello”. Cioè, quello Spirito Assoluto che è la nostra vera natura. -

   - Quando uno lo ha scoperto e, poi lo ha riconosciuto, come si fa a mantenerlo vivo? Cercando di vederlo, di conoscerlo sempre nel comportamento di questo individuo umano, questo individuo mutevole, che oggi ha una opinione e domani ne ha un’altra opposta. E così, anche se oggi possiamo avere questi pensieri e domani averne di diametralmente opposti, quello che dobbiamo fare è far emergere quella Coscienza che può consapevolizzare questi stati mutevoli. Allora, riportandoci alla Coscienza, e non ai contenuti della stessa (cioè i pensieri che continuamente mutano), torneremo ad essere una cosa sola con l’Assoluto. Avremo fatto un’evoluzione nel tempo e nello spazio dello Spirito, perché avremo capito che tutto ciò in cui credevamo prima era soltanto una fase. Una fase che dura per quel dato tempo, poi dobbiamo evolverci ed andare avanti, anche se utilizzando ancora il relativo tempo e spazio della mente-corpo. -

 - Da adulti, noi non facciamo i discorsi che facevamo da bambini, il che vuol dire che c’è stata una evoluzione. Perciò, tutto è in mutamento, ma Colui che si rende conto di questo, non è mai cambiato. Colui che si rende conto che una volta faceva i discorsetti da bambino e oggi conversa da adulto, non è mutato. Questo è il punto. Soltanto questo ‘Colui che si rende conto’, può vedere quei pensieri, anche quelli della tua domanda di prima. Se tu li vedi, questi tuoi pensieri, allora sei nel processo e nessuno può farti più tornare indietro. Lo stato Ch’an è lì che ti aspetta, perché non puoi fallirlo, ci arrivi per forza se fai questo lavoro, se cominci a non aderire ai tuoi stessi pensieri. Ma, se aderisci ai tuoi pensieri, allora ricaschi nella trappola, come la falena che gira intorno alla luce fino a bruciare; se ti lasci prendere dai tuoi pensieri e ci credi... sei intrappolata, sei nel mondo, con tutte le conseguenze del mondo. Capisci? La dualità, l’essere e il non essere, il bene e il male, il giusto e l’errato. L’intrappolamento continua fino alla fine dei tuoi giorni e la tua mente-coscienza è costretta a reincarnarsi ancora in un altro corpo, a cadere ancora preda del karma individuale e collettivo, visto che non si è illuminata e non ha raggiunto il vero scopo dell’esistenza. -

- Il credere nel mondo è un errore che ci portiamo dietro da prima della nascita, una sorta di “impregno” nella nostra mente, quasi un odore personale che non possiamo toglierci nemmeno con la candeggina. Questo “peccato originale” è l’imprinting stampato dentro di noi. Credere nel mondo, nella situazione del mondo, nella conformazione dualistica del mondo, è il nostro “peccato originale”. Fintanto che credi nel mondo, credi di essere una nazione, credi di essere un popolo, una famiglia, un gruppo, e così via. Alla fine, sei costretto a credere alla tua individualità. Finché credi ciecamente a tutte queste cose, in qualche modo, gli effetti Karmici di quella nazione, di quella famiglia, di quel gruppo, ti cadranno addosso. -

 - C’è un antico detto, il quale afferma che le colpe dei padri le pagano i figli. Anche abbandonando la propria nazione, le proprie tradizioni, e andando in altre, ti porti appresso tutte le caratteristiche e i difetti che avresti voluto lasciare. Sicché ti porti appresso il marchio di fabbrica, il già citato Karma collettivo. Queste, dunque, sono le cause e condizioni che la mente individuale, a causa della sua ignoranza trascina con sé, vita dopo vita, esperienza dopo esperienza… "

                                                                                                                           

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