Testimonianze

 

L’ATTACCAMENTO 
di Ezra Bayda
http://www.shambhala.com/html/learn/features/buddhism/basics/attachment.cfm (Adattato da: At Home in the Water Muddy)

 

 
 

Le credenze più preoccupanti sono quelle collegate al nostro attaccamento, che assai spesso è veramente difficile da identificare. Gli attaccamenti, in realtà, sono fantasiose e semplici credenze che si sono solidificate come "verità" nella nostra mente. Esse inoltre compartecipano dell'energia del desiderio, che si basa sulla convinzione di fondo che senza una certa particolare persona o cosa, non possiamo mai essere liberi dalla sofferenza. L’attaccamento prende anche la forma di un rifiuto; crediamo di non poter essere felici finché nella nostra vita c’è una particolare persona, una condizione, o un oggetto. Per sperimentare l’attaccamento negativo, basti pensare al vostro cibo meno preferito, o ad una persona antipatica.

Noi tutti sviluppiamo attaccamento alle persone o alle cose che crediamo essenziali per la nostra felicità. Spesso siamo più attaccati alla nostra convinzione che alla persona o alla cosa reale. La convinzione alimenta i nostri sforzi ansiogeni per raggiungere o trattenere un qualcuno, o un qualcosa. Se ci riusciamo, potremmo vivere un emozione effimera. Ma poiché noi saremo sempre timorosi di perdere ciò che abbiamo ottenuto, la nostra soddisfazione è di breve durata.

Per poter praticare sull'attaccamento, dobbiamo prima veder bene la nostra fede con chiarezza, precisione e onestà. Dopodiché, dobbiamo vedere che questa credenza non solo è falsa, ma l’aggrapparsi ad essa è la fonte stessa della nostra infelicità. È proprio perché siamo attaccati che siamo infelici.

Per esempio, è facile vedere come siamo attaccati ad altre persone, credendo in realtà che la nostra felicità dipenda in qualche modo da esse. In effetti, possiamo facilmente vedere quanto siamo attaccati al cibo, al piacere, o al comfort. Noi manteniamo la convinzione che il nostro benessere emotivo sia indissolubilmente legato all’avere ciò che crediamo possa renderci felici. Ma mantenere queste convinzioni dà solo garanzia che non potremo essere costantemente soddisfatti, perché saremo sempre ansiosi al pensiero di perdere ciò che noi crediamo ci renda felici. Se vogliamo essere veramente felici, dobbiamo rinunciare al nostro attaccamento.

In altre parole, noi dobbiamo fare una scelta tra la felicità e l'attaccamento. Vogliamo essere attaccati o vogliamo essere felici? Purtroppo, la risposta è molto chiara, noi vogliamo essere attaccati! Per esempio, anche se possiamo vedere che i nostri desideri nella migliore delle ipotesi ci danno un piacere effimero, ancora ci attacchiamo ad essi. Noi non vogliamo abbandonare la convinzione che alla fine essi ci rendono invero felici.
Ma sarà il denaro o la posizione a renderci felici, nel senso di una profonda o costante soddisfazione?
Anche quando sperimentiamo che non sono certo essi a darci la felicità, spesso continuiamo ancora a cercarli, perché continuiamo a credere che lo potrebbero. Sarà un'altra persona a renderci felici? Questo è un po’ più difficile da vedere, perché tutti noi ci aggrappiamo al desiderio di sentirci apprezzati, amati, sicuri, uniti, e quindi crediamo che una qualche persona sia in grado di fornirci questo. Perfino quando poi vediamo che la persona non può darci quello che vogliamo e cerchiamo, continuiamo a credere che essa lo avrebbe potuto! Questa convinzione è il nostro attaccamento, la fonte della nostra sofferenza. Finché vedremo un'altra persona attraverso il filtro della nostra convinzione basata-sull’aspettativa che essa ci farà sentire in quel certo modo, noi ci stiamo preparando alla reazione e alla delusione.

Forse che sono le nostre profonde convinzioni di essere indegni, incapaci di amare, e incompleti a renderci felici? Anzi, proprio il contrario, ma il nostro attaccamento alle nostre convinzioni di fondo rimane uno dei più forti attaccamenti, e anche uno dei più difficili da vedere, perché ciò a cui siamo attaccati è così vicino a noi stessi. È la nostra definita identità come un ‘sé’. Noi sentiamo un senso di stabilità nel familiare, anche quando ci rende infelici.

Possiamo trovare attaccamenti ovunque: attaccamento ai nostri risultati, alle identità in base a come ci vedono gli altri, alla nostra professione, al luogo in cui viviamo, al tipo di auto che guidiamo. Di sicuro, noi possiamo trovare un nostro attaccamento per un'altra persona che è fatta in un modo particolare, basato sulla convinzione di aver bisogno che essa sia così perché noi si possa essere felici. Ma l'amore, o la felicità che, naturalmente, noi proviamo dall’amore, non sono basati sul bisogno. E nella misura in cui siamo attaccati all’esaudimento dei nostri bisogni, non possiamo amare davvero.
La libertà dall’attaccamento richiede che noi prima si possa vedere i modi in cui siamo attaccati.
In particolare, dobbiamo vedere come l’attaccamento deriva dalle credenze. Ad esempio, il dolore fisico presenta l'opportunità di osservare il nostro attaccamento al confort e le convinzioni che manteniamo intorno ad esso. La convinzione che la vita dovrebbe essere libera dal dolore può esprimersi in pensieri del tipo "Questo è troppo" oppure "Nessuno dovrebbe essere obbligato a sopportare questo". Alla base di questi pensieri c’è la convinzione che non possiamo provare felicità, mentre proviamo questa sensazione di disagio. Certo, anch’io ero abituato a credere questo, ma ora so che ciò non è realmente vero. In effetti, l'attaccamento alla convinzione che noi non possiamo essere felici quando c’è il dolore può essere una fonte di grande sofferenza ancor più dello stesso disagio fisico. Finché non vediamo questa convinzione per quella che è, convinzione che potrebbe anche non essere vera, rimarremo attaccati al benessere fisico, e ciò garantisce la nostra insoddisfazione.

Non sto parlando di diventare completamente liberi dall’attaccamento, ma di allentare la presa del nostro attaccamento. Possiamo partire dall’esigenza di ottenere qualcosa  di particolare alla minima emozione basata sulla preferenza per quella tale cosa. Per esempio, supponiamo che siamo attaccati alla nostra salute. Se siamo malati o disabili, specialmente se per un lungo periodo, si può verificare il nostro attaccamento, almeno in parte, sotto forma di rabbia. Il nostro attaccamento all’idea di come la vita dovrebbe essere, in questo caso in buona salute, assume la forma di un sentimento basato dalla nostra esigenza. Quando la nostra vita non corrisponde a questa richiesta, ci sentiamo arrabbiati. Solo se lavoriamo con il nostro attaccamento, possiamo vedere le richieste che stiamo mettendo sulla vita. Non appena l’esigenza perde la sua presa, possiamo tornare a godere a nostro piacimento. Avere le preferenze non è un problema, né lo è il goderne. Quello che è davvero problematico, e ciò che dà origine alla sofferenza, è il fatto che questi nostri attaccamenti ci riducano in schiavitù al punto tale da rovinarci la vita. La pratica di lavorare con l’attaccamento richiede prima che noi si sperimenti la gabbia stringente dei nostri stessi attaccamenti.

In secondo luogo, dobbiamo esser in grado di ‘vedere’ che noi non vogliamo uscire da questa gabbia, che noi preferiamo credere alle nostre convinzioni di ‘essere liberi’. In terzo luogo, dobbiamo costantemente osservare noi stessi con chiarezza, precisione e onestà, e arrivare a conoscere tutte le credenze e convinzioni che contengono un tipo di attaccamento particolare. Infine, con altrettanta chiarezza, noi abbiamo bisogno di vedere che le nostre convinzioni non sono la verità, ma sono solo credenze. Ovvio che questo sia molto più facile a dirsi che a farsi. Nondimeno, è proprio a questo punto che si potrà capire perché teniamo tanto alle nostre credenze e perché abbiamo paura a rinunciarvi. Così, cominciamo a vedere che noi usiamo le nostre credenze come uno scudo contro il sentire le nostre paure.

Quindi, dobbiamo entrare nel mondo esperienziale, dove cominceremo a far cessare le nostre credenze e consentire che non si verifichi più il sorgere della paura di perdere la nostra identità basata sulla convinzione. Ma chi vorrebbe risiedere in questo tremore sommerso di instabilità? Nessuno. Tuttavia, solo quando saremo in grado di risiedere nell’esperienza fisica dell’instabilità, - non più attaccati al credere ai nostri pensieri - potremo staccarci dal circuito dei nostri condizionamenti e diminuire il potere dei nostri attaccamenti. Ma si può rischiare di avere una buona dose di delusione nel rendere questa comprensione come veramente reale.

In questo modo, a poco a poco cominceremo a sperimentare una vera vita genuina, senza credenze e aldilà del terrore. Questo è il sentiero della pratica. Quando potremo penetrare e sperimentare totalmente il nostro attaccamento, il risultato sarà la libertà. Quando penetreremo nelle nostre paure, il risultato sarà l'amore. Quando noi vedremo chiaramente e senza filtri i nostri giudizi e desideri, il risultato sarà l'apprezzamento e la tranquilla gioia di essere. In qualsiasi momento, possiamo farci le domande: ‘Dove si trovano i miei attaccamenti in questo momento? Posso io stare senza qualcuno, o un qualcosa, di cui credo di non poter fare a meno?’