Centro Ch'an Nirvana
Testimonianze

 NULLA è REALMENTE ESISTENTE…
Commento al "Canto dell'anima" (Atma Satkam)
di Sankaracharya
di Flavio Munikumara Pelliconi (da Facebook)


 

 
Quando si parla di un’anima, di un io, di un ego o — anche — quando si fa uso della parola sanscrita atman, generalmente s’intende che nell’uomo c’è un ‘che’ di permanente ed eterno, un’immutabile sostanza che sta dietro il sempre mutevole mondo fenomenico. Le religioni monoteistiche affermano che l’uomo ha un’anima individuale e autonoma, creata da Dio che, dopo la morte, vivrà in eterno, in paradiso o all’inferno a seconda del giudizio inappellabile del suo Creatore. Altre religioni, per lo più orientali, affermano che l’anima deve sottostare a una lunga trasmigrazione, purificandosi via via per fondersi, infine, con Dio, il Brahman o la Superanima dell’universo.
In questo scenario il buddhismo spicca in quanto nega l’esistenza di un’anima del genere. Il Buddha disse che l’idea di un’anima non solo è immaginaria — una falsa convinzione che non corrisponde a nulla di «reale» — ma che è anche, a sua volta, l’origine delle dannose convinzioni sull’ «io» e sul «mio», cui fanno seguito l’egoismo, l’avidità, l’avversione, l’attaccamento, l’odio, la malevolenza, l’orgoglio, la supponenza e tutti gli altri mali che avvelenano la coscienza e sono causa di tanti problemi. Insomma, l’origine di tutti i mali del mondo sarebbe proprio la credenza in una personalità duratura.
Secondo il Buddha, nell’uomo ci sono due bisogni psicologici profondamente radicati: l’autoprotezione e l’autoconservazione. Dal bisogno di protezione nasce l’idea di Dio, di un buon papà cui si possa ricorrere per esserne protetti, rassicurati e guidati. Dal bisogno di autoconservazione nasce invece l’idea di un’anima immortale, o atman, che viva in eterno. È per ignoranza, paura, debolezza e desiderio che l’uomo ha bisogno di queste due convinzioni, per rassicurarsi. Perciò vi s’aggrappa con tenacia e fanatismo.
Il Buddha non intese dare alcun sostegno né alimento all’ignoranza, alla debolezza, alla paura e al desiderio, bensì volle rendere l’uomo libero da tutte queste limitazioni, rimuovendole e distruggendole, colpendole alla stessa radice. Perciò insegnò che le nostre idee di Dio e dell’anima sono false e vuote. Anche se organizzate in teorie complicate e sofisticate, esse si rivelano sempre e comunque come proiezioni mentali, ammantate di una complicata terminologia metafisica. Ma queste idee sono talmente radicate nelle persone, e le persone si identificano con esse al punto che, nella maggior parte dei casi, non vogliono, non dico capire, ma nemmeno ascoltare una qualunque critica ad esse. Il Buddha era ben cosciente di questo fatto. Perciò affermò più volte che il suo Dhamma andava controcorrente, cioè contro la tendenza autoreferente dell’essere umano.
Secondo il Buddha, però, se è sbagliato aggrapparsi alla convinzione di avere un’anima, è altrettanto sbagliato aggrapparsi all’idea di non averla. Perché è sempre e comunque sbagliato aggrapparsi a un credo. Perciò la posizione corretta nei confronti della dottrina dell’anatman è di non aggrapparsi ad alcuna teoria, credo o convinzione, ma cercare, invece, di vedere le cose così come sono, senza proiezioni mentali, per poter riconoscere che ciò che chiamiamo «io» o «personalità» o «sé» è solo una combinazione di elementi fisici e mentali temporaneamente aggregati, che cooperano sinergicamente e in modo interdipendente in un flusso di istantaneo cambiamento, soggetti a causa ed effetto, e che non c’è nulla di permanente, durevole, immutabile ed eterno nell’intera esistenza.