Testimonianze

...quell'incontro a Roma con
il Karmapa, discendente di
Milarepa

di Paolo D'Arpini (circolo vegetariano - Calcata)

    

Oggi sembra normale parlare di buddhismo tibetano, le frequenti visite del Dalai Lama, i numerosi libri scritti sulla spiritualità del Tetto del Mondo e la recente rivolta in Tibet, hanno contribuito a pubblicizzare enormemente un sistema di pensiero che sino a trent'anni fa era riservato a pochi studiosi, le cui vestigia "ammuffivano" nelle sale dell'Ismeo (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente) di via Merulana o nella libreria esoterica di Rotondi (sempre in Via Merulana). Ci fu però un'occasione, che voglio qui ricordare, in cui quella antica conoscenza improvvisamente venne alla luce... Lo spiraglio sul mistero, l'aurora insorgente della trasmissione eclissata risorse durante la visita in Italia di un grande santo, l'erede spirituale nella linea di Milarepa (ricordate il film della Cavani?). Questo santo si chiama Karmapa ed è una "manifestazione" come lo è il Dalai Lama, solo che il Karmapa è il simbolo di un grande potere spirituale e non politico.
Sentii parlare di Karmapa (incarnazione riconosciuta del mistico Milarepa) in India, allorché visitò l'ashram di Muktananda. Il suo carisma spirituale era molto forte ed affascinò -sembra- non pochi ashramiti occidentali ivi residenti. Personalmente invece lo conobbi un anno più tardi a Roma (credo nel 1974) accadde quasi per caso, egli era in visita ed ospite dell'ambasciatore indiano in Italia, che risiedeva in una villa all'Olgiata, sulla via Cassia. Qualche amico (od amica) del nostro giro sincretico mi invitò a partecipare ad un incontro ufficiale a cui sarebbe seguito un rinfresco vegetariano. Avevo letto la vita di Milarepa, che viveva di sola ortica in mezzo ai monti, e l'avevo trovata avventurosa, piena di alti e bassi, affascinante e protesa inflessibilmente verso l'affrancamento, verso la totale libertà dall'io.

Certo, mi interessava conoscere il suo diretto successore e prontamente accettai l'invito. Il satsang (dialogo con un saggio) era alquanto informale, il Karmapa sedeva su una poltroncina leggermente elevata, vicino a lui c'erano l'ambasciatore ed altre persone di riguardo. Vestito di indaco, con l'aria sorniona ed un po' ironica, il santo dei "Berretti Rossi" dominava la sala con la sua energia. Su di lui circolava una storia: pare che durante la permanenza a Roma avesse visitato un negozio di uccelli acquistando alcuni volatili che erano lì prigionieri, ma non per restituirli al cielo bensì per liberarli definitivamente dalla gabbia della vita. Non so se questa storia fosse vera, ma spesso avevo sentito parlare degli strani comportamenti di certi Lama Tibetani, fra cui che alcuni non sono vegetariani e seguono misteriose pratiche tantriche. Insomma, pare che gli uccelli "prigionieri di un brutto karma (destino)" fossero stati liberati dal Karmapa nello stesso modo in cui l'avatar Krishna "liberò" i demoni ed i Kaurava (opponenti dei Pandava nel Mahabarata), e cioè uccidendoli. Comunque sia, il discorso durante il satsang andò spontaneamente sull'argomento del destino e sulla reincarnazione.

   In particolare vi fu un dialogo con un anziano diplomatico italiano, che evidentemente conosceva la cultura tibetana e sembrava sinceramente interessato all'argomento. Egli poneva insistentemente domande riguardanti qualche sua esperienza, e voleva che gli fossero svelati i segreti della rinascita, ma il Karmapa nicchiava e scherniva dicendo che certe cose non si possono capire razionalmente. Il diplomatico sembrava a disagio mentre il Karmapa allegramente ed affettuosamente gli batteva una mano sulla spalla, come volesse tener calmo un bambino irrequieto. L'anziano signore evidentemente era imbarazzato, forse offeso, rosso in viso ed emozionalmente a disagio, stava per scoppiare in una crisi isterica ed in effetti si mise a piangere, ma quando alzò il suo sguardo incontrando quello del Karmapa che rideva, anch'egli si illuminò in volto, come se veramente tutto ciò non avesse avuto la minima importanza. L'atmosfera attorno era molto carica, piena di energia spirituale.

   Io ero rimasto per tutto il tempo in piedi, appoggiato ad una parete, e non perdevo nulla di quel che stava accadendo, però intuitivamente percepivo che c'era un messaggio. Terminato l'incontro, il Karmapa si alzò e si diresse verso il lato della sala, dov'ero stazionato io ed in cui c’era un passaggio fra le sedie che conduceva al salone ove si sarebbe tenuto il rinfresco. In quel momento egli stava transitando proprio davanti a me, quasi ci toccavamo, allorché senza alcuna ragione apparente egli si voltò verso di me e mi guardò fisso negli occhi. Sentii il mio ‘io’ esplodere, la mia mente rovesciata come una saccoccia, quel che c'era venne fuori, ero nudo, totalmente nudo. Provai un'espansione di coscienza incredibile, non vi erano dubbi o segreti, solo lucida consapevolezza, vuoto pieno.

   Quel "gesto" dirompente ed inaspettato che il Karmapa aveva compiuto (ma perché proprio a me?) mi aveva spogliato di ogni maschera, l'io era solo un fantasma. Uno shock forse troppo forte per un "apprendista" come me e, dopo i primi attimi di totale apertura, mentre lui si girò e continuò a camminare con indifferenza, cominciai a sentire le maglie dell'ego il quale tesseva ancora la sua tela. Mi scoprii a sospettare che il Karmapa avesse "violato la mia privacy" e sentii l'io ricostruire la gabbia della schiavitù. Provavo rabbia verso il Karmapa ed anche verso la mia stupidità, l'impotenza e l'incapacità di essere libero, senza bisogni aggiunti, senza orpelli.... (e l'analogia con gli uccelli mi viene spontanea).

   Chiaramente, in quel subbuglio mentale non ebbi la forza di fermarmi al rinfresco – che era stato gentilmente offerto - e me ne andai piuttosto sconvolto, eccitato, ridanciano. Sapete una cosa, mentre scrivevo la bozza di questo racconto in un pomeriggio festivo a Calcata, mi è passato davanti un satanasso disperato, aveva negli occhi quella stessa rabbia e quello stesso ghigno infame.... L'ego è un gran farabutto!

                                                                           Paolo D'Arpini (circolo.vegetariano@libero.it)

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COMMENTO di Aliberth – Caro Paolo, come ti capisco! So bene anch’io cosa significa arrivare a rendersi conto di avere quel piccolo, ma terribile, satanasso nella mente! Il giorno in cui me ne accorsi io, quasi sprofondai dalla vergogna, ma anche dalla rabbia e dalla disperazione, perché capìi immediatamente che quello era la causa principale di tutti i miei guai passati e di tutte le sofferenze derivanti dal suo esistere in segreto… Sicuramente, non fu allora che imparai ad addomesticarlo una volta per tutte, ma siccome avevo già la fortuna di praticare il Dharma, visto che tra i miei insegnanti c’era sia un Maestro Advaita che un Lama Tibetano, il solo fatto di aver finalmente realizzata la nascosta esistenza di quel piccolo mostro (che poi, tanto piccolo non lo è mai!), mi ha permesso di proseguire sul Sentiero e di mantenere, da allora in poi, una chiara consapevolezza costantemente rivolta sul repentino e assai subdolo ‘insorgere’ del nefasto EGO. Non dico mica di averlo totalmente sconfitto (e comunque, a chi interessa, se non a me-stesso?), ma la mia pratica quotidiana, anzi direi ‘istantanea’, è sempre funzionale a tenere a bada il mostriciattolo. Solo in questo modo, ritengo di poter essere in grado di dare le mie istruzioni (o insegnamenti) agli altri esseri umani ignari del loro diavoletto che dispoticamente li mantiene in scacco e nella più totale ignoranza della vera realtà.