Testimonianze

 

CHE COS’E’ IL buddhiSMO?
Di Luigi M Nicolai (Da Facebook)

 

         La domanda "che cos'è il buddhismo?" se affrontata con risposte storiche oppure dottrinali rischia di essere banalizzata. Dal punto di vista profondo, la domanda è almeno altrettanto complessa della domanda "che cos'è la vita?" - Un "koan", più che una domanda, ovvero un oggetto di infinita contemplazione, mai definitivamente risolvibile. Io mi sono avvicinato al buddhismo nel 1992. Per semplice curiosità. Che cosa mai crederanno questi buddhisti. Ho letto per anni e anni, ma il quadro mi sembrava sempre più complicato e contraddittorio.

E' stato poi al monastero theravada Santacittarama (che non significa "città santa" bensì: santa=serena - citta=mente - rama=giardino - ergo: "giardino della mente serena"), nella semplicità della forma meditativa insegnata, e nella profonda essenzialità degli insegnamenti diffusi con testi distribuiti gratuitamente, (la cui versione on line è peraltro disponibile) che ho compreso l'assoluta basilarità delle 4 nobili verità.

Esse sono il vero cuore della dottrina, della filosofia e della pratica buddhista. Vero fondamentale riferimento di studio, riflessione, meditazione, contemplazione, comprensione. Questa chiave ha illuminato tutto il resto. Le tessere del mosaico che ero andato raccogliendo in anni di letture, incontri, esperienze, trovavano improvvisa e unitaria ricomposizione.

Questa è la chiave del risveglio, del resto "buddha" significa "risvegliato" e buddhismo significa quindi "via del risveglio". Il cuore del buddhismo sono quindi le 4 nobili verità e il cuore delle 4 nobili verità è la realtà della sofferenza. Il nostro incredibile, paradossale attaccamento alla sofferenza. O meglio: il nostro attaccamento a ciò che produce sofferenza.

Risvegliarsi è comprendere che le nostre formazioni mentali producono sofferenza, illusione, ignoranza, rabbia, odio, distruttività. il risveglio non è altro che aprire gli occhi della mente, al di là dei nostri pensieri, delle nostre percezioni e sensazioni, essere consapevoli nel senso più immediato e concreto, a partire da ciò che sento in questo momento, dall'aria che sto respirando, dal mio corpo, dall'essere qui ed ora, dal sentirsi un essere vivente, dall'esprimere compassione per tutto l'universo con il quale siamo interdipendenti.

Molti pensano che sia un grosso sforzo evitare di reagire all'aggressività altrui, oppure non avere alcun risentimento verso chi ci detesta. Se ciò viene fatto con sforzo, sarà realmente un grosso sforzo, destinato quasi sempre a fallire. Ma la compassione buddhista non è fondata sullo sforzo, ma sulla consapevolezza.

Quando qualcuno ce l'ha con te, anche se si rivolge a te, non ce l'ha veramente con te, ma con l'immagine mentale che lui (o lei) si è fatto di te. Questa consapevolezza dovrebbe aiutarti a vedere la realtà con un certo distacco, quanto basta per riuscire ad essere obiettivi e non farsi influenzare dalle apparenze.

Nessuno vede veramente come siamo, nemmeno noi sappiamo veramente e total-mente chi sono le persone che crediamo di conoscere. Ognuno di noi vive nel proprio mondo virtuale, fatto di immagini registrate dai nostri occhi, trasmesse al nostro cervello, con l'aggiunta di tanti concetti (e preconcetti) che noi stessi aggiungiamo. Senza rendercene conto.

E' anche per questo motivo che esitono simpatie o antipatie immediate. Qualcuno ci è simpatico perché ci ricorda qualcosa di simpatico. Non c'è alcun merito nell'essere simpatico, né demerito nell'essere antipatico. Anche gli innamoramenti funzionano così. Amiamo l'immagine mentale che ci siamo fatti di una persona e coltiviamo l'illusione che possedere quella persona ci faccia realizzare i nostri sogni.

Odio e amore funzionano nello stesso modo: non amiamo né odiamo la persona che crediamo di amare oppure odiare. Sono sempre e soltanto costruzioni mentali. E' come al cinema: non vediamo lo schermo, ma le immagini che vengono proiettate sopra, anzi, il nostro coinvolgimento è tale che ci sembra di stare nella scena, ci sentiamo come il protagonista, abbiamo emozioni, paure, gioie, come se fosse reale.

Come se...... E' sempre "come se".

La vita è un po' come al cinema. La differenza è che nella vita quotidiana il film lo proietta la nostra mente, gli altri ci fanno da schermo. Possiamo vivere tutto ciò inconsciamente, oppure possiamo diventare consapevoli. Se siamo consapevoli, gli altri non ci faranno più arrabbiare. Anzi forse ci farà un po' ridere vedere qualcuno che si arrabbia con le proprie formazioni mentali che non sa di proiettare su di voi.
Questa consapevolezza ci permette di provare compassione anche per chi ci odia. Non sta odiando voi, ma l'immagine virtuale che si è fatto di voi. Il vostro "avatar" che sta nel suo cervello. Ovviamente, dobbiamo anche avere l'obiettività di riconoscere le nostre proiezioni. Se proviamo avversione per qualcuno o qualcosa, si tratta solo di ammettere che ci stiamo difendendo da noi stessi.

Si sente spesso parlare di credenti e non credenti come di due punti di vista diametralmente opposti. Una interpretazione in chiave buddhista mette in risalto un aspetto comune fra credenti e non credenti: entrambi ritengono che la propria visione della realtà sia "vera" o addirittura l'unica possibile. In realtà, noi tutti "crediamo" e "non crediamo" tantissime cose. Non è solo una questione di punti di vista religiosi, filosofico o esistenziali.

Crediamo che alcune cose siano educative, che altre siano nocive, altre utili, altre inutili, crediamo che certe cose siano il bene, altre siano il male, che un colore sia più bello di un'altro, crediamo di amare, crediamo di scegliere, crediamo di comprendere, crediamo che nostro figlio debba diventare ingegnere, crediamo che una vacanza al mare ci rilasserà.

Tutto ciò che crediamo e pensiamo, è costruito dalla nostra mente. quando noi pensiamo di credere in qualcosa, stiamo solo credendo a noi stessi, a una nostra opinione, a una forma creata dal nostro pensiero. Anche chi crede di credere in un dio, non riuscirà mai a farlo, al massimo può credere nel dio creato dalla sua mente.

Essere increduli o scettici non porta automaticamente ad avere una visione più obiettiva e più critica. Apparentemente è così, ma anche lo scettico spesso è tale non perché è scettico sulle proprie capacità percettive, quanto piuttosto su ciò che gli altri fanno.
La pura consapevolezza insegnata dal Buddha non è un potere speciale. Nessuno vede la realtà così com'è, tutti vivono e vedono la rappresentazione che la nostra mente crea del mondo, delle persone, dei fatti, delle cose. Chi è consapevole, sa benissimo di vivere nella propria mente, non ha nessuna pretesa di credere o non credere, trovando inutili o quantomeno molto relative le proprie stesse opinioni.

Chi è consapevole, vive la realtà "come se" la realtà fosse quella che crediamo sia. Inutile porsi domande, inutile classificare, inutile definire. Non faremmo altro che creare altre formazioni mentali. Ecco perché il saggio vive la realtà così com'è, pur sapendo che la realtà rimane inconoscibile. La sua è una soluzione immediata e pratica ai problemi della vita. Il saggio quando ha sete, beve e lascia agli intellettuali credere o non credere… se domani pioverà. Su questo siamo tutti d'accordo: tutti desiderano vivere felicemente, se possibile. Non siamo però tutti d'accordo sui modi di ottenere la felicità.
Circa 2500 anni fa, un certo principe Siddharta, che diventerà famoso col nome di Buddha Shakyamuni, pur avendo sperimentato tutte le felicità a cui un uomo può ambire (ricchezze, comodità, una famiglia, un figlio...) ritenne che nella vita di chiunque, ricco o povero, c'è sempre un sottofondo di disperazione, di paura, di insoddisfazione, di sofferenza. Anche quando non viene ammesso consapevolmente.

Questo perché si avverte la precarietà di tutto ciò che viviamo, perché abbiamo paura di perdere ciò che abbiamo, di non ottenere mai ciò che non abbiamo, di perdere affetti, situazioni, riferimenti. La maggior parte delle persone reagisce alla precarietà della vita con quelli che il Buddha chiamò "i tre veleni", che sono: attaccamento, avversione, illusione. La gente si attacca con tutte le sue forze agli elementi del proprio ambiente. Ci si attacca alle persone, al lavoro, al denaro, alla carriera, al cibo, alle sigarette, al gratta e vinci, ci si attacca persino ad internet, alla tv, alla musica, agli alcolici, ecc.

Non ci si accorge che tutti gli attaccamenti ci rendono ancora più dipendenti, più infantili, più bisognosi e in fondo più disperati. Allora c'è un'altra difesa (o "veleno"): l'avversione. Si evita, spesso con rabbia, il confronto quotidiano con la realtà. Diventiamo insofferenti a tutto. La "ricetta della felicità" non è più: "se avessi questo o quello sarei felice" ma diventa "se potessi evitare questo o quello, sarei felice". Ma nemmeno l'avversione ci rende felici, al contrario, ci rende più nevrotici, irascibili, ostili.

Infine c'è il veleno più potente, un veleno che promette felicità e invece porta sofferenza, è persino in grado di causare guerre, altera la nostra percezione, è come una droga psicologica. Si chiama Illusione. L'incredibile capacità della nostra mente di creare aspettative che non esistono, desideri impossibili, ma anche cose più semplici, tipo amori immaginari, aspettative assurde, conforti religiosi, promesse con se stessi che tutto cambierà, ecc.

Il Buddha insegnò a lasciar andare tutti questi veleni. Non più attaccamento, non più avversione, non più illusione. Cosa resta? Resta la realtà, la realtà così com'è, la felicità vera, la felicità di ogni attimo di vita, la felicità dell'aria che sento di respirare in questo momento, la felicità dell'odore del vento, la felicità di un sorriso, la felicità di vedere un cane che scodinzola, la felicità di poter essere ciò che si è qui, adesso, dire ciò che si pensa, oppure rimanere in un silenzio tranquillo.

Quando non siamo bramosamente attaccati, possiamo vedere le cose come sono, apprezzarle veramente, scoprire la gioia della semplicità. Quando non abbiamo avversioni, allora non siamo più ostili, non ci arrabbiamo quando guidiamo l'auto, aspettiamo pazientemente il semaforo verde anche se abbiamo fretta, perché la fretta è una condizione mentale, il tempo scorre sempre lentamente, anche quando ci sembra che scappa via.

Quando cessiamo di crearci illusioni, viviamo la vita vera, non il film che ci inventiamo. Cessiamo di fare i registi e diventiamo attori, i protagonosti della nostra vita. Nulla ci spaventerà perché di fronte ad ogni difficoltà possiamo scoprire che anche un viaggio di mille miglia richiede sempre un passo. C'è sempre un passo successivo da compiere, ed è a quello che dobbiamo pensare, anzi, lo dobbiamo fare senza pensarci troppo. Vivere senza illusioni è anche evitare di creare mentalmente un futuro virtuale. Noi non viviamo né nel passato né nel futuro, non possiamo che vivere ora, in questo istante. La nostra vita è qui, adesso. La nostra felicità è qui, adesso.

Abbandona l'ira, abbandona l'orgoglio,

liberati da ogni attaccamento.

Chi non si appropria di nulla,

chi non è legato ai nomi e alle forme

va al di là della sofferenza. (Dhammapada 17-221).