LA VACUITA’ della VACUITA’
PARTE SECONDA

 

LA GENERAZIONE della MENTE DEL  RISVEGLIO  

                   ! OMAGGIO AL NOBILE MANJUSHRI,

                          IL BODHISATTVA DELLA SAGGEZZA !
 

"L'INGRESSO NELLA VIA DI MEZZO"

 

 

FONTI PER LA TRADUZIONE 

Originariamente, “L'Ingresso nella Via di Mezzo”    (Skt.Madhyamakavatara), fu composto in 330 stanze di versi metrici in Sanskrito delle quali solamente 43 sono state più tardi recuperate in tutto o in parte come citazioni nei vari altri trattati di Sanskrito ancora esistenti. Né l'originale Sanskrito del testo di Chandrakirti né il suo autocommentario è al momento disponibile, così abbiamo dovuto contare su una traduzione Tibetana di entrambi, eseguita dallo studioso Tibetano Pa tshab Nyi ma grags in collaborazione con un Pandit Indiano chiamato Tilakakalasa, durante l'undicesimo secolo d.C. Questa traduzione probabilmente fu prodotta più o meno tra il 1070 ed il 1080 (cf. Naudou 1968, 172), e può essere trovato in quattro edizioni del Canone Tibetano: C217b1-350a7; D(3862)220b1-348a7; N (3254)266a5-415a2; P[98](5263) 264.b8-411b1. C'è anche una traduzione delle sole stanze (karika), fatta dalla stessa coppia: C198a1-216a7; D(3861)201b1-219a7; N(3253) 246b1-266a5; P[98](5262)245a2-264b8; e infine, una seconda traduzione delle sole karika, di Nag tsho Tshul khrims rgyal ba e Krshnapandita; trovata in sole due edizioni del canone: N(3252)227a3-246b1; P[98](5261) 225b7-245a2. Per la nostra traduzione Inglese, Geshe Wangchen ed io abbiamo usato l'edizione Tibetana fornita da La Vallée Poussin, che si basò su una pari edizione di P e N. Egli utilizzò anche un'edizione non-canonica fornitagli da Stcherbatsky, così come il Madhyamakavataratika di Jayananda (P 5271) (vedasi Tauscher 1983, 293). Io mi sono poi riferito alle traduzioni parziali delle 'karika' ed al relativo Commentario, elencati nella bibliografia sotto la dicitura "Fonti Primarie, MA. " 

           

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IL PRIMO STADIO - IL GIOIOSO (PRAMUDITA) 

 

 

(1) Sia gli sravaka che i Buddha intermedi (1) sono prodotti dagli [insegnamenti del] Saggio più eccellente (munindra), ed ogni Buddha è egli-stesso nato da un bodhisattva. Le cause generative dei figli dei Vittoriosi (ovvero i bodhisattva) sono il pensiero di Compassione, Conoscenza non-dualistica(2) e la Mente del Risveglio. 

(2) Prima di ogni altra cosa, io lodo la Compassione; perché questa comprensione è considerata il seme del prezioso raccolto [che sono] i Vittoriosi, come l'acqua che nutre [questo raccolto], e come il processo maturante che produce frutta matura dopo qualche tempo. 

(3) Io mi prostro a questa Compassione (3) che sorge per tutti gli esseri viventi che prima avevano generato l'auto-infatuazione tramite il pensiero "Io", e poi attaccamento agli oggetti tramite il pensiero "Questo è mio", così che essi privi di auto-determinazione vagano in tondo come una trottola (4). 

(4-5) I figli dei Vittoriosi vedono queste creature come fluttuanti e vuote di essere intrinseco, come un riflesso della luna nell'acqua brillante. Il primo stadio [nella generazione della Mente del Risveglio] è dominato da Compassione diretta verso la liberazione di tutti gli esseri viventi, e stabilito nella felicità che proviene (5) dal voto di bontà universale (6). Poiché egli ha ottenuto [la Mente del Risveglio], da questo momento egli è designato dal titolo di bodhisattva. 

(6) Egli (7) è nato nella famiglia dei Tathagata (8) e si libera completamente dei tre vincoli (9); il bodhisattva alleva una gioia sublime, ed è capace di scuotere (10) un centinaio di sistemi di mondi. 

(7) Salendo di stadio in stadio egli farà la sua ascensione, [ma anche] nel contempo egli vorrà sradicare le cause che conducono a rinascere nelle migrazioni cattive (12). Per lui [la possibilità di] vivere come un uomo comune ora è del tutto superata, e gli è assegnato lo stesso [status] di un santo dell'ottavo livello (13). 

(8) Perfino (14) [un bodhisattva] che abbia raggiunto null'altro che questo primo [stadio] con la visione della Mente del perfetto risveglio, eccelle in forza del suo merito, e trionfa sia sui pratyekabuddha che sugli [sravaka] nati dalle parole del più eccellente Saggio; e nello stadio [chiamato] "Avanzato" (Durangama), egli li supererà pure in intelligenza (dhi). 

(9) Durante questo tempo, la generosità predomina [nel bodhisattva] come causa iniziale del perfetto risveglio; e poiché questa generosità assicura la devozione perfino nel donare la propria carne, così essa offre un segnale deduttivo di [quelle qualità] che non possono divenire manifeste [a questo stadio] (15). 

(10) Tutti gli esseri viventi agognano un conforto, ma gli uomini non sono affatto confortati senza oggetti di piacere (16). Il Saggio ha stabilito la generosità in cima [al Sentiero] da quando ha capito che gli oggetti di piacere originano da essa. 

(11) Gli oggetti di piacere posseduti dagli esseri viventi con una compassione minima, quelli che sono pieni di ostilità e totalmente dedicati a scopi egoistici, sono essi stessi prodotti dalla generosità che provoca sollievo da ogni sofferenza. 

(12) Inoltre, prima o dopo, quando in qualche occasione essi stanno praticando la generosità, tali uomini incontreranno un santo(17); dopodiche il corso errato della esistenza sarà troncato ed essi raggiungeranno [la vera] pace che ha come sua causa [la generosità]. 

(13) Quelli che portano nei loro cuori la decisione di agire per il beneficio di tutti gli esseri viventi ottengono, tramite [la pratica di] generosità, felicità immediata. Perciò queste parole sulla generosità sono essenziali, perché sono dedicate a tutte le persone compassionevoli così come a quelle non-compassionevoli. 

(14) Perfino la felicità che proviene dall'entrare nella pace [del nirvana](18) è diversa dalla felicità sperimentata da un figlio dei Vittoriosi quando pensa a sentire la parola 'dare'. Cosa più si può dire su [la gioia che sorge] dall'abbandonare tutti i [possessi interni ed esterni] ?(19

(15) Tramite il suo dolore nel donare [la carne] tagliata dal suo proprio corpo, [il bodhisattva] conosce direttamente l'agonia sofferta dagli altri negli inferni e nelle varie [cattive migrazioni], ed egli fà direttamente un supremo sforzo affinché queste sofferenze possano essere sradicate. 

(16) Quell'atto di generosità, senza l'idea di uno che dà,  del dare e di chi riceve, è chiamata perfezione ultramondana; e quello che è attaccato a questi tre [concetti]  è insegnato come perfezione mondana (20). 

(17) E così, la gioia che dimora nel cuore del figlio dei Vittoriosi infonde il suo puro ricettacolo con un una meravigliosa luce raggiante, e come il liquido cristallo prezioso della luna, egli conquista e disperde l'oscurità più nera (21). 

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Qui finisce il primo [stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "Il Gioioso" (Pramudita), secondo l'esposizione data in L'Ingresso nella Via di Mezzo

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IL SECONDO STADIO - L'IMMACOLATO (VIMALA

 

(1) [Il bodhisattva] possiede le qualità pure della più perfetta moralità e perciò, anche mentre sta sognando, egli rinuncia ad ogni contaminazione che violerebbe il suo comportamento morale. Dalla purificazione di atti fisici, verbali, e mentali egli consolida i dieci livelli del Sentiero della pura condotta (1).

(2) Con il suo ingresso nel [secondo stadio di] questo decuplice Sentiero di virtù, egli è portato a estrema purezza. Come la luna d'autunno, egli-stesso è sempre puro, e con il seguire questi [dieci livelli] egli è abbellito con la luce raggiante della pace (2). 

(3) Se, tuttavia, egli vedesse [ogni aspetto di] questa pura moralità come se fosse intrinsecamente esistente, allora non sarebbe più una moralità "pura". Perciò egli deve rimanere totalmente distante dall'influenza di idee dualistiche riguardanti ognuno di questi tre [supporti] (3). 

(4) Per una persona la cui moralità è carente, i buoni risultati provenienti dalla carità possono apparire anche in una cattiva migrazione; ma quando il totale di essi è stato sperperato insieme a tutto ciò che produssero, non vi saranno più tali beni nel futuro. 

(5) Quando [una persona] vive in modo indipendente ed in piacevoli circostanze e però trascura di rimanere fissa in se stessa, allora prima o poi cadrà nell'abisso e sarà sotto-messa al potere altrui; ed una volta che ciò sia accaduto, chi potrà mai più liberarla? (4). 

(6) A causa di ciò, il Vittorioso ha dato istruzioni proprio per la condotta morale, dopo aver insegnato la generosità. [Tutte] le buone qualità prosperano nel suolo della moralità, ed il godimento dei suoi frutti mai cesserà.

(7) Per le persone comuni, per [sravaka] nati dalle parole [di un Buddha], per i pratyekabuddha [risvegliati] (5), e per i figli dei Vittoriosi, la causa essenziale della felicità provvisoria come pure dell'incomparabile beatitudine, non è nient'altro che la moralità (6). 

(8) Proprio come l'oceano è forte nei confronti di un naufrago (7) oppure come è preferibile la prosperità anziché la sfortuna - così un uomo poderoso (mahatma) governato dalla forza della moralità non è disposto a vivere con le trasgressioni.

(9) Quando c'è una [fede in un] supporto oggettivo associato con queste tre cose - uno che si astiene, l'atto dell'astenersi, e l'oggetto di quell'atto - allora quel tipo di moralità è stata chiamata perfezione mondana; ma quella che è vuota di attaccamento a quelle tre (cose) è riferita come perfezione ultramondana (8). 

(10) Sgorgando fuori dalla luminosa luna che sono i figli dei Vittoriosi, questo [Stadio] immacolato non è mondano, eppure è la gloria del mondo. Puro e senza macchia, come la luce dalla luna autunnale, disperde il soffocante calore che tormenta il cuore di ogni essere vivente (9). 

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Qui finisce il secondo [Stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "L'Immacolato" (Vimala), secondo l'esposizione data in L'Ingresso nella Via di Mezzo

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IL TERZO STADIO - IL LUMINOSO (PRABHAKARI

 

(1) Questo terzo stadio è [chiamato] "Luminoso" perché qui appare la luce di un fuoco che senza residui brucia il suo combustibile degli oggetti di conoscenza(1). A questo punto, nel figlio del Tathàgata sorge un brillante colore dorato, simile al sole. 

(2) Se qualcuno, irritato senza provocazione, dovesse gradualmente, pezzo per pezzo, tagliar via la carne e le ossa dal corpo di un bodhisattva, la sua pazienza con la persona che lo sta tagliando crescerebbe fino all'estremo (2). 

(3) Perfino le cose associate con tale atto di mutilazione - ciò che [si sta tagliando], colui che [sta tagliando], ed il tempo [dell'evento] - sono viste come [meri] riflessi, da un bodhisattva che percepisce direttamente l'assenza del <sé> (nairatmya). A questo riguardo, egli è paziente (3).

(4) Se colui che è stato ferito, cova un rancore contro [il feritore], forse che questo rancore contro di lui annulla [l'atto violento] che è già stato compiuto? [No, non lo fa], perciò la malevolenza non solo non è di alcun vantaggio in questo mondo, ma crea pure un ostacolo ad [una nascita favorevole] nel successivo mondo. 

(5) Il frutto di malvagi atti precedenti è chiamato esso-stesso il distruttore [per futuri atti malvagi]. Perché bisogna trasformarlo in un seme di miseria a causa del danno e rabbia contro gli altri? (4). 

(6) La rabbia diretta contro un figlio dei Vittoriosi distrugge in un solo momento tutto il merito accumulato tramite la generosità e la moralità praticate nel corso di eoni. Non c'è perciò altro peccato più grande dell'impazienza. 

(7) L'impazienza produce un brutto aspetto, spinge ad associarsi con l'ignobile, ruba la discriminazione che distingue tra comportamento corretto e sbagliato, e prima o poi getta il peccatore in una cattiva migrazione. La pazienza genera qualità opposte a quelle [difettose] appena menzionate. 

(8) La pazienza rende belli e porta ad associarci con persone nobili, essa dona la conoscenza che sa distinguere tra condotta giusta e sbagliata. Inoltre, provoca la dissoluzione del peccato, e la nascita come un dio o un umano. 

(9) Quando l'uomo comune ed il figlio dei Vittoriosi hanno capito i difetti della rabbia e le buone qualità della pazienza, e così l'impazienza è abbandonata, essi dovrebbero praticare, subito e per sempre, la pazienza che è lodata dai santi. 

(10) Se fosse applicata per risvegliarsi come Buddha perfetto, allora [la pazienza è associata con] l'attaccamento a concetti reificati riguardo all'esistenza dei tre supporti, e perciò rimane una perfezione mondana. Quella [pazienza] che è priva di qualunque sostegno fu insegnata dal Buddha come perfezione ultramondana. 

(11) A questo livello il figlio dei Vittoriosi sperimenta, insieme alla sua pratica di meditazione (dhyana) e ad altre più alte facoltà mentali (5) l'estinzione completa di bramosia e avversione. Egli è anche capace ad un certo punto di sconfiggere la brama delle passioni del mondo. 

(12) I 'sugata' (6) normalmente raccomandano ai laici questi tre basilari principi - generosità, moralità, e pazienza. Questi stessi principi costituiscono le clausole per il merito, e sono la causa del corpo di forma del Buddha (7). 

(13) Quando ha completamente disperso l'oscurità del figlio dei Vittoriosi, al cui  interno risiede, [la Mente del Risveglio associata a] questo Luminoso [Stadio] porta con sé una smania per la totale vittoria sull'oscurità di tutti gli esseri viventi. A questo Stadio, [il bodhisattva] anche se è divenuto estremamente zelante (tikshna), non è mai soggetto ad irritarsi. 

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Qui finisce il terzo [Stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "Il Luminoso" (Prabhakari), secondo l'esposizione data in L'Ingresso nella Via di Mezzo.

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IL QUARTO STADIO  - Il RADIANTE (ARCISMATI

 

(1) Tutte le buone qualità vengono dopo l'energia (virya)(1). L'Energia è la causa per tutti i due tipi di ottenimenti: merito e discernimento (2). Lo Stadio in cui questa energia è fatta destare è il quarto, chiamato "Il Radiante". 

(2) A questo Stadio, nel figlio dei sugata, dalla coltivazione intensa di meditazione (bhavana) dei mezzi ausiliari per perfezionare il risveglio (samyaksambodhipaksa), si produce uno splendore che è superiore alla brillantezza dell'ottone levigato, e qualsiasi [concetto reificato] associato con la visione filosofica di un sé soggettivo è completamente sradicato (3). 

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Qui finisce il quarto [Stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "Il Radiante" (Arcismati), secondo l'esposizione data in L'Ingresso nella Via di Mezzo

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IL QUINTO STADIO - L'INDOMABILE (SUDURJAYA

 

(1) Allo Stadio chiamato "L'Indomabile"(1) gli uomini vigorosi non possono essere soggiogati nemmeno dalle forze di Mara.(2) Vi è predominante [la perfezione di]  meditazione, e [il bodhisattva) ottiene l'estrema capacità di comprendere la natura intrinseca e profonda delle [quattro] nobili verità del Buddha. 

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Qui finisce il quinto [Stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "L'Indomabile" (Sudurjaya), secondo l'esposizione data in L'Ingresso nella Via di Mezzo.

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IL SESTO STADIO -

L'AFFRONTARE DIRETTAMENTE (ABHIMUKHI)

 [Introduzione] 

(1) [Allo stadio chiamato] "L'Affrontare Direttamente"(1), fissato in concentrazione stabilizzata (samadhi) ed affrontando direttamente il Dharma di un perfetto Buddha, [il bodhisattva) che percepisce la natura condizionata (idampratyayata) dimora in perfetta saggezza (2) e con ciò raggiunge la cessazione (nirvana) (3).

(2) Proprio come un gruppo di ciechi è facilmente condotto alla sua destinazione da una sola persona dotata di vista, così in questo caso [la saggezza perfetta] anche si trova al [livello dei] Vittoriosi, portandosi dietro le [cinque precedenti]  qualità che erano ancora senza l'occhio della discriminazione (4). 

(3) Qui l'approccio per essere spiegato è stabilito in concordanza con l'originale metodo del nobile Nagarjuna, perché egli comprese la natura profonda delle cose attraverso il ragionamento come pure attraverso le scritture (5). 

(4) Perfino (6) come uomo comune uno può sentir parlare della vacuità e ancora e ancora sperimentare una gioia interna - con i suoi occhi umidi di lacrime, e con tutti i peli del suo corpo drizzati a causa di quella gioia. 

(5) Il seme (7) della discriminazione di un Buddha perfetto giace all'interno di una persona simile. Questa persona è un adeguato contenitore per gli insegnamenti sulla realtà, ed è ad essa che la verità del significato più alto potrà essere insegnata, perché possiede le qualità che devono accompagnare tale [istruzione]. 

(6) Egli (8) vive sempre moralmente, dà offerte, pratica la compassione, e alleva la pazienza. Egli applica il merito da queste [virtù] proteso verso il suo risveglio per la liberazione di tutti gli esseri viventi. 

(7) Egli è un devoto dei perfetti bodhisattva. Una persona esperta in questo modo vasto e profondo, che ha da tempo raggiunto il livello chiamato "Il Gioioso", e che è intento in questo [stadio] - solo essa dovrebbe tendere a questo Sentiero (9). 

[La non-originazione di tutte le cose (sarvadharmanutpada)] 

(8a-b) La stessa [entità] non sorge da [se stessa], e come può sorgere da altro? E nemmeno sorge da entrambi [se stessa ed altro], e che cosa può esistere senza alcuna causa?(10).

[La prima alternativa: La Produzione spontanea (svata utpada)] 

(8c-d) Sarebbe del tutto erroneo [per un'entità] un sorgere da sé, ed è inoltre irragionevole supporre che qualcosa già prodotta potesse ancora essere prodotta di nuovo (11). 

(9) Se si presume che un'entità già prodotta sia prodotta ancora di nuovo, allora la produzione del germoglio, per esempio, non potrebbe avvenire nel contesto dell'esperienza di ogni giorno (12), oppure il seme si riprodurrebbe fino alla fine di ogni esistenza (13). E quando mai potrebbe tale entità perire? (14). 

(10) Secondo te [che sostieni questa prima alternativa], non c'è differenza tra il seme come causa generativa ed il germoglio come effetto, in termini della loro forma, colore, sapore, efficacia o maturazione (15). E se [il seme] abbandonasse la sua primitiva natura intrinseca e assumesse un diversa essenza da quella, allora in questo caso, come potrebbe mai possedere una qualche realtà? (16). 

(11) Se, come tu sostieni, il seme associato con un particolare germoglio non è differente da quel germoglio, allora sia ciò che è chiamato germoglio, come pure il seme, non sarebbero mai percepiti (17), oppure il seme apparirebbe solo come germoglio, perché i due sarebbero identici. Ne consegue che questa [tesi] non è accettabile. 

(12) Per quanto il suo effetto sia visibile solo quando la causa è scomparsa (18), l'identità dei due è anche inaccettabile perfino nel contesto dell'esperienza di ogni giorno. Perciò, questa concezione di un'entità che sorge da sé è irragionevole sia in termini di realtà [espressa nella verità del significato più alto] che dal punto di vista dell'esperienza di ogni giorno (19). 

(13) Se si sostiene questa nozione dell'auto-produzione, allora ne consegue che la causa (janaka) e l'effetto (janya), o l'agente (kartr) e l'azione (karma), sarebbero [per lo stesso criterio] identici. Tuttavia, essi evidentemente non sono identici e perciò l'auto-produzione non è una tesi accettabile, perché comporta queste erronee conseguenze che sono state spiegate in maggiore dettaglio [nel Madhya-makasastra]. 

[La seconda alternativa: La Produzione da un altro (parata- utpada)](20)

(14) Se poi un'entità sorgesse in dipendenza di qualcos'altro (21), allora l'oscurità potrebbe sorgere da una fiamma (22). Infatti, [se questo fosse il caso] allora qualsiasi cosa potrebbe sorgere da qualsiasi altra cosa, perché essa non sarebbe solo semplicemente [la causa] che è diversa dal [suo effetto] - tutte le non-cause sarebbero pure differenti [da quell'effetto] (23). 

(15) [Obiezione](24)Ciò che è capace di essere prodotto è con ciò designato come l'effetto, e ciò che è capace di generarlo -anche se è diverso [da questo effetto] - è la causa. [Ed inoltre, poiché] una cosa è prodotta da [qualche altra cosa] che appartiene allo stesso continuum e che è esso-stesso un produttore, perciò non è possibile che un germoglio di riso cresca da un seme di orzo, ad esempio (25). 

(16) [Risposta] Tu non assumi che un seme di orzo, o un seme del Kesara, il Kimsuka, o qualche altro seme floreale produca un germoglio di riso, perché essi non possiedono la capacità di fare così, perché non sono inclusi nello stesso continuum [col germoglio di riso], e perché non simile ad esso. Allo stesso modo, a causa del fatto che esso è diverso [dal germoglio], il chicco di riso è privo della caratteristica [che rappresenta quel germoglio] (26). 

(17) Dato per scontato che il germoglio ed i semi non esistono simultaneamente (27), allora come il seme può essere diverso [dal germoglio] quando non c'è [alcun germoglio esistente] per essere contrapposto ad esso? Ne consegue che [secondo la tua propria analisi] il germoglio non può essere prodotto dal seme. Questa tesi di produzione da altro allora deve essere rifiutata (28). 

(18) Si può asserire che proprio come noi possiamo vedere che l'ascesa e discesa delle due frecce della scala di una bilancia avvengono simultaneamente, proprio allo stesso modo, la produzione di un effetto e la distruzione della sua causa [si può dire che accadano simultaneamente] (29). Comunque, anche se [i movimenti della scala di una bilancia] sono simultanei, nel caso [della causalità] non c'è alcuna tale simultaneità. L'esempio è di conseguenza improprio. 

(19) [Obiezione] (30) Ciò che si sta producendo è "diretto verso" la produzione e non esiste ancora, mentre ciò che si sta distruggendo è "diretto verso" la distruzione sebbene tuttora ancora esista. [Risposta] In che modo ciò è simile all'esempio della bilancia?(31). E inoltre, questo genere di produzione, in assenza di un agente, è completamente illogico (32). 

(20) Se c'è una differenza tra l'apprendimento visivo ed i suoi propri generatori simultaneamente esistenti - l'occhio, la percezione, e gli altri fattori coapparenti, [l'apprendimento visivo stesso che già] esiste, allora qual è la necessità del suo [ripetuto] sorgere? E se tu dici che ancora non esiste, allora l'errore che comporta questa [tesi] è stato spiegato sopra precedentemente (33). 

(21) Supponiamo che il produttore sia una causa che produce un effetto diverso [da sé]. In questo caso, dovremmo credere che essa produca qualcosa che esiste, oppure che non esiste, che sia esiste e non esiste, o che né esiste né non esiste? Se [l'effetto già] esiste, allora che bisogno c'è di un produttore? Se non esiste, allora cosa potrebbe fare un produttore ad esso? (34) E in entrambi gli ultimi due casi sorgerebbe la stessa domanda (35).

(L'Esposizione delle due Verità] 

(22) [Obiezione] L'Esperienza del quotidiano, radicata nella percezione immediata, è considerata autorevole, quindi cosa c'è da dover trovare qui con tutte queste istanze sulla ragione? Inoltre, ogni persona normale sa che una cosa è prodotta da un altra. La produzione da altro è data per scontata come un'ovvia questione - che necessità vi può essere per il ragionamento? (36). 

(23) [Risposta](37) Tutte le entità hanno una duplice natura, che corrisponde all'entità appresa sia tramite una percezione corretta che con una non-corretta. L'oggetto rivelato attraverso la percezione corretta è reale [nel senso soteriologico più alto], mentre quello rivelato attraverso la percezione incorretta è riferito come "la verità apparente (o dello schermo)"(38). 

(24) La percezione incorretta è classificata secondo due categorie: la prima, che si deduce comunque da una facoltà integra; e la seconda, che si deduce da una facoltà difettosa. La comprensione di coloro che sono dotati di facoltà difettose è considerata erronea in relazione alla comprensione di coloro le cui facoltà sono in buono stato (39). 

(25) La comprensione (40) basata sull'apprendimento da parte delle sei facoltà integre è vera secondo lo standard dell'esperienza di ogni giorno, mentre tutti i rimanenti concetti reificati (vikalpa) sono falsi secondo questo stesso criterio (41). 

(26) [Per esempio], i concetti dei non-buddhisti (tirthika) che sono soggiogati dal sonno dell'ignoranza spirituale - come ad esempio [la loro credenza in] un 'sé' - e gli altri concetti che sorgono in unione con magia, miraggi e così via: [Ciascuno di questi si basa su un oggetto che è] inesistente anche dal punto di vista della esperienza di ogni giorno (42).  

(27) Proprio come l'apprendimento (43) da parte di un occhio afflitto da oftalmia non invalida alcuna conoscenza dedotta da un occhio sano, così la comprensione di coloro la cui conoscenza senza macchia è celata, non invalida la comprensione che è essa-stessa senza macchia (44). 

(28) L'illusione (45) è un schermo (samvrti) precisamente perché ostruisce [la consapevolezza del] la natura intrinseca [di tutte le cose] (46), e a tal riguardo, ciò che è solo meramente ideato sembra essere reale. Il saggio dichiarò che questa è la verità dello schermo, e quell'entità che è una [pura] fabbricazione è il [mero] schermo (47). 

(29) Sotto l'influenza dell'oftalmia (48) si forma un'immagine falsa di peli e così via, mentre un occhio integro percepisce spontaneamente ciò che è reale. [La distinzione tra le due verità] deve essere capita in un modoanalogo (49).  

(30) Se l'esperienza del quotidiano fosse autorevole, allora le persone comuni percepirebbero la realtà [espressa nella verità del significato più alto]. Perciò, che bisogno ci sarebbe per quegli altri, i santi? E cosa si dovrebbe compiere seguendo il loro Sentiero? È irragionevole che tale stupidaggine possa essere accettata come completamente autorevole. 

(31) L'esperienza di ogni giorno non è autorevole in alcun aspetto, e quindi essa non contraddice la realtà [espressa nella verità del significato più alto]. In ogni modo, gli oggetti incontrati nell'esperienza di ogni giorno sono dati per scontati sulla base di tale esperienza, ed ogni tentativo di negarli può essere contrastato efficacemente proprio contando sulla testimonianza di quell'esperienza quotidiana. (50

(32) Le persone mondane mettono meramente il seme, eppure esse dicono, "io ho prodotto questo bambino"; oppure immaginano, "Quell'albero fu piantato [da me]". Perciò la produzione da un altro non è vitale neanche secondo gli standard dell'esperienza mondana (51). 

(33) Il seme non è distrutto nel momento in cui il germoglio [è prodotto], perché il germoglio non è diverso dal seme; eppure, dato che i due non sono identici, così non può essere asserito che il seme esiste nel momento in cui il germoglio [è prodotto] (52). 

(34) Se [l'entità esiste] in dipendenza di una caratteristica distinta ed intrinseca, allora tramite la negazione di quella [distinta caratteristica], l'entità sarebbe distrutta, e la vacuità sarebbe la causa della sua distruzione. Non è questo il caso, comunque, perché le entità non sono [intrinsecamente] esistenti (53). 

(35) Quando le entità [date per scontate nel contesto dell'esperienza di ogni giorno] sono esaminate, si trova che esse non hanno nessuna caratteristica distinta ed intrinseca, salvo il marchio originario della realtà [espressa nella verità del significato più alto]. Perciò la verità convenzionale dell'esperienza di ogni giorno non deve essere esaminata criticamente (54). 

(36) "Auto-produzione" e "produzione da un altro" [sono state dimostrate come] indifendibili quando trattano con la realtà [espressa nella verità del significato più alto], e secondo lo stesso ragionamento queste [due alternative] sono indifendibili pure per scopi convenzionali. Con che genere di prove, difenderai [il tuo concetto di] la produzione? 

 [La natura del mondo empirico, espressa nella verità del significato più alto] 

(37-38) Non è affatto un mistero che le entità vuote, come i riflessi e così via, dipendano da una collocazione [di cause e condizioni], e che una cognizione può essere prodotta, ad esempio, nella forma di un'immagine di tale riflesso vuoto. Tutte le entità sono, in una maniera simile, non solo vuote [come effetti], ma esse sono anche prodotte oltre [le cause] vuote (55). Secondo le due verità, [le entità possiedono] nessun essere intrinseco, e quindi esse non sono permanenti, né sono soggette ad annichilazione (56). 

(39) Nessuna [azione] è completata attraverso la sua natura intrinseca, così di conseguenza si deve capire che perfino senza alcun deposito per la sua efficienza, e nonostante l'intervallo di un considerevole periodo di tempo dalla conclusione di quell'azione, il frutto [di quell'azione] in qualche modo si materializzerà (57). 

(40) Perfino quando poi si è svegliata, una persona sciocca può ricordare gli oggetti appresi durante il suo sogno ed attaccarsi ad essi. Quindi, è così che il risultato può materializzarsi anche dopo che un'azione sia già terminata e che [in primo luogo] non aveva alcun essere intrinseco (58). 

(41) E, proprio come l'oggetto percepito da [un occhio] afflitto da oftalmia, è un'immagine di un capello svolazzante e non un'immagine di qualche altra entità -benché anche altri sarebbero ugualmente irreali; così deve essere compreso che dopo la maturazione di [una determinata azione] non ci saranno ulteriori forme di maturazione (59). 

(42) Ne consegue che benché una cattiva azione possa avere una conseguenza sfavorevole e che si considera che una conseguenza favorevole sia associata con una buona azione, una persona troverà la liberazione [solamente] quando la sua mente è libera da [concetti reificati che concernono] ciò che è favorevole e/o sfavorevole. Inoltre, il pensiero [speculativo] riguardo all'azione e le sue conse-guenze, è stato espressamente condannato [dal Buddha] (60). 

(43) Frasi come (61)" Il deposito [della coscienza] esiste"; "La persona esiste"; "Solo gli aggregati psicofisici esistono"; "Solamente le basi di coscienza esistono" (62), sono insegnamenti errati dati dalle considerazioni di coloro che non capiscono il significato più profondo [degli insegnamenti sulla vacuità] (63). 

(44) Anche se il Buddha (64) non sostenne alcuna visione filosofica di un reale e sostanziale 'sé', ciononostante egli mentre insegnava usò le espressioni ''Io'' e "mio". Similmente, anche se le entità sono prive di un essere intrinseco, pure egli insegnò che, in un senso indefinito (neyàrtha), tutte esse esistono (65). 

 

[Confutazione della coscienza come verità ultima di cognizione in assenza di un oggetto esterno] 

(45) [Lo Yogacharin asserisce] (66) Dove nessun oggetto esiste, nessun soggetto può essere trovato, e perciò il bodhisattva capisce che il triplo mondo è soltanto mente. Affidandosi alla saggezza, egli comprende ulteriormente che la realtà stessa è solo 'mente'. 

(46) Proprio come le onde (67) smosse in sù dalla brezza che monta su un oceano enorme, così la 'sola-mente' diviene manifesta tramite la sua propria potenzialità, dal seme di tutte [le cose]. Ciò è riferito come "deposito [della coscienza]" (68). 

(47) La "forma dipendente" (paratantrarupa)(69) agisce [nei modi seguenti] come base per ogni designata entità esistente (prajnaptisadvastu): 1) essa appare anche in assenza di un qualunque oggetto esterno appreso; 2) essa realmente esiste; e 3) la sua natura intrinseca non si trova nella gamma della proliferazione concettuale (70). 

(48) [Il Prasangika risponde](71) C'è da qualche parte una cosa simile al pensiero in assenza di un oggetto esterno? Se tu intendi usare l'esempio di un sogno, allora considera il seguente: Dal nostro punto di vista, neppure in un sogno vi è un pensiero [in assenza di un oggetto](72), e perciò il tuo esempio è inaccettabile. (73). 

(49) Se l'esistenza della mente [sarà provata nel sogno] (74) tramite il riferimento alla memoria del sogno durante le ore di veglia, allora l'esistenza dell'oggetto esterno [nel sogno è altresì stabilito] dallo stesso criterio; perché proprio come tu  ricordi dicendo "io ho visto", allo stesso modo c'è anche una memoria dell'oggetto esterno [visto] (75). 

(50) Tu supponi (76) che durante il sonno la cognizione visiva non sia possibile, e perciò solo la cognizione mentale sia presente in assenza di [un oggetto esterno]. Secondo questa supposizione, in un sogno [il sognatore] attribuisce una realtà esterna a questa [cognizione mentale], e qui nella vita da svegli [il processo di percezione sarà capito) in una maniera analoga. 

(51) [Al contrario, noi Prasangika sosteniamo quanto segue](77): Proprio come secondo te nessun oggetto esterno è prodotto in un sogno, così [secondo noi], neppure la cognizione mentale non è prodotta: L'occhio, l'oggetto visivo, ed il pensiero prodotto da essi sono tutti e tre falsi (78). 

(52) Le restanti triadi - [uditiva, olfattiva, gustativa, tattile, e mentale](79) - sono anch'esse non prodotte. La vita di veglia è in questo aspetto simile ad un sogno. Tutte le cose sono false, non c'è pensiero [in assenza di un riferimento oggettivo], e privati di una sfera di operatività, pure gli organi di senso [in fin dei conti] non esistono (80). 

(53) Colui che si risveglia dal sonno dell'ignoranza spirituale è come uno che si sveglia da un sogno. Finquando egli non si risveglia, la triade rimane, ma quando egli si risveglia, non esiste più. 

(54) Sia i capelli percepiti sotto l'influenza dell'oftalmia che la cognizione associata con l'organo di senso malato sono reali, relativamente a quella cognizione: Tutta-via, per chi vede chiaramente l'oggetto, quegli altri due sono fittizi (81). 

(55) Se la cognizione esistesse in assenza di qualunque oggetto di conoscenza, allora quando l'occhio fosse diretto verso il luogo dove [furono visti] i capelli, pure una persona non afflitta da oftalmia dovrebbe percepirli. Tuttavia, questo non è ciò che accade davvero, e perciò questa [tesi] è indifendibile (82). 

[La cognizione come risultato della "potenzialità maturata"] 

(56) E' stato suggerito che l'errata cognizione dei capelli non sorge [in coloro che sono afflitti da oftalmia] poiché la potenzialità per la cognizione non è maturata in questi particolari individui. In questo caso, l'assenza [dei capelli] non è dovuta a mancanza di un'entità che serve come oggetto di conoscenza (83). [I Prasangika rispondono come segue] Non c'è nessuna cosa che sia una potenzialità, e perciò questa [tesi] non è sostenibile. 

(57) Non c'è nessuna possibilità di potenzialità per [un oggetto che già è] stato prodotto, e né può esservi alcuna potenzialità per una entità non-prodotta (84). La base per una qualificazione non esiste in assenza di quella qualificazione, perché se questo fosse il caso, ne conseguirebbe che [la potenzialità] esisterebbe perfino per un figlio di una donna sterile (85). 

(58) Si potrebbe sperare di designare questa [potenzialità come determinata] dall'imminenza [della cognizione; tuttavia, anche questa deve essere rifiutata]. In assenza della potenzialità, [la cognizione] non è più imminente (86). "Ciò che esiste in dipendenza di un oggetto reciproco, non esiste [in modo intrinseco]" - così hanno dichiarato i santi (87).

(59) Se [una cognizione] derivasse dalla potenzialità maturata di [un'altra cognizione] che sia terminata, allora una [cognizione] sorgerebbe davvero dalla potenzialità di una diversa [cognizione] (88). Tuttavia, i momenti del continuum (samtaninah) sarebbero differenti uno dall'altro, e di conseguenza qualsiasi cosa potrebbe sorgere da qualsiasi altra cosa. 

(60) Si può desiderare di suggerire che anche se i momenti di un continuum sono differenti, il continuum [nel quale essi sussistono] è esso-stesso indifferenziato, e perciò la [summenzionata] obiezione è irrilevante. Ciò rimane da provare, perché l'occasione di tale continuum indifferenziato non è assoggettabile a ragionamento. 

(61) [I due individui chiamati] (89) Maitreya e Upagupta sono persone diverse, e perciò i loro fattori costituenti non sono inclusi nello stesso continuum. Sarebbe irragionevole [proporre che cose] che differiscono in termini di [loro rispettivi] distinti caratteri intrinseci potessero essere inclusi nello stesso continuum. 

(62) [Lo Yogacharin asserisce] La produzione della cognizione visiva avviene in modo completo e senza dilazione della sua stessa [maturata] potenzialità. Quello che [comunemente] è appreso come l'organo fisico dell'occhio è invero proprio questa potenzialità che è la fonte della sua propria cognizione (90). 

(63) Normalmente, una persona immagina che [la cognizione di un colore] sorga dall'organo di senso. Essa non comprende che l'apparenza del blù, per esempio, sorge dal suo proprio seme, senza alcun oggetto appreso esternamente, e a tal riguardo, essa presume che tale oggetto sia presente (91). 

(64) [Comunque, non è questo il caso] Come in un sogno l'immagine mentale di una distinta forma oggettiva e concreta sorge dalla sua propria potenzialità maturata in assenza di una tale [forma reale], così pure è qui nella vita da svegli - la mente esiste in assenza di qualsiasi oggetto esterno. 

(65) [Il Prasangika risponde] Poiché in un sogno la cognizione mentale che appare come blù, per esempio, sorge in assenza di un occhio, allora perché [tale cognizione mentale] non è similmente prodotta dal suo proprio seme qui [pure nella vita da svegli] ad un uomo cieco che sia senza organo della vista? 

(66) Secondo te, nel sogno [di un cieco] vi è la potenzialità maturata per il sesto [senso della cognizione mentale], mentre nella vita da svegli non c'è. Se è così, allora perché sarebbe irragionevole supporre che nello stesso modo [l'uomo cieco possieda] nessuna potenzialità maturata per il sesto [senso] qui [nella vita da svegli], egli non ha anche tale [potenzialità] durante il sogno? 

(67) L'assenza di occhi [in un uomo cieco] non permette la causa [per poter vedere nella vita da svegli]. Similmente, anche il sonno non può essere posto come una causa [per la visione] nel sogno (92). Ne consegue che in un sogno così come nella [vita da svegli], l'oggetto [percepito] e l'occhio procurano le cause [coefficienti] per la concettualizzazione di un'entità fittizia. 

 

[L'irrealtà della cognizione e del suo oggetto] 

(68) Un oppositore è confutato percependo che ognuna delle sue risposte non è nient'altro che una tesi non confermata né garantita (93). I Buddha insegnarono che ogni e qualsiasi entità non existe [in modo ultimo] (94). 

(69) Il meditante (yogin) che segue le istruzioni del suo insegnante vede l'ambiente intorno a "né come se fosse pieno di scheletri (95). In questo caso è ovvio che tutti e tre [i fattori della sensazione](96) non sono prodotti, perché questo è un esercizio di applicazione mentale artificiale. 

(70) Secondo il nostro oppositore, perfino queste impure [visualizzazioni] mentali sono proprio come la percezione [convenzionale] degli oggetti di senso. Se fosse così, allora chiunque altro [oltre al meditante] che stesse guardando il luogo dove essi appaiono, dovrebbe percepire gli scheletri. Essi, tuttavia, sono fittizi e non sono [percepiti da nessun altri che il meditante]. 

(71) [Il meccanismo coinvolto] allorché gli spiriti affamati hanno l'esperienza della cognizione di un fluente fiume pieno di pus, è identico a quello dell'organo visivo affetto da oftalmia (97). Qui, il nostro significato deve essere capito nel seguente modo: Proprio come non vi è alcun oggetto di conoscenza, così non c'è nessuna cognizione (98). 

 

[Confutazione di un'entità non-conosciuta (consapevolezza riflessa) come verità ultima]  

(72) Se questa "entità-dipendente" esistesse in assenza di soggetto ed oggetto, (99) allora chi potrebbe essere consapevole della sua esistenza? Sarebbe inaccettabile asserire che essa possa esistere in modo non-conosciuto (100). 

(73) Non è provato che [una cognizione] sia consapevole di se stessa. Né ciò può essere provato usando la memoria susseguente [di un evento precedente come evidenza](101), perché in questo caso la tesi intesa a provare la richiesta stessa incarna una premessa non-provata, e perciò non può essere ammessa [come prova valida] (102). 

(74) Anche se [la nozione di] consapevolezza riflessa è ammessa, sarebbe ancora illogico asserire che una memoria (smrtijnana) costituisca ricordo valido [di una esperienza reale]. Infatti, sarebbe completamente diversa da [quell'esperienza precedente], proprio più che se fosse stata prodotta in un continuum che non includa alcuna cognizione [di quella precedente esperienza]. Questo argomento [basato sulla differenza tra i due] contraddice effettivamente ogni particolare tentativo [di spiegare la memoria tramite il ricorso alla nozione di consapevolezza riflessa] (103). 

(75) D'altra parte, secondo [il Prasangika], una memoria non è diversa da [la precedente consapevolezza coinvolta in] esperienza dell'oggetto, e perciò la propria memoria avviene nella forma "io vidi [un particolare oggetto]". Questa è la posizione data per scontata nell'esperienza di ogni giorno (104).

(76) Quindi, senza [questa nozione di] consapevolezza riflessa, chi (o cosa) potrà conoscere la tua dipendente-[forma]? L'agente, l'oggetto [dell'azione], e l'azione non sono identici, e per questa ragione è illogico sostenere che [una cognizione] conosce se stessa (105). 

(77) Tuttavia, se l'entità che è [una manifestazione di questa] forma-dipendente (paratantrarupavastu) esiste senza mai essere stata prodotta o conosciuta, allora perché il nostro oppositore dovrebbe insistere che [la credenza in] l'esistenza del figlio di una donna sterile è irrazionale? Quale danno potrebbe mai infliggergli un figlio di una donna sterile [che egli non abbia già sofferto con la sua credenza in un concetto di forma-dipendente]? 

(78) E, nel caso che questa [forma]dipendente non esista da qualche parte in nessun modo, allora che cosa funzionerà come causa per lo schermo [o verità convenzionale]? Tutta l'ordinata struttura dell'esperienza di ogni giorno è resa sterile da questo aggrapparsi ad una inerente sostanza reale, nei punti di vista filosofici dei nostri oppositori (106).

 

[Il vero significato degli Insegnamenti sulla "Sola-Mente"] 

(79) Non c'è alcun mezzo di trovare la pace per coloro che camminano fuori dal Sentiero calcato dal Maestro Nagarjuna (107). Tali persone hanno deviato dalla verità dello schermo e dalla realtà [espressa nella verità del significato più alto], e a causa di questo, essi non saranno mai liberati. 

(80) La verità convenzionale è il mezzo (108), la verità del significato più alto è la mèta, ed uno che non apprezza la distinzione tra queste due, traccia un percorso sbagliato tramite i suoi concetti reificati (109). 

(81) Noi [Màdhyamika] non abbiamo la stessa attitudine verso i nostri [concetti de] lo schermo come voi [Yogachàrin] li avete verso i vostri [concetti di] essere-dipendente (paratantrabhàva). Con riferimento alla natura dell'esperienza di ogni giorno, noi diciamo: "Anche se le cose non esistono, esse esistono" - e questo è fatto per uno scopo specifico (110). 

(82) [Le cose del mondo] non esistono per i santi che hanno abbandonato gli aggregati psicofisici e trovato la pace. Se, in un modo simile, essi non sono esistiti nel contesto dell'esperienza di ogni giorno, allora noi non dovremmo sostenere che essi lo siano - perfino in questo qualificato senso (111).

(83) Se l'esperienza di ogni giorno non vi crea una minaccia, allora voi potete persistere in questo rifiuto dell'evidenza procurata da tali esperienze. Disputate con l'evidenza dell'esperienza di ogni giorno, e dopo noi ci baseremo sul vincitore. 

(84) Allo [stadio chiamato] "L'Affrontare-Direttamente", il bodhisattva che è rivolto verso la verità [del significato più alto] realizza che "il triplo mondo è 'solo-mente' (112)". [Questo insegnamento] intende confutare, [le prospettive filosofiche del convenzionale] agente come un 'sé' eterno, dimostrando che l'agente è 'solo-mente' (113). 

(85) Come un lampo scagliato che fracassa la vetta di un'alta montagna straniera, l'Onnisciente riferì queste parole dal Lankavatarasutra con lo scopo di accrescere la saggezza dei saggi. 

(86) Ognuno dei filosofi non-buddhisti (114) parla nei suoi propri testi de [l'agente come] una "persona" (pudgala), o come qualche altra [entità permanente]. Il Conquistatore non era d'accordo con queste [definizioni] circa l'agente, e così Egli insegnò che l'agente all'interno del contesto degli affari di ogni giorno è "solo-mente" (115). 

(87) Proprio come "Colui [la cui conoscenza] della realtà è estesa" è riferito come un "Buddha", così il Lankavatarasutra sostituisce "solo-mente" con [la completa espressione] "ciò che è 'solo-mente' è preminente nel contesto dell'esperienza di ogni giorno". Il significato di questo sutra deve essere compreso non come una negazione della forma (rupa)(116). 

(88) Se avessero voluto negare [l'esistenza di] forma (117), quando dichiararono che [il triplo mondo] è 'solo-mente', allora perché nello stesso sutra i mahatma si troverebbero ad affermare, che la mente-sola è prodotta da illusione (moha) e da azione volizionale?"(118).  

(89) La 'solo-mente' fabbrica tutta la diversità dei mondi senzienti ed insenzienti. (119)  [Il Buddha] dichiarò che l'intero universo è prodotto dall'azione volizionale, ma non può esservi alcuna tale azione senza rnente (120). 

(90) Anche se la forma invero esiste, essa, come la mente, non funziona come "agente". Quindi, nel negare l'esistenza di ogni altro agente oltre la mente, non c'è alcun rifiuto implicito della forma (121). 

(91) All'interno del contesto della realtà di ogni giorno (laukikatattva) tutti i cinque aggregati psicofisici dati per scontati dall'esperienza quotidiana esistono, ma essi non appaiono veri al meditante che è impegnato a sviluppare la conoscenza della realtà [espressa nella verità del significato più alto]. 

(92) Se la forma non esiste, allora non potete sostenere l'esistenza della mente; e se la mente esiste, allora non potete sostenere l'inesistenza della forma. I Buddha rifiutarono l'inqualificazione di entrambe (122) nei sutra sulla perfetta saggezza; ed egli le affermò entrambe nella letteratura dell'Abhidharma. 

(93) Voi distruggete la gerarchia delle due verità, e addirittura poi questa [idea di una] vera sostanza (cioè la coscienza senza alcun oggetto) non potrà essere stabilita, perché è stata confutata [per molti altri motivi]. Sarebbe meglio capire questa gerarchia [delle due verità] come segue: Nella realtà [espressa nella verità del significato più alto] nessuna entità è mai prodotta, ma esse sorgono all'interno del contesto dell'esperienza di ogni giorno. 

(94) In un certo sutra è insegnato che non c'è immagine esterna (bahyabhasa) e che la mente [da sola appare in forma di] una diversità di immagini. Ciò si intende che funzioni come un rifiuto della forma solo per coloro che sono estremamente attaccati alla forma, e [tali insegnamenti sono] nondefinitivi (neyartha). 

(95) Il Maestro espose questo insegnamento in un senso nondefinitivo, ed è ragionevole interpretarlo solo in questo modo. Per di più, sulla base di questo passaggio, è chiaro che anche gli altri sutra di questo tipo sono di significato nondefinitivo (123). 

(96) I Buddha hanno insegnato che la negazione del conoscitore (jnatr) può facilmente essere compiuta una volta che si sia riusciti a fare a meno dell'oggetto di conoscenza (jneya). Per questa ragione essi cominciarono a rifiutare l'oggetto di conoscenza (124). 

(97) Bisogna procedere perciò secondo questi orientamenti quando si interpretano le ingiunzioni dottrinali [che trattano del concetto di "solo-mente"]. I sutra che trattano [gli insegnamenti su] la vacuità devono essere capiti in un definitivo senso, mentre quelli che tendono al soggetto di qualcos'altro diverso dalla realtà [espressa nella verità del significato più alto] sono nondefinitivi, e devono essere interpretati tramite una riflessione critica. 

 

[La combinazione di auto-produzione e produzione da altro: La terza alternativa] 

(98) Anche la produzione da entrambi è sicuramente irragionevole, perché i difetti già spiegati rinforzano così questa [tesi]. Né la [auto] produzione né la produzione da [altro] sono state provate, e questa [terza alternativa] è inaccettabile sia dalla prospettiva della verità [del significato più alto] che dal contesto dell'esperienza di ogni giorno. 

 

[Produzione dissociata da ogni fattore causale: La quarta alternativa] 

(99) Se si ritiene che la produzione avvenga solamente in assenza di una causa, allora ne consegue che qualsiasi cosa potrebbe essere prodotta dovunque in ogni momento, e centinaia di migliaia di semi piantati da persone comuni allo scopo di far spuntare raccolti porterebbero al fatto che non vi sia mai alcun raccolto (125). 

(100) Se il mondo fosse vuoto di qualunque causa [per la sua esistenza](126), allora come il colore o il profumo di un loto che cresca a mezz'aria, non sarebbe certamente appreso come esistente. Al contrario, il mondo è appreso in tutta la sua ricca varietà, e perciò bisogna riconoscere che esattamente come accade con la nostra propria cognizione [del mondo], il mondo stesso è [prodotto] da cause. 

(101) Gli elementi materiali primari non sono caratterizzati da alcun "sé", come ciò che fa da oggetto alla vostra [fuorviante] cognizione; e quando la propria mente è avvolta in un'oscurità impenetrabile riguardo all'esperienza di ogni giorno in questa vita, come può essa comprendere adeguatamente la prossima vita?(127). 

(102) La negazione della possibilità di una vita successiva implica la presenza di una credenza sbagliata nel 'sé' come una qualità di essere intrinseco, che poi è attribuita all'oggetto di conoscenza (128). Ecco perché, in tal caso, [la credenza nella realtà ultima degli elementi materiali de] il corpo e la credenza [nel 'sé' come una qualità di essere intrinseco] derivano entrambe dalla stessa radice (129). 

(103) Noi (130) ora abbiamo spiegato il modo per cui gli elementi materiali non esistono, in quanto la precedente discussione costituisce la generale confutazione della produzione - quando è auto-produzione, produzione da altro, produzione da entrambi o da nessuno di essi. È chiaro che gli elementi non esistono, anche se non furono specificamente menzionati. 

 

[Sommario della confutazione di un essere intrinseco] 

(104) Le entità sono vuote di un essere intrinseco (131) perché non c'è nessuna produzione da sé-stessi, da un altro, da entrambi o in assenza di alcuna causa. Eppure questi oggetti assumono una falsa apparenza, perché il mondo è ostruito dalla nebbia di una profonda illusione (132).

(1O5) Sotto l'influenza di un'oftalmia (133) si percepiscono erroneamente capelli, due lune, occhi sulla coda di un pavone o moscerini inesistenti. In un modo simile, quando la mente è precipitata sotto l'influenza dell'illusione, una persona comune sviluppa concetti reificati in associazione con tutto un mondo di cose composite. 

(106) Senza dubbio, le ingenue persone comuni dovrebbero essere consapevoli che le azioni volizionali trovano la loro radice nell'illusione ingannevole, così che quando l'illusione è eliminata, tali azioni non hanno luogo. I saggi comprendono la vacuità e sono liberati, perché essi hanno estirpato via questa spessa nube oscura e illusoria con il sole delle loro nobili menti (134). 

(107) [Obiezione] Se nella realtà [espressa nella verità del significato più alto] le cose non esistessero, come il figlio di una donna sterile, allora esse sarebbero pure inesistenti convenzionalmente. [Tuttavia, esse esistono conventionalmente]  perciò esse devono esistere in virtù del loro essere intrinseco (svabhàvena). 

(108) [Risposta] Questa vostra obiezione dovrebbe essere sollevata, casomai, in riferimento a coloro che sono affetti da oftalmia, poiché gli oggetti come capelli che appaiono a tali persone sono [convenzionalmente] non-prodotti. Dopo che [questo fenomeno è stato propriamente spiegato], riferite la vostra obiezione con riguardo a coloro che sono affetti dall'oftalmia dell'ignoranza spirituale. (135).

(109) Una persona percepisce sogni, città incantate, miraggi fatti d'acqua, magie, immagini riflesse e così via, che sono non-prodotte, eppure secondo il nostro oppositore è irragionevole che tali cose possano apparire come invece fanno, poiché [nella loro visione] esse non sono diverse da ciò che non esiste [in alcun modo] (come, per es. il figlio di una donna sterile) (136). 

(110) [Secondo il Prasangika, comunque] anche se [le cose] non sono in realtà prodotte, diversamente dal figlio di una donna sterile, esse servono come oggetti che sono percepiti nel contesto dell'esperienza di ogni giorno, e in base a questo, il vostro argomento è inconcludente (137). 

(111) Il figlio di una donna sterile non è prodotto in e da sé (svatmatah) né nella realtà [espressa nella verità del significato più alto] né nel contesto dell'esperienza di ogni giorno. Similmente, tutte le cose sono non-prodotte in e da se stesse (svarùpena) sia in questa realtà più alta che nel mondo relativo (138). 

(112) Perciò il Maestro dichiarò che tutte le cose sono fin dall'inizio in pace, prive di produzione e, in virtù della loro natura intrinseca, completamente intatte dalla sofferenza: (139) Non c'è affatto produzione (140). 

(113) Una brocca, per es., nella realtà [espressa nella verità del significato più alto] non esiste, eppure è data per scontata nel contesto dell'esperienza di ogni giorno. Tutte le entità sono simili in questo modo; quindi non si può concludere che esse siano equivalenti al figlio di una donna sterile (141). 

(114) Le entità sono non-prodotte senza una causa, e non da cause come "Dio", per es., [che è niente più che un concetto reificato]. E neppure esse sono prodotte da fuori di se stesse, né da altro, né da entrambi [da sé e da altro]. Esse sono prodotte da una mutua dipendenza reciproca. 

(115) I concetti reificati non possono emergere sotto una analisi, semplicemente perché le entità sono prodotte in mutua dipendenza. La logica della 'originazione dipendente' distrugge la rete delle visioni filosofiche erronee. 

(116) Se le entità esistessero [intrinsecamente] allora i concetti reificati sarebbero in ordine. [Tuttavia], con una investigazione critica, l'entità come tale dimostra di essere inesistente, e in assenza di una [intrinsecamente esistente] entità, questi concetti reificati sono inappropriati (142). Non può esserci fuoco in assenza di combustibile. 

 

[Introduzione alla Confutazione della persona intrinsecamente esistente (pudgalanairatmya)] 

(117) Le persone comuni sono strettamente legate a questi concetti reificati (143), mentre il meditante che non produce tali idee ottiene la liberazione. I Saggi dichiararono che l'analisi critica (144) dà luogo al termine dei concetti reificati. 

(118) Nel [Madhyamaka] Sastra l'analisi non è condotta oltre la fondatezza per il dibattito - essa insegna la realtà [espressa nella verità del significato più alto] allo scopo di liberazione. Se nel corso di questi insegnamenti sulla realtà, gli altri sistemi filosofici vengono distrutti, ciò non può essere considerato come un difetto [del Madhyamika]. 

(119) L'attaccamento alla propria visione filosofica e l'avversione ad un altro punto di vista sono essi-stessi evidenza di pensiero reificato. Quando si accantonano attaccamento ed avversione e si analizzano [tutte le visioni], rapidamente si troverà la liberazione. 

(120) Tramite l'intuizione profonda (145) il meditante realizza che tutte le afflizioni e le disgrazie sono associate con la visione filosofica (satkayadrsti) di un "Io" ritenuto reale e sostanziale(146), e una volta che lui ha identificato il 'sé' (àtman) come il punto focale di questa visione, egli sradica [il reificato concetto di] il 'sé'. 

(121) Il 'sé' (147) come concettualizzato dai filosofi non-buddhisti è eterno, inattivo, inqualificato, non-agente, e partecipe [di tutti gli oggetti di conoscenza]. I sistemi di questi non-buddhisti sono distinti secondo le varie caratteristiche che essi hanno attribuito a questo ['sé']. 

(122) Un tipo di 'sé' come questo, semplicemente non esiste, perché esso è non più prodotto di quanto lo sia il figlio di una donna sterile. Inoltre, non ha nessun senso il fatto che esso dovrebbe servire come base per aggrapparsi ad un 'Io': Noi non consideriamo che esso esista, neanche dalla prospettiva del [la verità relativa] dello schermo (148). 

(123) I nostri più noti argomenti riguardo alla non-produzione contraddicono ciascuna delle caratteristiche che questi filosofi non-buddhisti insegnano nei loro testi. Non una di esse è proponibile.    

 

[La confutazione del 'sé' come differente dagli aggregati psicofisici]   

(124) Perciò non c'è alcun 'sé' diverso dagli aggregati psicofisici, perché separatamente dagli aggregati esso non può essere stabilito. E neppure lo si considera come la base conoscitiva per aggrapparsi ad un "Io", che fa parte dell'esperienza di ogni giorno. Questa visione filosofica di un 'sé' non è ragionevole (149).   

(125) Anche coloro che hanno vagato per eoni [sprecando una vita dopo l'altra] come animali non percepiscono questo eterno, non nato ['sé'], eppure noi possiamo vedere che essi ancora si aggrappano ad un "io." A tal riguardo, non c'è alcun 'sé' differente dagli aggregati (150).   

   

[La confutazione del 'sé' come identico agli aggregati psicofsici]   

(126) Poiché il 'sé' non è stabilito come diverso dagli aggregati, alcuni lo considerano come la base della visione filosofica che reputa il 'sé' essere gli stessi aggregati, altri lo considerano [la base de] la visione filosofica che lo reputa una parte degli aggregati, ed altri ancora lo prendono per essere solo [il singolo aggregato de] la mente.   

(127) Se il 'sé' (151) fosse gli aggregati psicofisici, allora dovrebbero esservi molti 'sé', poiché vi sono una molteplicità di aggregati (152). In questo caso il 'sé' sarebbe una sostanza [convenzionalmente] reale, e [la cognizione] che si riferisce a tale reale sostanza, non potrebbe essere erronea (153).

(128) Tuttavia, (154) al momento di realizzare il nirvana, questo 'sé' sarebbe certamente annichilito (155) e prima del [la realizzazione del] nirvana esso sarebbe prodotto e distrutto di momento in momento. Ne consegue che l'agente sarebbe distrutto, non ci sarebbe alcuna retribuzione karmica per lui, ed  un ['sé'] sarebbe partecipe perciò di [retribuzione per] l'azione volizionale portata a termine da qualcun altro (156).   

(129) Se [il nostro oppositore dovesse presumere che] questo errore non si applica, perché in realtà c'è un continuum [in cui i momenti separati del 'sé' sussistono], allora [gli si consiglia} l'analisi precedente, in cui gli impliciti errori in [questa nozione di] un continuum sono già stati spiegati. Inoltre, è irragionevole che gli aggregati psicofisici o la mente debbano essere il 'sé', perché sarebbe sbagliato asserire che l'esperienza di ogni giorno, [che è solo gli aggregati] sia soggetta ad estinzione (157).   

(130) Se ciò fosse davvero il caso che il nostro oppositore suggerisce, allora  ne conseguirebbe che al momento in cui il meditante realizza l'assenza di un 'sé' [ultimamente reale], tutte le cose [convenzionalmente reali] sarebbero pure certamente [percepite come totalmente] inesistenti. Se però in difesa di questa posizione noi assumiamo che egli abbia abbandonato [solo il concetto di] un 'sé' eterno, allora in tal caso, il 'sé' non potrebbe essere la mente o gli aggregati psicofisici (158).   

(131) Il meditante che realizzò l'assenza di un 'sé' [semplicemente come l'inesistenza di un 'sé' eterno] non comprenderebbe la realtà di forma e degli altri [aggregati come espresso nella verità del significato più alto]. A tal riguardo, l'attaccamento e le altre [afflizioni] sarebbero ancora prodotti, perché essi sorgono tramite [l'errata] cognizione di forma, ed egli potrebbe non aver compreso la natura (di vacuità) della forma [e degli altri aggregati] (159).   

(132) Se [il nostro oppositore] ritiene che il 'sé' sia gli aggregati psico-fisici perché il Maestro insegnò che "gli aggregati sono il 'sé',"[allora egli dovrebbe diventare consapevole che] ciò è stato semplicemente [costruito come] una confutazione del 'sé' come un qualcosa di diverso dagli aggregati. In altri sutra fu insegnato che il 'sé' non è la forma [né alcuno degli altri aggregati] (160).   

(133) In un altro sutra è affermato che il 'sé' non è la forma (rupa) né la sensazione (vedana), né la percezione (samjna), né le tendenze prenatali (samskara), né la coscienza (vijnana). Perciò non si può asserire che il sutra definisce il 'sé' come [identico a] gli aggregati psicofisici (161).   

   

(La confutazione del 'sé' come composto di tutti e cinque gli aggregati psicofisici]   

(134) [Obiezione) Quando [il sutra] sostiene che il 'sé' è gli aggregati, questo è un riferimento al [composto di tutti] gli aggregati, e non all'essenza di [un unico] aggregato (162). [Risposta] [Il composto] non è il protettore, né ciò che deve essere sottomesso, e neppure il testimone, e perciò il ['sé'] non è il composto (163).   

(135) il 'sé' è simile ad un carro, e la qualità di essere un carro deriva dal composto assemblato delle sue parti. Tuttavia, nel sutra è detto che il 'sé' è soltanto dipendente dagli aggregati, e in base a ciò, il 'sé' non deve essere associato direttamente con il composto degli aggregati (164).   

   

(La confutazione del 'sé' come equivalente al corpo]   

(136) Se si asserisce che [il 'sé'] è analogo alla figura (samsthàna) [delle parti assemblate del carro], allora l'implicazione è che il 'sé' sarebbe soltanto la "forma" (rupa), perché solamente la forma è associata con la figura. Gli altri [aggregati] come la mente, per es., non potrebbero essere associati con il 'sé', poiché essi non sono associati con alcuna figura formale.   

(137) E' davvero irragionevole che l'appropriatore e il sostrato appropriato siano identici, perché se questo fosse il caso, allora sia l"oggetto dell'azione" (165) che l"agente" sarebbero identici (166). E se, d'altra parte si immagina che l'azione possa aver luogo in assenza di qualsiasi agente, allora [dovrebbe esserci un problema con questo assunto non garantito] - e questo non è certamente il caso. Non c'è azione in assenza di un agente (167).   

   

[Sommario degli argomenti precedenti]   

(138) il Saggio insegnò che il 'sé' è dipendente dai sei elementi: terra, acqua, fuoco, aria, coscienza, e spazio; e dalle sei facoltà (sparshayatana): la vista, e così via [inclusa la concettualizzazione come sesta].   

(139) Inoltre, egli insegnò che la mente (o pensiero:citta) ed i suoi aspetti componenti (cittadharma) sostengono [il 'sé']. Perciò, [il 'sé'] non è [gli elementi individuali], né è alcuno di essi presi separatamente, né invero esso è il composto - e per questa ragione la cognitiva base per aggrapparsi ad un ''Io'' non può essere [un 'sé' definito in alcuno di tali termini] (168).   

(140) [Supponiamo per il momento che] quando l'assenza di un 'sé' è capita, [questo semplicemente comporti] un rifiuto di questo "sé eterno". Ma questo [concetto reificato di un 'sé' eternamente esistente] non è considerato la base per essere aggrappati ad un "Io", e perciò perché la visione filosofica di un 'sé' reale e sostanziale sarebbe sradicata comprendendo [in questa maniera] l'assenza di un 'sé'? Una tale proposta sarebbe davvero meravigliosa!   

(141) [E' come se] (169) qualcuno avesse visto che un serpente abbia preso residenza in un buco nel muro della sua casa. Egli procede assicurandosi che non ci sia un elefante nella casa, e così facendo, non solo riesce a eliminare la sua paura [per l'elefante immaginario], ma si libera anche di qualunque apprensione per il serpente! Di certo, il nostro oppositore è notevolmente ingenuo [se sostenesse una tale posizione].   

(142) Il 'sé' non esiste negli aggregati psicofisici (170), e gli aggregati non esistono nel 'sé'. Se vi fosse una qualche differenza [tra il 'sé' e gli aggregati], allora tali concetti reificati sarebbero plausibili; ma poiché tale differenza non esiste, questi sono nient'altro che concetti reificati [senza nessuna possibile applicazione] (171).   

(143) Non si ritiene che il 'sé' possieda forma (172), perché il 'sé' non esiste, e non può esserci perciò nessuna relazione genitiva. [Il genitivo si applica se] c'è una differenza [tra possessore e cosa posseduta] come, per esempio, [nell'asserzione] "[Devadatta] possiede una mucca". Oppure [esso si applica] dove non c'è differenza come, per esempio, [nell'asserzione] "[Devadatta] possiede un corpo (rupa)". Comunque, il 'sé' non è né diverso né identico alla forma (173).   

(144) Il 'sé' non è la forma (174), né il 'sé' possiede forma. Il 'sé' non è "nella" forma, e la forma non è "nel" 'sé'. Tutti i [cinque] aggregati devono essere compresi proprio secondo queste quattro alternative: [Il cumulativo totale di permutazioni] è considerato come un composto dei venti aspetti della visione filosofica di un 'sé' (atmadrsti)(175).   

(145) Questi [aspetti] (176) sono i picchi situati sulla enorme montagna della visione filosofica di un "Io" reale e sostanziale. Essi ed il 'sé' vengono infranti e totalmente distrutti dal saettante fulmine della comprensione dell'assenza di un 'sé'.   

   

[La confutazione del 'sé' come sostanza reale benché inesprimibile]   

(146) Vi sono alcuni (177) che considerano che la persona esista come una sostanza reale, eppure essi non possono dire se sia identica o diversa [dagli aggregati], permanente o instabile, o qualsiasi altra cosa. Inoltre, essi la considerano essere un oggetto di conoscenza per le sei cognizioni (mentali) (178) e in quanto tale, la base per aggrapparsi ad un "Io" (179).   

(147) [La differenza o identità di] mente rispetto alla forma non è concepita come inesprimibile, e in effetti, nessuna cosa esistente (vastusat) può essere considerata inesprimibile. Ne consegue che se il 'sé' è un'entità stabilita, allora come la "mente" che è [anche] un'entità stabilita, [la sua differenza o identità rispetto agli aggregati psicofisici] non sarebbe inesprimibile.   

(148) Secondo il nostro oppositore, una brocca non è per natura un'entità precisamente stabilita perché [la sua differenza o identità] rispetto alla forma, per esempio, è inesprimibile. Similmente, anche la relazione del 'sé' con gli aggregati psicofisici è inesprimibile, e perciò uno non dovrebbe concepire il 'sé' come intrinsecamente esistente (180).   

(149) Ancora una volta, secondo il nostro oppositore, la coscienza non è considerata diversa da sé, ma è considerata un'entità diversa dalla forma [e dagli altri aggregati]. Questi due aspetti [identità e differenza] sono percepiti in associazione con una qualche entità, e poiché essi non si applicano al 'sé', questo 'sé' non esiste.   

   

[Il 'sé' è paragonato ad un carro conosciuto in dipendenza delle sue parti]   

(150) Di conseguenza, la base per aggrapparsi ad un ''Io'' non è un'entità. Non è diversa dagli aggregati psicofisici, non è né l'essenza né il ricettacolo degli aggregati (skandhadhara)(181), e non ne è il proprietario. [Il 'sé' che è la base per aggrapparsi ad un "Io"] è stabilito meramente in dipendenza degli aggregati(182).   

(151) [Il 'sé', in questo aspetto, è simile ad un carro] Un carro non è considerato diverso dalle sue proprie parti, né identico, né in possesso di esse, non sta "nelle" parti, né esse sono "in" lui, né è il mero composto [delle sue parti]; e nemmeno è la forma [di quelle parti] (183).   

(152) Se il carro fosse semplicemente il composto [delle sue parti], allora esisterebbe anche quando [le parti] fossero smontate. In più, è irragionevole [presumere che] il carro sia la mera figura [delle parti], poiché in tal caso non vi sarebbe nessun possessore delle parti (angin) e di conseguenza nessuna parte (184).   

(153) Secondo il nostro oppositore, anche quando è inclusa nel carro, la forma di ogni parte è la stessa come era in precedenza, [al momento in cui il carro non era ancora assemblato]. Ne consegue che il carro non esiste più dopo l'assemblamento che fu fatto fra le  parti  smontate (185).

(154) Se, nel carro assemblato, la forma delle ruote e le altre parti è diversa [da come erano prima di assemblarle], allora questa [diversità] dovrebbe essere evidente. Tuttavia, non è così e quindi il carro non è semplicemente la sua figura formale (186).   

(155) Ancora, secondo il nostro oppositore, non c'è alcun reale "composto". In questo caso, il [carro] non potrebbe essere la forma del composto delle sue parti, perché come potrebbe esservi una qualche "forma" con cui esso è associato, che sia non-esistente? (187).   

(156) E' proprio come il nostro oppositore sta sostenendo (188): L'immagine di un effetto, con una non-reale qualità di essere intrinseco, [sorge] in dipen-denza di una causa non-reale. Occorre comprendere che tutte le cose sono prodotte precisamente in questo modo (189).   

(157) Come conseguenza, sarebbe irragionevole asserire che la cognizione di una brocca [sia fondata] per esempio, sulla forma della brocca, che è analoga [alle parti del carro]. La forma e gli altri aggregati non esistono, perché essi non sono prodotti, e perciò è illogico [supporre] che essi posseggano una qualche forma (190).   

   

[Il 'sé' come una designazione dipendente (prajnaptir upadaya)]   

(158) Anche se [l'esistenza del carro] rimarrà non-provata secondo alcune delle sette alternative [enumerate sopra] sia nella realtà [espressa nella verità del significato più alto] che nel contesto dell'esperienza di ogni giorno, nondimeno per gli scopi del quotidiano esso è designato vero in dipendenza delle sue parti - senza analisi (191).   

(159) Questo vero [carro] è un possessore di parti o pezzi, è riferito nel mondo come un "agente", e per le persone [comuni] è stabilito anche come "appropriatore" (192). Non è una cosa astrusa, ed è dato per scontato nel contesto dell'esperienza di ogni giorno (193).   

(160) Come mai ciò che è inesistente secondo le sette alternative nondimeno esiste? Il meditante non lo considera esistente, egli però penetra facilmente la realtà [espressa nella verità del significato più alto]. Quindi [le cose del mondo] dovrebbero considerarsi stabilite come [noi abbiamo dimostrato] quì.   

(161) Allorché il carro non esiste, allora il "possessore delle parti" non esiste,  e né tantomeno le parti (194). Proprio come, per esempio, quando un carro è bruciato, le sue parti non esistono più, così quando il fuoco della discrimina-zione (mati) brucia il possessore delle parti, le parti stesse [sono incenerite] (195).   

(162) Similmente, poiché è dato per scontato nel contesto dell'esperienza di tutti i giorni, noi consideriamo il 'sé' pure come 'appropriatore', in dipendenza dagli aggregati psicofisici, gli elementi, ed i sei organi sensoriali con i loro rispettivi oggetti (sadayatana) (196). L'appropriato sostrato è l'oggetto della 'azione' (197) mentre [il 'sé'] è l'agente (198).   

(163) Tuttavia, poiché una tale entità non c'è, esso non è né transitorio né eterno; non è prodotto, né è distrutto. Non ha nessuna qualità di permanenza e così via, né  di identità, né di diversità (199).   

(164) Il 'sé' è quella cosa con cui la consapevolezza di aggrapparsi ad un "Io" si manifesta continuamente a tutti gli esseri viventi, e la consapevolezza del "mio" diviene manifesta con riferimento a ciò che [l ''Io''] possiede. Questo ['sé'] esiste come risultato dell'illusione, pertanto esso è dato per scontato senza alcuna indagine [meditativa] (200).   

(165) Nessun oggetto dell'azione esiste in assenza di un'azione, e così, in assenza di un 'sé', non c'è un "mio". Il meditante vede la vacuità dell'"Io" e "mio", e perciò egli sarà liberato (201).   

   

[Sommario della confutazione della produzione]   

(166) Una brocca, una stoffa o una tela di lana, un esercito, una piccola foresta, un rosario, un albero celestiale, una casa, un carretto, un albergo e così via - queste cose e qualunque altra cosa che, come loro, venga appresa dagli esseri viventi: Esse devono essere comprese [come convenzionalmente reali], perché il Saggio non aveva dispute con il mondo.   

(167) Le qualità, le parti, gli attaccamenti, le caratteristiche distintive, il carburante e così via; [oltre a] un possessore di qualità o parti, una base per gli attaccamenti o per le caratteristiche distintive, per il fuoco, e così via: Tali cose non esistono secondo le sette alternative quando, secondo il metodo del carro, esse vengono sottoposte all'analisi. D'altro canto, esse pure esistono e pertanto sono date per scontate nel contesto dell'esperienza di ogni giorno.   

(168) Se una causa produce il suo effetto richiesto, allora su quella base è una causa. Se nessun effetto è prodotto, allora in assenza [di alcun effetto], la causa non esiste. Ne consegue che quando la causa esiste, l'effetto necessariamente sarà prodotto [da essa]. [Se il nostro oppositore desidera sostenere che entrambi sono stabiliti come intrinsecamente esistenti, allora] per favore, resti con ciò che emergerà da quello, e quale [dei due] emergerà per primo (202).   

(169) Se, secondo il nostro oppositore, la causa produce il suo effetto tramite una connessione [con esso], allora in tal caso, poiché entrambi avrebbero la stessa potenzialità, non ci sarebbe differenza tra l'agente della produzione e l'effetto. Se, d'altra parte, [la causa ed il suo effetto sono completamente] distinti, allora la causa non sarebbe distinguibile da alcuna non-causa. E, a parte queste due, non c'è altra concezione [della relazione di causa-effetto] (203).   

(170) Se tu dici che la causa non produce l'effetto, allora [noi rispondiamo come segue]: in quel caso non c'è' nulla da dover riferire come "l'effetto"; [inoltre] una causa separata da ogni effetto diventa una non-causa, e tale cosa semplicemente non esiste (204). Poiché noi sosteniamo che entrambi [causa ed effetto] sono come illusioni magiche, perciò noi non siamo soggetti a nessun errore [logico], e gli elementi dell'esperienza di ogni giorno sono lasciati intatti (205).   

 

[Difesa dell'uso del Prasangika dell'analisi destrutturativa] 

(171) [Obiezione] La [vostra] confutazione confuta ciò che deve essere confutato collegandosi [con esse], oppure non c'è collegamento [tra i due]? L'errore [proprio stabilito] non proviene pure da Voi, [Prasangika]? Quando parlate così, voi combattete le vostre stesse posizioni, ed essendo questo il caso, voi non siete in grado di confutare [la posizione di un oppositore]. 

(172) La conseguenza delle vostre parole è come un'affilata spada a doppia lama - voi negate [l'esistenza di] tutte le entità, senza ragione. Uomini nobili non sarebbero mai d'accordo con voi, perché essendo carenti di una qualche posizione proprio vostra, voi vi avvalete così di ogni genere di confutazione per costruire un argomento (206). 

(173) [Risposta] Ma una confutazione confuta [la posizione di un oppositore] senza collegamento, o c'è un collegamento? L'errore già menzionato sopra certamente deriverebbe da qualsiasi posizione che comporti [la credenza in una intrinseca] esistenza. E questo non ci preoccupa minimamente, tuttavia, perché noi non abbiamo nessuna posizione (207). 

(174) Secondo il nostro oppositore, le caratteristiche che si trovano nel disco del sole sono anche [apparenti] nel suo riflesso, in cui uno può percepire le alterazioni [risultanti] ad es. da un'eclisse, Anche se fosse evidentemente irragionevole [parlare di] "collegamento" o "non-collegamento" tra il sole ed il suo riflesso, come una mera dipendente realtà convenzionale, [il riflesso] però, si genera.   

(175) Similmente, anche se non è reale, [il volto riflesso in uno specchio] è però utile ad una persona che desidera farsi attraente, ed in questo modo esso esiste [convenzionalmente]. Proprio adesso, il [nostro] argomento è come [un riflesso] tramite il quale si diventa consapevoli della possibilità di ripulire [l'ignoranza spirituale dal] volto della saggezza. Esso deve essere ben capito come capace di stabilire certe conclusioni anche senza fare ricorso a [concetti di significato obiettivamente radicato] generalmente accettati.

(176) Se l'argomento designato per sostanziare la vostra conclusione è [preso] come un fatto oggettivo (208), e anche la natura della conclusione è intesa come un fatto oggettivo, allora argomenti come quello presentato dianzi sul "collegamento" sarebbero attinenti. In questo caso, però, [noi non sosteniamo alcuno di tali concetti reificati], e quindi [l'obiezione del nostro oppositore] equivale a nulla più della sua stessa [infondata] credenza (2O9).   

(177) E' relativamente facile capire quello che si è voluto dire con l'assenza di essere intrinseco in tutte le cose, ma è alquanto più difficile comprendere [le ramificazioni di questo concetto di] essere intrinseco. Effettivamente, perché volete intrappolare il mondo nella pericolosa rete del vostro razionalismo?   

(178) Occorre capire che qualsiasi confutazione residua [non specificamente trattata qui] è implicita in ciò che è già stato dimostrato sopra, ed ognuna di esse potrebbe essere offerta anche come risposta a posizioni che coinvolgono [nozioni di] "collegamento", e così via. Non è affatto vero che noi Prasangika facciamo uso di qualunque tipo di confutazione. Come spiegato prima, tutti gli [argomenti] aggiuntivi devono essere sviluppati usando la stessa tecnica [della 'reductio-ad-absurdum'].   

 

[I sedici esempi di 'Vacuità' (210) - Introduzione] 

(179) L'assenza del 'sé' fu spiegata per la liberazione di tutti gli esseri viventi, sotto due aspetti, differenziati in: assenza del 'sé' delle cose [insenzienti o inanimate] (dharmanairàtmya); e assenza del 'sé' delle persone (pudgala-nairàtmya). In più, il Maestro riclassificò queste stesse [due categorie] e le insegnò sotto molti aspetti diversi, per il beneficio di diversi tipi di discepoli. 

(180) Egli spiegò sedici [aspetti di] 'vacuità', ognuno accompagnato con esempi, e di conseguenza egli li condensò in quattro chiarimenti che sono stati accettati dal Mahayana. 

  

[Gli esempi di vacuità] 

(181) [I] L'occhio è vuoto di occhi[ezza], poiché questa è la sua intrinseca natura. L'orecchio, naso, lingua, corpo, e mente, anch'essi devono essere spiegati in questo modo. 

(182) L'occhio e altre [cinque delle] sei [facoltà] non sono eterne e neppure soggette a decadere, e la loro assenza di essere intrinseco è riferita come "vacuità interna" (adhyàtmashunyata). 

(183) [II] La forma (rupa) è vuota di form[ezza], perché questa è la sua natura intrinseca. Suono, odore, gusto, tatto e pensieri [cose mentali] sono anche simili [alla forma, in questo aspetto]. 

(184) L'assenza di ogni essenza nella forma e negli altri oggetti dei sensi, è riferita come "vacuità esterna" (bahirdhashunyata).

(185) [III] L'assenza di essenza intrinseca associata con entrambi è [chiamata] "vacuità interna-esterna" (adhyatma-bahirdhashunyata). 

(186) [IV] L'assenza di essere intrinseco di [tutte le] cose è riferita dai saggi come "vacuità", e questa 'vacuità' è anche considerata vuota di qualunque essenza di vacuità. 

(187) La vacuità di ciò che è chiamato "vacuità" è riferita come "la vacuità della vacuità" (shunyatashunyata), ed è spiegata in questo modo allo scopo di contrastare qualunque tipo di comprensione della vacuità con [riferimento ontologico] riferito all"essere" (211). 

(188) [V] Le direzioni nel mondo sono infinite, poiché esse divorano senza residui il mondo inanimato così come gli esseri senzienti, e quindi, come esempio dell'incommensurabile, esse sono senza limiti né alcun confine. 

(189) La vacuità delle dieci direzioni è [chiamata] "La vacuità infinita" (maha-shunyata), e fu spiegata così allo scopo di contrastare ogni comprensione della vacuità infinita [come un riferimento ontologico all "essere"]. 

(190) [VI] Il Nirvana equivale al significato più alto perché esso è la méta più eccellente, e la sua vacuità [di essere intrinseco] è [chiamata] "la vacuità del significato più alto" (paramàrthashunyata). 

(191) La vacuità del significato più alto fu insegnata da coloro che conoscono [la verità del] significato più alto, allo scopo di contrastare qualunque tipo di comprensione del Nirvana con [un riferimento ontologico a] l' "essere". 

(192) [VII] Il triplo mondo è designato come composito perché esso sorge da [cause e] condizioni. La sua vacuità di [essere intrinseco] è [chiamata] "la vacuità delle cose composite" (samskrtashunyata). 

(193) [VIII] Ciò che non ha estremi è chiamato la trascendenza degli estremi. La sua vacuità di quella [trascendenza degli estremi] è riferita come "La vacuità della trascendenza degli estremi" (atyantashunyata) (212). 

 

(194-195) [IX] La ruota della trasmigrazione non ha inizio né fine, ed a causa di ciò, è chiamata l'assenza di un inizio e di una fine. L'esistenza è vuota di un andare e venire, come un sogno, ed la sua vuotezza di [inizio, intermezzo e fine] è riferita nei trattati filosofici (Sastra) come "la vacuità di ciò che è senza inizio e fine" (anavaragrashunyata). 

(196) [X] Ciò che è rigettato ed espulso è chiamato riprovevole, mentre è chiamato irreprensibile ciò che non viene evitato - cioè, ogni cosa che non è  respinta. 

(197) [L'irreprensibile] è vuoto di irreprensibilità, e ciò è chiamato "la vacuità dell'irreprensibile" (anavakarashunyata), 

(198-199) [XI] L'essenza delle cose composite [e non-composite] non è creata dai discepoli (sravaka), né dagli autodidatti (pratyekabuddha), né dai figli del Buddha, né dai Tathagata, e perciò questa essenza di cose composite [e non-composite] è riferita come la sorgente-fondamentale. La vacuità di questa stessa [sorgente fondamentale] è [chiamata] "la vacuità della sorgente fondamentale" (prakrtishunyata). 

(200) [XII] I diciotto elementi (213), i sei organi di senso (sparsayatana), e le sei tangibili sensazioni che originano da essi, oltre a ciò che è con forma e ciò che è senza forma, così come tutte le cose composite e noncomposite: La vacuità [di essere intrinseco] rispetto a tutti questi è [chiamata] "la vacuità di tutte le cose" (sarvadharmashunyata).

(201) [XIII] La forma e gli altri [aggregati] sono senza alcuna essenza, e [la loro vacuità] è [chiamata] "la vacuità di ogni distinta caratteristica intrinseca" (svalakshanashunyata). 

(202) La forma possiede l'intrinseca caratteristica distintiva di forma e colore; la sensazione (vedana) possiede l'auto-natura dell'esperienza; la percezione (samjna) apprende le caratteristiche distintive [interiori ed esteriori]; mentre le predisposizioni o tendenze prenatali (samskara) sono ciò che modella le azioni [mentali, vocali, e fisiche]. 

(203) La caratteristica distintiva della coscienza (vijnana) è la conoscenza diretta degli oggetti concreti. L'infelicità è l'intrinseca caratteristica distintiva di [tutti e cinque] gli aggregati psicofisici, e l'auto-natura dei [diciotto] elementi è considerata come un serpente velenoso. 

(204) Il Buddha dichiarò che gli organi di senso ed i loro rispettivi campi sensoriali (ayatana) sono l'ingresso per la nascita. L'originazione dipendente è la caratteristica distintiva di [tutte] le cose composite. 

(205) Il dare è [la caratteristica distintiva] della perfezione della generosità (dana); l'assenza dell'ansia è la caratteristica distintiva della moralità (shila); la caratteristica distintiva della pazienza (kshanti) è l'assenza di rabbia; e la caratteristica distintiva dell'energia (viryà) è la libertà dall'indolenza. 

(206) La meditazione (dhyana) possiede la caratteristica distintiva della con-centrazione, e la caratteristica distintiva della saggezza superiore (prajna) è il non-attaccamento. Tutti questi sono chiamati le caratteristiche distintive delle Sei Perfezioni. 

(207) L'Onnisciente dichiarò che gli [otto livelli] incommensurabili della meditazione (dhyana), e similmente ogni altra [meditazione] senza forma, possiedono la caratteristica distintiva di rendere liberi dalla agitazione (214). 

(208) I trenta-sette fattori suppletivi per il Risveglio hanno l'intrinseca carat-teristica distintiva di contribuire a evitare [la ruota di trasmigrazione nelle rinascite] (naiskramya). [Le tre Porte per la Liberazione (215), hanno le seguenti caratteristiche intrinseche:] (Prima,) La vacuità è non-appresa, e quindi la sua caratteristica distintiva è l'isolamento (viveka) [dalle contamina-zioni dei concetti reificati]. 

(209) (Seconda) (216) è senza segni [ed ha la caratteristica distintiva] della pace. (Terza) la caratteristica distintiva del terzo [ingresso] (senza-desideri) è l'assenza di infelicità e confusione. Gli [otto tipi di] Liberazione (astavimok-sha) hanno la caratteristica distintiva di contribuire alla liberazione finale. 

(210) I [dieci] poteri (siddhi) (217) si dice che abbiano l'intrinseca natura di estrema precisione nell'ordinare [i campi sensoriali]. I [quattro tipi di] impavidità nel liberare [tutti gli esseri viventi dalla sofferenza] sono l'essenza della stabilità estrema. 

(211) I [quattro tipi di] conoscenza analitica (pratisamvid) - la fiducia e gli altri tre (218) possiedono la caratteristica distintiva dell'inseparabilità. Ciò che assicura un beneficio per tutti gli esseri viventi è stato chiamato "la grande amorevolezza" (mahamaitri). 

(212) "La grande compassione" (mahakaruna) salva tutti coloro che sono immersi nella sofferenza. La gioia simpatetica [per la felicità degli altri] è la caratteristica distintiva de "la grande gioia" (mahamudita). l'Equanimità (upeksha), si dice che possieda la caratteristica distintiva di non-dispersività, (avyavakirnata). 

(213) Le qualità uniche (avenikadharma) [di un Buddha] sono considerate essere diciotto, e poiché il Maestro non dovette espropriarle [da un altro], ecco perché esse possiedono l'intrinseca caratteristica distintiva della non-espropriabilità. 

(214) Si considera che la percezione diretta (pratyaksha) sia la caratteristica distintiva della saggezza onnisciente, [di un Buddha]. Nessun'altro tipo [di conoscenza basata concettualmente] è riferita come "percezione diretta", perché quella è coinvolta nell'effimero. 

(215) [XIV] La vacuità ultima di ogni caratteristica distintiva in tutte le cose composite e non-composite è [chiamata] "la vacuità dell'intrinseca caratteri-stica distintiva" (svalakshanashunyata). 

(216) [XV] Il presente non è duraturo, ed il passato e futuro non esistono. Poiché questi non sono appresi, così sono riferiti come "incompresi". 

(217) L'incompreso ('non-appreso') è privo di qualunque essenza intrinseca, esso non dura in eterno né è soggetto alla decadenza, perciò è [chiamato] "la vacuità dell'incompreso" (anupalambhashunyata). 

(218) [XVI] Le Entità sono prive di ogni qualità essenziale di composizione, poiché esse originano da [cause e] condizioni. La vacuità di questa qualità di composizione è [chiamata] "la vacuità di non-entità" (abhavashunyata) (219). 

 

[Le quattro spiegazioni condensate] 

(219) In breve, la parola "entità" si riferisce ai cinque aggregati psicofisici. Essi sono vuoti di (essere intrinseco), e ciò è spiegato come "la vacuità del [composto] entità" (bhavashunyata) (220). 

(220) Ancora, brevemente, le cose non-composite sono riferite come "non-entità". Esse sono vuote di [natura intrinseca di] non-entità, e questo è ciò che è [chiamato) "la vacuità della non-entità" (abhavashunyata). 

(221) (Terzo), la natura intrinseca non è fabbricata [dagli sravaka, dai pratyekabuddha, o dai bodhisattva], e così essa è designata come "natura intrinseca". L'assenza di un'essenza associata con la natura intrinseca è [chiamata] "la vacuità della natura intrinsea" (svabhavashunyata). 

(222) (Quarto), non curandosi se alcuni Buddha dovettero divenire incarnati o no, la vacuità di tutte le entità dovrebbe ancora essere proclamata come "essere altro" (parabhava). 

(223) Nel sistema [presentato nella letteratura che tratta] della saggezza perfetta, la "realtà-limite" (bhutakoti) e la "talità" (tathata) sono [entrambe chiamate] "la vacuità dell'essere altro" (parabhavashunyata). 

 

[Conclusione] 

(224) [Il bodhisattva] irradia luce attraverso i raggi brillanti della saggezza. Egli ha realizzato che questo triplo mondo è come un'erba medicinale posata nel palmo della sua mano, poiché è non-prodotto fin dall'inizio. E attraverso il potere della verità convenzionale egli va verso la cessazione (nirvana) (221). 

(225) Anche se la sua mente rimane perpetuamente nella cessazione, egli ancora genera compassione per tutti gli esseri viventi che sono senza alcuna protezione. In seguito, attraverso la sua saggezza, egli trionferà nei confronti degli sravaka e dei pratyekabuddha. 

(226) Con le sue ampie ali bianche dello schermo e della realtà [espressa nella verità del significato più alto], il re dei cigni vola sempre più in alto aldisopra della massa (222). Sostenuto in alto dal forte vento della virtù, egli oltrepassa l'eccellenza dirigendosi verso i più lontani lidi dell'oceano delle reali qualità [del Buddha].

 

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Qui finisce il sesto [stadio nella] generazione della Mente del Risveglio chiamato "L'Affrontare-Direttamente" (Abhimukhi), secondo l'esposizione data ne 'L'Ingresso nella Via di Mezzo'  

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IL SETTIMO STADIO -  IL PIU' AVANZATO - (DURANGAMA

 

(1 a-c) Al livello [chiamato] "Il Più Avanzato" (1) [il bodhisattva] entra nella cessazione [del pensiero dualistico](2) da momento all'altro, ed anche i suoi mezzi abili raggiungono uno splendore glorioso. 

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Qui finisce il settimo [stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "Il Più Avanzato" (Durangama), secondo l'esposizione data ne 'L'Ingresso nella Via di Mezzo'. 

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L'OTTAVO STADIO -  L'INAMOVIBILE (ACHALA

 

(1 d-2) La [Mente del Risveglio] diventa irreversibile quando, allo scopo di guadagnare una virtù sempre più grande, il valente bodhisattva entra nello [stadio chiamato]"L'Inamovibile". Il suo voto [di salvare tutti gli esseri viventi] è completamente purificato, ed i Vittoriosi lo sollevano dalla cessazione (1). 

(3) La saggezza del non-attaccamento non sopporta la compagnia di alcun difetto, e perciò all'ottava tappa queste impurità con le loro radici sono sradicate completamente. Le afflizioni sono state estinte, eppure anche se [il bodhisattva] è preminente nel triplo mondo, egli ancora non è in grado di ottenere il tesoro del [le qualità] dei Buddha, che è illimitato come il cielo. 

(4a-b) Benché la ruota della trasmigrazione sia stata fermata, [il bodhisattva] si avvierà ad ottenere i dieci poteri (siddhi) e ad usarli per il beneficio di tutti gli esseri viventi. 

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Qui finisce l'ottavo [stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "L'Inamovibile" (Achala), secondo l'esposizione data in 'L'Ingresso nella Via di Mezzo'. 

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IL NONO STADIO - L'INTELLETTO INFALLIBILE - (SADHUMATI

 

(4c-d) Al nono [stadio] tutti i poteri (siddhi) sono pienamente purificati, e similmente, [il bodhisattva] ottiene anche le [quattro] intrinseche qualità completamente pure (svaguna) della conoscenza analitica. 

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Qui finisce il nono [stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "L'Infallibile Intelletto" (Sadhumati), secondo l'esposizione data ne 'L'Ingresso nella Via di Mezzo'. 

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IL DECIMO STADIO - LA NUBE DEL DHARMA (DHARMAMEGHA

            

(5) Al decimo stadio [il bodhisattva] riceve da tutti i Buddha l'investitura più sacra, ed anche la sua saggezza raggiunge il suo apice. Come un acquazzone che scroscia da una nuvola tempestosa, la pioggia del Dharma precipita spontaneamente dal figlio dei Vittoriosi a far maturare il raccolto delle virtù in tutti gli esseri viventi. 

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E così finisce il decimo [stadio di] generazione della Mente del Risveglio chiamato "La Nube del Dharma" (Dharmamegha), secondo l'esposizione data in L'Ingresso nella Via di Mezzo. 

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LE QUALITÀ ED I  FRUTTI  DEI  DIECI STADI - (di Generazione della Mente del Risveglio)

 

[Le Qualità associate coi Dieci Stadi del Sentiero del Bodhisattva]  

(1) Durante [il primo stadio, il bodhisattva] vede centinaia di Buddha e capisce che essi lo hanno investito con le loro benedizioni. Egli rimane a questo stadio per centinaia di eoni, e [la sua saggezza] circonda e permea i confini iniziali e terminali [di questo periodo di tempo]. 

(2) Il saggio si addentra e quindi emerge da cento livelli della concentrazione stabilizzata. Egli è in grado di scuotere cento sistemi di mondo, o anche di illuminarli. E similmente, per mezzo dei suoi poteri supernormali egli matura spiritualmente un centinaio di esseri viventi e viaggia verso i molti campi [del Buddha].  

(3) Egli spalanca le porte del Dharma. Il figlio dei saggi manifesta nel suo proprio corpo [altri cento] corpi - ciascuno dei quali aumentato dal suo seguito ed dispiegato in compagnia di altri cento figli dei Vittoriosi.

(4-5) Mentre dimora nel [secondo stadio chiamato] "L'Immacolato", il saggio ottiene migliaia di volte tante qualità quante furono ottenute durante la sua sosta nel [lo stadio chiamato] "Il Gioioso", e durante i successivi cinque stadi il bodhisattva ottiene centomila volte il numero originario [di qualità], poi ancora cento milioni di volte, poi un miliardo, cento miliardi ed al settimo stadio, migliaia di miliardi di tali qualità. 

(6) [Il bodhisattva] che dimora libero da concetti reificati, ottiene allo stadio [chiamato] "L'Inamovibile", un numero di qualità pari alla misura di atomi contenuta in trecento milioni di sistemi di mondo presi insieme. 

(7) Al [nono] stadio [chiamato] "L'Intelletto Infallibile", il bodhisattva ottiene le qualità menzionate sopra [in numero pari a] dieci volte la misura di atomi in centinaia di migliaia [di sistemi di mondi] innumerevoli, presi insieme. 

(8) Queste sue qualità acquisite qui attraverso i livelli dei lunghi dieci [stadi] eccedono la portata del discorso, perché esse sono così vaste come il numero totale di atomi [nel cosmo] - una rappresentazione inesprimibile. 

(9) Momento per momento, nei pori del corpo del bodhisattva, innumerevoli Buddha pienamente risvegliati sono manifestati, insieme a dèi, demoni, uomini, ed altri esseri viventi. 

 

[Le Qualità associate con lo Stadio di un Buddha pienamente Risvegliato] 

(1) La luna splende brillantemente (1) soltanto in un cielo limpido, e perciò, a questo punto tu [o bodhisattva] ancora una volta devi esercitarti per arrivare allo stadio dove sono prodotti i dieci poteri [di un Buddha](2). Devi quindi raggiungere il più alto [livello di un Buddha], il luogo di pace più eccellente, il limite incomparabile a tutte le qualità [del Buddha]. 

 

[L'identità di tutte le cose] 

(2) Nonostante le separazioni create dai contenitori, lo spazio è in se stesso senza alcuna separazione. Similmente, la realtà [espressa nella verità del significato più alto] non è divisa dalla presenza di entità (3). [Il bodhisattva] comprende pienamente l'uniformità [di tutte le cose (dharma)], e con questa nobile realizzazione egli comprende [tutti] gli oggetti di conoscenza in un solo istante. 

(3) [Obiezione] Se la realtà è pace, allora l'intelletto non penetrerà mai [la verità del significato più alto], e non potrà esserci nessuna conoscenza di un oggetto che l'intelletto possa raggiungere. Essendo proprio questo il caso, quando non c'è una qualsiasi conoscenza, come ci può essere un qualche atto di conoscere? Queste sono le contraddizioni [implicite nelle tue parole]. E in assenza di un qualche conoscitore, secondo te chi potrebbe insegnare ad altri che ciò è così?(4). 

(4) [Risposta] Quando la non-produzione è la realtà, e pure l'intelletto non è prodotto, allora è come se [l'intelletto] concepisse la realtà tramite il suo essere dipendente dalle [sue proprie] immagini. Qualsivoglia immagine assuma la mente, essa conosce proprio quel tale oggetto - e [quell'oggetto] è conosciuto [soltanto]  in dipendenza di una convenzionalità (5). 

 

 [I tre corpi di un Buddha - Il corpo di Beatitudine - (Sambhogakaya)] 

(5) Il corpo di beatitudine di[un Buddha] è reso completo tramite l'azione meritoria. Dal potere [del precedente voto di bodhisattva], emana un suono di [corpi di] trasformazione, dal cielo o da altre fonti, e questo suono insegna la realtà di [tutte] le cose, così che anche persone mondane possono sapere ciò che è reale [e ciò che non lo è] (6). 

(6) Qui [nel contesto dell'esperienza di ogni giorno], la ruota di un vasaio è  [inizialmente] fatta girare per mezzo degli estesi sforzi di un forte vasaio. Una volta che gira, tuttavia, essa continua a roteare anche senza il beneficio di alcun sforzo supplementare del vasaio, e così essa fornisce la causa per la produzione di brocche e degli altri tipi di arte vasaia. 

(7) Similmente, [il Buddha] non compie più alcuno sforzo quando dimora nel suo corpo del Dharma, eppure le sue azioni totalmente inconcepibili sono compiute tramite la virtù che lui acquisì [in precedenza] come essere vivente, (7), ed in particolare grazie al suo voto [di condurre tutti gli esseri viventi verso il Risveglio]. 

 

[Il corpo  del Dharma (Dharmakaya)] 

(8) Quando la secca percezione dell'oggetto di conoscenza è incenerita senza residui, la pace [che ne consegue] è il corpo del Dharma dei Vittoriosi. Allora non c'è più nessuna produzione e nessuna cessazione, e tramite l'interruzione [precedente] dei processi concettuali questa [pace] è direttamente sperimen-tata per mezzo del corpo [del Dharma] (8). 

(9) Questo corpo di pace è abbondante e copioso come l'albero dei desideri e privo di concetti reificati come un gioiello prezioso (9). Dimorandovi per sempre, per il beneficio del mondo, fino alla totale liberazione di tutti gli esseri viventi, esso appare in assenza di proliferazione concettuale. 

 

[Il corpo di Trasformazione (Nirmanakaya)] 

(10) Anche se le circostanze che provocarono le sue precedenti nascite sono cessate, simultaneamente, in un singolo corpo di forma realizzato tramite la causa adatta (10), il saggio comprensibilmente espone un resoconto chiaro ed ordinato delle sue varie nascite: 

(11) Il tipo di campi di Buddha ed i saggi che vi sono dentro - i loro corpi, le loro pratiche, e i poteri da essi posseduti; il formato e la natura dei loro ordini monastici di discepoli, i bodhisattva, ed i tipi di forme che hanno posseduto finora; 

(12) Quegli [esseri] che seguirono il Dharma e quelli che credettero in un 'sé'; il Dharma che essi udirono [essendo insegnato]; le pratiche alle quali essi presero parte; l'estensione delle loro offerte e donazioni. Tutti questi senza residui sono esposti all'interno di un singolo corpo. 

(13) Similmente, egli chiaramente mostra nei pori di questo corpo tutte le pratiche [alle quali si impegnò mentre era un bodhisattva], la totalità di circostanze che provocarono le prime pratiche di moralità, pazienza, energia, meditazione, e saggezza. 

(14) [Egli inoltre espone] i Buddha che sono andati e quelli che devono ancora venire, così come quelli che attualmente sono nel mondo e, attraverso l'insegnamento del Dharma con una voce appropriata che si estende oltre i limiti del cielo, porta sollievo agli esseri viventi caduti nella sofferenza. 

(15) Egli simultaneamente in ogni poro dimostra la sua comprensione del fatto che tutte le sue pratiche - dal primo pensiero (bodhicìtta) fino alla vera essenza del Risveglio - hanno posseduto la natura intrinseca di un'illusione magica, e che egli stesso è la stessa cosa. 

(16) Ugualmente, egli espone simultaneamente in ogni poro la pratica del bodhisattva dei tre tempi, quella degli onorevoli pratyekabuddha e sravaka, così come tutte le circostanze che circondano le [pratiche delle] persone. 

(17) Questi [atti dei] puri [Buddha] sono compiuti soltanto tramite il loro puro desiderio [di fare così]. I mondi che emersero fuori dai cieli sono tutti dispiegati in una sola particella di polvere così che quantità innumerevoli di essi permeano ogni suo recesso - eppure questa particella di polvere non diventa affatto più grande, ed i mondi stessi non diventano più sottili. 

(18) [O Beato], Tu che sei senza concetti reificati, mostra fino alla fine delle esistenze, momento per momento, le varie pratiche così numerose quanto la  totalità delle particelle di polvere trovate nell'intero Jambudvipa.(11). 

 

[I dieci poteri di un Buddha - Sommario] 

(19) Questi sono i dieci poteri [di un Buddha]: [I] il potere della conoscenza che concerne ciò che è una base corretta [per la pratica] e ciò che non lo è (stanastanajnanabala); [II] il potere della conoscenza della maturazione delle azioni (karmavipakajnanabala); [III] il potere della conoscenza delle varie aspirazioni [di tutti gli esseri viventi] (nanadhimuktijnanabala); [IV] il potere della conoscenza concernente i vari elementi (12) (nanadhatujnanabala); 

(20) [V] potere di conoscenza dell'eccellenza o deficienza delle capacità [dei vari discepoli] (indriyavaravarajnanabala); [VI] il potere della conoscenza che concerne i sentieri per tutte le destinazioni (sarvatragamanipratipajnanabala); [VII] il potere di conoscenza riguardo a tutte le meditazioni, la liberazione, stati della concentrazione ed i conseguimenti (sarvadhyanavimokshasamadhi- samapattisamkleshavyavadanavyutthanajnanabala); 

(21) [VIII] conoscenza che comporta la memoria delle vite precedenti (purva 

nivasanusmrtijnanabala); [IX] potere di conoscenza di morte, trasmigrazione, e rinascita (cyutyutpattijnanabala); e [X] il potere di conoscenza che l'influsso 

delle depravazioni è stato esaurito (asravaksayajnanabala). 

 

[I dieci poteri di un Buddha - Spiegazione di ciascun potere] 

(22) [I] (I Buddha] che conoscono, dichiarano che è certo che qualunque cosa per essere prodotta da una causa determinata deve avere quella [causa] come sua base, e ciò che è in contraddizione [con queste circostanze] come già spiegato non è una base. Questo potere è spiegato come una inostruita comprensione che incorpora innumerevoli oggetti di conoscenza. 

(23) [II] Si considera che questo potere abbracci gli oggetti di conoscenza in tutti i tre tempi (passato, presente, futuro). È un'inostruita capacità analitica di poter comprendere circa [le azioni] desiderabili ed indesiderabili e quelle opposte a queste due, con riguardo ad azioni che hanno la natura di esaurire [le azioni contaminate], ed alla grande varietà di conseguenze maturate associata con questi [tipi di azione]. 

(24) [III) Si dice che questo potere abbracci tutti [gli esseri viventi] in tutti i tre tempi. È una comprensione della molteplicità delle aspirazioni inferiori, medie, e superiori, che sono generate tramite la forza che sorge dall'attaccamento e dalle altre afflizioni, come una comprensione di quelle aspirazioni che sono nascoste da altri [fattori]. 

(25) [IV] I Buddha, esperti nella separazione degli elementi, dichiarano che la natura intrinseca dell'occhio, ad esempio, è propria di questi elementi. Questa infinita comprensione dei Buddha perfetti è asserita come un potere che comprende le particolarità degli elementi in tutti i loro aspetti. 

(26) [V] Questo potere è dichiarato essere onni-inclusivo, una inostacolata comprensione della capacità relativa delle varie intenzioni(13): la più potente, chiamata superiore, nonché quelle coinvolte nelle circostanze che circondano [le intenzioni] mediocri e scadenti, che sono riferite come inferiori. Ciò include pure una comprensione simile delle varie facoltà, visiva e così via (14). 

(27) [VI) Questo potere è asserito essere una comprensione inostruita e onni-inclusiva, la quale permette quei Sentieri che conducono [al risveglio dei] Vittoriosi, quelli al risveglio di un pratyekabuddha, quelli al risveglio di uno sravaka, e quelli verso l'esistenza come spiriti affamati, animali, dèi o una creatura umana, oppure, purtroppo, anche alle regioni infernali. 

(28) [VII] Questo potere è spiegato come una non ostruita comprensione delle diverse divisioni [di pratica seguite] dai numerosi meditanti del mondo, che includono i tipi di meditazione (dhyana), gli otto tipi di liberazione (vimukti), il dimorare nella pace (shamatha), ed i [nove] conseguimenti (samapatti) (15). 

(29) [VIII] Questo potere è spiegato come una comprensione che include [la memoria-ricordo del proprio Buddha] nei passati termini di esistenza che continuò solamente finché rimase l'illusione, come pure [i ricordi delle vite passate di] ciascuno degli altri innumerevoli esseri viventi che esistono, incluse le cause, l'ubicazione, e la natura [di ognuna delle loro vite]. 

(30) [IX] Questo potere è definito come una conoscenza non-attaccata, onni-comprensiva, corretta, ed illimitata, che comprende il tempo della morte, trasmigrazione, e rinascita di ogni essere vivente individuale, in associazione con le diverse circostanze degli esseri viventi in un mondo che giunge ai limiti  del cielo.

(31) [X] Questo potere è definito come una profonda comprensione infinita e non-ostacolata che, tramite il potere dell'onniscienza, conosce le afflizioni dei Vittoriosi, e immediatamente le distrugge insieme ai loro semi, mentre la saggezza degli sravaka [e pratyekabuddha] sradica le [sole] afflizioni, ma non i loro semi.

 

[Conclusione] 

(32) Un uccello non vola indietro perché è giunto al limite del cielo - quanto piuttosto, esso tornerà indietro perché la sua forza è stata svuotata. Allo stesso modo, lo sravaka [e pratyekabuddha], insieme ai figli dei Vittoriosi, tornano indietro dal cielo illimitato di inesprimibili qualità del Buddha. 

(33) In questo caso, come potrebbe mai uno come me conoscere le vostre qualità - più di quanto le descrivono? Nondimeno, poiché il nobile Nagarjuna le spiegò, anch'io qui ho detto assai poco per aiutare nella rimozione dei dubbi (16). 

(34) La vacuità è profonda, e le altre qualità sono vaste: [Tutte le qualità di un Buddha] sono realizzate solo tramite la comprensione di un profondo e vasto metodo. 

(35) Voi che avete una forma inamovibile, discendete incarnati nel triplo mondo, e tramite [il vostro corpo di] trasformazione, prendete nascita e poi trapassate, come pure la ruota della pace del risveglio. Grazie alla vostra compassione, spingete le persone mondane dai vari tipi di comportamento - tutti quelli imprigionati dalle molte trappole del desiderio - verso la trascendenza dalla sofferenza (cioè, al nirvana). 

(36) Senza conoscenza della realtà [espressa nella verità del significato più alto], nessun aumento di sforzi potrà dissipare tutte le macchie. La realtà di tutte le cose è indipendente da ogni divisione, e la saggezza che ha questa realtà come il suo oggetto è anche indifferenziata. Perciò, Voi insegnaste a tutti gli esseri viventi che metodi [apparentemente] dissimili (17) [alla fine] sono senza alcuna distinzione. 

(37) Come risultato di impurità che producono difetti negli esseri viventi (18), il mondo non può penetrare al profondo livello della pratica di un Buddha. O Tathagata, poiché tu possiedi la saggezza insieme ai mezzi abili che sorgono dalla compassione, e poiché hai fatto il voto di liberare tutti gli esseri viventi - 

(38) - Perciò, come il saggio [capitàno] che in viaggio creò una città di delizie per diminuire la fatica del suo equipaggio diretto verso l'isola delle gemme, così tu hai creato i veicoli (metodi) [degli sravaka e dei pratyekabuddha] al fine di dirigere la mente dei discepoli verso un metodo che culmina nell'estinzione [delle afflizioni]. Dopodiché hai insegnato [il Mahayana] per coloro il cui intelleto era purificato e liberato [da quelle afflizioni]. 

(39) O Sugata, così come atomi molto minuti esistono nelle innumerevoli direzioni che forniscono oggetti per [la saggezza dei] Buddha, così molti eoni passarono [mentre tu si sforzavi per] il più puro ed eccellente risveglio. In effetti, questo tuo mistero non viene rivelato [a coloro che non hanno già coltivato la corretta motivazione spirituale] (19). 

(40) O Vittorioso, la tua propria madre è la saggezza - da essa sei nato, e questa filosofia [del Madhyamika] è stata composta dalla tua nutrice, vale a dire la compassione. Come potresti trovare la pace [per te soltanto] finché tutti i mondi [degli esseri viventi] non siano anch'essi passati attraverso questa pace più eccellente, e lo spazio stesso non sia stato distrutto? 

(41) Anche la sofferenza di una madre, per il suo proprio figlio messo in pericolo da cibo avvelenato, non è così grande come la tua compassione per gli esseri viventi in [questa ruota di trasmigrazione] che tramite il difetto della illusione, stanno consumando cibo reso saturo dal veleno dell'esperienza di ogni giorno. Grazie a questa [compassione], O Beato, tu non sei passato oltre nella pace più eccellente. 

(42) Le inesperte creature sono soggiogate da una mente attaccata ai [concetti reificati di] "essere" e "non-essere", così da essere governate da errori e difetti, ed esse sperimentano la sofferenza derivante da nascita e morte, o anche da contatti con cose non attraenti e da separazione da cose attraenti. Per questa ragione, O Beato, il mondo è divenuto l'oggetto del tuo amore e, consumato dalla compassione, il tuo cuore rinuncia alla pace [della cessazione]. Per te non c'è nirvana. 

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EPILOGO

 

(1) Questo approccio è stato esposto dal monaco Chandrakirti, in accordo con entrambi i trattati dedotti dai testi stessi del Madhyamika e con la tradizione scritturale. 

(2) Uomini saggi confermano che la dottrina della vacuità non si trova in nessun'altra filosofia che [il Madhyamika] e, similmente, che questo approccio particolare pure non si trova in nessun altro posto [oltre questo testo], anche se è fermamente basato su [gli insegnamenti del Madhyamika]. 

(3) Vi sono coloro che hanno abbandonato la benefica filosofia [del Madhya-mika] senza neanche tentare di capirla, semplicemente a causa della paura che deriva dal [profondo] colore del vasto oceano [della saggezza profonda di Nagarjuna]. Chandrakirti ora ha adempiuto ai loro desideri con questo [trattato che spiega] i capitoli del [Madhyamakasàstra di Nagarjuna], come la rugiada che di sera blandisce a far fiorire le gemme di un loto. 

(4) Anche se l'esposizione della realtà [espressa nella verità del significato più alto] è profonda e paurosa, certamente verrà capita da una persona che abbia prima coltivato [il suo studio testuale nella pratica di meditazione] (1). Gli altri non la comprenderanno mai, nonostante l'ampiezza della loro cultura. Chiaramente occorre essere in grado di percepire che tutti gli altri sistemi filosofici sono composti semplicemente come giustificazione delle loro proprie presupposizioni non-stabilite - come, per esempio, nel caso di quei sistemi che postulano l'esistenza di un 'sé' [reale in modo ultimo]. E, una volta che questo è stato fatto, tutto il fascino di queste tesi proposte aldifuori di questo trattato dovrebbe essere abbandonato. 

(5) Ora che questa presentazione della più benefica filosofia del Maestro Nagarjuna è completa, speriamo che qualunque merito che io abbia ottenuto venga sparso in ogni recesso delle menti oscurate dalle afflizioni, come la bianca luce di stelle apparse nel cielo blu dell'autunno; oppure speriamo che divenga un tesoro mantenuto nel cuore, come un gioiello inserito nel largo cappuccio di un possente cobra, così che tutti i mondi [degli esseri viventi] possano arrivare a capire la verità [del significato più alto] e rapidamente giungere [al Sentiero finale che porta] -allo stadio finale di un Tathagata. 

 

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BIBLIOGRAFIA  TRADIZIONALE

 

I riferimenti abbreviati alle edizioni e traduzioni dei testi Sanskriti, Tibetani, e Cinesi sono elencati sotto la voce "Fonti Primarie." Questa è una bibliografia selettiva; le opere qui incluse sono soltanto quelle citate nel testo e nelle note di questo libro. Esse vengono riportate come sigle che verranno usate in special modo nelle successive Note. Per ulteriori informazioni su tutte le opere scritte successivamente e su altri temi particolari, il lettore dovrebbe consultare le bibliografie menzionate nel (paragrafo) §3, n. 1. 

 

FONTI PRIMARIE

 

PALI 

(Se non altrimenti specificati, i riferimenti sono alle edizioni e traduzioni della Pali Text Society).

 

A = Anguttara Nikàya 

U = Udàna 

CV = Cullavagga 

D = Digha Nikàya 

DP = Dhammapada - Ed. Pàli., trad. Ingl., Radhakrishnan 1950. 

MV = Mahàvagga

V = Vinaya

VM = Visuddhimagga,  Buddhaghosa; trad. Ing., Nanamoli, 1976. 

S = Samyutta Nikàya 

 

SANSKRITO 

 

AK = Abhidharmakosa di Vasubandhu. Ed. Skt., Pradhan 1975

          (con le bhashya di Vasubandhu). Trad. Fr., La Vallée Poussin 1971.  

AS = Astasahasrikaprajnaparamita - Skt. ed., Vaidya 1960a. Eng. trans., Conze 1975. 

CS = Catuhsataka di Aryadeva -Tib. ed. con frammenti Skt., Lang 1986. 

CSt = Catuhstava  di Nagarjuna -           Skt. / Tib. ed., Eng. trad., Lindtner 1982. 

TSN = Trisvabhàvanirdesa di Vasubandhu -        Skt. / Tib. ed., Fr. trad., La Vallée Poussin 1932-1933.     Eng. trad., Kochumuttom 1982, 90-126; Anacker 1984,287-298. 

DB= Dasabhùmika  -      Skt. ed., Vaidya 1967. 

PV = Pancavimsatisahasrikaprajnaparamita  -  Skt. ed., Dutt 1934. 

PSP = Prasannapada di Chandrakirti -    Skt. ed., vedi sotto MS,(Eng. trad.) Sprung 1979 (cap. 1-10, 13 15, 18 19,22-25); Stcherbatsky 1927,79-212 (cap. 1, 25).(trad. Fr.) Jong 1949,1-86 (cap. 18-22); May 1959, 51-298 (cap. 2-4, 6-9, 11,23-24,26-27). 

                    (Trad. Ted., Schayer 1931a(cap. 5 e 12-16) e 1931b (cap. 10). 

BCA = Bodhicharyavatara di Santideva, con le panjika di Prajnakaramati -Skt. ed., Vaidya

 1960b. Eng. trans., Matics 1970; Batchelor 1979.            (Fr. trans., La Vallée Poussin

 1907. )

BB = Bodhisattvabhumi  -           Skt. ed., Wogihara 1971.

Eng. trans.(1°parte:1:4Tattvarthapatalam), Willis 1979. 

MA = Madhyamakavatarakarika di Chandrakirti -Tib. ed., La Vallée Poussin -1907-1912

(con le bhashya di Chandrakirti). Eng. trans. di 1-5, Hopkins 1980; ed, Rabten &   Batchelor 1983.  Fr. trad. -5, 6.1-165, La Vallée Poussin 1907-1911. 

Trad Ted. of6.166-226, Tauscher 1981. 

MAB = Madhyamakavatarabhashya di Chandrakirti -Tib. ed. e trad., vedi MA

           Trad. dal Cinese, Fazun? 1975.-Jap. Trad.. of6, Ogawa 1976. 

MPPS = Mahaprajnaparamita-sastra (anche - upadesha), attribuìto a Nagarjuna 

            Trad.Cin.., 1'. 1509, voI. 25, pp. 57A-756B.  - Eng. Trad., Ramanan 1966. 

    Fr. trad. di 1 e 2.20, Lamotte 1944-1980. 

MVA = Mahavastu avadana -Skt. ed., Senart 1882-1897. 

MVK = Madhyantavibhagakarika di Maitreyanatha -Skt. ed., Nagao 1964 (con le bhashya

di Vasubandhu). Eng. trans., Anacker 1984, 191-286; Kochumuttom 1982,27-89 (con estratti dalle bhashya di Vasubandhu). 

MVKB = Madhyantavibhagakarikabhashya di Vasubandhu -, vedi MVK

MS = Madhyamakasastra di Nagarjuna- Skt. ed. La Vallée Poussin 1903-1916

          (col Prasannapada di Chandrakirti); Jong 1977. Eng. trans., lnada 1970. 

MSA = Mahayanasutralankara di Asanga - Skt. ed., Lévi 1907-1911. 

MVP = Mahavyutpatti - Tib. ed., Sakaki 1916-1925. 

MMV = Mulamadhyamakavrtti di Buddhapalita -Tib. ed., Eng. trans. ofl-21, Saito 1984. 

RV Ratnavalì di Nagarjuna -Skt./Tib./Chin. ed., Hahn 1982. Eng. trans., Hopkins 1975. 

LA = Lankavatarasutra  -Skt. ed., Vaidya 1963.Eng. trans., Suzuki 1932. 

VP = Vajracchedikaprajnaparamita  Skt. ed., Conze 1974. Eng. trans., Conze 1958. 

VV = Vigrahavyavartanì -           Skt. ed., Eng. trans., Bhattacharya, Johnston, e Kunst 1978. 

VN Vimalakìrtinirdeiasiitra -Tib. ed., Oshika 1970. Eng. trans., Thurman 1976. Fr. trad.,

Lamotte 1962. 

SS=Sikshasamuccaya di Santideva- Skt.ed.,Vaidya1961. Eng. trans.,Bendall e Scova 1922. 

SP = Saddharmapundarìka-Skt. ed., Dutt 1953. Eng. trans., Kern 1884. 

SN = Samdhinirmochanasutra - Tib. ed., Fr. trad., Lamotte 1935. 

SBS = Subhasitasamgraha - Skt. ed., BendalI1903-1904. 

 

TIBETANO 

 

TKP = Tsong khapa 'dBu ma la 'jug pa'i…' Tib. ed., P6143, voI. 154. Tib. ed., Sarnath

              1971. Eng. trans. di 1-5, Hopkins 1980. 

C = Co ne bsTan 'gyur -Ed. del canone tibetano. New York: lnstitute for Adv.Studies of 

                                                                                                          ofWorld Religions

D = sDe dge bsTan 'gyur - Xilografia del canone tibetano. Sarnath, India: CentraI Institute

N = sNar thang bsTan 'gyur -Xilografia del canone tibetano. Dharamsala, India: L.T.W.A. 

P = Peking bsTan ' gyur  - Edizione Cinese del canone tibetano. Suzuki 1958. 

 

 

CINESE 

 

T=Taishò-shinshù-daizokyo -Ediz. Giapponese del canone cinese. Takakusu e Watanabe

 1922-1933. Tokio. 

 

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NOTE  al TESTO

 

(Le note corrispondono, sezione per sezione, ai riferimenti numerici del Commentario e del Testo. Si tenga presente, tuttavia, che le lunghe frasi riportate in Sanscrito e/o Tibetano sono state senz'altro eliminate, lasciando peraltro la sola indicazione abbreviata dell'opera originale da cui furono estratte).

 

SEZIONE PRIMA

 

1. Sembra esservi una crescente consapevolezza di questi problemi metodologici. Per di più, lo stile e il contenuto del presente lavoro devono molto non solo ai tanti e ben ragionati studi interpretivi, ma anche - come io ho tentato di rendere chiaro dappertutto - a un grande corpo di meticolosa cultura filologica e testual-critica che da sola provvede alla base essenziale per tutto ciò che deve seguirne se si viene in contatto coi termini del Madhyamika. 

2. Gadamer 1976, 28. 

3. Rorty 1982, 151. Il concetto del fraintendimento di Bloom alla fine deriva da Derrida: "Secondo la paleonimica strategia esortata da Derrida, il 'fraintendimento' mantiene la traccia della verità, perché pregevoli letture comportano richieste di verità e perché l'interpretazione è strutturata dal tentativo di prendere ciò che altre letture hanno perso e frainteso. Poiché nessuna lettura può sfuggire alla correzione, tutte le letture sono male interpretate; ma questo lascia non un monismo, bensì un movimento duplice. Contro la richiesta che, se vi siano solo fraintendimenti, allora tutto procede, si può affermare che i fraintendimenti siano errori; ma contro la richiesta positivista che i loro sono errori perché si sforzano quantunque non riescano a raggiungere una vera lettura, si sostiene che le vere letture sono solamente particolari malinterpretazioni: fraintendimenti i cui insuccessi sono mancati. Questa discussione sul fraintendimento non è, forse, una posizione coerente e costante ma, i suoi fautori chiederebbero, resiste ad idealizzazioni metafisiche e cattura la dinamica temporale della nostra situazione interpretiva" (Culler 1983, 178). 

4. Ibid., 152. 

5. Ibid. 

6. Ruegg 1983,239. 

7. Ibid., 238. 

8. Becker 1982, 134. 

9. Gadamer 1976, xxi (introduzione del traduttore); cf. anche ibid., 11: "Non è possibile asserzione alcuna che non possa essere capita come una risposta ad una domanda, e le asserzioni possono essere capite solamente così". 

10. Cf. Gadamer 1988, 263-264: "Ogni epoca deve capire un testo trasmesso nel suo proprio modo, perché il testo è parte dell'intera tradizione in cui l'epoca riveste un oggettivo interesse ed in cui cerca di capire se stessa. Il vero significato di un testo, come essa parla all'interprete, non dipende dalle contingenze dell'autore e di chi originalmente scrisse. Di sicuro non è identico ad essi, perché è sempre parzialmente determinato anche dalla situazione storica dell'interprete e quindi dalla totalità dell'obiettivo corso della storia.  Non solo occasionalmente, ma sempre, il significato di un testo va oltre il suo autore. Ecco perché la comprensione non è soltanto riproduttiva, ma pur sempre un atteggiamento produttivo… È abbastanza per dire che noi capiamo in un modo diverso, se mai capiamo". 

11. Il nono Dizionario del Nuovo Collegio di Webster definisce 'empirico' come "affidarsi all'esperienza o alla sola osservazione spesso senza il dovuto riguardo per il sistema e la teoria". La vera idea di una così cruda esperienza è estremamente discutibile, ed il filosofo Madhyamika non è chiaramente solo nel richiedere attenzione all'intimo legame che c'è tra i propri concetti e la propria esperienza nel mondo. Confrontare, e.g., Feyerabend 1975, 76 e passim, sul soggetto delle interpretazioni naturali, e Rorty 1982, 4ff. 

12. Cavell 1966, 164-165.

13. Rorty 1982, xiv. 

14. Ibid.; cf. anche Feyerabend 1975,189, in cui caratterizza l "anarchico-epistemologico" in questi termini: "Il suo passatempo preferito è confondere i razionalisti inventando ragioni irresistibili per dottrine irragionevoli". 

15. Cf. Feyerabend 1975, 154ff., per una discussione di come queste stesse tattiche sono state usate in tutta la storia moderna al servizio di tutte le idee rivoluzionarie. 

16. La possibilità della comunicazione non è così remota come può sembrare, comunque. I soggetti di conversazione nell'India medievale, benché dominati dalle preoccupazioni indù sui problemi metafisici, non erano affatto diversi dagli interessi di molti filosofi Occidentali del ventesimo-secolo dominati dalle preoccupazioni epistemologiche Kantiane sul soggetto e l'oggetto, la rappresentazione ed il reale, e così via. 

17. Vedi Cavell 1966, 176-177 dove Cavell cita da letture di Wittgenstein come riportato in Moore 1955, 26. 

18. Cf. PSP, 373:  / (Quando, comunque, il loro occhio del risveglio è unto con la pomata della diretta visione della vacuità che guarisce ogni difetto ottico e la conoscenza della realtà [nondualistica] è sorta [dentro di esse], allora queste persone realizzano da sole la realtà di ciò [che prima non era stato capito] - non avendolo realizzato!) (Tutte le traduzioni sono dell'autore a meno che non sia altrimenti indicato). E' estremamente importante vedere che il Madhyamika non dà per scontata un'epistemologia che conserva tutte i vecchi presupposti sulla conoscenza come rappresentazione, come una relazione tra una indipendente presenza soggettiva ed i suoi riferimenti oggettivi. Ciò che, all'inizio, deve essere caratterizzato come una nuova concettualizzazione del mondo, alla fine, si trova ad essere un modificato linguaggio osservazionale che incorpora la sua propria serie di naturali osservazioni. Vedi anche Rorty 1982, 4ff., e §4.5, e segg. 

19. Gadamer 1976, 27, e 1988,270. 

20. Il mio maggior rammarico a tal riguardo è che io non sono stato in grado di includere qui una traduzione completa del commentario di Chandrakirti su L'Ingresso nella Via di Mezzo che avrebbe grandemente facilitato la comprensione del testo. Questo progetto è attualmente in corso, ma esso non sarà pronto che fra qualche tempo, e perciò ci è sembrato meglio andare avanti con la pubblicazione della traduzione delle stanze. Solo  una piccola percentuale della letteratura Madhyamika è disponibile nelle lingue Occidentali. Noi non abbiamo ancora una traduzione completa di alcun commentario sul Madhyama-kasastra di Nagarjuna, il più fondamentale di tutte le fonti Madhyamika! 

21. Qui c'è la forza della richiesta incarnata nello studio proselitico, per l'intero progetto destrutturante del Madhyamika, che ha bisogno di essere letto come una risposta alla domanda: Come possono tutti gli esseri viventi trovare la felicità, la pace, e la liberazione da ogni forma di paura e sofferenza? Ma la mera ricostruzione, non basta a fare di questa una vera domanda per tutti noi.

22. Jong 1974, 26.

23. Ruegg 1967,5.

24. Gadamer 1976, 92. 

25. Demiéville (1973,247) sembra trovare un riscontro simile sullo scopo o applicazione nella prima comprensione Cinese del termine buddhista "assoluto": "L'idealismo naif che nega l'esistenza delle cose escluderebbe una tale attività [disinteressata] e falserebbe la relazione tra la mente e le cose stesse introducendovi un dualismo, una relatività che deve essere neutralizzata in un assoluto, assoluto concepito del resto nelle sue conseguenze pratiche". 

26. Cf. MA 6.119: (l'attaccamento alla propria visione e similmente l'avversione alla visione di un altro sono essi stessi evidenza di pensiero reificato. Quando uno abbandona attaccamento ed avversione e conduce un'analisi [di tutte le visioni], egli presto troverà la liberazione). 

27. Cf. Rorty (1982,35) che concerne dell'interpretazione di Pears su Wittgenstein. 

28. La prima citazione è in MS 13.8cd: yesam tu shunyatadrstis tan asadhyan babhasire; la seconda appare in PSP, 540 dove è citato da Chandrakirti da una fonte non identificata. Il verso intero si legge, "Il signore del mondo insegnò che nessuna salvezza  è in se stessa salvezza - un nodo fatto nello spazio è sciolto solamente dallo spazio". Cf. Wittgenstein: "Perché la filosofia è così complicata? Dovrebbe essere totalmente semplice. La filosofia scioglie i nodi che noi abbiamo nel nostro pensare, in un modo inanimato, messo lì. Per fare questo, si devono fare movimenti così complicati come questi nodi. Anche se i risultati della filosofia sono semplici, il suo metodo non può esserlo, se deve riuscire ad averli. La complessità della filosofia non è il suo argomento, ma la nostra comprensione piena di nodi" (citato in Fann 1969, 103 n. 4). 

 

SEZIONE SECONDA

 

1. In questa discussione io ho usato il termine Hinayana come è usato da Nagarjuna, Chandrakirti, ed altri Mahayanisti; infatti, la critica Madhyamika fu quasi sicuramente diretta contro solo una di almeno diciotto primitive sette indiane Hinayana, il Sarvastivada: vedi Lamotte 1944-1980, 3:xv ff., per una discussione della letteratura dei Sarvastivadin. 

2. Stcherbatsky nel 1923 offre ancora il miglior esame introduttivo del concetto di dharma dell'Hinayana. La più recente interpretazione della critica Mahayana di questo concetto è Gudmunsen 1977. 

3. Il termine Occidentale 'realtà' qui è fuorviante: Il Sanskrito 'tattva' è composto di due elementi grammaticali: 'tat' 'questo' o 'esso', e 'tva'- l'essenza, un suffisso usato per formare nomi astratti. Tattva  è etimologicamente "l'essenza di ciò' o "l'essenza di esso". 

4. Infatti, come Daye (1975,84) ha suggerito, "vacuità" è un "termine non-referenziale", un "concetto riflessivo per una chiave di volta di terzo-ordine." 

5. Runes 1942, 210 definisce il nichilismo come segue: "La dottrina dichiarante che nulla esiste, o nulla di una certa specificata e generalizzata classe, sia conoscibile, o valutabile. Così Gorgias sostenne che (1) nulla esiste; (2) anche se qualche cosa esiste, potrebbe non essere conosciuta; (3) anche se fosse conosciuta, questa conoscenza potrebbe non essere comunicata". Ciò certamente rappresenterebbe la prospettiva filosofica del "non-essere" (abhava). 

6. Vedi §3.4.1. 

7. La posizione di Chandrakirti su questo problema è chiaramente affermata in PSP, 75:

 (Per quanti mezzi di conoscenza vi sono, vi sono oggetti di conoscenza; e per tanti oggetti di conoscenza, vi sono mezzi di conoscenza. È sicuro che né i mezzi né gli oggetti di conoscenza possono essere stabiliti in e per se stessi). Cf. Gadamer 1976, 50-51: "Proprio come la relazione tra l'oratore e ciò che è detto punta ad un processo dinamico che non ha una ferma base fissa in entrambi i membri della relazione, così la relazione tra la comprensione e ciò che è compreso ha una priorità sui suoi termini di relazione. Capire non è auto-comprensione nel senso dell'idealismo certamente auto-evidente asserito di avere, né è esaurito nella critica rivoluzionaria di idealismo che pensa al concetto di auto-comprensione come qualcosa che accade al 'sé', qualcosa attraverso la quale diviene un autentico 'sé'. Piuttosto, io credo che capire comporta un momento di 'assenza di sé' che è attinente ad una ermeneutica teologica e dovrebbe essere investigata nei termini della struttura del gioco." 

8. Vedi §I,n.18. 

9. Il concetto di "incommensurabilità" di Kuhn e Feyerabend  è specialmente rilevante in questo contesto. Vedasi, e.g., Feyerabend 1975, 229: "Dovremmo accogliere il fatto, se è un fatto, che un adulto sia coinvolto con un mondo percezionale stabile insieme ad uno stabile sistema concettuale, che egli può modificare in molti modi, ma le cui linee-guida generali siano sempre state immobilizzato? Oppure non è più realistico presumere che i cambiamenti fondamentali, comportando incommensurabilità, siano ancora possibili e che dovrebbero essere incoraggiati per tema di non rimanere per sempre esclusi da ciò che sarebbe uno stadio più elevato di conoscenza e coscienza?… Il tentativo di rompere i confini di un determinato sistema concettuale… coinvolge molto più che una prolungata 'discussione critica', che certe reliquie del miglioramento intellettuale che avrebbe il nostro credere. Si dovrebbe essere capaci di produrre e afferrare nuove relazioni percettive e concettuali, incluse relazioni che siano non immediatamente apparenti e che non possano essere realizzate da una sola discussione critica". 

10. Su questi termini, vedi Conze 1962, 166-173 ed i riferimenti connessi: "Le tre classi di persone illuminate." 

11. MAB, 182.20. I traduttori tibetani scelsero di rendere i due componenti di questo titolo come "un eroe il cui pensiero (sems dpa') è di purezza e perfezione (byang chub)". 

12. Per referenze ad edizioni e traduzioni, vedasi la bibliografia. Il più moderno studio comprensivo sull'ideale del bodhisattva è certamente quello di Dayal 1932. Un'altra classica fonte molto importante per la nostra comprensione del soggetto è trovata nel Vimalakirtinirdesasutra (VN). 

13. Cf. La Vallée Poussin 1916, 739. 

14. MVA 1:231-239. Vedasi Conze 1959, 20-24 per una moderna traduzione inglese del Dipamkara-Jataka.       

15. Vedi La Vallée Poussin 1916, 744ff., dove questi stadi sono rivisti e discussi in accordo con le informazioni previste in MVA e BB. 

16. Cf. MA 6.4 - 7, in cui Chandrakirti presenta un resoconto molto simile dei requisiti per lo studio corretto e l'attualizzazione della vacuità. 

17. Cf. La Vallée Poussin 1916, 745. 

18. Suzuki 1900, cap. 2 (traduzione del Mahayanasraddhotpadasastra). 

19. Suzuki 1963,307. 

20. Vedasi, e.g., MS 24.11: "Quando percepìta in modo erroneo, la vacuità distrugge una persona ottusa e poco intelligente, come un serpente afferrato impropriamente, o come una formula magica insufficientemente dominata". 

21. Vedasi parte 2, nota al MA 1.16, sulla differenza tra una perfezione mondana ed una ultramondana. Sulla distinzione tra la saggezza (Prajna) come causa e come effetto, vedi §4.6.2: "La relazione della perfetta saggezza con le altre perfezioni". 

22. L'archetipo di tutte le forme di pensiero reificato è definito dai concetti ipostatizzati di 'essere' (bhàva) e 'non-essere' (abhàva). 

 

SEZIONE TERZA 

 

1. Il nucleo di questo lavoro appare in bibliografia Sprung (Sprung 1979); per una revisione più particolareggiata della letteratura, vedi Robinson 1967, Ruegg 1981, e Lindtner 1982. Maggiori informazioni comprensive di tutte le edizioni e traduzioni dei testi di Madhyamika sono incorporate nella bibliografia di Mimaki 1982, che si riferisce anche estensivamente ad altre fonti non-Madhyamika. 

2. Vedi la bibliografia, sotto PSP. Il lettore è avvertito di leggere la traduzione Sprung con una consapevolezza delle sue presupposizioni (vedi la discussione su Murti - che apparentemente aveva un'influenza forte sull'opera di Sprung  - nella prossima sezione; anche vedasi n. 25, sotto). 

3. L'importanza di Nagarjuna nella scuola è incontrastata. C'è, comunque, qualche differenza di opinione su quali testi possono essergli legittimamente attribuiti. Generalmente parlando, oltre al MS, i seguenti sei trattati sono attribuiti a Nagarjuna dai Buddhologi moderni: (1) Yuktisastika, (2) Vigrahavyavartani, (3) Suhrllekha, (4) Ratnavali, (5) Shunyatasaptati, e (6) Vaidalyasutraprakarana. Cf. Lindtner 1982 per una revisione particolareggiata dell'evidenza, e Williams 1984 per l'ulteriore considerazione di questo materiale.       

4. Per una traduzione inglese di Bu ston, vedi Obermiller 1931-1932; per Taranatha, vedi Chimpa e Chattopadhyaya 1970. 

5. Quello che segue non è che una revisione superficiale dei notevoli trend nello studio del buddhismo nell'Ovest. Molti studi competenti ed utili non cadono facilmente in questa categoria, ma questi tre certamente sono gli unici tentativi decisi all'interpretazione del Madhyamika proposta nell'Ovest. 

6. Keith 1923 rappresenta il Madhyamika come un dottrina basata su una concezione della realtà come "inesistenza assoluta" (237, 239, 247 267); e Kern 1896 lo chiamate "puro e completo nichilismo" (126). 

7. vedi, e.g., MS 14.7 e PSP, 490: "Tu, signore imputi falsamente alla vacuità un significato nichilistico - tuo proprio concetto reificato… offendendoci e insultandoci con questa accusa infamante.) Cf. n. 24, sotto. 

8. R VI. 79 ah, d:

9. Stcherbatsky 1927, 207. Cf. ibid., 217: "Questo è una dottrina puramente Mahayanista, quel Buddha, appena divenne un vero Buddha, non disse nulla, perché i discorsi umani non sono adatti ad esprimere, e la conoscenza umana è incapace di comprendere concettualmente, che l'unica Sostanza dell'Universo è quella con la quale il Buddha stesso si è identificato" 

10. Si può obiettare che Murti è, dopo tutto, un autore lndiano, e quindi il suo lavoro non deve essere considerato in questa revisione dello studio Occidentale. In risposta a questa obiezione io ribatterei che il suo libro ha avuto un'influenza profonda sul modo in cui il Madhyamika è stato capito nell'Ovest, ed è citato di solito come una fonte autorevole. Vedi, e.g., Sprung 1979 e Bhattacharya, Johnston, e Kunst 1978. 

11. Murti 1960, 235. Esempi di questo genere di linguaggio possono essere moltiplicati all'infinito. Ma il libro di Murti è incoerente, perché altrove sembra consapevolmente evitare riferimenti ad una "base trascendente" o ad una "cosa in se stessa" e.g., ibid., 162-163 e 140. 

12. Riferimenti ad una "base trascendente", vanno comunque difesi contro gli assalti che concetti di tale realtà fondamentale non sarebbero nulla più che riferimenti al quarto rnembro del tetralemma (catuskoti). Cf. Ruegg 1983,223-224: "Così, secondo rnKhas-grub-rje e la sua scuola, il rifiuto del Madhyamika nell'asserire una tesi (dam bca'; pratijna) o dogma (khas len; abhyupagama) [non] deve essere interpretato.. . come una quasi-tesi (che sarebbe in effetti cornparabile alla posizione 4 del 'tetralernrna' [catuskoti] in cui un'entità indeterminata 'x' è posta e definita come essere senza i predicati 'a' e 'A '- in termini, forse, di una logica che non è bi-valutata e basata sulla bi-valenza del principio, o in termini di qualche 'logica di misticismo', postulando un'entità ineffabile)" Cf. anche ibid., 206 n. 2, e MA 6.146, dove Chandrakirti rifiuta il concetto di una realtà ineffabile. La stessa critica si applica alla proposizione che il Madhyamika non sia una filosofia bensì misticismo (vedi § 5.6). 

13. MS 18.8:;

14. Il Naiyayika era una ristretta scuola ernpirica di filosofia nell'antica India. 

15. Io uso l'espressione 'qui' come il più vicino equivalente per il Sanskrito sadhyasama, con dovuto riguardo per l'inforrnazione fornita da Bhattacharya, Johnston, e Kunst 1978, 22-23 n. 3. Anche cf. Bhattacharya 1974, 225-230; e Matilal 1974,221-224. 

16. VV 29;

17. Rorty 1982,161. 

18. Ibid., 86. 

19. Vedi, e.g., MS 15.10: ("Esistenza" è aggrapparsi all'eterno, "inesistenza" è la filosofia del nichilismo: Perciò il saggio non fa affidamento sull "esistenza" o la "inesistenza"). Il commento di Chandrakirti (PSP, 273): "Questi insegnamenti su 'esistenza' e 'inesistenza' creano [anche] ostacoli sul Sentiero verso il cielo e causano grande disgrazia". 

20. PSP, 247-248:

21. Vedi, e.g., MS 15.7-11 (specialmente v.10), ed il cornrnento di Chandrakirti in PSP, 269-279. Anche vedi §3.3: "History and doctrine of the Middle Way". 

22. Vedi §2, n. 5, sopra. 

23. MS 24.1:

24. MS 24.5cd:

25. Vedi MS 24.7 ed i commenti di Chandrakirti (PSP, 491): (La vacuità è insegnata per calmare totalmente la proliferazione concettuale; perciò, il suo scopo è di calmare tutte le proliferazioni concettuali. Tuttavia, voi, nell'immaginare che il significato della vacuità sia l'inesistenza, invero rinforzate la rete delle proliferazioni concettuali, e pertanto, voi proprio non capite lo scopo della vacuità). A tal riguardo, la traduzione di Sprung è specialmente inattendibile e può essere paragonata come un esempio dell'interpretazione assolutistica in atto. 

26. Vedi il suo commento a PSP, 490, dove lui cita MS 18.5. 

27. Gimello 1976a, 8-9. 

28. Questa sinossi dell'argornento di Gudmunsen è simile a quella di Huntington 1983a. 

29. Gudmunsen 1977, 8. 

30. Ibid. 

31. Vedi Ruegg 1981, 4-5 n. 11, sul problema della datazione di Nagarjuna. 

32. Ibid., 6. 

33. Il breve acconto di informazioni biografiche è discusso in Walleser 1922 e Murti 1960, 88-91. Vedi la referenza a Ruegg in n. 31 sopra, per altre fonti disponibili. 

34. Vedi in particolare Huntington 1986 per una edizione dello studio testual-critico dell'Akutobhaya

35. Sulla data di Aryadeva, vedi Lamotte 1944-1980, 3:1373. Per informazioni generali sulla sua vita e scritture, vedi Ruegg 1981, 50-54, e maggio 1979, 479ff. 

36. Ruegg 1981, 54-56. 

37. Ibid., 60. 

38. Vedi Saito 1984, per un'edizione e parziale traduzione inglese di questo testo. 39. Cf. Obermiller 1931-1932, 135. La tassonomica influenza delle definizioni thal 'gyur ba (Prasangika) e rang rgyud pa (Svatantrika) furono probabilmente originate nelle opere di Pa tshab Nyi ma grags (vedi Mimaki 1982, 45). 

40. Chimpa e Chattopadhyaya 1970, 197. 

41. Ruegg 1981,71 n. 228. 

42. Chimpa e Chattopadhyaya 1970, 206. 

43. Ibid. Questo potrebbe spiegare la mancanza di interesse nelle scritture di Chandrakirti da parte dei Cinesi? In riguardo a lui, vedi MAB, 218 (tradotto in parte 2, nota 6.108). 

44. Cf. Ruegg 1971, 453 n. 25. La posizione dei maestri tantrici che si suppone sia identica ai primi insegnanti Indiani, è piuttosto comune nella successiva letteratura buddhista sia Indiana che Tibetana. 

45. Una bibliografia maggiormente comprensiva delle opere di Chandrakirti appare in Lindtner 1979, 87-90. 

46. C'è la buon ragione di sospettare che i testi tantrici sono erroneamente attribuiti al Chandrakirti che scrisse MAB, PSP e così via: cf. Lindtner 1979,87 n. 12. 

47. Ruegg1981, 61; e May 1979, 482. 

48. Per studi su Bhavaviveka e la sua filosofia, vedi Lopez 1987, Iida 1980, e Ruegg 1981, 61-63. Kajiyama 1957 presenta un'interessante analisi sul dibattito Svatantrika-Prasangika. Vedi anche in Mookerjee 1975, una discussione della tecnica prasangika e le sue radici storiche come un apparato retorico. 

49. Dai tempi di Bhavaviveka in su, il Madhyamika divenne sempre più preoccupato con problemi logici e epistemologici e molto meno interessato al pragmatismo (il cf. Ruegg 1983, 239). 

50. Vedi PSP, 16: (Non è appropriato per un Madhyamika, dato che egli non recepisce le premesse del suo oppositore, di presentare il suo proprio giudizio valido e inferenziale in modo indipendente) 

51. Cf. § 1, n. 11, sopra. 

52. Vedi §3.4: Principali temi filosofici de "L'Ingresso nella Via di Mezzo".

53. I moderni studiosi Occidentali che vedono il Madhyamika come misticismo piuttosto che filosofia sono a tal riguardo simili a Bhavaviveka. Cf. Betty 1983. 

54. PSP, 24:

55. Vedi Ruegg 1981, 1-3 sul nome "Madhyamaka" (Madhyamika).

56. Vl, 10-17(1. B. Horner's translation). 

57. SN3, 134.30-135.19; e SN2, 17.8-30. 

58. PSP, 269.11. 

59. Vl, 10.18-20. 

60. Vl, 10.36-37. 

61. MS 18.6:  

62. Cf. MS 22 e, in particolare, 25.24cd: (I Buddha non insegnarono nulla a nessuno in nessun luogo). Vedi anche n. 65, sotto. 

63. Tenzin Gyatso 1975, 62-63. 

64. Chandrakirti discute a lungo questa distinzione in PSP, 41-44. 

65. MS 25.18: (Anche se egli è presente, non si dice che il Buddha esista, né che non esiste, né che egli esiste e non esiste, e né che egli né esiste né non esiste). 

66. Wittgenstein 1953, §304. Cf. RV 2.4, L'insistenza di Chandrakirti che il Madhyamika non è costretto ad accettare l'antitesi del suo oppositore e la mia propria riluttanza a chiamare il concetto di Murti di una errata "base soggiacente". 

67. Cf. RV 1.98: (Ciò che prima fu concepito attraverso l'ignoranza spirituale è in seguito compreso come il significato della realtà: Quando una cosa non è trovata, come ci può essere un nulla?); e VV 43ab:(Io non nego tutte le cose, né però vi è alcunché da negare). 

68. Qui c'è la vera differenza tra il Madhyamika e i moderni filosofi occidentali, come Rorty e Wittgenstein, che non hanno intrapreso il loro lavoro in dimensioni soteriologiche. 

69. Cf. MS 22.11: (Nulla deve essere chiamato vuoto o non vuoto, né qualcosa può essere chiamato vuota e non vuota, oppure né vuota né non vuota: [la parola vacuità], tuttavia, è usata nella conversazione come una convenzionale designazione) E, come per tutte le  designazioni convenzionali, il 'vuoto' (vacuità) trova il suo significato nella sua capacità di compiere uno specifico scopo definito nell'intenzione dell'oratore (vedi PSP, 24), uno scopo che è spiegato in MS 24.10: ([La verità del] significato più alto non può essere insegnata senza far affidamento su una pratica convenzionale; e senza avere apprezzato [la verità del] significato più alto, non si potrà realizzare il nirvàna). 

70. May 1979, 474: Questo è - il passaggio di May: "il suo più alto valore soteriologico". Io penso che sarebbe un serio errore leggere il Madhyamika dicendo che, p. es., l'acqua non è preziosa per estinguere la sete. 

71. Cf. MS 25.19: (Il mondo di tutti i giorni non è nemmeno un pò diverso dal nirvàna, né il nirvàna è diverso dal mondo di tutti i giorni). Nel Ch'an e Zen, i Cinesi, e più tardi i Giapponesi, svilupparono un'interpretazione particolarmente potente di questo elemento del pensiero di Nagarjuna. 

72. PSP, 504; 

73. R. Taylor 1967, 66. Nagarjuna riconosce lo stesso problema in MS 20.20: (Se causa ed effetto fossero identici, allora il produttore e il prodotto sarebbero gli stessi; se causa ed effetto fossero differenti, allora una causa sarebbe equivalente ad una non-causa). 

74. MA 6.168ab:

75. ibid.

76. MA 6.170ab: e 159d; 

77. A. E. Taylor 1903,167. 

78. James 1963, 135. 

79. Ibid., 138. 

80. Ibid. 

81. Ibid., 138-139. 

82. Tenzin Gyatso 1975, 70. 

83. MS 10.16: Ovviamente, non c'è quindi da saltare alla conclusione che l''Io'' e le cose oggettive siano privi di realtà individualizzata. Cf. la formula per il catuskoti. 

84. Cf. MA 6.78cd: "Tutte la strutture ordinate dell'esperienza quotidiana sono devastate da questo aggrapparsi ad una reale sostanza inerente nelle visioni filosofiche dei nostri oppositori". Nel suo commentario a questo verso (MAB, 174) Chandrakirti scrive: (La struttura ordinata dell'esperienza del quotidiano è stabilita soltanto in base a questa stessa esperienza di tutti i giorni.... Quegli studiosi [che postulano una base trascendente] sono scivolati giù nel sentiero di un sistema filosofico creato dai loro propri concetti reificati). 

85. Feyerabend 1975, 73. 

86. Ibid., 76. 

87. Wittgenstein 1953, §133. 

88. MA 6.11 Oa-c;        

89. MA 6.112a-c;

90. MA 6.118ab,

91. Mv, 1.23. 

92. Cf. Huntington 1983b, §4, "Il significato ambivalente del termine svabhàva." 

93. PSP, 265;

94. Cf. MA 6.168. 

95. Cf. MA 6.117. 

96. Cf. MA 6.25a-c: (La comprensione basata sull'apprensione da parte di alcune delle sei facoltà intatte è reale secondo la realtà dell'esperienza di ogni giorno). La sesta facoltà è la mente, con i concetti come suoi riferimenti oggettivi. 

97. Cf. MA 6.81cd: (Con riferimento alla natura dell'esperienza di ogni giorno, noi diciamo: "Anche se le cose non esistono, esse esistono"- e questo è determinato per uno specifico scopo). Vedi anche 6.166; e VV 28: (Noi parliamo sempre con riferimento alle cose di ogni giorno). La verità soteriologica non è espressa da un linguaggio metafisico speciale ma usando le parole del quotidiano e le espressioni nei loro significati convenzionali,e radicati in modo pragmatico. Anche dire che, dalla prospettiva della verità del significato più alto, "nulla esiste", è parlare con uno scopo in mente, e non con l'idea che le proprie parole si collegano e puntino ad una realtà oggettivamente presente definita da queste parole. Cf. MS 24.10cd: (La verità del significato più alto è insegnata soltanto facendo affidamento alla pratica convenzionale). La vacuità (shunyatà) è essa-stessa solo una designazione convenzionale (prajnapti), dipendendo il suo significato (upadaya) dall'esperienza di tutti i giorni (MS 24.18). 

98. MAB, 225; Cf. VV 66: (Se la percezione accadesse in e per se stessa, essa non sarebbe affatto dipendente.) 

99. Questi criteri non sono designati insieme in questo modo in nessun testo Madhyamika che io conosca. Io li ho solo rilevati dal mio studio dei livelli di samvrti (cf. Huntington 1983b, §3.1.3). 

100. Tenzin Gyatso 1975, 64. 

101. PSP, 491 (vedi sopra, n. 25). Prapanca davvero non è confinato a meccanismo con-cettuale. Come molti commentatori moderni hanno notato, i testi Indiani non sempre  distinguono chiaramente tra oggetti esterni e le idee. Cf. Lindtner 1982,271 e n. 240, dove lui menziona in particolare artha 'oggetto' o 'significato', upalabdhi 'esistente' o 'concetto', satya 'verità' o 'realtà', sad 'reale' o 'buono', e prapanca che si riferisce ad una diffusione sia ontica che epistemica - sia ad un universo come totalità dei contenuti della percezione che al linguaggio ed al pensiero concettuale. Così, quando il pensiero concettuale diventa confuso e si è diffuso, allo stesso modo fa il mondo esterno. (Qui la traduzione è mia, non di Lindtner). Questa ambiguità è rappresentata graficamente nella dottrina buddhista dei sei sensi ed i loro oggetti (ayatana). Per una discussione estesa di papanca (= prapanca) nella letteratura Pali, vedi Nanananda 1976. 

102. Cf. MAB, 105-106, e SN2, 95.1-9. 

103. Wittgenstein lo chiama "linguaggio in vacanza" (1953, §38). Cf. ibid.§ 132: "Le confusioni che c'interessano sorgono quando il linguaggio è come un motore al minimo, e non quando sta funzionando".

104. MA 6.158;

105. MA 6.159ab,

106. Cf. PSP, 24. 

107. Questo genere di terminologia segue direttamente le tracce delle distinzioni episte-mologiche neo-Kantiane come il soggetto e l'oggetto, il reale e la rappresentazione, ecc.. 

108. Cf. i miei commenti sull'idealizzazione del Madhyamika di Murti, sopra, ed in RV 2.4. 

109. Qui e nel paragrafo precedente io ho parafrasato il materiale in MA 6.171-176. 

110. VV 29, commentario; Cf. ibid., 38-39 e MS 7.11, dove lo stesso concetto di connessione è usato in un'analisi destrutturativa di luce ed oscurità. Nagarjuna era partico-larmente diffidente di ogni uso tecnico di prapti, poiché il termine era già stato usato dai Sarvastivadin come un tipo di colla per stabilire un collegamento necessario tra i dharma. 

111. MA 6.120;

112. MS 24.14ab;         

113. MA 6.37;

114. MA 6.38;

115. Cf. PSP, 24. 

116. Tutte le asserzioni dei testi Madhyamika sono situazioni-collegate agli insegnamenti. Vedi, ad es., RV 3.63: (Dare perfino il veleno a coloro che egli vuole aiutare, ma non dare nemmeno il più buon cibo a quelli che non vuole aiutare); e 4.94-96: (Proprio come un dotto grammatico insegnerebbe pure l'alfabeto, così il Buddha insegnò il Dharma ai suoi discepoli secondo i dettami della particolare situazione. Ad alcuni egli insegnò una dottrina che scoraggia il peccare; ad altri, una dottrina che aiuti a guadagnare meriti; ad alcuni insegnò una dottrina basata sulla dualità. Ad altri egli insegnò una dottrina basata sulla non-dualità, un metodo per raggiungere il Risveglio, profondo e terribile, la sorgente di vacuità e compassione). Anche CS 8.20: ([Gli insegnamenti del Buddha] fanno menzione dell'esistente, l'inesistente, l'esistente-e-inesistente insieme, e ciò che è né l'uno né l'altro. Tutto ciò diventa una medicina per le [varie] malattie [che devono essere curate].) 

117. La morte è il paradigma di un imprevisto cambiamento, e perciò la meditazione sulla morte è considerata come l'unica vera e preziosa pratica spirituale. 

118. Vedi VV 29, commentario, discusso al n. 110, sopra. 

119. PSP,248-249, in cui Chandrakirti cita dal Ratnakutasutra. Upalambha è il componente mentale della percezione, l'immagine mentale che corrisponde all'impressione sensoriale. Qui il punto è che la parola 'vacuità' non fa derivare il suo significato dall'interazione tra un'immagine mentale ed il suo riferimento oggettivo.    

120. TKP, 139.13-140.1,; L'intero passaggio è tradotto e discusso in Huntington 1983a, 331. Io ho tradotto 'lta ba' qui come "filosofia", prendendo in considerazione il fatto che il Tibetano serve come traduzione sia per darshana (come nell'esempio presente) che per drsti. (cf. Ruegg 1983, 206). 

121. Cf. Matilal 1971, 162-165; Kajiyama 1966, 38-39; e Ruegg 1981, 78ff. e 1983, esp. 225-227. 

122. Cf. citazione da Wittgenstein al n. 66 sopra, e nn. 66 e 67. 

123. Cf. PSP, 373: (Quella realtà è non-dipendente da alcuna altra cosa" significa che essa può essere realizzata solo personalmente, e non dall'affidarsi sulle istruzioni di qualche altra fonte. Chi ha un difetto ottico vede forme di capelli, mosche, moscerini ed altro, tutte cose che non sono reali, ma perfino se istruiti da qualcuno con occhi sani, essi non saranno in grado di realizzare la natura intrinseca di queste false apparenze - vale a dire che essi sono incapaci di non vederle, come la persona con gli occhi sani che non le vede. Essi piuttosto riflettono solamente, in base all'istruzione di quelli con occhi sani, che [i capelli, ecc.] sono illusori. Quando sono trattati con la medicina della percezione diretta della vacuità, che inverte il guasto del loro difetto ottico, ed acquisiscono la vista di un Buddha, allora essi realizzano da se stessi la realtà [di quei capelli, ecc.] - della loro precedente non-realizzazione). Vedi anche MAB, 109-110 (tradotto e discusso nel §5.2, sotto), e BCA, 364. 

124. Vedi in particolare §4.6.2: "Relazione della saggezza perfetta con le altre perfezioni". 

125. Diversi anrtichi testi Yogachara sono attribuiti ad un misterioso Maitreyanàtha. Una antica tradizione Indiana ci dice che questi testi furono dettati dal bodhisattva Maitreya ad Asanga che è responsabile del loro contenuto. L'opinione di studiosi moderni è divisa sul fatto se Maitreya(nàtha) sia stata o no una figura storica (vedi Willis 1979, 3-12). Per informazioni sulle varie edizioni e traduzioni dei testi Yogachara, vedi Conze 1862, 3.3, e le bibliografie in Anacker 1984, Kochumuttom 1982, e Willis 1979. E per una discussione dello sviluppo storico del pensiero Yogachara, vedi Frauwallner 1976,255-407. 

126. La dottrina Yogachara della consapevolezza riflessiva è discussa in Mookerjee 1975, 319-336. Chandrakirti dedica molte stanze alla critica di questa concezione. 

127. DP 1-2;

128. TSN è stato discusso in un gran numero di posti. Vedi in particolare Kochumuttom 1982, 90-126, ed Anacker 1984, 287-298. L'autorità scritturale per la dottrina è trovata in SN, cap. 6 e 7 e LA §55. 

129. TSN 37ab: e TSN 4cd: (Cos'è che è causato dall'inesistenza [della dualità]?) - E' la dharmata nonduale!) Cf. MAB, 132-133 (trad. nella parte 2, nota 6.43) e ibid., 161-162 (parte 2, nota 6.68), in cui Chandrakirti usa questa stessa espressione in un contesto differente. 

130. TSN 4ab;

131. Ibid., 23a: e 33:      

132. Ibid., 23cd:           

133. Ibid., 16: e 37:      

134. Ibid., 2:

135. Ibid. 

136. Ibid., 4ab (il cf. n. 130, sopra). 

137. lbid., 5a:

138. MVK 1.2:

139. MVKB 1..2:; MVK 1.2:; MVKBl.2: Cf. TSN 26:

140. TSN 27-30: (Qui e più sotto io uso la traduzione di Kochumuttom, con modifiche minori.) 

141. TSN 34:

142. Vedi Kochumuttom 1982, 198-200 dove lui dà molti esempi di tali interpretationi nel lavoro di A. K. Chatterjee, T. Stcherbatsky, C. D. Sharma, P. T. Raju, e S. N. Dasgupta. 

143. Ibid., 118-119. Questo non è tipico dell'approccio di Kochumuttom ai testi Yogachara, e benché io non sia convinto della sua tesi che "le scritture di Yogacara.. . sono aperte ad interpretazione in termini del pluralismo realistico" (p. 6 n. 1, p. 197, e passim), io trovo il suo libro ricercato e ben scritto in uno stile chiaro ed attraente. Confronta l'introduzione a Willis 1979, 1-66, per un'alternativa all'interpretazione idealistica. 

144. PSP, 248-249 tradotto e discusso nel §3.4.3. 

145. VV29 e MA 6.171-176. 

146. TSN 32cd;

147. BB, 47.22-25;

148. Ibid., 47.25-48.2;

149. Ibid., 47.16-19:;

150. Willis 1979, 56 n. 64. 

151. MS 22.11: Vedi n. 69, sopra. Sfortunatamente, la costruzione gerundivo/passivo perde molto della sua originale forza nella traduzione inglese. 

152. PSP, 444-445:

153. R V 2.4: Questa è un'asserzione chiara dell'atteggiamento Madhyamika verso tutte le visioni filosofiche. 

154. Cf. MA 6.94. 

155. MA 6.86d; 

156. MA 6.90:

157. MA 6.92ab:

158. MA 6.81;  

159. MAB, 179; Chandrakirti la cita in SN 22, 64.103; cf. anche PSP, 370.

  

SEZIONE QUARTA 

 

1. Le date qui sono proposte da May (1979, 483). La biografia di Shantideva fu scritta da Pezzali (1968) e rivista da Jong (1975). Il suo lavoro più famoso, il Bodhicharyavatàra fu tradotto in Inglese da Matics (1970) e da Bachelor (1979). Vedi la "Lista delle fonti Indiane" in Mimaki 1982 per altre traduzioni. L'altra composizione principale di Shantideva, il Siksasamuccaya (SS), fu tradotto in Inglese da Bendall e Rouse (1922). 

2. BCA 7.25. 

3. SS, 16.6-7. 

4. MPPS 644c; cf. Ramanan 1966,97. 

5. MPPS 63c; tradotto in Ramanan 1966, 132. 

6. Ss, 22.26. 

7. BB, 140. 

8. SS, 66.27-30. 

9. BB, 189. 

10. SS, 104.10., 

11. DB, 60,64; SS, 212; BB, 20. 

12. MSA, 49. 

13. Ibid., 68. 

14. Vedi parte 2, 3.12, n. 7, per i tre corpi di un Buddha. 

15. BB, 200ff. 

16. BCA 7.2. 

17. BCA 7.49. 

18. Cf. Dhargyey 1974, 46-48. 

19. Ibid., 47. 

20. Ibid. 

21. AK 6.29. 

22. Horner 1954, 301. 

23. BCA 5.4-6. 

24. SS, 68.25-26. 

25. BB, 109.11-17. 

26. Talvolta tradotto "Discernimento". 

27. Gimello 1976a, 33. 

28. Feyerabend 1975, 168. 

29. Ibid., 72. 

30. Gimello 1976b, 132-133; cf. idem 1976a, 34-35. le parentesi sono mie. 

31. VM 14. Anche cf. Nyanatiloka 1972, 122. 

32. BB, 109.18-22. 

33. Lo schema concettuale dietro a questo uso della meditazione e delle altre perfezioni è discusso in maggior dettaglio nel §5 sotto. 

34. SS, 67.24. 

35. Ibid., 67.22. 

36. Nanamoli 1976,8 (VM 1.19). 

37. Questa è una parafrasi di VM 1.20; cf. Nanamoli 1976,8, per l'intera sezione tradotta.

38. Cf. Nanamoli 1976, 84 (VM 3.2) e 91 (VM 3.8): "[La concentrazione] dovrebbe essere sviluppata da uno che ha mantenuto la sua posizione nella virtù che è stata purificata per mezzo delle speciali qualità di scarsità di desideri, ecc. e perfezionata da osservanza delle pratiche ascetiche".       

39. Ibid., 84-86, e sp. VM3.6. 

40. A 4, 203; U, 56; V2, 239. 

41. Nanamoli 1976, 479-481. 

42. Cf. VM 14.4, e Nanamoli 1976, 480. 

43. Dhargyey 1974,168-169. 

44. Becker 1973, 87. 

45. BCA 9.1. 

46. Vedi parte 2, 1.16 n. 20 per questa triplice vacuità. 

47. Vedi parte 2, 3.12,n. 7. 

48. Da qui alla fine di questa sezione, la mia discussione segue il commentario di Prajnakaramati su BCA 9.1 (pp. 349-351). 

49. BCA, 349. 

50. MV 1, 7.14. 

51. AK 6.3, p. 326.13-16. 

52. Becker 1973, 282-283. 

53. Cf. MA 6.78. il mio resoconto di queste "visioni estreme" deve molto alla discussione in Ramanan 1966, 151ff. 

54. Whitehead, fra gli altri ha scritto sul problema creato da totale e ingenuo affidamento sulla logica come unico arbitro della verità: "Taglienti e acute classificazioni scientifiche sono essenziali per il metodo scientifico, ma sono pericolose per la filosofia, perché tale classificazione nasconde la verità che i differenti modi di esistenza naturale oscurano l'uno nell'altro" (Whitehead 1938, lettura 8, "Natura Viva"). 

55. CS 16.25, come citato in PSP, 16: Cf. anche May 1978, 239: "Proprio come le cose vuote possono agire come cause, perché se non fossero vuote sarebbero contenute-in-sé, di conseguenza non avrebbero nessuna base né potere per produrre alcun effetto, allo stesso modo una non-vuota parola sarebbe contenuta-in-sé e di conseguenza totalmente priva di applicazione, nonché inefficace ed inutile come filosofia." 

56. MAB, 298-299; cf. anche RV 2.4. 

57. Sui vari numeri e tipi di queste illustrazioni, vedi Murti 1960, 160 n. 1, e l'appendice attinente; Conze 1975, 144; Lamotte 1944-1980, 2028ff. e 2045; e Tauscher 1981, 18-26. L'intenzione pedagogica di queste è indicata da MA 6. 186cd. 

58. Per una discussione sul problema delle  sei perfezioni "originali", vedi Warder 1970, 357ff.; e Dayal 1932, 167ff. Dayal considera le ultime tre perfezioni superflue (269), ma non è chiaro il perché. 

59. Senza aver prima divelto da sé i concetti reificati non è possibile agire in armonia con qualunque situazione, poiché, dalla prospettiva buddhista, questi fraintendimenti e le afflizioni associate con essi, danno luogo ad una situazione radicalmente ingannevole. Come ha scritto Conze, "Il lettore dovrebbe sempre tenere presente che le false visioni non sono soltanto una conoscenza sbagliata, ma unaconoscenza sbagliata che fa parte di un osservatore che è in una falsa posizione e circondato da oggetti distorti"(1967, 234).  

60. Cf., e.g., BCA 5.99. 

61. SS, 15.12-15. 

62. Vedi parte 2, 6.211,n.218. 

63. BB,43.1-22. 

64. Evans-Wentz 1951, 271. 

65. SS, 15.12-15. 

66. Cf. Dayal 1932, 148ff. 

67. DB,49.8-9. 

68. Ibid., 52-53. 

69. Ibid., 55.22-23. 

70. È difficile distinguere chiaramente tra i concetti di jnana e prajna, perché prima di tutto sembra esservi dell'ambiguità nell'uso di questi termini nella letteratura Mahayana (vedi, ad es. LA, §66). Molti moderni studiosi Occidentali si contentano di identificare i due (es., Dayal 1932,269). Lindtner 1982, 268ff., dà un'analisi più sensibile, con riferimenti utili. Guenther 1958, 20 n. 9, offre un'opinione che dissente ed una discussione interessante del significato alternativo della parola 'jnana' nella filosofia buddhista. 

 

SEZIONE QUINTA

 

1. Cf. §4.6.3: "La presentazione di Chandrakirti del Sesto Stadio". 

2. Feyerabend 1975,31-32. 

3. VV29; vedi anche VV 43 e R V 1.98, discusso nel §3.1. 

4. Feyerabend 1975, 32. 

5. Ibid., n. 23. Studi del Madhyamika possono offrire risposte nuove a Putnam, Davidson, e gli altri critici dell'incommensurabilità. Vedi Feyerabend 1987 per una successiva discussione dei problemi. 

6. MA 6.30-31; cf. anche Kuhn 1962,111. 

7. Cf. VV 30-49. 

8. VV 30..  

9. Cf., per es. MA 6.80ab: (La verità convenzionale è il mezzo, la verità del significato più alto è la mèta); anche 6.78cd e 158-159; e MS24.10, 36. 

10. PSP, 10-11:  

11. MAB, 109-110; cf. BCA, 364. vedi anche §3, n. 123. 

12. Cf. Rorty 1979,325: "Per proteggerci contro le confusioni dell'empirismo tradizionale, non dobbiamo fare altro che attivare la gestalt in questione [dalla 'caduta obbligata' di Aristotele al 'pendolo' di Galileo] che il fatto che le persone sono diventate capaci di  rispondere alle stimolazioni sensorie per i commenti circa i pendoli, senza dover fare un'inferente intervento"  

13. Cf. MS 14.7 e §3.1: le "Fonti per lo studio del pensiero Madhyamika".

14. Thurman 1980, 327. 

15. Vedi la citazione di Cavell in §1, n.17. 

16. MA 11, epilogo v. 4. "Coltivazione preventiva" (Tib. Sngon goms; Skt. purvabhavana) si riferisce prima a "la saggezza formata da coltivazione meditativa" (bhavanamayiprajna), e secondariamente  alla pratica delle altre perfezioni. 

17. Bateson 1980, 232. 

18. MS 25.19:

19.Cf.§1,n.24. 

20. Cf. Rorty 1979, 8-9: "È la nozione che l'attività umana (e l'indagine, la ricerca per la conoscenza, in particolare) prende corpo all'interno di una struttura che può essere isolata prima della conclusione dell'indagine - una serie di presupposizioni scopribili a priori - che collega la filosofia contemporanea alla tradizione di Descartes, Locke e Kant". 

21. Cf. ancora una volta PSP, 24, citato alla fine di §3.2. 

22. Confronta VV 29, in cui Nagarjuna nega la possibilità di alcun errore derivante dai suoi argomenti, perché lui non dà proposizioni. 

23. MA 6.35: Vedi la nota che accompagna questo verso e il 6.158. 

24. MA 6.1 12a-c:

25. Vp, §3, pp. 28-29. 

26. In questa area possiamo aspettarci di imparare molto dal lavoro dei filosofi Indiani e  Tibetani posteriori, che si sforzarono di integrare lo Yogachara ed il Madhyamika così come riconoscere e riflettere la centralità di questa interazione tra la coscienza ed i suoi oggetti. Owen Barfield offre una interessante discussione di ciò con correlati estratti da una prospettiva non-buddhista. 

27. Cf. MS 24. 14ab: "Chi è in armonia con la vacuità, è in armonia con tutte le cose". 

28. Rorty 1979, 12; cf. anche il cap. 8 sulla sua distinzione tra la filosofia "edificante" e quella "sistematica." 

29. Cf. BCA, cap. 9, in cui Shantideva descrive il suo concetto di "identità tra sé e l'altro" (paratmasamata) che forma la base teoretica per una pratica di meditazione chiamata "la sostituzione di "né stesso con un altro" (paratmaparivartana). 

30. Cavell 1966, 167 n. 

31. Betty 1983, 134. 

32. Ibid., 131. 

33. L'interpretazione mistica del Madhyamika è strettamente allineata con riferimenti ad una dimensione ineffabile. Cf. §3, n. 12. 

34. Rorty 1981,165. 

35. MS 24.7;

36. Wittgenstein 1965, 28. 

37. Gouldner 1973,2. 

38. Ibid. 

39. Ibid., 3. Cf. la mia discussione del dibattito Prasangika-Svatantrika, sopra nel §3.2. 

40. Gouldner1973, 10-11. 

41. Rorty 1979, 361. 

42. MS 15.6. 

43. Lo stesso tipo di complessità e tensione è presente nell'advaita-vedànta di Shankara-charya e suoi seguaci. I primi filosofi medievali Indiani avevano cominciato a sentire chiaramente che parlare di un assoluto in termini razionalisti o idealistici era soteriologica-mente inefficace. Nel moderno Occidente, una crescente disillusione verso il razionalismo scientifico neo-Kantiano ha reso l'uso di questo vocabolario similmente inefficace. 

44. M. C. Taylor 1978, 53-54. 

45. Ibid., 45. 

46. Ibid. 

47. Cf. MA 6.186, e MS 22.11. 

48. L'assalto del relativismo è portato contro il Prasangika in MA 6.171.

49. Il tentativo di sfuggire questi assalti ritirandosi in una interpretazione mistica è già stata discussa sopra.          

50. Rorty 1982, 168. 

51. Ibid., 171-173. 

52. Rorty 1979, 346. 

53. Gadamer 1976,101. 

54. Ibid., 121. 

55. Vedi i commenti di Jong, citati sopra nel §1. 

56. Rorty 1979, 371-372. Il Madhyamika, ovviamente, riduce questa richiesta pure alla vacuità: Il meditante vede "così-com'è" la natura intrinseca delle cose, proprio non vedendola (cf. §3,n.123). 

57. RV 4.94-96 (vedasi §3, n. 116). 

58. Hamilton 1950, 151. 

59. 'Twilight of the Idols': tradotto in Kaufmann 1968, 482-483. 

60. Gadamer 1988, 244. 

61. Culler 1983, 150-151. 

62. Ibid., 149. 

63. Becker 1973, 189. 

64. Ibid., 202. 

65. PV, 260-261. Cf. la nota 6.173. 

 

PRIMO STADIO 

 

1. in MPPS, lo sravaka (uditore) è identificato da cinque caratteristiche primarie [Ramanan (1966), pp. 288 ff.]: (1) il disgusto per il mondo, (2) il continuo pensiero di Liberazione solo per se stesso, (3) la rinuncia al mondo, (4) l'estinzione delle afflizioni mentali, e (5) l'ottenimento finale di sfuggire la paura e la sofferenza. Quando egli impara la vacuità del 'sé' e ascolta le Quattro Nobili Verità, lo sravaka sente disprezzo per vecchiaia, malattia, e morte e segue un sentiero di avversione che lo porta verso la fuga dalla propria sofferenza. Egli prende gli insegnamenti sulla impermanenza come una oggettiva verità ultima, e non riesce a penetrare la verità soteriologica della vacuità rivelata nelle scritture del Prajnaparamita e dei trattati Madhyamika. Il pratyekabuddha (un Buddha solitario), qui riferito come un "buddha intermedio", differisce dallo sravaka per quanto è più grande la sua comprensione della vacuità, benché egli sia ancora magro rispetto alla conoscenza non-dualistica di un Buddha pienamente risvegliato (cf. TKP, 7). Inoltre, il suo merito è inferiore, ed egli è nato soltanto in un'epoca in cui non c'è un Buddha incarnato (MS 18.12). Lo sravaka ed il pratyekabuddha sono entrambi seguaci dell'Hinayana. Essi si contrappongono al Mahayana, per la loro mancanza di compassione universale e per la loro incapacità di sviluppare 'mezzi-abili', però possono entrare nel Sentiero di bodhisattva approfondendo il loro apprezzamento della vacuità. 

2. "Conoscenza" (Tib. blo; Skt. mati, buddhi, o jnana) potrebbe essere tradotto anche come "intelligenza", ma in ogni caso il riferimento ad advayajnana è chiaro. 

3. Chandrakirti menziona tre tipi di compassione (MAB, 10): (1) compassione che ha come  suo oggetto tutti gli esseri senzienti; (2) compassione che ha come suo oggetto tutti gli esseri senzienti ed insenzienti; e (3) la compassione priva anche di oggetto. E' a questo ultimo tipo che si allude in MA 1.4. 

4. Cf. TKP, 19: "Come secchi che girano in continuazione su una ruota a pale, così gli esseri senzienti vagano continuamente senza autodeterminazione tra il più alto cielo ed il più basso inferno". La generazione del pensiero del Risveglio rappresenta l'immane sforzo per la libertà dalla schiavitù all'obbligo dell'azione volizionale (il karma). 

5. "Cresce" (Tib. rab bsngos; Skt. parinamita) è anche  usato come un termine tecnico che si riferisce al trasferimento di meriti.

6. Tib. kun tu bzang po'i smon pa; Skt. samantabhadrapranidhana: Questo deve essere letto come riferimento al voto preso dal bodhisattva Samantabhadra in presenza del Buddha. La descrizione di questo voto, dato in SP, cap. 26, enumera i modi a cui si rivolge il bodhisattva per essere di aiuto agli esseri viventi. 

7. Vedi La Vallée Poussin 1907, 264 n. 2, in cui questa frase in Sanskrito è citata da un commentario sul Namasamgiti. 

8. "Tathagata" (Tib. de bzhin gshegs pa) è un epiteto applicato comunemente ad ogni Buddha, che significa "così venuto" o "così andato". Può essere inteso come un riferimento alla dottrina che tutti i Buddha percorrono lo stesso Sentiero al Risveglio. "Tathagata", per il Madhyamika, si riferisce all'armonia tra il Buddha e la "quiddità" o "talità" del mondo. Cf. MS 22.16: "La natura intrinseca del Tathagata è la stessa come quella del mondo: proprio come il Tathagata è privo di intrinseco essere, così è il mondo"; AS, 154.18-19: "Questa è la 'quiddità' tramite cui il bodhisattva, il Grande Essere, arriva alla realizzazione assoluta del perfetto ed insuperabile Risveglio, e con ciò ottiene il titolo 'Tathagata'." 

9. Tib. kun tu sbyor ba; Skt. samyojana: Questi sono: (1) l'attaccamento alle visioni filosofiche (Tib. lta ba mchog 'dzin; Skt. drstiparamarsa); (2) l'attaccamento agli standard convenzionali della moralità, dell'etica, e delle pratiche rituali (Tib. tshul khrims brtul zhugs mchog 'dzin; Skt. shilavrataparamarsa); (3) dubbi o confusione riguardo alla possibilità di raggiungere il risveglio (Tib. the tshom; Skt. vicikitsa). 

10. Il tibetano 'gyo bar nus par gyur ba' è in se stesso piuttosto chiaro, ma non sembra coincidere col Sanskrito parijatashaktih. Il Sanskrito è comunque oscuro, e non c'è una adeguata evidenza sul suo significato o sulla ragione per la traduzione tibetana. 

11. Durante il primo stadio (cf. TKP, 40). 

12. Una "cattiva migrazione" (Tib. ngan 'gro; Skt. durgati) include la nascita in alcune  regioni degli inferni e nascita come animale o spirito affamato (preta). Cattive migrazioni sono anche i reami di esperienza accessibili tramite la meditazione così come gli stati di mente che avvengono spontaneamente quando le condizioni richieste sono presenti. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, in relazione a tutti i sei reami del samsara, cf. Conze 1962, 256: "Un singolo oggetto, diciamo un fiume, porta ad una trasformazione di pensiero interno, una 'pura fantasia' come potremmo dire, e che per ogni scopo pratico fa che l'oggetto esterno non esista. Gli spiriti affamati, a causa del pagamento delle loro azioni passate non vedono nient'altro che pus, orina ed escrementi; i pesci vi vedono la loro casa; gli umani vedono acqua fresca e pura che può essere usata per lavare e bere; e gli dei che vi si fermano vedono solamente infinito spazio". 

13. Tib. 'phags pa brgyad pa, Skt. astamaka àrya: Tanto Chandrakirti (MAB, 17) che Tsong kha pa (TKP, 41) identificano questo come un riferimento allo srotapanna (colui che è entrato nella corrente) a cui sarebbe normalmente assegnato il primo (il più basso) rango nella serie di àryapudgala, ovvero i santi buddhisti. 

14. Cf. PSP, 353: (MA 1.8d).

15. Qui il riferimento è alle varie storie (jataka), delle precedenti incarnazioni del Buddha,  quando in una occasione si dice che egli sacrificasse addirittura la sua propria carne come atto di generosità. Chandrakfrti spiega questo passaggio in MAB, 24 indicando che proprio come si inferisce il fuoco dal fumo, così l'intuizione della vacuità di tutte le cose da parte del bodhisattva può essere dedotta dalla sua generosità. 

16. Un "oggetto di piacere" (Skt. bhoga) è cibo o proprietà materiale di ogni genere, o qualsiasi cosa che può essere posseduta e goduta. 

17. Qui e nel 1.7 abbiamo seguito la traduzione suggerita da La Vallée Poussin. L'idea espressa in questo verso è che facendo offerte ai monaci buddhisti, il donatore alla fine troverà un insegnante appropriato per se stesso. 

18. Vedi MAB, 28 dove è fatto specifico riferimento al nirvàna.

19. "I possessi  interni (soggetto) ed esterni (oggetto)" sono i pensieri, le sensazioni ed i concetti, nonché gli oggetti esterni di ogni genere, senzienti ed insenzienti (inanimati). 

20. Ecco la distinzione critica tra la generosità come una perfezione mondana (laukika-paramita) e la generosità praticata come perfezione ultramondana (lokottara-paramita). Ogni perfezione è suddivisa in questo modo. Per un bodhisattva che pratica la generosità ultramondana, ogni aspetto delle circostanze che circondano l'atto di dare è percepito nel pieno contesto delle sue attive relazioni. Questo è tecnicamente riferito come trimandala-parisodhana "purificazione delle tre sfere" che è il riconoscimento del fatto che i tre aspetti di ogni pratica - l'agente, l'azione, e l'oggetto o destinatario di quell'azione - sono interdipendenti e non hanno alcun significato di esistenza indipendente (nihsvabhàva). Un attitudine di non-attaccamento è coltivato sulla base di questa comprensione. 

21. "La Gioia" (mudita) è la fonte dalla quale questo primo stadio prende il suo nome, come la fase iniziale nella generazione della Mente del Risveglio. Cf. TKP, 82: "Quel pensiero della verità del significato più alto, associato con questo primo stadio, è esso-stesso più puro; ed il cuore (la mente) in cui esso dimora è un eccellente ricettacolo, perché proprio come la luna tramite la sua luce bianca fa diventare bello il cielo che è il suo ricettacolo, così questo [cuore, o mente] è reso bello con la luce sfolgorante della saggezza" "Ricettacolo" (asraya) si riferisce agli elementi intellettuali, emotivi e volizionali del bodhisattva ed al suo corpo fisico. 

 

SECONDO STADIO

 

1. I "dieci sentieri della pura condotta" comportano l'astensione dall'uccidere, dal rubare, e dalla condotta sessuale scorretta (tre atti fisici); mentire, provocare dissenso negli altri per mezzo di calunnie, un linguaggio offensivo, e discorsi oziosi o senza senso (quattro atti verbali); nonché la bramosia, pensieri di danneggiare gli altri e l'attaccamento a credenze e visioni filosofiche erronee (tre atti mentali). Cf. RV 1.8-9. 

2. Cf. MAB, 37: "Per 'pace' si intende la restrizione dei sensi (indriyasamvara), e 'luce radiante' significa che il suo corpo ha un aspetto luminoso". La pace di mente associata alla restrizione dei sensi è considerata requisito essenziale alla pratica della meditazione al quinto stadio. 

3. Cf. MAB, 37-38: "Nell'Aryaratnakutasutra [il Buddha diede il seguente insegnamento a Kasyapa]: "Kasyapa, se vi è qualche monaco che pratica la moralità, legato alla disciplina regolare, la cui condotta nei riti religiosi e osservanze è maggiormente distinta, che vede il pericolo nelle più piccole colpe, che pratica correttamente gli insegnamenti fondamentali che ha imparato, che attraverso la purificazione delle azioni di corpo, parola, e mente ha completamente purificato la sua vita, e però ancora sostiene una dottrina di un 'sé' reale, questa, o Kasyapa, è una vera trasgressione del codice morale (vinaya), e il primo tipo di ipocrisia fra quelli che sono in possesso della moralità. O Kasyapa, il resto è come segue: Se c'è qualche monaco che correttamente assume le dodici pratiche ascetiche, e però ancora sostiene le visioni filosofiche dei supporti oggettivi [della sua pratica come se possedesse un significato o esistenza indipendente] e continua attaccandosi all 'Io' e 'mio', questa, Kasyapa, è una trasgressione del codice morale, e completa i quattro tipi di ipocrisia fra quelli che praticano la moralità". Riguardo ai "supporti oggettivi" (Tib. dmigs-pa; Skt. alambana) della pratica del bodhisattva, cf. MAB, 39: "Egli è senza alcun pensiero dualistico circa 'l'esistenza' o 'l'inesistenza', ecc., dei supporti oggettivi della sua moralità: cioè, l'essere riguardo al quale egli si astiene [da azioni immorali], l'atto [di astenersi], e l'agente" (cioè, egli-stesso). Questo stesso punto fu fatto con riferimento alla pratica di generosità (vedi stadio 1, n. 20). La moralità non è considerata pura, finché c'è un qualche pensiero di guadagno o perdita individuale.

4. Cf. MAB, 40: "Se egli è indipendente e vive in una migrazione divina o umana o simile, un tale uomo coraggioso liberato dalla servitù e vivendo in qualche piacevole contrada, se però poi non prende una stabile dimora in se stesso, allora come un uomo ardito ma legato e gettato in un ripido precipizio, egli precipiterà in una cattiva migrazione. E una volta che ciò è accaduto, chi potrà più tirarlo su? Da allora in poi egli sarà incatenato in questa cattiva migrazione dove dovrà soffrire offese e danni e, più tardi, se dovesse rinascere tra gli umani, dovrà sopportare la duplice maturazione [del suo comportamento immorale]" (vale a dire una vita breve e frequenti malattie). I Maestri buddhisti sostengono continuamente l'importanza di riconoscere l'inusuale opportunità presentata dal vivere come essere umano. 

5. Tib. rang byang chub la bdag nyid nges; Skt. pratyekabuddhayàtmaniya: vedi La Vallée Poussin 1907-1911, pt. 1, 289, che traduce: "les prédestinés à l'illumination des pratyeka-buddhas." 

6. "Beatitudine incomparabile" (naihsreyasasukha) e "Risveglio" (bodhi) sono realizzati solamente quando hanno fine i pensieri reificati e le afflizioni mentali associate. "Felicità provvisoria" (abhyudayasamsàrasukha) si riferisce al godimento di una nascita privilegiata - cioè, una nascita come essere umano o una divinità. La nascita in reami divini, assicura la felicità continuata per la durata di quel particolare periodo di vita, fino a che i risultati delle precedenti azioni volizionali (il karma) siano esauriti. Poiché nella vita, come questa, non c'è una immediata insoddisfazione verso le circostanze, i Maestri buddhisti indicano anche che non c'è alcun incentivo, e di conseguenza nessuna opportunità, per lavorare verso la liberazione dal ciclo di pensiero reificato, azione volizionale, e sofferenza. Tuttavia, perfino la beatitudine degli dèi non è eterna, e ritornare negli stati di sofferenza è soltanto una questione di tempo: "Una persona può sperimentare piacere per centinaia di anni durante un sogno, ma poi si sveglia; un altra sperimenta piacere solamente per un solo momento, ma poi anch'essa si sveglia. Per entrambi, quando si sono svegliati, il piacere è andato, e proprio questa è la somiglianza, al momento della morte, tra una persona la cui vita è lunga ed una la cui vita è corta" (BCA 6.57-58). Si dice che la più grande sofferenza fisica nell'intera esistenza ciclica sia inflitta nel reame più basso degli inferni; ma la più acuta angoscia mentale è sperimentata dagli dèi del più alto cielo al momento che a loro diventa evidente che dovranno presto precipitare giù da quella che era sembrata essere una beatitudine eterna. Per questa ragione la nascita come essere umano è considerata preferibile alla nascita come divinità. L'esperienza umana di continuo vacillamento tra dolore e piacere offre l'impeto per cercare una radicale soluzione al problema della paura e della sofferenza. 

7. Vedi Cv, 301 (la traduzione di Horner): "Ed il Beato disse ai Bhikkhu: O Monaci, nel grande oceano vi sono, quindi, otto qualità curiose e che stupiscono, dalla percezione continua delle quali, le possenti creature prendono delizia nel grande oceano. E quali sono queste otto?…O Monaci, il grande oceano non sopporta l'associazione con un cadavere di un morto. Qualsiasi morto cadavere vi sia nel mare, esso - rapidamente - lo spingerà sulla spiaggia, e lo getterà fuori sulla terra asciutta. Questa è la terza [delle sue qualità]". Cf. la terza delle otto "cose mirabili e meravigliose", (acchariya abbhuta dhamma) dell'oceano. (A 4, 197fT; V 2, 236fT.; U 53fT.): "Come l'oceano rigetta un cadavere, così la comunità dei monaci rifiuta coloro che agiscono male". Tsong kha pa attribuisce questa qualità dell'oceano ai "serpenti divini ed estremamente puri" che vivono nelle sue acque (TKP, 91). Chandrakirti non fa alcuna menzione di questa particolare espressione nel suo auto-commentario, e La Vallée Poussin 1907-1911, pt. 1, 292, sembra averlo frainteso: "de meme qu'il y a incompatibilité entre l'océan et la saveur douce." 

8. Vedi sopra, stadio 1, nota 20. 

9. Cf. MAB, 45-46: "L'Immacolato' (vimala) è tale, poiché è fatto senza macchia per mezzo del decuplice sentiero della condotta virtuosa; questo nome è in concordanza col significato attribuito al secondo stadio del bodhisattva. Proprio come l'immacolata luce della luna autunnale disperde il calore che tormenta gli esseri viventi, così questo stadio [chiamato] 'L'Immacolato' irradia da quella luna che è il bodhisattva e disperde il calore acceso dall'immoralità che brucia i [loro] cuori. Anche se non è impigliato nell'esistenza ciclica e quindi non è mondano, eppure egli è la gloria (shri) del mondo perché tutte le più eccellenti qualità sono associate con lui, ed anche perché egli genera la maestà di un sovrano dei quattro regni (càturdvipaka-isvara-sampad)." 

 

TERZO STADIO 

 

1. Cf. TKP, 92: "Perché è chiamato 'Luminoso'? Ciò è in conformità col carattere simbolico [del nome], perché al momento che il terzo stadio è raggiunto appare una luce che è capace di stabilizzare e tranquillizzare tutta la proliferazione concettuale delle apparenze dualistiche - [la luce de] il fuoco della conoscenza [nondualistica] che brucia tutto il suo combustibile senza residui, ovvero l'oggetto conosciuto". 

2. Chandrakirti indica (MAB, 48) che la pazienza del bodhisattva è in parte basata sulla sua comprensione delle terribili conseguenze che tale atto di mutilazione abbatterà su chi lo ha perpetrato in un qualche tempo futuro. 

3. La Vallée Poussin sembra avere malinterpretato ji ltar gcod (Skt. yatha chidyate) nella seconda riga di questa stanza. È probabile che questa riga debba essere letta secondo la nostra traduzione, cioè, come un riferimento ai "tre aspetti" dell'atto di mutilazione. Questo esempio è spesso usato per illustrare la virtù della pazienza. (Vedasi BCA, cap. 6 che contiene un certo numero di simili esempi di pazienza). 

4. Ogni azione produce due conseguenze. L'immediata e grande sofferenza sopportata in cattive migrazioni è la prima e la più severa, chiamata la "conseguenza maturata" (vipàka-phala). La conseguenza secondaria (nisyandaphala) è manifestata nelle afflizioni (klesha) come l'attaccamento, l'avversione e così via, e che funziona come provocazione per agire come nel modo descritto sopra in 3.2.. Sopportando pazientemente la sofferenza di questa vita (= in questo mondo) che è l'ultimo e il più benigno dei vipàkaphala, una persona può alla fine sradicare il nisyandaphala che altrimenti provocherebbe ulteriore disagio. Cf. MAB, 50: "La sofferenza inflitta sul corpo dai peggiori nemici, con l'uso di un'affilata lama di rasoio è la conseguenza finale [l'omicidio]. Uno che abbia in precedenza commesso l'atto di uccidere, dovrà [prima] soffrire le orribili conseguenze maturate in un inferno, o nelle tremende condizioni di una nascita animale, o nel reame di Yama. [Questa conseguenza maturata] risulta dall'eliminazione di conseguenze sgradevoli per quegli esseri che ancora devono sopportare le rimanenti conseguenze secondarie, ovvero, le afflizioni mentali. Perché uno dovrebbe irritarsi, mentre ferisce un altro essere, così che questa conseguenza maturata [essendo già sperimentata] è trasformata nuovamente in una causa per far apparire ulteriori conseguenze, che a turno danno luogo ad anche più grandi sofferenze? È come se [un paziente] stesse [trasformando] le ultime gocce della sua medicina utili per guarire la sua malattia [nella causa di una malattia ancor più seria). Perciò è del tutto ragionevole esercitare un'estrema pazienza con la causa di immediata sofferenza, proprio come uno si comporterebbe verso un dottore che ricorre all'uso di un bisturi tagliente per guarire una malattia". 

5. Le cinque "facoltà mentali più alte" (abhijna) sono elencate da Chandrakirti (MAB, 56): (1) l'abilità di compiere apparenti miracoli (Tib. rdzu 'phrul; Skt. riddhi:); (2) l'abilità di sentire suoni fuori dalla normale percezione (Tib. lha'i rna ba; Skt. divyasrotra:); (3) l'abilità di leggere i pensieri degli altri (Tib. pha rol gyi sems shes pa; Skt. paracittajnana); (4) la conoscenza delle nascite precedenti (Tib. sngon gyi gnas rjes su drang pa; Skt. purvanivasanusmrti); e (5) l'abilità di vedere oltre la portata della normale visione, così come percepire il carattere e il destino di altri esseri (Tib. lha'i mig; Skt. divyacaksus). 

6. Sugata, 'Uno che è bene andato' Cf. 1 stadio, n. 8, sul Tathagata. 

7. La generosità, la moralità, e la pazienza possono essere praticate dai laici come delle perfezioni mondane che condurranno a rinascite favorevoli -  idealmente, a rinascere in condizioni che contribuiscano ad una maggior coltivazione di saggezza e compassione. Come perfezioni ultramondane, comunque, queste stesse tre sono la causa del "corpo di forma" del Buddha (rupakaya) che comprende sia il "corpo di beatitudine" (sambhoga-kaya) che il "corpo di trasformazione" (nirmanakaya). Il corpo di forma è distinto dal "corpo del Dharma" (dharmakaya). Cf. MAB, 62-63: "I provvedimenti (sambhara) che sono la causa della Buddhità sono duplici: il merito (punya) e la conoscenza (jnana). Qui, il provvedimento del merito comprende le prime tre perfezioni, ed il provvedimento della conoscenza è composto da meditazione (dhyàna) e saggezza (prajna). L'energia (virya) è assegnata come una causa di entrambi. In questo particolare contesto, il provvedimento di merito è citato come la causa del corpo di forma posseduta dai Buddha benedetti che appaiono nelle varie meravigliose ed incomprensibili sembianze. Il corpo del Dharma è non-prodotto, e la causa [della sua realizzazione] è il provvedimento della conoscenza". Questa dottrina dei due (o tre) corpi del Buddha fu presa dallo Yogachara come una elaborazione di una concezione originale all'interno dell'Abhidharma Hinayana. In essa, il Dharmakaya è riferito sia all'intero corpo degli insegnamenti in generale, che allo stesso Buddha come una particolare incarnazione di quegli insegnamenti. In questo contesto, il Dharmakaya può essere inteso come la natura intrinseca di tutti i Buddha, in opposizione alla particolare manifestazione spazio-temporale di ciascun Buddha individuale, che è il suo 'rupakaya'. L'innovazione Yogachara sembra essere primariamente consistita nel dare un'interpretazione metafisica alla originaria dottrina. Il Dharmakaya è, per quella scuola, l'eternamente presente natura di Buddha, il principio del Risveglio. Il 'rupakaya' è ulteriormente suddiviso nel 'sambhogakaya', una forma "perfetta" che incarna tutte le caratteristiche attribuite ai Buddha, insediate in splendidi ambienti appropriati; e nel 'nirmanakaya', un'apparizione magica che trova la sua fonte nel sambhogakaya ed appare nel mondo per l'edificazione di tutti gli esseri viventi. I "provvedimenti" e la loro relazione ai corpi del Buddha sono discussi in MA 11.5-18 e da Nagarjuna in RV3. Vedi Conze 1962, 172,232 ff., per ulteriori discussioni di questa dottrina e delle sue fonti classiche. 

 

QUARTO STADIO 

 

1. Cf. MAB, 64: "Colui che è privo di entusiasmo per le buone azioni è completamente incapace di impegnarsi ne [la pratica di] generosità [e delle altre perfezioni], e perciò queste altre qualità non saranno mai prodotte". 

2. "Discernimento" Tib. blo gros [kyi] tshogs, Skt. matisambhara o dhisambhara. Qui blo gros è sinonimo di ye shes (= [advaya]jnana). 

3. Cf. MAB, 68: "A questo stadio, la visione filosofica [del bodhisattva] di un sostanziale e vero "Io" è sradicata. Perciò, è detto: 'Figli dei Conquistatori, situati a questo stadio [chiamato] "Il Radiante", il bodhisattva è privo di tutti i concetti insorgenti e discendenti, riflessioni, nozioni di permanenza, nozioni di essere-mio, e nozioni di proprietà - cioè, qualunque [idea] che derivi dal credere in un 'sé' vero e sostanziale, fondato su un forte aggrapparsi ad un "Io" [convenzionale], ad un essere senziente, ad una forza vitale, ad un creatore, ad una persona, o anche agli aggregati psicofisici (dhàtu-ayatana)," (Cf. DB, cap.4, p. 25.) Per "concetti insorgenti e discendenti", vedi La Vallée Poussin 1907, 311 n. 2: "Je pense que unminjita e niminijita, sont de simples variantes de samaropa, apavada, ou avyuha, nirvyuha, et signifient:affirmation et négation". "La visione filosofica di un 'sé' vero e sostanziale" (Tib. 'jig tshogs la lta ba = rang du lta ba; Skt. satkayadrsti) è una espressione tecnica che denota specificamente il concetto di un soggettivo 'sé' personale; ovvero, il concetto di un "Io" come opposto all'apprensione di ogni altro 'sé' senziente esterno all "io" che concettualizza. Anche se vi è una leggera discrepanza tra la descrizione Tibetana e l'originale Sanskrito, entrambi si riferiscono alle "venti cime torreggianti della montagna, in cui vi è la credenza in un vero e sostanziale "Io" (dimorante) all'interno delle cose composite e transitorie". I venti aspetti del concetto reificato di un 'sé' sono discussi in MA 6.144-145; questi aspetti sono realmente quattro tipi di concetti reificati applicati ad ognuno dei cinque aggregati psicofisici. I quattro tipi di base, associati col primo degli aggregati, la forma (rupa), sono (1) il 'sé' è forma, come un sovrano; (2) la forma qualifica il 'sé', come un ornamento; (3) la forma è posseduta dal 'sé', come una schiava; e (4) la forma contiene il 'sé', come un contenitore (cf. MVP 208). Vedi anche (commentario) MAB 5.7), e Lamotte (1944-1980), 2:737 n. 3; and 4:15-17, e la sua lunga nota sull'argomento. 

 

QUINTO STADIO 

 

1. Cf. MSA 20.35: "Portando gli esseri viventi alla maturità [spirituale) e proteggendo i loro propri pensieri, [a questo stadio] i saggi vincono la sofferenza, e perciò esso è chiamato 'L'Indomabile'."

2. Cf. MAB, 69: "Un bodhisattva che dimora nel quinto stadio del Sentiero bodhisattvico non può essere soggiogato neanche dai devaputramara (sorta di demoni) che si trovano in tutti i sistemi di mondo, per non parlare dei loro servitori e tirapiedi. Per questo motivo, questo stadio è chiamato, 'L'Indomabile'." Ogni male è radicato nella propria ignoranza spirituale (avidyà) che si manifesta negli innati modelli di pensiero reificato che si succedono. Cf. BCA, 177: "Tutti i processi intellettuali hanno la natura intrinseca del pensiero reificato, poiché i loro supporti oggettivi sono [essi-stessi] senza nessun supporto oggettivo. E tutti i pensieri reificati, in qualsiasi modo, hanno l'intrinseca natura della ignoranza spirituale, perché si afferrano a ciò che non esiste. Per questo motivo, è detto: 'Il pensiero reificato prende esso-stesso la forma dell'ignoranza spirituale'." L'ignoranza spirituale nella forma del pensiero reificato è una delle tante afflizioni mentali (klesha) che sono associate con l'esperienza del male, di solito suddivise in quattro tipi principali: (1)  kleshamara: male sperimentato tramite l'afflizione mentale di attaccamento, avversione, orgoglio, attaccamento a visioni filosofiche, incurabile dubbio e cinismo; (2) skandhamara, male che deriva dal concetto reificato di un 'sé' vero e sostanziale, sentito essere realmente all'interno o in mezzo agli aggregati psicofisici; (3) mirtyumara, la transitoria natura di tutte le cose, sperimentata in maniera più drammatica come morte; e (4) devaputramara: personificazione antropomorfica del male, generata dalla mente. 

 

SESTO STADIO 

 

1. MAB, 73: "Questo stadio è [chiamato] 'L'Affrontare Direttamente' perché [il bodhisattva] è direttamente di fronte al Dharma di un Buddha perfetto." 

2. La condizionalità è la stessa cosa dell'originazione dipendente (pratityasamutpada). "Tutte le cose sono per natura simili ad un riflesso" (MAB, 73). 

3. Qui, il riferimento alla "cessazione" (nirodha) è con più sfaccettature. Il lettore dovrebbe consultare Conze 1962, 113-116 e 236, per una breve discussione del significato di questo concetto in VM ed AK. 

4. La "discriminazione" (Tib. blo; Skt.mati) qui è sinonimo di "saggezza" (Tib. shes rab; Skt. prajna). La stessa similitudine è usata in BCA 9.1 e AS, 87.3. 

5. MAB, 77: "Questo trattato, che apporta il frutto degli insegnamenti in perfetto accordo con il [concetto di] originazione dipendente, dovrebbe essere rivelato solamente a chi, tramite una previa coltivazione meditativa, abbia piantato i semi della vacuità nel suo continuum [psicofisico] - e non è per nessun altro. Ciò è perché anche se alcuni possono ascoltare insegnamenti sulla vacuità, questi altri [deducono da tali insegnamenti] le più insignificanti nozioni mescolate con erronei fraintendimenti riguardo alla vacuità. Da una parte, quelli che sono relativamente privi d'intelligenza [semplicemente] abbandonano gli insegnamenti sulla vacuità e vanno verso cattive migrazioni; mentre, dall'altra parte, [gli stretti razionalisti] immaginano che la vacuità intenda la non-esistenza. Affidandosi su questa erronea interpretazione, essi sviluppano e propagano visioni filosofiche nichilistiche. 

6. Cf. SBS, fol. 14 (p. 387): Qui, e nelle successive citazioni da SBS, le parentesi contenute nelle letture di La Vallée Poussin differiscono da quelle adottate da Bendall. 

7. Ibid.

8. Ibid., fol. 15 (p. 387.

9. MAB, 81: "Questo è, per dire, colui che anela lo stadio [chiamato] 'Il Gioioso'. Questo [Sentiero] ha la caratteristica che deve essere spiegato. Ora per fornire informazioni sulla  natura delle corrette visioni delle cose vi sono [i passaggi] nei sutra, come per esempio le parole dell'Aryadasabhumika (DB, 31): "Figli dei Conquistatori, il bodhisattva che ha completamente compiuto il Sentiero al quinto stadio del bodhisattva passa al sesto stadio in virtù di [la sua comprensione di] i dieci [tipi di] identità di tutte le cose. E quali sono questi dieci (tipi)? (1) Tutte le cose sono identiche in quanto esse sono prive di qualunque segno causale (nimitta); (2) tutte le cose sono identiche in quanto ad esse manca qualunque caratteristica distintiva (laksana); (3) similmente, esse sono non-originate; (4) non-nate; (5) isolate; (6) pure fin dall'inizio; (7) prive di proliferazione concettuale; (8) né accettate né rifiutate (cf. La ValIée Poussin 1907, 278 n. 2, su avyuha e nirvyuha); (9) tutte le cose sono identiche in quanto esse sono come un miraggio, un sogno, un'illusione ottica, un'eco, come la luna nell'acqua, un riflesso, o una creazione magica; e (10) tutte le cose sono identiche in quanto esse sono esenti dalla dualità di esistenza ed inesistenza. Comprendendo in questo modo la natura intrinseca di tutte le cose, il bodhisattva [sviluppa] la grande pazienza (mahakshanti) in accordo [con la sua comprensione] e così raggiunge il sesto stadio del bodhisattva, "L'Affrontare-Direttamente". Perciò, il Maestro [Nagarjuna] stabilì in questo collegamento che attraverso l'istruzione razionale nell'identità di tutte le cose riguardo alla loro non-originazione, gli altri [tipi di] identità seguirebbero facilmente, e così egli mise [il verso seguente] all'inizio del suo Madhyamikasastra: 'Né da sé-stessa, né da altro, né da entrambi, e sicuramente non priva di causa; nessuna cosa qualechessia è mai prodotta in qualche tempo o luogo'." Vedi MS 1.1, che qui è citata da Chandrakirti come un'introduzione a MA 6.8. Dopo aver presentato le quattro alternative, egli procede ad analizzare le implicazioni di ciascuna in un più ampio dettaglio. 

10. Cf. PSP, 13.

11. MAB, 82: "Una [entità] si riferisce a ciò che si sta producendo o a ciò che compie l'azione del produrre, cioè, al germoglio. 'Da se stesso' significa dall'essenza individuale di quella stessa [entità] che si sta producendo. Quindi, il senso della dichiarazione è come segue: 'L'individualità propria di questo germoglio non è prodotta dalla sua propria indivi-dualità'. Perché è così? Perché non c'è niente da guadagnare dall'esistente individualità propria di un germoglio che sorge dalla sua stessa individualità esistente, solo perché [questa individualità] è gia - in precedenza - venuta ad esistere". 

12. 'Jig rten 'dir è fornito in TKP, 152. In altre parole, tale assunto contraddirebbe una percezione diretta. 

13. MAB, 83: "Se si asserisce che il seme già prodotto è di nuovo prodotto, [allora in questo caso] che ostacolo vi sarebbe al suo essere nato ancora una volta? Eppure, la riproduzione continua [del seme] deve essere in qualche modo fermata così che il germoglio possa essere prodotto". Cf. TKP, 152: "Proprio questo seme sarebbe riprodotto senza interruzione fino alla fine di ogni esistenza". 

14. MAB, 83: "Si può supporre che le condizioni associate che contribuiscono alla produzione del germoglio - l'acqua, il tempo e così via - trasformino il seme e diano nascita al germoglio; e questo germoglio [poi] distrugge il seme, poiché sarebbe contraddittorio per esso esistere simultaneamente insieme al [suo] creatore. In questo modo il summenzionato errore sarebbe evitato, e poiché il seme ed il germoglio sarebbero ancora differenti [uno dall'altro], la produzione da se stesso sarebbe davvero possibile.. .   Questo [argomento] è tuttavia inammissibile.. . poiché il seme ed il germoglio non sono differenti, e quindi è irragionevole che il germoglio debba distruggere il [seme], che sarebbe equivalente alla distruzione della sua propria individualità". 

15. Tib. nus; Skt. virya. La Vallée Poussin 1907-1911, pt. 2, 281 n. 5, definisce il termine problematico, e suggerisce che esso sia qualche genere di potenziale medico-magico per guarire. "Sapore" (rasa) e "maturazione" (vipiika) anche sono termini medici. 

16. Se una causa ed il suo effetto sono assolutamente identici, allora su quali basi noi possiamo distinguerli tra di loro, e come è che sembrano essere diversi? 

17. MAB, 85: "Siccome, apparendo come germoglio, l'individualità del seme non sarebbe percepita come è nella sua essenza, così, a causa del suo essere diversa dal seme, anche l'individualità del germoglio non dovrebbe essere percepita, proprio come l'individualità del seme [non è percepita]. " 

18. Cf. SBS, falso 18-19 (p. 390).

19. MAB, 86: "Proprio per questa [ragione], il Maestro [Nagarjuna] fece una distinzione [tra le prospettive convenzionali e soteriologiche in questa questione] e ripudiò in un modo generale la produzione, affermando che essa non è da sé-stessa". 

20. MAB, 87: "Si può dire che le entità non sorgano fuori di se stesse. Questo certamente è il caso, e la [prima] alternativa è ragionevole. Ma voi avete [anche] detto: 'Come può essa [sorgere] da altri?' (6.8a), e questo non è ragionevole". Chandrakirti dedica più spazio a questa seconda alternativa che ad ogni altra, probabilmente perché si adatta più da vicino al senso comune ed alla osservazione empirica (vedi 6.22). Il Prasangika dirige questi argomenti verso le seguenti scuole buddhiste: lo Svatantrika-madhyamika, lo Yogachara, il Sautantrika, ed il Vaibhasika. Con l'eccezione del Shamkhya (inclusa nella prima alternativa), il Jaina (la terza alternativa), ed il Charvaka (la quarta alternativa), tutti i non-buddhisti sono inclusi in questa categoria. 

21. Cf. SBS, falso 19-20 (p. 390) e PSP, 36.

22. MAB, 89: "Ovvero, a causa della [sua] qualità di essere altro." 

23. MAB, 90: "Proprio come il chicco di riso, ché è il produttore, è differente dal germoglio di riso, che è il suo risultato, così il fuoco, carbone, un seme di orzo e così via - che non ne sono i produttori [di un germoglio di riso] - sono altresì [diversi dal germoglio di riso]. E proprio come il germoglio di riso è prodotto dal chicco di riso che è diverso [da esso], così sarebbe prodotto da fuoco, carbone, un seme di orzo e così via. E proprio come il germoglio di riso che è diverso [da esso] sorge dal chicco di riso, così una brocca ed un vestito anche [sorgerebbero dal chicco di riso]. Questo è, tuttavia, non percepìto, e perciò non c'è nessuna [produzione da altro]". Secondo questa seconda alternativa, una causa ed il suo effetto sarebbero del tutto separati o autosufficienti. Se ciò fosse vero, la disputa Prasangika non potrebbe mai colmare il gap esistente tra le due alternative, non potrebbe esservi nessun possibile contesto per una relazione, e la distinzione tra una causa ed una non-causa di un dato effetto sarebbe completamente negato. La fiamma, per esempio, è diversa dall'oscurità: Per quale criterio i due non sarebbero correlati da causa ed effetto? 

24. Cf. SBS, faI. 20 (p. 390). 

25. MAB, 91: "La natura [della relazione tra] causa ed effetto resta su un particolare modo di 'alterità', e non sull'alterità in generale". Qui, l'oppositore sta tentando, con l'uso della sua nozione di un 'continuum', di ristabilire il normale contesto di relazione che deve esistere tra due cose, da lui in precedenza definite come completamente separate. Il 'continuum' sembrerebbe rendere possibile alla causa ed all'effetto di poter essere simultaneamente diversi eppure non-diversi. 

26. I semi del fiore sono per definizione differenti dal germoglio di riso semplicemente perché essi non possiedono le sue caratteristica qualità; e se il chicco di riso è designato come "altro" dal germoglio di riso, allora deve essere designato così per la stessa ragione. 

27. ibidem.

28. MAB, 92-93: "Si può vedere che [due individui chiamati] Maitreya ed Upagupta (cf. n. 89, sotto) sono interdipendenti e diversi [uno dall'altro] solamente perché essi esistono simultaneamente, ma il seme ed il suo germoglio non sono tali da poter essere immaginati come simultaneamente [esistenti], poiché finché il seme non si è alterato, il germoglio non esiste. Poiché, in tal modo, il seme ed il germoglio non esistono simultaneamente, allora il seme non possiede nessuna [qualità di] 'alterità' rispetto al germoglio. E se questa [qualità di] alterità non è presente, allora è falso dire che il germoglio è prodotto da 'altro'.". 

29. MAB, 94: "L'istanza di cui sopra, che il seme ed il germoglio simultaneamente non esistano, può essere controbattuta come irragionevole, nel modo seguente: Proprio come la salita e la discesa di [due bracci di] una bilancia avviene simultaneamente, così accade al momento in cui un seme è stato distrutto ed il germoglio è prodotto. Ciò accade in un modo tale che precisamente nel momento in cui il seme è distrutto, in quel preciso momento - simultaneamente - il germoglio è prodotto." 

30. Cf. PSP, 545.  

31. Chandrakirti fornisce il seguente chiarimento (MAB, 95): "In questo caso, 'ciò che sta per essere prodotto' va in direzione della produzione [anche se non è ancora realmente prodotto], perciò esso appartiene al futuro; mentre 'ciò che sta per essere distrutto' va in direzione della distruzione [anche se non è ancora davvero distrutto], e perciò esso appartiene al presente. Così, ciò che non esiste, perché non è ancora prodotto, viene prodotto; e ciò che esiste, perché è già presente, viene distrutto. Dato questo stato di cose, che possibile somiglianza c'è nelle circostanze che riguardano i due pesi di una bilancia? I due pesi della bilancia sono realmente presenti, e perciò si può [logicamente dire] che i movimenti ascendenti e discendenti avvengano simultaneamente; tuttavia, il seme appartiene al presente ed il germoglio al futuro, e su questa base [non si può asserire logicamente che] essi esistono simultaneamente. Il problema [del seme e del germoglio] non è perciò in alcun modo analogo all'esempio della bilancia. E se al nostro oppositore dovesse accadere di credere che anche se infatti due cose simultaneamente non esistono, pure le loro azioni possono aver luogo simultaneamente - in seguito [noi dovremmo obiettare]: anche questo è indifendibile, perché non si può ammettere che le azioni delle cose siano indipendenti dalle cose stesse". 

32. MAB, 96: "L'agente (kartr) dell'azione imminente di essere prodotta, cioè il germoglio, appartiene al futuro, e così non [ancora] esiste. Stabilito che [il germoglio] non esiste, non c'è allora base (asraya) [per la sua azione], e quella [azione, anch'essa] non esiste. E poiché nessuna [azione] esiste, come può essere simultanea con la distruzione [del seme]? In base a ciò, è illogico [presumere] che le due azioni [della produzione e della distruzione] siano simultanee. Come [Nagarjuna] ha scritto (MS 7.17): 'Se una entità non-prodotta in ogni caso esistesse comunque, allora sarebbe prodotta; [ma] perché un'entità sarebbe prodotta se è non-esistente?'. Il significato di questo [verso] è il seguente: Se una certa entità, per esempio un germoglio, esistesse non-prodotto prima della produzione, allora [alla fine] sarebbe prodotto. Tuttavia, prima della produzione nulla comunque e dovunque può essere stabilito come esistente, perché è non-prodotto. Perciò, prima di essere prodotta, l'entità che provvede la base per l'azione della produzione non esiste, e senza questa [base], che cosa sarà prodotto?" L'argomento è compendiato (CSt 1.18): "Poiché il germoglio né sorge da un seme distrutto né da un seme non-distrutto, voi dichiarate che tutta la produzione è come la manifestazione di un'illusione magica". 

33. MAB, 97: "[Un oppositore proporrebbe quanto segue:] Il seme ed il germoglio non esistono simultaneamente. Di conseguenza non c'è nessuna 'alterità' (paratva), e [in simili circostanze] la produzione è illogica (secondo i termini della seconda alternativa). Tuttavia, quando c'è simultaneità, allora in tal caso, poiché 'l'alterità' sarebbe presente, anche la  produzione sarebbe fattibile. Come per esempio l'occhio e la forma, e così via, insieme con la sensazione (vedana) e gli altri coapparenti [fattori, sono cause che] agiscono per produrre il simultaneo [e relativo effetto di] cognizione visiva". (La percezione visiva è prodotta da un ordine simultaneamente esistente di fattori causali). La risposta a questa istanza è (MAB, 98): "Se voi asserite che l'occhio e così via, la percezione (samjna), ecc., esistano simultaneamente [insieme alla cognizione visiva] e servano come condizioni per quella cognizione visiva, allora di sicuro essi sono 'altro', rispetto [alla cognizione visiva esistente]. Comunque, poiché non c'è assolutamente bisogno per il sorgere di ciò che [già] esiste, pertanto non ci sarebbe produzione alcuna; e se voi volete evitare la negazione della produzione asserendo che [la cognizione visiva] non esiste, allora in tal caso l'occhio e così via, non sarebbe differente da una inesistente cognizione visiva. L'errore occorso in questa [tesi] è stato già spiegato. Perciò, se voi insistete sulla produzione da altro, allora anche quando 'l'alterità' è possibile, la produzione è impossibile, e quando la produzione è impossibile, la dualità [tra causa ed effetto] è impossibile. E se la produzione è possibile, allora non c'è nessuna 'alterità', e qui di nuovo la dualità è impossibile. Di conseguenza, [si deve ammettere che] in nessun modo le apparenze rappresentano l'esistenza di oggetti esterni ed esse sono prive di alcun oggetto esterno: [E laddove le apparenze] sono scomparse, rimangono solamente le parole." 

34. Cf. MS 20.21-22: "Quale causa produce un effetto che è intrinsecamente esistente? E quale causa produce un effetto che è intrinsecamente inesistente? La qualità di essere una causa non è presente in ciò che non si sta producendo, e quando la qualità di essere una causa non è presente, a cosa è attribuito l'effetto?" Queste due alternative sono già state trattate nei versi precedenti. 

35. MAB, 100: "Il possesso simultaneo di [due] essenze, una che comporta l'esistenza e l'altra l'inesistenza, è semplicemente impossibile in una singola [entità]; e quindi un'entità in possesso di questa natura intrinseca non esiste. E poiché non esiste, che [influenza] possono esercitare le cause produttrici su di essa?" L'argomento contro il simultaneo possesso né di esistenza e né di inesistenza è analogo a quello appena presentato. Una singola entità che sia né esistente e né inesistente nello stesso momento non solo non è mai stata percepita, ma sarebbe auto-contraddittoria per natura. Tutte le quattro alterna-tive nel tetralemma sono state ora presentate e discusse in dettaglio con riguardo alla causalità, e Chandrakirti accetta il sistema delle due verità. 

36. MAB, 101: "Poiché essa è semplicemente radicata nella percezione individuale di tutte [le cose], l'esperienza di tutti i giorni è dotata di un potere tremendo. E [su questa base] è evidente che un'entità è prodotta da un altra. L'appello alla ragione è appropriato solo nel caso di ciò che non è percepito direttamente, ma è inappropriato quando è coinvolta la percezione diretta. Perciò, perfino aldilà di qualunque adeguato [supporto deduttivo], deve pur essere vero che le entità sono prodotte da altre [entità]". Cf. anche TKP, 172-173: "Vi sono alcuni, che non avendo perfettamente compreso il senso delle scritture [che trattano della vacuità], hanno poi piantato e maturarato, sulla ruota senza fine del samsara, le loro potenzialità per la cognizione delle entità come se fossero [intrinsecamente] esistenti. Essi sono diventati fortemente attaccati alla [presunta] esistenza di queste entità, e per lungo tempo non hanno avuto amici spirituali. Come risultato di questa mancanza, essi sono anche stati privati di un ripetuto insegnamento sull'assenza di essere intrinseco, e si sono trincerati nelle opinioni fuorvianti che sono poi realmente invalidate dall'esperienza di ogni giorno. Senza che si spieghino i vari modi in cui l'esperienza di ogni giorno viene ad essere, è impossibile invertire queste opinioni fuorviate. Quindi è necessario isolare lo specifico 'yul'' ('oggetto' o 'significato') che deve essere rifiutato, tramite l'affermazione che 'il tale e tal'altro 'yul' è invalidato dall'esperienza di ogni giorno', e lo specifico 'yul' che non deve essere rifiutato, tramite l'affermazione che 'tale e tal'altro 'yul'  non è invalidato dalla stessa esperienza di ogni giorno'." 

37. Cf. BCA, 174. 

38. MAB, 102-103: "I Buddha benedetti che capiscono perfettamente la natura intrinseca delle due verità, hanno insegnato le due categorie di natura intrinseca possedute da tutti i concetti e da tutte le cose materiali,… in questo modo: [la natura intrinseca de] lo schermo (samvrta); e [quello de] il significato più alto (paramàrtha). Il significato più alto è quella natura [di tutte le cose] rivelata tramite l'essere l'oggetto specifico della saggezza che comporta accurata percezione. Tuttavia, [questo significato più alto] è in nessun modo stabilito attraverso una qualità intrinseca del 'sé'. Questo è un tipo di natura di tutte le cose. L'altro tipo è la natura intrinseca ottenuta sul potere di false percezioni fatte da persone comuni in cui l'occhio interno dell'intelligenza è stato completamente coperto dalla cataratta dell'ignoranza spirituale. Anche questa forma di natura intrinseca non è stabilita in se stessa, ma è semplicemente l'oggetto [rivelato] attraverso la percezione di persone ingenue. Così tutte le cose portano in esse una duplice natura intrinseca". 

39. Entrambe esse, comunque, sono illusorie dalla prospettiva della verità del significato più alto. 

40. RCA, 171.

41. I difetti dei cinque sensi possono essere interni o esterni. I difetti interni sono costituiti da malattia o da qualche malfunzionamento dell'organo di senso. I difetti esterni sono le illusioni magiche od ottiche di ogni genere, i riflessi, l'eco e così via. I difetti della sesta facoltà (la mente) provengono non solo da falsa cognizione basata su alcuni dei problemi succitati, ma anche da ragionamento difettoso o fraintendimenti che possono o no, essere collegati con particolari visioni filosofiche. Anche i sogni cadono in questa categoria. 

42. MAB, 105-106: "Questi [filosofi] non-buddhisti vogliono penetrare la Realtà; essi vogliono sempre ascendere direttamente verso l'alto, verso la perfezione nel determinare accuratamente e senza motivi di confusione, riguardo alla produzione e distruzione - come cose date per scontate anche da persone impure tali come cortigiane e mandriani. Di conseguenza, essi sono come qualcuno che si arrampica su un albero, prima lasciandosi andare da un ramo e poi afferrandosi ad un altro, finché fanno un possente ruzzolone cadendo nell'abisso di erronee visioni filosofiche. Poi, poiché sono privati della percezione delle due verità, essi non otterranno il risultato [della liberazione, per cui essi si sforzano]. Quelle cose da loro concettualizzate [come per esempio] le tre qualità (guna) [del sistema Samkhya], e così via, sono inesistenti perfino nel contesto della schermata [verità] relativa dell'esperienza di ogni giorno". 

43. Cf. RCA, 178. 

44. MAB, 106: "L'esposizione del rifiuto della produzione da altro non è [compiuta] confinando sé-stessi alla prospettiva dell'esperienza di ogni giorno. E allora, in che modo è [compiuta] ? Accettando la visione del saggio buddhista". Cf. la discussione sulla incom-mensurabilità nella parte 1, §5.1. La percezione della vacuità caratteristica della conoscenza immacolata (amalajnana) non contraddice l'esperienza di ogni giorno, bensì soltanto le varie forme di concetti reificati consci (escogitati filosoficamente) ed inconsci (che avvengono in modo innato) imputati aldilà e sopra il consenso di pratica di tutti i giorni. Queste idee sono riferite a come "proliferazione concettuale (prapanca)". 

45. RCA, 171.

46. Qui svabhàva è usato come sinonimo di shunyata

47. MAB, 107-109: "In questo caso, 'illusione' è ciò che causa agli esseri senzienti di essere confusi nella visione di come le entità realmente sono [nel contesto  dell'esperienza di tutti i giorni, e questa] ignoranza spirituale è [chiamata] 'lo schermo' (samvrti) perché, nell'imputare alle entità l'esistenza di un'essenza individuale, che invece non esiste, esso è caratterizzato dal suo essere un'ostruzione alla consapevolezza della [loro] natura intrinseca (cioe, la vacuità). L'[entità così percepita] sembra essere reale sulla base di questo schermo, e dove non c'è essere intrinseco, l'apparenza di un intrinseco essere è manifestata alle persone comuni. [Questa entità] è reale [solamente] nel contesto dello schermo, che è l'errore del mondo; il quale è la produzione che costituisce l'originazione dipendente. Alcune [di queste cose] che sono originate dipendentemente, come i riflessi, gli echi, e così via, appaiono irreali anche alle persone spiritualmente ignoranti. Tuttavia, ve ne sono altre - per esempio, [i colori] blu e così via, le forme, le menti, i sentimenti ecc. - che appaiono essere reali. La loro natura intrinseca (la vacuità), non appare in alcun modo alla persona spiritualmente ignorante. Perciò, questa [vacuità], insieme a ogni cosa che appare come irreale anche all'interno del contesto dello 'schermo', non è [chiamata] la verità dello schermo. [Il bilancio di] ciò che negli esseri afflitti è percepito esistere sotto l'influenza dell'ignoranza spirituale, è designato come la verità dello schermo. Gli sràvaka, i pratyekabuddha, ed i bodhisattva, che sono liberi dall'ignoranza spirituale che colpisce gli esseri afflitti, considerano che le cose composite [convenzionalmente reali] abbiano la stessa qualità di esistenza dei riflessi e simili. Queste cose hanno la natura intrinseca di una produzione; esse sono percepite come irreali perché [sravaka, pratyekabuddha, e bodhisattva] sono senza alcun gonfiato concetto di 'verità' (satyabhimana). Ciò che è ingannevole per le persone ingenue (concetti reificati del 'sé', 'essere-intrinseco', ecc.), come pure tutte le altre cose come le illusioni magiche e così via, è un semplice schermo [seppure incluso nello "schermo" della vita di ogni giorno] perché [pure] esse sono originate dipendentemente. Di conseguenza, il Beato ha parlato della verità dello schermo e del semplice schermo. Ciò che è del significato più alto, per le persone comuni è un mero schermo per far dimorare i santi buddhisti nel reame delle apparenze. Per essi, la vacuità, ovvero la natura intrinseca di quello schermo, è del significato più alto. Il significato più alto, per i Buddha, è proprio quella natura intrinseca [delle entità] (vale a dire, la vacuità). Ed anche se essa è la verità del significato più alto, poiché non è ingannevole, ognuno di loro deve venirne a conoscenza tramite l'esperienza personale. Mentre, poiché la verità dello schermo è ingannevole, essa non è [chiamata] la verità del significato più alto. Avendo insegnato la verità dello schermo, l'autore (Chandrakirti) desidera insegnare la verità del significato più alto. Tuttavia, poiché essa è inesprimibile e non è all'interno del reame governato dalla conoscenza [dualistica], così è impossibile per lui insegnarla come se fosse un fatto [oggettivamente presente]. Perciò egli fornirà un esempio per quelli che vogliono impararla, così che [essi possano] chiarire la loro natura intrinseca attraverso le loro proprie esperienze".

48. Cf. RCA, 176. 

49. MAB, 111 (citato dal Satyadvayavatàra [?]): "Come mai che [questa verità] non può essere verbalizzata come 'la verità del significato più alto'? Tutte le cose sono schermate ed ingannevoli... Così la verità del significato più alto non può essere insegnata. E perché è così? Perché l'insegnante, l'insegnamento, e l'ascoltatore non sono ancora nati alla verità del significato più alto, e le cose non ancora nate non possono essere descrtte da cose non ancora nate". Sotto l'influenza dell'ignoranza spirituale e dell'attaccamento, anche le domande che uno fa si rivoltano su se stessi in un spirale di pensieri reificati e confusi. Il movimento verso un sistema di vita radicalmente diverso deve essere fatto gradualmente imparando ad abbandonare le vecchie domande e l'intero modo di pensare che le aveva dotate di un qualche significato. 

50. Chandrakirti qui è interessato con ciò che Tsong kha-pa chiamò "la questione più profonda e sottile all'interno del sistema Madhyamika" (TKP,139) - la concezione di efficacia causale come unico criterio per la validità del convenzionale. Essenzialmente, qui il punto è che le due verità, soteriologica e convenzionale, non interferiscono l'una con l'altra perché esse sono stabilite in una struttura gerarchica (come opposte ad una relazione mutualmente esclusiva). Esse sono incommensurabili, non contraddittorie, perché esse trattano con reami differenti di esperienze e necessità totalmente diverse. L'efficacia causale è sufficiente testimonianza della realtà convenzionale nonostante la circostanza che, da una prospettiva più "alta", causa ed effetto sono entrambi interrelati in un modo tale che nessuno di essi esiste in e per se stesso. Secondo il Madhyamika, ogni tentativo di giustificare l'esperienza di ogni giorno tramite qualcosa di diverso dal consenso conduce a problemi spirituali ed intellettuali. 

51. Questa intuizione di una relazione diretta tra causa ed effetto è la base dei concetti reificati di "necessario collegamento" e simili. 

52. MAB, 116: "Qui, il vero significato è questo: Se il seme ed il germoglio possedessero entrambi un essere intrinseco, allora essi dovrebbero essere sia identici che differenti. Ma poiché nessuno di essi ha un qualche essere intrinseco, allora allo stesso modo del seme  e del germoglio appresi in un sogno - come può esservi [una qualche questione di] identità od alterità?" Cf. MS 18.10: "Ciò che esiste in dipendenza [di qualcos'altro] è a tal misura né identico né diverso da quella cosa; in base a ciò non c'è nessun annientamento e nessuna permanenza". 

53. MAB, 117: "Se un'intrinseca caratteristica distinta delle cose [come] la forma, la sensa-zione e così via - una essenza individuale o essere intrinseco - fu prodotta da cause e da condizioni, allora quando lo yoghi percepì le cose come vuote di ogni essere intrinseco e [così] comprese che tutte le cose sono senza essere intrinseco, la vacuità di sicuro sarebbe stata capita tramite la negazione di questo essere intrinseco che si era prodotto. Allora la vacuità sarebbe di sicuro la causa di negazione di questo essere intrinseco, proprio come un martello è la causa della distruzione di una brocca". In questo contesto, "un'intrinseca caratteristica distinta" (svalakshana) è un logico marchio posizionato per definire la sola qualità che dota un'entità di esistenza intrinsecamente valida: questa sarebbe l'essenza individuale di essere intrinseco dell'entità come definita dall'oppositore del Madhyamika. Il Madhyamika risponde che le cose sono senza alcun essere intrinseco qualsiasi, e per esso di conseguenza non c'è nessuna questione di produzione o distruzione di tale essere, o di un qualche logico marchio che indichi la sua presenza. Il concetto di esistenza tramite una intrinseca caratteristica distintiva (svalakshanasiddha) si trova negli scritti di Vasubandhu come interpretato dai due famosi epistemologi Yogachara Dignaga e Dharmakirti. Esso è un concetto che ebbe implicazioni sottili e di vasta portata per i successivi sviluppi del Madhyamika in India e Tibet. Vedasi Kochumuttom 1982, 25-26 per una breve discussione del concetto con riferimento alle attinenti fonti classiche. 

54. Il commentario di Chandrakirti offre la seguente illustrazione: Supponiamo che attraverso un'appropriata combinazione di legno, corde e manodopera venga costruito un liuto. Quando un saggio ascolta il suono di questo liuto ed esamina quello che egli sente, scoprirà che esso davvero non proviene da nessun luogo e non va verso nessun luogo - il suono è semplicemente il fine risultato di un abile assemblaggio di legno e corde. Allo stesso modo, quando uno yoghi esamina ogni cosa composita prodotta da cause e da condizioni, egli vi trova solamente vuoto (vacuità). "La caratteristica distintiva delle cose è dell'essenza dello spazio" (MAB, 122). Quando un'entità accettata come esistente sulla base della verità convenzionale è esaminata da vicino, si scopre che l'unico vero "marchio" o caratteristica rappresentativa di questa entità è la sua vacuità. Non c'è alcun "reale oggetto concreto" che sia trovato, nonostante il fatto che nell'esperienza di ogni giorno l'entità sia prodotta e distrutta. Nondimeno, la verità dello schermo che governa il mondo non deve essere assolutamente screditata: "Proprio come non si può far capire uno straniero con qualche altra lingua [che non sia la sua propria], così non si può far capire il mondo, senza l'uso di un linguaggio convenzionale" (CS 8.19). In questo caso, il Tibetano è assai idiomatico, e la nostra traduzione inglese si discosta alquanto da una così definita traduzione letterale. Si potrebbe dire, "Dato che quando le entità sono esaminate, non si trova altro che l'entità caratterizzata dalla realtà [espressa nella verità del significato più alto], per questo motivo la verità convenzionale del mondo non deve essere esaminata in modo critico". Il punto è che l'analisi razionale delle verità convenzionali non produrrà una verità assoluta e obiettiva. Cf. MA 6.158-159 e nota 104,123,124 e 191, sotto. 

55. MAB, 123-124: "Nessuna entità qualechessia rimane esente da [le relazioni di] causa ed effetto. Una volta che egli capisce che perfino i riflessi senza alcun essere intrinseco (svabhàva) aderiscono alle relazioni causali, allora quale persona intelligente determine-rebbe che la forma, le sensazioni, e così via, sono dotate di essere intrinseco? Uno ha bisogno solamente di capire come esse esistono, nel contesto delle loro relazioni causali, e se ne consegue che nessuna [entità] è prodotta per mezzo della sua natura intrinseca, nonostante la si apprenda come esistente." 

56. Cf. MS 21.14: "Quando uno accetta l'esistenza [intrinseca] dell'entità, allora egli deve di conseguenza [accettare] sia la prospettiva filosofica dell'assolutismo che del nichilismo, perché un'entità [intrinsecamente esistente] deve essere permanente o impermanente" Anche ibid., 17.31-33: "Proprio come il mago crea tramite il suo potere magico una magica creatura, e quella creatura magica, [essa-stessa] creata, prende a creare un'altra creatura magica; così l'agente di ogni azione (kartr) è come la [prima] creatura magica, e l'azione (karma) intrapresa [da quell'agente] è come la seconda creatura magica creata dalla [prima]. Le varie afflizioni mentali, l'azione, il corpo, l'agente dell'azione ed i risultati di quell'azione sono come visioni di un regno delle fate immaginario, come miraggi o sogni." 

57. Una data azione esiste solamente come un effetto dipendente da una particolare collocazione di cause e condizioni, e come un fattore che contribuisce alla produzione del suo (relativo) proprio effetto. L'efficacia di questa azione è così determinata solamente all'interno del contesto dell'esperienza di ogni giorno, dove può essere costruita mentre prende il suo posto adeguato nella rete di cause ed effetti che costituiscono le relazioni governate dalla verità convenzionale. Le parti che compongono questa rete, che sono necessariamente percepite nella loro forma di cause ed effetti, sono prive di una esistenza intrinsecamente valida, e la rete stessa non è altro che la matrice della realtà quotidiana. La postulazione di una "verità" o "realtà" epistemologicamente od ontologicamente isolata stabilita interamente separata da questa fabbricazione, è arbitraria ed insignificante per il filosofo Madhyamika, poiché dalla sua prospettiva la verità e la realtà possono essere definite solamente attraverso la relazione. Cf. MAB, 126: "Dal punto di vista di uno per cui l'azione non è prodotta attraverso una qualità intrinseca del 'sé', in questo caso non c'è [alcuna azione] terminata. Certamente non è impossibile che il risultato sorga da un'azione non-distrutta; [e poiché] l'azione non è distrutta, la relazione [attraverso il tempo] tra causa ed effetto è perfettamente giustificabile." 

58. MAB, 127-129 (citando dal Bhavasamkrantisutra): "O possente Re, bisogna [capire] così: Supponi per esempio che un uomo stia dormendo e sogni che egli si trova in compagnia di una bella donna. Lei è [semplicemente] un oggetto del suo sogno, [eppure] quando lui si sveglia diventa [ossessionato con] il ricordo di lei. Potente Re, cosa pensi?: un uomo intelligente [si comporterebbe mai così]?' 'No, egli non si comporterebbe così, o Beato'. 'Perché no?' ' Perché, o Beato, la bellissima donna nel sogno non esiste e non è appresa [nella vita da sveglio]. Che possibilità ci sarebbe per lui di avere una qualche attività con lei? Quindi costui è un pover'uomo sfortunato.' Il Beato allora disse: 'O potente Re, proprio così, le persone ingenue e spiritualmente ignoranti percepiscono le forme coi loro occhi e sviluppano un forte desiderio per quelle [forme] che sono piacevoli, ed avendo sviluppato questo ardente desiderio essi diventano attaccati [ad esse]. Una volta divenuti attaccati, essi continuano a compiere azioni di corpo, mente, e parola che sorgono dai loro attaccamenti, avversioni ed illusioni. Una volta compiute, queste azioni arrivano a termine; ed una volta terminate, per qualche tempo esse non restano da nessuna parte. Ma qualche tempo dopo questa persona arriverà vicina al momento di morire, e le attività che erano state il suo destino [in quella vita] si saranno esaurite. Quando il momento finale è arrivato nell'ultima fase di coscienza, allora la sua mente si confronterà direttamente con la vera attività, [che è] proprio come la bella donna che era servita come oggetto per la [altra] persona, perfino dopo che si era svegliata. E così, possente Re, una volta che l'ultima fase di coscienza è terminata, la prima fase di una coscienza associata con la rinascita sorgerà fra gli dèi, o tra gli spiriti affamati, [o in un qualunque reame adatto]. E nell'intervallo immediatamente seguente il termine di quella prima fase di coscienza, vi scaturisce un 'continuum' mentale in accordo con il suo destino immediato, in cui quella persona sperimenterà la maturazione [di quella prima attività in cui si confrontò durante la fase terminale di coscienza nella sua esistenza precedente]. O potente Re, il termine dell'ultima fase di coscienza è stata chiamata morte/trasmigrazione, e il sorgere della prima fase di coscienza è chiamata nascita. Potente Re, anche al suo momento terminale, l'ultima fase di coscienza non va da qualche parte; e quando la fase di coscienza associata con la nascita sorge, essa non arriva da qualche parte. Perché è così? Perché [esse sono] prive di alcun essere intrinseco. Re possente, l'ultima fase di coscienza è vuota di morte/trasmigrazione. L'azione è vuota di azione. La nascita è vuota di nascita. Perfino così, è una questione di sperimentare direttamente che le azioni sono inesauribili". 

59. Non c'è nessuna ragione ultimamente valida per un occhio malato di vedere dei peli fluttuanti laddove un occhio sano non percepisce nulla - questa è semplicemente una caratteristica della malattia, ed una questione di diretta esperienza per una persona con l'oftalmia. Similmente, nel contesto della vita quotidiana, una data azione produce il suo proprio risultato, e quando questo risultato è stato prodotto, quella azione avrà realizzato il suo pieno potenziale. Un solo colpo di un singolo martello rompe una specifica brocca, ed una volta che il colpo è stato sferrato e la brocca rotta, non ci sarà altra brocca in alcuno altro momento o luogo che sarà rotta da quel colpo. Dalla prospettiva della verità del significato più alto, il risultato prodotto non esiste più di qualunque numero di altre insensate conseguenze che mai e poi mai avranno luogo (cioè, la distruzione di una brocca non presente allorché il colpo fu sferrato). Entrambi i risultati sono ugualmente privi di una qualche realtà non-circostanziale. Entrambi sono vuoti. Tuttavia, al livello della verità convenzionale è semplicemente una questione di esperienza diretta che il primo risultato sia accettato come vero, mentre il secondo sia ritenuto immaginario. 

60. MAB, 131: "Il Beato pensò: 'Le persone comuni che diventano smodatamente razionali denunceranno sia l'azione che le sue conseguenze, e così negheranno lo schermo [della verità convenzionale]'. [Perciò egli dichiarò che] la maturazione delle conseguenze dell'azione è incomprensibile, e rifiutò il pensiero [razionalistico] che conduce alle [visioni filosofiche concernenti] l'azione e le sue conseguenze." 

61. Cf. SBS, Col. 25 (pp. 393-394).

62. "Basi di coscienza" (dhàtu) non c'è nel testo Tibetano. 

63. MAB, 132-133: "I discepoli che hanno coltivato visioni filosofiche non-buddhiste per qualche tempo sono incapaci di penetrare nel profondo significato della 'dharmata'. Quando sentono insegnamenti sulla dharmata come nelle parole [del Prajnaparamitasutra] - "Non c'è nessun 'sé', non c'è produzione" - essi all'inizio sono semplicemente spaventati. Essi considerano gli insegnamenti sulla vacuità come un oscuro abisso, ed avendole girato le loro spalle non trovano significato [in tali insegnamenti]. [Tuttavia, se] essi sono stati in precedenza istruiti sulla 'coscienza-deposito", avranno rifiutato questi sistemi non-buddhisti, e allora poi troveranno il grande significato [nel concetto di vacuità]. Più tardi, quando essi avranno capito correttamente il significato del sutra, queste [nozioni sulla coscienza-deposito, e così via] saranno abbandonate spontaneamente. Perciò, [in tali insegnamenti] c'è solamente vantaggio, e nessun difetto deve sorgere. Come ha scritto Aryadeva (CS 5.10): 'All'inizio uno dovrebbe praticare ciò che è gradito, perché colui che non è integro, non potrà mai essere un buon [vaso] contenitore per [gli insegnamenti su] il vero Dharma (saddharma)'." 

64. Cf. SBS, Col. 25 (p. 394). 

65. Sul problema di usare il linguaggio per liberare le presupposizioni non-esaminate, cf. Whorf 1956, 121: "La base del sistema linguistico di ogni linguaggio non è soltanto un sistema riproduttivo per esprimere le idee, ma piuttosto è esso-stesso un formatore di idee, il programma e guida per l'attività mentale dell'individuo, per la analisi delle sue impressioni, per la sintesi della sua scorta mentale in affari". Nondimeno, per poter insegnare qualcosa a tutti, anche un buddha deve usare il linguaggio e le presupposizioni concettuali incarnate in lui, e per spiegare il significato più profondo e sottile della vacuità, è necessario usare come espedienti certi concetti che sono alla fine incommensurabili col vero senso della critica Madhyamika. Chandrakirti scrive che Nagarjuna compose il suo Madhyamakasastra specificamente per distinguerlo tra quei sutra che sono definitivi (nitartha), e quelli che non lo sono (neyartha) (PSP, 41). Negli insegnamenti  scritturali si può trovare, in alcuni siti, che essi sono apparentemente in conflitto l'un con l'altro. Autori di commentari crearono una distinzione fra significato definitivo e nondefinitivo come uno strumento ermeneutico e lo usarono per spiegare questo problema indicando che certi testi non sono letteralmente veri, ma sono progettati al fine di soddisfare le richieste di particolari situazioni. Naturalmente c'è stato un considerevole disaccordo proprio su quali passaggi siano "letteralmente veri", e quali no. Per una discussione generale dei tipi di insegnamenti e le implicazioni di ciascuno, vedi Ramanan 1966, cap. 5. vedi anche Ruegg 1985. 

66. Cf. SBS, Col. 23 (p. 392).

67. Cf. ibid..

68. MAB, 137-138: "Proprio come uno sa che quando una brezza spira sull'oceano, [che è un aggregato di] le particelle d'acqua che costituiscono il substrato di onde, e le onde che apparentemente stavano dormendo sono spinte tramite l'intervento di questo vento meramente circostanziale, di modo che esse ottengono un individuale essere corporale e si disperdono in ogni [direzione]; anche in questo caso, dalla maturazione di tracce [formate tramite] l'incontro tra il conoscitore ed il conoscere - [le tracce che] sono state depositate fin da tempi senza inizio in un seriale continuum-di-coscienza ottengono esistenza [come] entità individuali che [poi, di conseguenza] muoiono. Una particolare traccia è depositata poi nella coscienza-deposito, [una traccia] che diviene la causa di produzione di un'altra fase di coscienza in accordo con la rappresentazione [della fase precedente]. E quando questa [traccia] ha progressivamente raggiunto maturità attraverso l'intervento delle sue proprie condizioni maturate, poi produce una '[forma] dipendente' che è impura. Anche se le persone ingenue concettualizzano le astrazioni mentali di 'conosciuto' e 'conoscitore', pure nessun tale 'conosciuto' [oggetto] in alcun luogo esiste isolato dalla coscienza…. Proprio come coloro che asseriscono una causa, come Dio, e così via, asseriscono [anche] che questo Dio è il creatore di tutti gli esseri, così quelli che asseriscono la coscienza-deposito sostengono che questa coscienza-deposito sia [essa-stessa] tutti i semi, perché essa è il ricettacolo dei semi associati con la conoscenza di tutte le entità. La distinzione è semplicemente che mentre Dio è chiamato eterno, la coscienza-deposito non lo è". 

69. Cf. SBS, faI. 23 (p. 392).

70. Vedi "Lo Yogachara dottrina dei tre marchi", §3.5.2, sopra. Queste caratteristiche sono reinterpretate dal Prasangika-madhyamika. Primo, la caratteristica distintiva del perfetto compiuto (parinispannalakshana) è, per lo Yogacharin, l'assenza ultima di ogni distinzione tra la mente ed il suo oggetto. Secondo il Prasangika, tuttavia, è l'assenza ultima di ogni qualità di essere intrinseco - cioè, la mancanza di qualunque base trascendente che sia sottostante all'esperienza del quotidiano. Essa è la vacuità del significato più alto (para-màrthanihsvabhavata). Secondo, la caratteristica distintiva di ciò che è dipendente (para-tantralakshana) caratterizza le entità come oggetti della relativa conoscenza dualistica e come entità uniche e concrete, dipendenti da una particolare collocazione di cause e  condizioni. Per lo Yogacharin, le entità concrete esistono intrinsecamente, ciascuna insorgente fuori dalla coscienza-deposito grazie alla sua propria potenzialità. Il Prasangika riconosce questa caratteristica come il marchio dell'assenza di ogni qualità di essere intrinseco all'interno dei fenomeni manifesti. È il marchio logico che designa la loro natura di relazione, la loro vacuità, essendo essi prodotti in dipendenza l'uno dell'altro (prati-tyasamutpanna). Terza, è la caratteristica distintiva di ciò che è immaginato (parikal-pitalakshana). Mentre le prime due caratteristiche hanno a che fare con la verità del significato più alto, questo è il marchio del carattere puramente immaginario di tutte le cose, imputate assegnando loro dei nomi. Per lo Yogacharin, i nomi contribuiscono alla errata credenza che le cose siano indipendenti dalla mente che le percepisce, ma il Prasangika identifica l'errata impressione sostenuta da etichette concettuali come l'errata credenza in una esistenza intrinsecamente valida. 

71. Cf. SBS, faI. 23 (il pp. 392-393).

72. O semplicemente:"non c'è pensiero". Poiché il pensiero non ha alcun essere intrinseco, esso non è prodotto, né se ne va via. Cf. 6.52, sotto.

73. Il Prasangika sostiene che l'opposizione tra la coscienza e i suoi oggetti è mantenuta anche negli stati di sogno. Chiaramente, si deve distinguere un oggetto percepito mentre si sta sognando da un oggetto simile percepito quando si è svegli. Tale distinzione, tuttavia, è soltanto attinente dal punto di vista della verità convenzionale. Dalla prospettiva della verità più alta, secondo il Prasangika, né la coscienza né il suo riferimento oggettivo è prodotto, e perciò entrambi sono inesistenti (cf. MAB, 140). 

74. Cf. SBS, Col. 23 (p. 393).

75. Cf. MAB, 141: "Proprio come il pensiero è [stabilito come] esistente dal ricordo di ciò che fu sperimentato nel sogno, vi è anche una memoria dell'oggetto sperimentato nel sogno, e allo stesso modo esso anche esiste, altrimenti è necessario concludere che pure quella coscienza non esiste [nel sogno]". 

76. Cf. SBS, Col. 24 (p. 393).    

77. ibidem

78. MAB, 142: "Proprio come, quando una forma è vista [nello stato di veglia], l'occhio, la forma, e la mente, sono tutti e tre presenti, così durante un sogno, quando un oggetto è distinto, l'intero insieme di questi tre deve essere appreso; e proprio come là [nel sogno] l'occhio e la forma non esistono [intrinsecamente], similmente la cognizione visiva non esiste [intrinsecamente]. Ed è lo stesso per tutti gli altri tipi di cognizione". 

79. La "triade mentale" include la mente (il manas), l'oggetto mentale che si comporta come il suo riferimento oggettivo (il dharma), e la cognizione mentale (manovijnana). 

80. MAB, 144: "Come nel sogno l'oggetto, l'organo di senso, e la cognizione, non sono reali, così è anche nello stato di veglia. Bisogna capire in questo modo, e perciò è stato chiaramente affermato [nel sutra]: 'Proprio come le creazioni magiche sembrano essere apprese, mentre in verità esse non sono reali, cosippure tutte le cose sono come magiche [creazioni], o come un sogno, secondo l'insegnamento del Sugata'. E similmente: 'Le [varie] migrazioni dell'esistenza sono come i sogni, qui nessuno è nato e nessuno muore, non vi sono esseri senzienti, né nomi, e niente vite: tutte queste cose sono come delle bolle di sapone, [vuote] come un albero di banano'." 

81. MAB, 145: "Questo è proprio come [l'esempio de] il sogno. Riguardo alla visione della persona afflitta da oftalmia, l'apparenza dei peli esiste, [e non solo i peli appresi]; mentre riguardo alla visione di una persona non afflitta, entrambe le due cose non sono prodotte [e non soltanto l'apparenza dei peli]. Perciò è difficile discernere la coscienza in assenza di ogni oggetto." 

82. MAB, 146: "Se la consapevolezza dell'apparenza dei peli è prodotta in un persona afflitta da oftalmia quando nessun pelo veramente esiste, allora ne consegue che, quando una persona non afflitta guarda verso il luogo dove la persona con oftalmia vede i peli, anch'essa dovrebbe avere una cognizione dei peli… perché l'assenza dell'oggetto è comune [tanto all'occhio sano che all'occhio malato]". 

83. MAB, 146: "Se l'esistenza di un oggetto è causa per la produzione di una cognizione, allora [la situazione] sarà proprio come [descritta sopra]. Tuttavia, può essere che la maturazione o non-maturazione di una traccia conoscitiva depositata in precedenza (vijnanavasana) sia la causa [rispettivamente] della produzione o della non-produzione della cognizione appresa. Di conseguenza, quell'immagine [particolare] sarebbe manifesta solamente a lui, in cui la traccia [previamente] depositata da un differente cognizione dei peli sarebbe [già] stata del tutto maturata, e non sarebbe [manifestata] a nessun altro." 

84. MAB, 147-14-8: "In questo caso, se deve esservi una qualche consapevolezza della  potenzialità, allora essa deve avvenire in associazione con la cognizione presente, passata o futura; e per ognuna di queste, la potenzialità di produrre una cognizione è impossibile. Nell'evento che la potenzialità è coinvolta in una relazione genitiva [con la cognizione - cioè la cognizione è posseduta o contenuta dalla sua potenzialità], allora è illogico dire che la cognizione, avendo la natura di un effetto esiste anche come causa. Se questo fosse il caso, allora l'effetto non avrebbe causa, ed anche quando il germoglio sia stato prodotto, pure il seme non potrebbe essere distrutto. Quindi, la potenzialità è impossibile per una cognizione [già] prodotta. In caso che la potenzialità sia coinvolta in una relazione ablativa [con la cognizione - cioè la cognizione proviene dalla sua potenzialità], allora è illogico dire che la cognizione [già] prodotta diviene manifesta per la potenzialità - perché essa esiste, come fu spiegato sopra (nel 6.8cd). In tal modo, nessuna potenzialità esiste per una [cognizione già] prodotta". Per esservi una qualche relazione tra una cognizione e la sua potenzialità, bisogna che entrambe esse debbano già essere esistenti. 

85. MAB, 14-8: "In assenza di una qualificazione, ciò che deve essere qualificato non esista. Perché è così? [Nell'espressione] 'la potenzialità di una cognizione' (vijnanasya shaktih) 'la cognizione' è ciò che qualifica 'la potenzialità', e 'la potenzialità' è la base di questa qualificazione. Ma uno non può dimostrare convincentemente qualcosa confutando o affermando un'entità non-prodotta, [designandola] sia 'cognizione' che 'non-cognizione'. Quando tale è lo stato delle cose concernente [il non-prodotto], allora affermando 'questa è la potenzialità di questo' (la relazione genitiva), cosa è [che s'intende] con qualificare la potenzialità? E similmente, quando il qualificatore non esiste, l'asserzione 'questo diviene manifesto da questo' non dimostra alcunché di niente, perché non riesce a menzionare un qualificatore. Inoltre, se si attribuisce la potenzialità al non-prodotto, allora essa deve poi essere attribuita anche al figlio di una donna sterile." 

86. MAB, 149: "Qualsiasi cosa che verrà ad essere in qualsiasi tempo potrebbe invero essere chiamata 'imminente.' Tuttavia, ciò che più certamente non diverrà mai manifesto, come il figlio di una donna sterile, oppure lo spazio, non può essere [imminente]. Perciò, in questo caso, se la potenzialità esistesse allora la cognizione potrebbe essere imminente; ma quando la potenzialità non esiste, in conto dell'inesistenza della futura cognizione (come nella presente proposizione), allora, come il figlio di una donna sterile, per volontà della potenzialità [la cognizione] non può essere imminente." 

87. MAB, 150: "Quando l'esistenza della cognizione è [necessaria al] la potenzialità per quella [stessa cognizione], e la cognizione è manifestata da quella potenzialità, allora [ecco un esempio di] 'dipendenza da un oggetto reciproco'. Se questo è davvero il caso, allora si deve ammettere che la cognizione non esiste tramite alcun essere intrinseco. Per esempio: proprio come l'esistenza del 'lungo' è [dipendente] dal corto, mentre l'esistenza del 'corto' è [dipendente] dal lungo; o l'esistenza di una sponda lontana è [dipendente] dalla riva vicina, mentre l'esistenza della riva vicina è [dipendente] dalla sponda lontana -così è che ciò che è designato in questo modo non ha esistenza tramite nessun essere intrinseco. E se tale è lo stato delle cose, allora ciò è in completo accordo con quello che noi stessi abbiamo detto". Cf. MS 10.10: "Quell'entità che esiste in dipendenza, lo è in dipendenza da [un'altra entità, e] se ciò che deve essere dipendente, deve anche esistere - allora cosa è dipendente da cosa?" e MS 10.11: "Quando quell'entità che esiste in dipendenza è [non ancora] esistente, allora come può essere dipendente? Anche quando essa [già] esiste in dipendenza, la sua dipendenza non è logica". Logicamente, non si può dire che un'entità inesistente "dipenda" da qualcosa, e se le entità non hanno nient'altro che esistenza puramente convenzionale, allora esse devono esistere indipendentemente una dall'altra, perché se l'esistenza di 'X' resta completamente sull'esistenza di 'Y', e vice-versa, allora entrambe sono come fantasmi irreali prodotti dal nulla. 

88. MAB, 152: "Se la cognizione futura sorge, come un effetto, tramite [la forza di] una cognizione che è stata prodotta e terminata - cioè, dalla potenzialità maturata di una cognizione terminata che depositò [quella] particolare potenzialità nella coscienza-deposito - allora un'unica [cognizione] sorgerebbe dalla potenzialità di una [cognizione] diversa". 

89. Qui, la nostra traduzione è basata su Tsong kha-pa, poiché l'autocommentario non offre alcun aiuto nell'interpretare i due nomi. TKP, 268, mostra nyer sbas, al posto di nyer spras di La Vallée Poussin, e aggiunge "poiché esse sono due persone separate". La Vallée Poussin  1907-1911, pt.2,340, traduce 'byams pa nyer spras la' con "dell'attaccamento e dell'avversione"

90. MAB, 155: "La traccia della cognizione visiva è depositata nella coscienza-deposito da una diversa cognizione che si crea nel processo di terminazione. In seguito, dalla traccia maturata, è prodotta una cognizione che assume la sua immagine. Quel preciso momento associato con la potenzialità che è la fonte [della cognizione], lo si prende per l'organo fisico dell'occhio da parte delle persone spiritualmente ignoranti. Tuttavia, non c'è alcun organo dell'occhio che sia separato dalla cognizione; ed anche gli altri organi rispondono a questo principio". 

91. MAB, 156: "Il [fiore del] Bandhujivaka, o Kimsuka, come pure gli altri, sono prodotti da un'immagine rossa che non si basa sul mutamento dei colori esterni come fa una gemma; al contrario, uno apprende il 'continuum' del germoglio e così via, prodotto come una particolare immagine in accordo con la potenzialità proiettata [nella coscienza-deposito] dal suo proprio seme. Similmente, in assenza di una forma esterna [colorata], sorge una cognizione che appare come rossa o blu, ecc.; e le persone comuni sono persuase che quest'apparenza... sia la natura dell'oggetto esterno". L'autocommentario prosegue nel tracciare l'analogia di un rubino riflesso nell'acqua chiara. Il riflesso, come l'apparenza di una cognizione, è percepito come un genuino oggetto esterno da coloro che sono incon-sapevoli della natura dell'illusione. 

92. MAB, 158: "La visione in un sogno - proprio come nel caso di un uomo cieco che sia sveglio - è priva del [suo] strumento (l'occhio) che è la sorgente della cognizione [visiva]; [tuttavia,] essa ha effetto sull'immagine che rimane in una cognizione associata con la potenzialità maturata dell'organo visivo, e non [sull'immagine che resta in] una cognizione mentale sviluppata dalla potenzialità maturata di una cognizione mentale [precedente]. Perciò, come nel [caso di] l'uomo cieco che è sveglio, dove l'assenza dell'occhio non è causa sufficiente [per una cognizione mentale come visione], così il dormire durante un sogno non è causa per la maturazione di una traccia appartenente a [tale] cognizione." Tsong kha-pa aggiunge i seguenti commenti (TKP, 270): "Durante un sogno, la cognizione mentale che appare rossa o blu, sorge in assenza di un organo visivo: Com'é, allora, che quella visione di forme e colori, come quella goduta da un uomo con occhi sani, non è prodotta all'uomo cieco che è sveglio, come quando si trova [nel sogno], dato che l'assenza di un organo visivo è comune sia allo stato di sogno che allo stato di veglia [di un uomo cieco]? Ed inoltre, se la produzione della cognizione è stabilita tramite un essere intrinseco senza alcuna forma esterna, allora essa è così [stabilita] sia nello stato da sveglio che dormendo, tramite una qualche qualità misteriosa e non specificata. [Lo Yogacharin] può pensare: in un uomo cieco che è sveglio vi è la causa per il non-sorgere di una cognizione mentale chiaramente apparente di forme come quelle nel sogno. Tuttavia, questo non è dovuto all'assenza dell'occhio, ma piuttosto alla potenzialità non-maturata per il sorgere di tale cognizione mentale. Di conseguenza, dove esiste una potenzialità maturata, vi è [una causa per] il sorgere di una simile cognizione mentale. E [tale potenzialità] esiste nel sonno, solamente in sogno, e non nella vita da svegli'. Ciò è irragionevole. Se secondo [il Yogacharin] la potenzialità maturata per il sesto [senso] mentale la cognizione esiste in un sogno ma non da svegli; allora [ci chiediamo], perché è irragionevole [asserire quanto segue]: Come qui nello stato da sveglio non c'è per un uomo cieco nessuna potenzialita maturata che fa chiaramente apparire forme e così via, così, allo stesso modo, durante un sogno essa non dovrebbe esistere. [Tale asserzione] allora sarebbe ragionevole (cioè, sarebbe in accordo con le premesse dello Yogacharin)". 

93. "Tesi non confermata" (Tib.dam bca', qui più simile al Skt. sàdhya: il più [probabile] termine del sillogismo). Siccome Nagarjuna non ha sue proprie proposte (pratijna) e perciò nessun errore (VV29), così Chandrakirti rifiuta le istanze teoriche dello Yogachara come tentativi fuorvianti di fornire una base trascendente per la matrice sociolinguistica della esperienza quotidiana. MAB, 158: "Se voi sostenete [tali argomenti] semplicemente in base all'autorità delle parole…, allora anche a noi [Madhyamika] sia permesso di sostenere [i nostri argomenti] strettamente sulla forza delle parole". 

94. MAB, 161-162 (citato da una fonte non identificata): "O Beato, è attraverso l'ingresso nelle facoltà sensoriali che si entra nel dharmadhàtu. Vi sono ventidue facoltà (segue un elenco di sei facoltà dei sensi, indusa la facoltà di concettualizzazione, e sedici altre dedotte dall'Abhidharma, induse "facoltà" come piacere e dolore). La facoltà visiva non è appresa in in nessuno dei tre tempi, e ciò che non è appreso in nessuno dei tre tempi non è una facoltà visiva. Come mai, allora, che ciò che non è una facoltà visiva [si] manifesta attivamente come una realtà convenzionale? Come, ad esempio, un pugno vuoto e chiuso che è ingannevole e in realtà non esiste [nel modo come è percepito] (cioè, esso in realtà non contiene nulla). Nonostante che siano imputati nel nome, sia la vacuità che il pugno non sono appresi in nessun modo ultimo (paramartikah). Come questo pugno vuoto, la facoltà visiva è ingannevole e in realtà non esiste [come qualcosa di appreso]; essa possiede una natura falsa e seducente che inganna le persone ingenue. Non esiste, non è reale, e benché essa sia imputata nel nome, nondimeno la facoltà visiva non è appresa in modo ultimo. Quando il Beato raggiunse l'onniscienza spirituale, allo scopo di vincere in qualche modo il fatto che le creature senzienti dimorassero nell'errore, egli riconobbe la facoltà visiva [come realtà convenzionale], ma non esistente in nessun significato ultimo. La facoltà è senza un essere intrinseco, vuota di qualunque qualità di essere una facoltà; e l'occhio non esiste tramite la qualità di essere un occhio, la facoltà non esiste nella qualità di essere una facoltà. Come mai questo? L'occhio è senza alcun essere intrinseco. Quella cosa che non ha essere intrinseco non è una vera entità, e quando ciò che non è una vera entità [viene erroneamente percepito] non è perfetto (aparinispanna, non è della più alta verità soteriologica). [Nel più alto senso soteriologico] esso non sorge né passa via, né può essere imputato come passato, [presente,] o futuro... Le facoltà sono come un sogno, e in modo simile, tutte le cose quali che siano, non sono apprese tramite nessuna essenza. Perciò esse sono inesprimibili". 

95. Questa è una visualizzazione compiuta come una meditazione sull'impurità (ashubha-bhavana), specificamente intesa per contrastare la passione smodata e l'attaccamento che 

può interferire con l'altro studio o pratica. 

96. I tre fattori della sensazione sono l'oggetto, l'organo di senso e la cognizione associata con questi due. 

97. Si dice che i fiumi che fluiscono nel reame degli spiriti affamati siano riempiti con pus. 

98. Vale a dire, la cognizione ed il suo oggetto esistono solamente nel contesto delle loro relazioni l'una con l'altro, e se essi siano o no "reali" è una questione da dover decidere in base a pragmatici motivi convenzionali. Un meditante o uno spirito affamato possono ben percepire ed essere colpiti da oggetti che sono falsi secondo gli standards del quotidiano. 

99. "Entità dipendente" (paratantravastu) è un sinonimo per "forma dipendente" (paratan-trarupa). MAB, 165: "Avendo dimostrato l'impossibilità della cognizione in assenza di un [oggetto] esterno, si intende [con queste righe] confutare l'esistenza di una entità isolata". 

100. MAB, 166: "Se il dipendente esiste vuoto sia dell'[oggetto]appreso' che di 'colui che apprende', allora secondo voi, quale conoscitore potrebbe apprendere l'esistenza [di una tale entità]? E' illogico che debba apprendere se stessa, poiché c'è una contraddizione implicita nella [nozione di] attività introspettiva (svatmanivrtti): una lama di spada non può tagliare se stessa; la punta di un dito non tocca se stesso; perfino un ben-addestrato e competente acrobata non può salire sulle sue proprie spalle; il fuoco non brucia se stesso; e l'occhio non è visibile a se stesso. [Per lo Yogacharin] neppure [l'entità] è appresa da un'altra consapevolezza, perché ciò contraddirebbe i suoi propri dogmi, perché dovrebbe comportare [la seguente conseguenza]: Se una cognizione è l'oggetto di un'altra cogni-zione, allora ciò [descriverebbe] le condizioni di "solo-mente"; perciò, il conoscitore [ovvero l'entità] sarebbe totalmente inesistente, e ciò che non è appreso [da nulla] non ha un senso ad esistere." Ma lo Yogacharin asserisce che la "sola-mente" è il conoscitore di tutti gli oggetti, e che essa, e non gli oggetti, sia esistente in modo ultimo'. 

101. Lo Yogacharin intende stabilire la sua dottrina di consapevolezza riflessiva nel modo seguente (compendiata da MAB, 167-168): "La memoria di un dato evento è semplice-mente 'memoria di un oggetto' e non 'memoria dell'esperienza di un oggetto'. Perché è così? Se la memoria includesse 'memoria di un'esperienza', allora una seconda 'cognizione esperienziale' sarebbe costretta a sperimentare la memoria stessa, ed una terza a speri-mentare questa seconda 'cognizione esperienziale'…. Questo comporterebbe il difetto di una regressione all'infinito. Inoltre, la cognizione deve sperimentare se stessa, perché altrimenti una cognizione dovrebbe sperimentare un'altra distinta cognizione, la quale richiederebbe una terza cognizione e così via all'infinito. Si applicherebbe lo stesso errore. [La replica del Prasangika]: Se si suppone che ciò sia provato dal punto di vista ultimo, ovvero, dal postulare la presenza di realtà intrinsecamente esistenti, riferite come 'la cognizione', 'la memoria', e 'l'oggetto', allora noi suggeriamo che il nostro oppositore consulti i nostri precedenti argomenti riguardo a questo problema. Tuttavia, se deve essere provato dalla prospettiva dell'esperienza di ogni giorno, allora c'è un difetto logico in tale argomentazione che deve essere riconosciuto. La consapevolezza riflessiva è presa come prova di memoria, mentre nel contempo, la memoria è usata come prova di consa-pevolezza riflessiva. L'argomento è circolare e perciò non-valido". 

102. MAB, 169: "In questo caso, se tale istanza può essere fatta sulla forza di ciascuna [entità] che è stata stabilita come una sostanza reale, allora la produzione da sé e da altro sono [entrambe] indifendibili, e di conseguenza la stessa memoria è una impossibilità: Come potrebbe il non-sostanziato [concetto di] consapevolezza riflessiva essere provato dal non-sostanziato [concetto di) memoria? Perdipiù, se deve [essere provato) sulla forza delle convenzioni quotidiane, allora da questa prospettiva deve pure [essere ammesso che] la memoria come causa della consapevolezza riflessiva è un'impossibilità. Perché è così? Se in questo caso la consapevolezza riflessiva deve essere provata da [un sillogismo che incorpora] 'la cognizione' [come il termine maggiore (cioè, non-provato)] - come [il termine] 'fuoco' (nel classico sillogismo usato per inferire l'esistenza del fuoco dalla presenza di fumo), e se a causa dell'esistenza [di questa cognizione], come nel [sillogismo che coinvolge] il fumo e il fuoco, l'esistenza [o consapevolezza riflessiva] deve essere provata per mezzo di una successiva memoria insorgente, allora la consapevolezza riflessiva non è conclusivamente provata. In questo caso, come può esistere una memoria 'che ha la consapevolezza riflessiva come sua causa', e ' che non sorge senza consapevo-lezza'? L'esistenza di una 'pietra magica dell'acqua' non deriva dalla mera vista dell'acqua, e l'esistenza di una 'pietra magica del fuoco' non deriva dalla mera vista del fuoco. Ecco perché anche senza tali miracolose gemme l'acqua può essere prodotta dalla pioggia, e il fuoco dall'attrito. Allo stesso modo, anche senza postulare l'esistenza della consapevolezza riflessiva, si può far conto sul sorgere della memoria [come un fenomeno puramente convenzionale]. " 

103. Qui, l'argomento è un po' oscuro, ma il punto principale è abbastanza chiaro. Con o senza la consapevolezza riflessiva postulata dallo Yogacharin, una memoria deve sempre essere diversa dalla cognizione dell'esperienza originaria, e la natura della relazione che si ottiene tra questi due distinti eventi resta da spiegare. Cf. MAB, 171: "Questo argomento -cioè, 'poiché esso è differente' - soppianta tutte le altre particolarità come il fatto di essere incluse in un solo continuum o il fatto di essere entità [correlate come] causa ed effetto. Poiché il momento della memoria-cognizione (smrtijnana) sorge susseguente all'esperienza [ricordata], esso è differente. Perciò, proprio come la cognizione che appartiene ad un altro continuum, non può essere inclusa in un singolo continuum con la cognizione della esperienza originaria (anubhavajnana), e nemmeno può partecipare allo stato delle cose definito da due entità [correlate come] causa ed effetto". 

104. La memoria di un'esperienza non è diversa dall'esperienza reale in quanto entrambe si presentano nella forma di una dicotomia tra soggetto percipiente e oggetto percepito. Cf. MAB, 172: "Questa è la pratica corrente nel contesto dell'esperienza di ogni giorno, e come tale non deve essere [respinto tramite] un eccessivo ricorso all'analisi, perché la realtà convenzionale sopravvive tramite la grazia di queste finzioni". 

105. MAB, 172: " 'Esso è consapevole di se stesso': [In questa asserzione] il 'sé' che è conosciuto è l'oggetto (karmabhava), lo stesso ['sé'] è l'agente (kartr, cioè, il conoscitore), e anche l'attività [del conoscere] non è separata [da questo 'sé']. Come conseguenza, l'agente, l'oggetto, e l'azione sono identici. L'identità di questi [tre] non è in realtà mai percepita - come se un falegname, il legno, e l'attività di tagliare fossero identici! " 

106. TKP, 302-303: "Perché la sua visione filosofica manca di sottigliezza associata con la saggezza che discrimina [tra l'indefinito e] il più alto significato definito [nelle scritture], il nostro oppositore Cittamatrin (o Yogacharin) ha sviluppato un forte attaccamento ad una semplice del corpo [di spiegazione] dipendente, come se [questa parte] fosse la verità [più alta]. In base a ciò, egli ha gettato l'ambrosia contenuta nel vaso [del chiarimento] dipendente e lo ha riempito di nuovo con una liquida e non-sistematica analisi razionale. Per la salute del suo pensiero scarsamente ordinato egli ha usato la ragione per negare le ordinate condizioni date per scontate in tutta l'esperienza delle cose di ogni giorno, che possono essere provate solamente dalla prospettiva di quell'esperienza: espressioni come 'rimanere', 'andare', 'agire'; la forma esterna e le cose prodotte da[gli oggetti] appresi esteriormente, per esempio le sensazioni e così via. Perciò, tutto ciò che rimane, per il Cittamatrin è preoccupazione, e lui non giungerà mai al successo, ovvero, alla tappa finale più alta [di un Buddha]. Quando [l'oggetto] esterno è rifiutato, è solo ragionevole che qualunque cosa riferita ad esso, così anche [l'espressione di] 'andare', e così via, dovrebbe essere negata. Ciò che lui insegna è totalmente separato dalla verità dello schermo…. Il filosofo [Cittamatrin] spiega erroneamente il significato indefinito come se fosse significato definitivo. Nel fare così, egli devia dall'intenzione dell'insegnamento del Buddha e percorre semplicemente il sentiero di un sistema costruito fuori dalla sua propria immaginazione." (In accordo con Tsong kha-pa, noi probabilmente dovremmo leggere 'rgud pa' al posto di 'rgyud pa' dato dall'edizione Tibetana di La Vallée Poussin [1907-1912,174.12].) 

107. Cf. SBS, fol. 28 (p. 396).

108. Cf. ibid.; e BCA, 179.

109. MAB, 175-178: "Il Conoscitore del mondo, senza averle imparate da qualcun altro, insegnò le due verità - la verità dello schermo (verità relativa) e la verità del significato più alto (verità assoluta): non c'è una terza verità. Il Conquistatore insegnò la verità dello schermo nell'interesse di tutte le creature viventi, per il beneficio del mondo, tramite cui questi esseri svilupperebbero la fede nel Sugata con l'oggetto di [trovare la] gioia [nella liberazione dalla sofferenza]. Il leone fra gli uomini, designò come 'lo schermo' tutti gli insegnamenti riguardanti le sei migrazioni di tutta la massa di esseri senzienti: 'creature degli inferni, animali, spiriti affamati, demoni, uomini, e dèi'. 'Famiglie alte e basse, casate ricche e poveri, schiavi, servitori, donne, uomini, ed eunuchi': Fra tante particolarità che si trovano fra gli esseri viventi, quelle incomparabili, queste che voi avete assegnato al mondo. Ed avendo penetrato, tramite la saggezza la verità dello schermo, il conoscitore del mondo la insegnò agli uomini. Gli esseri viventi si contentano di girare in tondo nelle varie trasmigrazioni, in cui entrano nelle otto qualità mondane di guadagno e perdita,  fama ed oscurità, encomio e biasimo, felicità e sofferenza. Quelli che guadagnano si attaccano [ai loro possessi], mentre quelli che perdono si arrabbiano. Anche gli altri di cui qui non discutiamo, si capisce che sono similmente infettati con una o l'altra di queste otto malattie. Quelli che dichiarano che questo schermo è del significato più alto devono essere considerati come fuorviati. Essi confondono la felicità con il disagio e il disagio con la gioia, dichiarando che il 'non-sé' ha la natura intrinseca del 'sé', e che le cose iimpermanenti sono eterne. Contenti di vivere in questo modo, quando sentono ciò che il Buddha ha detto, essi diventano impauriti, e senza capire niente rifiutano quello che hanno sentito. Una volta che hanno rifiutato le parole del Buddha, questi esseri viventi andranno a sperimentare l'intollerabile sofferenza delle regioni infernali. Senza alcun metodo, essi ricercano la felicità, ma a causa della loro sciocca follìa, essi dovranno sopportare migliaia di disgrazie. Chiunque comprenda con una mente chiara [la verità dello schermo] insegnata per il beneficio del mondo, andrà oltre ogni desiderio, come un serpente che perde una vecchia pelle. 'Tutte le cose sono senza essere intrinseco, vuote, e prive di ogni caratteristica distintiva': [Questa è la verità de] il significato più alto. Colui che sente ciò e diventa felice otterrà un insuperato risveglio…. Gli insegnamenti sulla verità convenzionale sono il metodo, e così è scritto (PSP, 264 -): 'Che ascolto e che insegnamento può esservi di un Dharma senza parole? Eppure, ciò che è senza parole è insegnato ed è sentito, tramite un processo di imputazione metaforica (samaropad)'." 

110. Cf. §3.5.3, "La critica Prasangika", per il concetto di paratantrabhava; Tsong kha-pa qui spiega ciò che si intende con "per un specifico scopo" (TKP, 308): "Primo, poiché esso è necessario; secondo, per persuadere gli studiosi del Madhyamika di rifiutare tutti i dogmi filosofici erronei; e terzo, come mezzo di generare gradualmente un apprezzamento della realtà [espressa nella verità del significato più alto]". 

111. MAB, 180: "Lo schermo deve essere strettamente accettato in dipendenza dell'altrui consenso, e non sulla nostra propria autorità. Così esso è accettato solo in riferimento all'esperienza del quotidiano. Di conseguenza, se il rifiuto [di ogni elemento dell'esperienza convenzionale] è compiuto per il beneficio di chi [normalmente] lo accetta, allora si che questo è davvero un rifiuto appropriato  - ma [se tale rifiuto] è tentato per il beneficio di qualcun altro altro, allora non lo è". 

112. LA, 50.32.

113. Se lo Yogacharin intende usare queste parole a sostegno del suo argomento, allora il Madhyamika offre in risposta un estratto dall'autorità scritturale dello Yogacharin (DB, 6 31-32): "Il bodhisattva comprende interamente l'originazione dipendente secondo le sue forme... Egli realizza che questa massa di sofferenze è un albero pieno solo di sofferenza, attuale e senza nessuno che agisca o provi sensazioni. Egli comprende che 'l'oggetto della azione' (karman) è definito col proprio aggrapparsi al [concetto reificato di] 'agente'. Dove nessun agente esiste, pure l'oggetto dell'azione là non è appreso in un senso ultimo. Il triplo mondo è solo 'mente'. I dodici stati di esistenza distìnti e proclamati dal Tathagata rimangono tutti nella sola-mente". 

114 -. MAB, 184--185: "L'espressione 'filosofi non-buddhisti' (tirthika) è usata in un senso generico, poiché essa deve includere anche alcuni buddhisti (dharmika) che postulano una 'persona' o simili. In un certo modo, questi buddhisti non sono del tutto buddhisti. poiché come i non-buddhisti essi non hanno correttamente penetrato il significato dell'insegna-mento [sulla vacuità]. Perciò questa designazione si applica a tutti questi". 

115. Riguardo alla definizione di "mente-sola" qui presentata, cf. LA, 34-23: "La persona, il continuum, gli aggregati psicofisici, condizioni ed atomi, un Dio creatore, il più alto Signore e l''agente' - tutti questi sono semplicemente "solo-mente"

116. Qui, l'argomento è basato un po' sulla esegesi scolastica. La traduzione della prima riga di La Vallée Poussin differisce dalla nostra. Lui ha,"De meme que, bien que le mot Bouddha n'apparaisse pas devant [les mots] tattva, vistara, il y est cependant sous-entendu". Nella nota in calce a questa sezione, egli ne suggerisce una sua interpretazione personale (??)(La Vallée Poussin 1907-1911, pt. 2, 242). Tsong kha-pa la spiega in modo piuttosto diverso (TKP, 314): "Sangs rgyas' (Buddha) è spiegato come 'colui con saggezza riguardo alla realtà è rgyas (espansivo)'. La prima parola, ovvero, sangs, non è realmente presente [nella spiegazione], eppure il titolo di 'sangs rgyas' è ancora spiegato in questo modo. In una maniera analoga, [quando i sutra dicono 'la mente-sola' come espressione piena] la 'solo-mente' è preminente nella dicotomia di forma e mente', allora la parola finale, 'preminente', non è in realtà presente [nell'espressione abbreviata]". Nel decifrare il significato di questa stanza è utile tenere in considerazione l'antica spiegazione del termine Buddha sostenuto ed adoperato da Yasomitra, perché questa definizione offre la chiave all'etimologia della traduzione Tibetana equivalente di 'sangs rgyas' (svegliato-espansivo). Cf. AK 1.2: "In base al fiorire dell'intelligenza, Buddha vuol dire 'fiorìto' (o 'espansivo': 'vi-buddha'), come con un loto che è fiorito. Oppure, in base all'eliminare la dualità che è il prodotto dell'ignoranza, Buddha significa, 'Risvegliato' (pra-buddha), come con un uomo che si è svegliato dal sonno dell'ignoranza". 

117. Cf. SBs, fol. 24 (p. 393).

118. MAB, 186: "Nel Dasabhumikasutra (31.30-31) si dice che la mente abbia come sue cause spirituali l'ignoranza e le disposizioni prenatali (samskara). Quindi, essa non esiste per mezzo di nessuna intrinseca caratteristica distintiva. Se esistesse in tal modo, allora essa non sarebbe dipendente dall'ignoranza spirituale o dalle disposizioni prenatali; ma in realtà essa è dipendente da loro. Perciò, la mente non è intrinsecamente esistente. Come i peli e così via, appresi da qualcuno affetto da oftalmia, anch'essa esiste solo quando le necessarie condizioni sono presenti a creare tale erronea [percezione], e cessa di esistere quando le cause richieste non sono più presenti". Il problema è ripreso alcune pagine  più avanti (MAB, 190): "Quale persona assennata guarderebbe a [questo] testo auto-esplica-tivo,  immaginando che [esso asserisca che] la mente esiste come una vera sostanza? Una nozione fantastica come questa è il risultato di quelle visioni filosofiche [precostruite]." 

119. Cf. SBS, fol. 24 (p. 393), e BCA, 222.

120. MAB, 190-191: "Qui 'il mondo senziente' è formato dagli esseri senzienti che ricevono il loro carattere individuale (atmabhava) in base alle loro azioni volizionali ed in base alle afflizioni (klesha); 'il mondo insenziente' (o inanimato) è composto di ciò che è prodotto tramite le azioni in comune, da un turbinìo che si scatena dal palazzo dell'Akanishta (cioè dal potere degli dèi). Tutte queste diverse [creature] come, ad esempio, un pavone - perfino  gli occhi sulle sue penne - sono prodotte dalle particolari azioni del pavone stesso (asadharana). [Le cose inanimate, come ad esempio] i loti, sono prodotti dall'azione comune di tutti gli esseri senzienti. Altre [cose sia del mondo senziente che insenziente] devono essere comprese in questo modo… Perciò, l'intero universo è prodotto dall'azione volizionale, ma tale azione è solo dipendente dalla mente. Soltanto l'azione associata con la mente è accumulata [per il compenso], e senza mente non c'è alcuna azione volizionale. 

Di conseguenza, 'solo-la-mente' è la causa preminente della creazione dell'universo". La relazione tra mente (o 'pensiero', citta) ed azione volizionale (karma) qui descritta e nel 6.88 non dovrebbe essere pensata come cronologica o lineare. Mente ed azione sono interdipendenti, poiché una non esiste senza l'altra. Delle due, comunque, la mente è primaria, perché essa da sola fornisce la "intenzione" o "volontà" (cetana) che distingue l'azione propositiva degli esseri viventi dai movimenti casuali delle cose insenzienti. Cf. MS 17.2-3, dove l'azione è definita sia 'cetana' (mentale) che 'cetayitva' (fisica o verbale). Si dice che la forza di tale azione funzioni come causa del compenso o retribuzione nella vita attuale o in quelle future. 

121. Fra le varie scuole filosofiche che costituiscono gli oppositori del Prasangika, vi è una considerevole differenza di opinioni riguardo all'identità dell'agente. Alcuni sostengono che l'unico vero agente è Dio, altri dicono che è un "principio-d-azione", e altri ancora asseriscono che sia la "mente".  Secondo il Prasangika, nell'identificare l'agente come "solo-la-mente" (cittamatram), i sutra non negano il mondo oggettivo esterno, poiché esso non fu mai in competizione per il titolo di agente". Cf. MAB, 192: "Se due Re desiderano avere il possesso di un'unica terra, ed uno dei due rivali è sconfitto, mentre l'altro assume il controllo del paese, allora i cittadini non verrebbero danneggiati in alcun caso, perché essi sono indispensabili ad entrambi i Re. Qui è la stessa cosa, perché la forma materiale (rupa) è indispensabile ad entrambi [la mente e qualsiasi altro possibile agente]. La forma se ne sta da parte [nella lotta per la natura dell'agente], e pertanto si può sostenere indubitabilmente che quella forma esiste." 

122. "Loro" (de dag) si riferisce specificamente a forma e mente, ma secondo Chandrakirti questo include anche tutti gli aggregati psicofisici. 

123. Cf. LA, 22: "Proprio come un medico prescrive la medicina per le varie malattie, così i Buddha insegnarono agli esseri senzienti [la dottrina della] 'sola-mente'." Vedi ibid., 33: "Mahamati il grande bodhisattva si rivolse al Beato con queste parole: 'Negli insegnamenti delle più alte scritture, il tathagatagarbha è descritto da Beato. Esso fu da Te descritto come naturalmente brillante, puro dall'inizio con [tutte] le purezze, con i trenta-due marchi [di un Buddha realizzato], immanente nei corpi di tutte le creature. Esso fu descritto come un gioiello di immenso valore, benché avvolto in una sudicia stoffa: avvolto nella stoffa degli aggregati psicofisici, degli elementi di sensazione (dhatu), degli organi di senso insieme ai loro oggetti (ayatana); dominato da attaccamento, avversione e ignoranza illusa; sporcato dalla lordura della concettualizzazione; [ma tuttavia] permanente, stabile, ed eterno. Come mai, o Beato, che questo discorso del tathagatagarbha non è equivalente al discorso dei filosofi non-buddhisti riguardo ad un 'sé' (atman)? Pure i filosofi non-buddhisti o Beato, insegnano che "il Sé" è permanente, come un non-agente, senza qualità, onni-potente e privo di parti'. Il Beato allora rispose: 'O Mahamati, i miei insegnamenti sul tathagatagarbha non sono affatto equivalenti al discorso dei filosofi non-buddhisti riguardo ad un 'Sé'. E perché è così, Mahamati? I santi pienamente risvegliati, i tathagata, insegnano che il tathagatagarbha è la vacuità, il limite dell'esistenza (bhutakoti), il nirvana, il non-nato, l'incausato, l'incessante e come altre cose simili. Anche se il tathagatagarbha supremo è non suscettibile di reificazione (nirvikalpa) e privo di ogni immagine (nira-bhasa), [pure] essi insegnano al riguardo in questo modo così da mitigare l'oggetto di terrore per le persone semplici ed ingenue [che sono impaurite] dall'assenza del 'sé'. Però qui non c'è attaccamento a questo 'Sé', Mahamati, da parte di alcun bodhisattva presente o futuro. O Mahamati, proprio come un vasaio foggia una varietà di brocche da un cumulo di particelle d'argilla applicandovi la mano, la tecnica, un bastone, l'acqua, una stringa e lo sforzo; così, Mahamati, la stessa assenza del 'sé' dei fenomeni, che è assolutamente libera da tutte le distinte caratteristiche concettualizzate, è insegnata dai tathagata con una varietà di parole sinonime e frasi, con l'istruzione sul tathagatagarbha o sull'assenza del 'sé' - e come nel caso del vasaio, tramite l'applicazione di diverse forme di saggezza o di mezzi abili. Così, Mahamati, essi danno insegnamenti sul tathagatagarbha [allo scopo di attirare coloro che sono attaccati ad un qualche concetto reificato del 'sé']. La profonda conoscenza delle scritture da parte di tutti i Buddha è caratterizzata dalla vacuità, dalla non-produzione, dalla non-dualità e dall'assenza di ogni caratteristica distintiva". 

124. MAB, 199: "I Buddha benedetti insegnano ai discepoli l'assenza di essere intrinseco per gradi. Proprio come il 'donare' e le altre [perfezioni] sono esaltate dall'inizio come mezzi per l'Ingresso nella Dharmata, poiché quelli che hanno praticato il 'donare' e così via, entrano facilmente nella dharmata, così anche il rifiuto dell'oggetto di conoscenza è un metodo verso la penetrazione dell'assenza del 'sé'. Perciò il Beato inizialmente insegnò la confutazione dell'oggetto di conoscenza. Coloro che comprendono l'assenza del 'sé' dell'oggetto di conoscenza penetreranno facilmente nell'assenza del 'sé' del conoscitore. Fra quelli che comprendono l'assenza di essere intrinseco dell'oggetto di conoscenza, alcuni arriveranno da soli alla comprensione dell'assenza di essere intrinseco del conosci-tore, ed altri vi arriveranno con un pò di istruzione supplementare. Perciò i Buddha inizialmente insegnarono la negazione dell'oggetto di conoscenza". "Il rifiuto dell'oggetto di conoscenza" si riferisce al rifiuto Miidhyamika di ogni concetto di un'entità intrinsecamente esistente, un'entità che si suppone esistere di per sé totalmente fuori dal contesto della sua relazione con le altre entità e con la coscienza attraverso la quale essa è conosciuta. Una volta che questa confutazione è valorizzata, si potrà procedere ad esaminare la relazione tra la vuota entità e la mente che la prende come un oggetto di conoscenza. 

125. MAB, 206: "Se le entità fossero prodotte fortuitamente, allora proprio come l'albero di Panasa che non sarebbe la causa dei suoi propri frutti, tanto che [quella frutta] poteva proprio ben essere prodotta dal Nimba, dall'Amra e così via, poiché tutti questi sarebbero identici in quanto essi hanno la qualità di non essere una causa. E proprio come [un frutto] sarebbe prodotto dall'albero Panasa anche se [l'albero Panasa] non sarebbe la causa [di questo frutto], così lo stesso frutto sarebbe proprio pure prodotto in ogni tempo, nel passato, presente, o futuro. Il frutto prodotto dalla maturazione dell'Amra, del Lakura, e dal resto, che appare in periodi fissi dipendenti dalle stagioni, esisterebbe perpetua-mente, perché non sarebbe più dipendente dalle stagioni. Similmente, poiché il pavone non sarebbe la causa per le sue proprie penne, è probabile che quegli occhi possano essere trovati pure sul corvo; ed il pavone potrebbe proprio essere nato con le penne di un pappagallo! Così, tutte le cose del mondo sarebbero perpetuamente prodotte, oppure non esisterebbero affatto. In base a ciò, ogni discorso di [produzione] spontanea (svabha-vena) è irragionevole." 

126. Cf. PSP, 38: (6.100ab).

127. L'argomento è diretto contro i Charvaka o i Lokayata. La discussione sul dopo-la-vita (paraloka 'l'altro mondo') è con riferimento alla trasmigrazione. Chandrakirti caratterizza la posizione di questi filosofi come segue (MAB, 212): "[Questi filosofi] hanno due posizioni: (1) la posizione che comporta credenza in una forma di intrinseco essere associato con gli elementi materiali (bhutasvabhava) (che il 'sé' -o la mente- origina al nostro interno o è una combinazione di elementi materiali); e (2) la posizione che comporta la negazione di ogni possibilità di una vita ultraterrena (un rifiuto della trasmigrazione)". 

128 "Oggetto di conoscenza" = gli elementi materiali. 

129. Secondo Chandrakirti, quando uno nega la possibilità di trasmigrazione e ritiene che il mondo materiale presente sia l'unica realtà, costui eleva il corpo fisico allo status di una entità ultimamente reale. Se gli elementi materiali del corpo sono esistenti in maniera intrinseca, e la coscienza ha la sua origine in questi elementi, allora ciò è semplicemente un altro modo di postulare l'esistenza di un reale 'sé'( transcendente). La visione filosofica che nega la possibilità di una vita dopo-la-morte ha, in questo caso, la sua base nel concetto di essere intrinseco associato con gli elementi materiale. Perciò, nel sostenere tale visione, si postula tacitamente l'esistenza di un reale 'sé' intrinsecamente esistente  all'interno degli elementi del corpo fisico. In questo importante aspetto, c'è uno stretto materialismo (o razionalismo) per nulla differente dall'idealismo, perché entrambe queste posizioni sono basate su presupposti di una 'essenza' (àtman) che si suppone provveda all'esperienza di ogni giorno con significato e struttura, ed entrambe hanno fallito nel vedere attraverso le costrizioni delle nostre naturali interpretazioni ed associati linguaggi osservazionali. 

130. Cf. SBS, foI. 21 (p. 391).

131. Cf. SBS, foI. 22 (pp. 391-392).

132. MAB, 216: "Le nuvole di una profonda illusione coprono e impediscono la percezione della natura intrinseca delle [cose ordinarie, come il colore] blu e così via, impedendo alle ingenue persone comuni di percepire questa natura intrinseca (di vacuità). Al suo posto, erroneamente si aggrappano ad un'essenza individuale che appare loro come una realtà". 

133. Cf. SBS, foI. 22 (p. 392).

134. TKP, 342: "La filosofia [Madhyamika] chiarisce che l'azione volizionale che scaturisce dalle disposizioni prenatali sorge dalla base dell'illusione o ignoranza spirituale (avidyà), e senza l'illusione ingannevole quell'azione volizionale non sorgerebbe. Le persone ordinarie dovrebbero certamente venire a saperlo e essere governate da ciò, ma quando gli adepti sentono in particolar modo che il problema dell'ignoranza spirituale [crea] esso stesso le disposizioni prenatali [all'azione volizionale], essi penetrano non solamente la vacuità dell'assenza di un essere intrinseco nelle disposizioni prenatali, ma anche eliminano l'ignoranza spirituale e abbandonano la profonda illusione col sole radioso della loro nobile mente - la comprensione della originazione dipendente. Essi non danno più spazio alla azione volizionale che scaturisce dalle disposizioni prenatali, perché hanno eliminato tale azione, e così sono liberati con ciò dal ciclo delle esistenze". 

135. MAB, 218: "Per ora, questa obiezione dovrebbe essere sollevata solo contro coloro i cui occhi sono affetti da oftalmia: 'Perché, malgrado che voi vedete oggetti inesistenti come peli fluttuanti, tuttavia [non vedete] il figlio di una donna sterile?' E ancora, coloro il cui occhio della saggezza è oscurato dall'oftalmia dell'ignoranza spirituale possono anche essere interrogati così: 'Perché, benché voi vediate [gli aggregati psicofisici del] la forma e così via, che hanno una natura intrinseca non-prodotta, tuttavia [non vedete] il figlio di una donna sterile?' Noi stessi non dobbiamo essere interrogati così. Gli yoghi percepiscono direttamente le entità come [vacuità], e noialtri che desideriamo ottenere la saggezza degli yoghi, abbiamo la nostra aspirazione più alta diretta verso quelle parole che spiegano la natura intrinseca di tutte le cose. Anche se noi ci sforziamo di spiegare l'assenza di ogni essere intrinseco all'interno delle entità, tuttavia ciò è fatto per mezzo di trattati filosofici come questo, che sono infusi con la saggezza degli yoghi. [Queste parole] non rappresen-tano la mia propria opinione personale, perché infatti i miei occhi si sono ancora oscurati con l'oftalmia dell'ignoranza spirituale…. E neppure bisogna interrogare gli yoghi su queste cose, perché essi non percepiscono alcun essere intrinseco nelle cose sia dalla prospettiva dello schermo, come pure dalla prospettiva del significato più alto". 

136. E' stata sollevata la seguente obiezione: Se le forme materiali, includendo tutti i loro attributi come colore e foggia, non sono realmente prodotte, allora perché dovrebbero essere percepite, mentre altre cose non-prodotte, come "il figlio di una donna sterile", non lo sono? Cioè, perché alcune cose inesistenti dovrebbero essere percepite, mentre altre cose ugualmente inesistenti non lo sono? La risposta del Madhyamika è che tale problema non può in effetti essere risolto, ma può essere solo affrontabile muovendosi oltre le presupposizioni responsabili di esso. Ciò è compiuto acquisendo un'abilità nell'usare la serie contrastante di presupposizioni incarnate nella verità soteriologica del significato più alto. Nella transizione verso l'incommensurabile serie alternativa delle presupposizioni, si viene gradualmente ad apprezzare la profondità del condizionamento che dà significato e struttura alla nostra normale esperienza di ogni giorno, ed al tempo stesso le limitazioni incorporate di questo condizionamento diventano anche sempre più apparenti. Come  Rorty ed altri hanno puntualizzato, le questioni della realtà convenzionale non sono mai state giudicate tramite riferimento ai concetti filosofici di produzione e non-produzione, ma piuttosto tramite ricorso al consenso della pragmatica esperienza di ogni giorno. Sedie e tavoli sono "oggettivamente reali" semplicemente perché più persone li percepiscono e ne fanno uso, mentre gli altri oggetti che appaiono nei sogni, nei miraggi e nella magia, sono solo "soggettivamente reali". Essi sono percepiti, ma soltanto in condizioni straordinarie, così che generalmente si considera che siano illusori ed ingannevoli e di scarso o nessun uso alla comunità generale. Il figlio di una donna sterile, comunque, è completamente irreale, perché è non-prodotto ed inefficace sia in termini della verità soteriologica più alta, che nel contesto definito degli interessi del quotidiano. 

137. MAB, 202-221: "Come disse il Beato (citato da un sùtra non identificato): 'Le cose del mondo sono come un sogno, perché nella realtà [espressa nella verità del significato più alto] esse non hanno una base. Eppure la mente illusa diventa attaccata anche ad un sogno in cui nulla esiste. Benché le città fatate possano apparire, esse non esistono in nessuna delle dieci direzioni né in qualunque altra parte. Una città fatata è stabilita solamente nel nome, ed il Sugata percepisce in questo modo tutto il mondo intero. In un miraggio non c'è acqua, anche se essa vi è vista da qualcuno che ne ha la percezione (samjna). Allo stesso modo, uno che sia fuorviato dalla sua immaginazione, concepisce le cose sgradevoli come piacevoli. Proprio come in un specchio estremamente levigato un riflesso appare senza alcun essere intrinseco, così pure si dovrebbero comprendere tutte le altre cose. Perfino il paradiso stesso [non ha una base in alcuna realtà intrinseca]'." 

138. La traduzione di La Vallée Poussin differisce sostanzialmente da quella adottata qui. Egli scrive: "De meme toutes choses ne naissent pas en substance au point de vue de ce meme monde [ou: de la réalité du monde]". Chandrakirti non dà indizi nel suo auto-commentario, ma Tsong kha-pa interpreta la stanza così come appare nella nostra traduzione (TKP, 342).

139. Tib. rang gyis yongs su mya ngan las 'das pa; Skt. svabhàvena parinirvrtta. Nella loro natura intima, tutte le cose [già] partecipano al completo nirvana. 

140. MAB, 223: "La parola àdi (dall'inizio) indica che [le cose] sono non-prodotte non solo come avviene loro nella [nondualistica] conoscenza dello yoghi (yogijnànàvasthàyàm), ma anche prim'ancora di questa. Le cose sono non-prodotte in virtù di qualunque qualità dell'individualità anche come avviene loro nel contesto convenzionale del quotidiano (lokavyavahàràvasthàyàm). 

141. MAB, 224-225: "Obiezione: Se la base di una designazione (prajnaptyasraya) esiste, come deve essere il caso, per esempio, di terra, acqua, fuoco, aria, forma, odore, sapore e [oggetti] tangibili, allora è ragionevole dire che la designazione ha una causa. Ma in caso che le cose siano mere designazioni (prajnaptimàtra), e non c'è nessuna vera sostanza che serve come base per la designazione, allora la conclusione che esse siano come il figlio di una donna sterile è incontrovertibile. Risposta: Anche ciò è irragionevole, perché è impossibile stabilire una qualche sostanza reale come base per la designazione.... Come è stato detto: 'Terra, acqua, fuoco, ed aria non esistono come essenze separate. Ciascuna è inesistente senza le altre tre, e senza quell'una anche le altre tre non esistono. E quando ognuna di esse stesse non esiste, come possono prodursi i composti?' Proprio come non si può asserire che l'impermanente è prodotto dal permanente, così una sostanza irreale non è prodotta da una sostanza reale. Come è stato detto, ancora una volta: 'Come può essere che il permanente possa esser prodotto dal permanente? Non si può mai percepire alcuna disparità tra le caratteristiche distintive di una causa ed il [suo] effetto'. Perciò, in un modo simile, ad esempio, un riflesso, che è una mera designazione, nondimeno è appreso in uno specchio, essendo basato su una collocazione [di cause e condizioni) che include un volto ed altre cose che esistono anch'esse come mere designazioni. 

Una casa è designata come dipendente dalle sue pareti e gli altri componenti strutturali, come il tetto, ecc., che anche sono mere designazioni. E similmente una foresta è designata come dipendente dagli alberi. Proprio come in un sogno si può apprendere un germoglio che è non-prodotto tramite nessun essere intrinseco, così ugualmente è ragionevole che nessuna entità esista separatamente dalla sua propria designazione. Questa designazione è basata su [una collocazione de] le altre entità che sono anch'esse mere designazioni".

142. Secondo il Prasangika, tutte le ipotesi erronee si svilupparono per spiegare la produzione delle entità derivate dalla fondamentale confusione ontologica, coinvolta nella nozione che tali entità esistano realmente a priori, in un certo modo temporale, e non come soggetto alla percezione ed alla concettualizzazione. Quando, per la forza dell'analisi destrutturativa e la profonda intuizione meditativa, le entità sono riconosciute come totalmente contingenti in una complessa rete di interrelazioni, che comporta tanto fattori "psicologici", che sociologici ed ontologici, allora i vantaggi teorici della produzione che vanno oltre ciò che è dato dall'esperienza di ogni giorno, divennero superflui. 

143. Cf. SBS, fol. 26 (p. 394).

144. "Analisi" (Tib. rnam dpyod. Skt. vicàra) qui si riferisce specificamente alla analisi destrutturativa della 'reductio ad absurdum', sintetizzata nel catuskoti

145. Cf. PSp, 340.

146. Vedi allo Stadio 4, n. 3. 

147. Cf. PSp, 344.

148. Secondo il Prasangika-Madhyamika, la base conoscitiva di questo attaccamento illuso-rio ad un 'Io' sostanziale, è l"Io" convenzionale, originato in modo dipendente. 

149. Cf. MA 6.14-21, riguardo a "produzione da un altro." 

150. MAB, 243: "Quegli esseri senzienti che perfino ora, dopo il passaggio di numerosi eoni, non sono sfuggiti dalle condizioni di rinascita come animali, non sono riusciti a conoscere questo tipo di 'sé' [eterno]. La parola indica pure quelli che sono rinati negli inferni e così via". 

151. Cf. PSP, 342.

152. Questa obiezione sostiene che il 'sé' è considerato semplicemente la mente. MAB, 246, afferma: "Se secondo [un altra] visione il 'sé' è [solo] 'la-mente', allora in questo caso pure la cognizione è divisa in visiva e così via; e poiché la cognizione è multipla, prodotta e terminata da momento all'altro, così pure il 'sé' [sarebbe soggetto a queste qualificazioni]". Il Pudgalavadin identifica il 'sé' con tutti e cinque gli aggregati, mentre lo Yogacharin lo identifica con la 'mente-sola'. 

153. MAB, 245-246: "Il 'sé' diverrebbe una sostanza [convenzionalmente] reale (dravyam chatma prapnuyat): Poiché tutti gli aggregati psicofisici sono riferiti come delle sostanze [convenzionalmente] reali - essendo differenziati dalla divisione in passato, [presente, futuro], e così via; e poiché il 'sé' sarebbe designato proprio come quelli [aggregati]: così il 'sé' esisterebbe come una sostanza [convenzionalmente] reale. Ma [altri buddhisti] non vorrebbero ammettere questo, in base ad una [contraddittoria testimonianza dai sutra]: 'O Monaci, vi sono cinque cose che non son altro che nomi, mere convenzionalità, semplici designazioni. Quali sono queste cinque? Il tempo passato, il tempo futuro, lo spazio, il nirvana, e la persona'. E similmente: 'Proprio come quando ci si riferisce ad una carro e ci si basa sulle sue parti composite, così si riconoscono gli esseri senzienti dallo schermo (l'esistenza convenzionale degli esseri viventi) che è basato sugli aggregati psicofisici (non equivalenti)'…. Inoltre, poiché la visione filosofica di un reale 'sé' sostanziale potrebbe avere come suo oggetto una sostanza [convenzionalmente] reale, non sarebbe erroneo [nel contesto dell'esperienza di ogni giorno]". 

154. CF. PSP, 342.

155. Poiché i cinque aggregati psicofisici non esistono più dal momento in cui il nirvana si è realizzato, come conseguenza di questa tesi anche il 'sé' sarebbe distrutto a quel punto. Chandrakirti condanna ciò come nichilismo - una delle visioni estreme (antagrahadrsti) esecrate dal Buddha (MAB, 247-248), eppure sembra che la stessa condanna sarebbe applicata anche all'idea che gli stessi aggregati cessino di esistere. 

156. MAB, 248: "[Se il 'sé' è gli aggregati, allora] come questi aggregati che sono prodotti e terminati da un momento all'altro, anche il 'sé' sarebbe prodotto e terminato momento per momento prima della realizzazione del nirvana, perché avrebbe la natura intrinseca di questi aggregati". Se così fosse, il 'sé', come il corpo fisico, non continuerebbe da una vita all'altra. Ancora, il 'sé' di un dato momento sopporterebbe le conseguenze di azioni compiute da un diverso 'sé', il 'sé' del momento precedente, e sfuggirebbe le conseguenze delle sue proprie azioni. 

157. Qui, il riferimento è agli "inesprimibili" (avyakrtavastu), quattordici punti che, secondo tradizionali resoconti, non dovrebbero essere accettati né negati. Non si dovrebbe proprio considerare il mondo eterno o non eterno, o entrambe le cose, o nessuna delle due; né intenderlo come soggetto ad una fine, o non sottoposto ad una fine, o entrambe, o nessuna delle due (cf. PSP, 446; vedi SN 4, 475ff., per la fonte classica di questa dottrina). In questo passaggio sembra che Chandrakirti abbia usato l'espressione "esperienza di ogni giorno" (loka, 'il mondo') con riferimento a tutto ciò che costituisce i costituenti soggettivi ed oggettivi della realtà convenzionale - ovvero, come sinonimo dei cinque aggregati psicofisici. Cf. MAB, 251-252: "Perciò, se l'espressione 'esperienza di ogni giorno' implica gli aggregati psicofisici, allora poiché gli aggregati non sono eterni [essendo soggetti a produzione e distruzione], ciò equivale a dire che il mondo non è eterno. Ne consegue la stessa conclusione per il fatto che nel nirvana non vi sono aggregati psicofisici. Tuttavia, la speculazione all'effetto che il mondo è soggetto ad una fine, è espressamente vietata [come soteriologicamente inutile], e di conseguenza è impropria per dichiarare che il 'sé' sia semplicemente gli aggregati". Qui, il sillogismo costruito è: (1) il mondo è gli aggregati; (2) gli aggregati non sono eterni; perciò (3) il mondo non è eterno. Tale conclusione è in diretto conflitto con una dottrina accettata da tutti i buddhisti e per questa ragione è inaccettabile. D'altra parte, non è del tutto chiaro che cosa ciò abbia a che fare con il 'sé', e nessun chiarimento adeguato si troverà in MAB o in TKP. L'intera stanza è problematica. 

158. MAB, 252-253: "Se il 'sé' è gli aggregati o la mente, allora quando il meditante realizza le [quattro nobili] verità e la verità della sofferenza come rappresentate nella assenza del 'sé' - cioè, 'tutte le cose sono senza alcun 'sé', a quel punto, nel realizzare la 'assenza-del-sé' egli realizzerebbe l'inesistenza degli aggregati. Anche ciò non è ammesso [dai nostri oppositori], e perciò il 'sé' non è gli aggregati. Ma si può suggerire che il termine 'sé' sia impiegato allorché ci si interessi alla connessione tra l'azione ed il suo effetto, poiché a quel punto nessun altro 'sé' è possibile, [in questo particolare caso il 'sé'] implica gli 'aggregati'. Ma quando la questione è la realizzazione dell'assenza del 'sé', allora esso implica il reale agente interno immaginato dai non-buddhisti. Perciò, quando realizza l'assenza del 'sé' [il meditante] comprende che vi sono solo le disposizioni prenatali prive di alcun reale agente interno, e di conseguenza egli non realizza l'inesistenza di [tutte] le entità…. Se [il nostro opponente] teme la conseguenza che ci sarebbe nella realizzazione dell'inesistenza [di tutte le entità], e quindi usa il termine 'sé' per significare un 'sé-eterno', allora lui non considera il 'sé' come essere la mente o gli aggregati, e in questo caso, egli stravolge la sua propria proposta originaria". 

159. Se l'assenza del 'sé' è intesa come "l'assenza di un sé-eterno", allora la realizzazione dell'assenza del sé non richiede la necessità di abbandonare l'attaccamento e tutte le altre afflizioni che prendono una forma materiale (rupa, 'forma corporale') come loro oggetto. Secondo il Prasangika, comunque, il meditante percepisce realmente l'assenza del sé come l'assenza di un intrinseco essere (= originazione dipendente, e vacuità).

160. Cf. SN22, 85.30; e MV1, 6.38. 

161. MAB, 255-256: "Questo sutra sostiene che la visione corretta è espressa nel pensiero di un 'sé' come [dipendente dai] cinque aggregati, e certamente è inteso come un rifiuto di qualunque 'sé' [supposto come] diverso dagli aggregati. (Cf. MA 6.135.) Bisogna saper apprezzare come esso rifiuti [la supposizione che] la forma e gli altri aggregati siano il 'sé', e da questo, che il 'sé' dipendentemente designato - [vero] oggetto della visione filosofica di un reale 'sé' sostanziale - non si rifà agli aggregati come suo appropriato sostrato. Ciò significa contribuire alla consapevolezza della realtà [come espressa nella verità del significato più alto]. Se nessun soggetto (upadatr, 'il conoscitore') è appreso, allora anche il suo oggetto (upadana, 'il sostrato conosciuto') è non-esistente, e quindi non c'è nessun attaccamento alla forma ed agli altri [aggregati]". 

162. MAB, 256: "Proprio come quando si dice, per esempio, 'La foresta è gli alberi', [ciò implica che] la foresta è il composito degli alberi, e non che essa sia la natura di [ogni individuale] albero, poiché questo comporterebbe la conseguenza che ogni albero sarebbe una foresta". 

163. "Il protettore", "Colui che deve essere soggiogato", e "Il testimone" sono tre delle espressioni usate tradizionalmente per caratterizzare il 'sé' strettamente convenzionale. Cf. DP, 157,159-160. 

164. CF. MAB, 258-259: "[Il 'sé'] non è il mero composito delle parti che sono l'appropriato substrato della designazione ['sé'], ciò su cui la designazione è basata, precisamente perché esso è designato in dipendenza da loro, come qualche cosa foggiato dagli elementi materiali. Anche se un colore come il blu e l'organo visivo dell'occhio [associato con la percezione del colore] sono "causati" dagli elementi materiali, non è semplicemente il composito di questi elementi. Similmente, anche se il 'sé' è una designazione che prende gli aggregati psicofisici come sua causa, pure sarebbe irragionevole sostenere che esso sia semplicemente il composito di questi aggregati". Nell'esempio del carro, possiamo definire i termini del Madhyamika in questo modo: (1) "carro" è il nome, o designazione (prainapti) che è anche considerato il "conoscitore" (upadatr); (2) le parti composite (assi, ruote ecc.) che sono ciò che è designato, o "conosciuto", con il termine "substrato-appropriato" (upadana). Una sorta di reciprocità si ottiene, allora, tra l'appropriato-conoscitore' ed il 'substrato-appropriato'. Nel contesto definito da tale relazione, dobbiamo dare credito inoltre all'esistenza formale di almeno due distinti partecipanti mutualmente dipendenti. 

165. Il 'Karma' è  sia  'l'azione' (volizionale) che 'l'oggetto dell'azione'. 

166. MAB, 259-260: "Qui 'il conoscitore' è ciò che forma la funzione dell'appropriarsi, quindi 'l'agente'; e 'il substrato di cui si appropria' è ciò che è appreso, quindi 'l'oggetto dell'azione'. L'appropriatore (o conoscitore) è il 'sé', ed il substrato-appropriato è uno dei cinque aggregati. In questo caso, se il composto di forma e così via, fosse equivalente al 'sé', allora l'agente e l'oggetto dell'azione sarebbero identici. E ciò è indesiderabile, perché comporterebbe la conseguenza che gli elementi materiali e le forme prese [da questi] come loro causa, per esempio, l'argilla e la brocca del vasaio sarebbero identici. Come è stato detto (MS 10.1): 'Se il fuoco è il combustibile, allora l'agente e l'azione sono identici'. Ed ancora (ibid., 10.15): 'L'intera relazione tra il 'sé' ed il substrato-appropriato è spiegata completamente con [l'analogia di] il fuoco ed il combustibile, così come [tutte le altre relazioni come quelle fra] la trama della stoffa [ed i suoi fili], o la brocca [e l'argilla]'." 

167. MAB, 260-261: "Questo potrebbe non essere il caso. Se non si asserisce un agente, allora senza la sua causa non si può asserire un'azione…. Quindi, proprio come si designa l'azione in dipendenza di un agente, e l'agente in dipendenza dell'azione, similmente si designa l'appropriatore in dipendenza del substrato-appropriato, e infine quest'ultimo in dipendenza dell'appropriatore. Inoltre (MS 27.8): 'Il 'sé' non è diverso dal substrato- appropriato, ma neppure esso è lo stesso substrato-appropriato; non è [presente in] assenza del substrato-appropriato, ma di certo non è questo il caso in cui esso non esiste'. Perciò, di conseguenza, si deve intendere che in assenza dell'agente, anche l'azione non esiste. Inoltre, quelle scritture che insegnano che anche se l'agente non è appreso, pure l'azione e la maturazione [di quella azione] esiste, devono essere intese come confutanti l'esistenza dell'agente tramite un qualche essere intrinseco. Non bisogna intendere ciò come una confutazione [del 'sé'] che tuttavia esiste come un qualcosa di convenzionale designato in dipendenza [delle altre parti]". 

168. Ovvero, poiché nessuna di queste cose e realmente il 'sé', il concetto di un ''Io'' che diventa l'oggetto dell'attaccamento non può essere basato sugli aggregati stessi. Cf. MAB, 263: "Gli aggregati non sono l"Io", che è l'oggetto [di questo attaccamento], e né questo "Io" esiste separatamente dagli aggregati. Perciò, poiché nessun tale "Io" esiste per servire come oggetto, il meditante realizza che il 'sé' non è appreso, e da ciò [egli va a realizzare che] anche il 'senso-di-mio' è privo di sostanza. Una volta che ha così esposto tutte le cose composite come prive di alcun substrato-appropriato, egli alfine raggiunge il nirvana. Perciò questa analisi è estremamente benefica". (Il "Senso-del-mio" si riferisce a tutti gli oggetti di attaccamento esteriore verso l' "Io".) 

169. Cf. SBS, Col. 26 (p. 394).

170. Cf. PSP, 434.

171. MAB, 265: "Quando c'è una differenza [tra i due], allora è ragionevole che vi siano un contenitore ed una entità contenuta. Per esempio, si potrebbe dire: 'C'è dello yogurt nel vasetto'. Il vasetto e lo yogurt sono distinti nel contesto dell'esperienza di ogni giorno, e sono percepiti come contenitore e cosa contenuta. Tuttavia, gli aggregati psicofisici non sono differenti dal 'sé', e né il 'sé' è differente da essi, così in questo caso non c'è nessuna [relazione analoga a quella che si ottiene tra] 'il contenitore' e 'l'entità contenuta'." 

172. Cf. PSP, 434-435.

173. Cf. MAB, 266: "Ogni identità o differenza tra il 'sé' e gli aggregati è già stata confutata. Nel caso dell'identità, è applicato il suffisso che distingue il genitivo (mat, o vat-pratyaya), per esempio: 'Devadatta possiede la forma' (rupavan devadattah); o nel caso della differenza, per esempio: '[Devadatta] possiede una vacca' (goman devadattah). Ma non c'è nessuna identità o differenza tra la forma ed il 'sé', e perciò non è possibile asserire ragionevolmente che il 'sé' sia in possesso di una forma". 

174. Cf. SBS, CoI. 26 ( pp. 394-395).

175. Vedi Stadio 4, n. 3. 

176. Cf. SBS, fols. 26-27 (p. 395).

177. Qui, l'argomento è diretto contro i Sammitiya, o Pudgalavadin, una antica setta buddhista che, secondo Chandrakirti, reclamò come una delle loro essenziali dottrine la visione che il 'sé' è una "sostanza trascendentale" non suscettibile di poter essere espressa nel linguaggio o pensiero concettuale. Lo stesso argomento potrebbe essere usato contro l'interpretazione assolutistica discussa nella prima parte di §3. Per una presentazione più comprensibile di questa dottrina, vedi Conze 1962, 122-134. 

178. La Vallée Poussin sembra aver avuto qualche problema con questa stanza. Egli così tradusse questo 'pada': "…sostengono che esso sia la conoscenza dei sei vijnana"(?) (sic.).  Apparentemente, egli non potrebbe dare nessun senso a questa interpretazione. 

179. Questa e le successive tre stanze sono cruciali per il concetto Prasangika di vacuità. Secondo il Prasangika, non ha nessun senso parlare di una "reale entità" che non esiste in un contesto definito dalla sua identità con le sue caratteristiche qualità e la sua differenza da altre simili reali entità. Ciò significa che tutte le entità sono reali solo in quanto esse partecipano alle relazioni che si hanno nell'esperienza di ogni giorno (cioè, la verità dello schermo: samvrtisatya). Dallla prospettiva della verità del significato più alto c'è solamente la vacuità di questo dedalo di riflessioni interpenetranti, e così deve essere rilevato che il concetto di vacuità non ha nulla a che fare con un monismo epistemologico od ontologico. 

180. MAB, 269: "Come l'esempio della brocca, si deve pensare che il 'sé' esiste [soltanto] come una designazione". 

181. MAB, 271: "Per chiarire entrambe le posizioni, cioè, che [il 'sé'] come contenitore (adhara) o contenuto (adheya), il composto skandhadhàra classifica i due [significati]…. Perciò, quando propriamente si considera il 'sé' come una [mera] designazione, per di più non-appresa, allora non si dovrebbe accettare il 'sé' per mezzo di una delle alternative che sono state discusse". 

182. MAB, 271: "Non c'è nessuna produzione senza una causa, [e nemmeno c'è una produzione spontanea, né produzione da altro, né da entrambi] eppure noi accettiamo l'asserzione 'questo origina in dipendenza da quello', tanto per non cadere in conflitto con ciò che è dato nel contesto definito della verità dello schermo. Similmente, in questo caso pure [il 'sé'] è completamente dipendente da [un altra] entità designata dipendentemente. [Tutte le altre alternative per spiegare la relazione fra il 'sé' e gli aggregati] devono essere abbandonate, perché sono contrassegnate dai difetti che sono stati descritti nelle stanze precedenti. Bisogna accettare la conclusione che il 'sé' è semplicemente designato in dependenza degli aggregati psicofisici. Ciò facendo, ci si conforma alla convenzione, perché il 'sé' è designato come una questione di convenzione pratica". 

183. Chandrakirti ha già discusso le prime cinque alternative qui elencate, così che resta soltanto da interessarsi alle tesi riguardanti il composito e la forma.        

184. Il carro non può essere il composto delle sue parti o la forma separata dalle sue parti, perché se cessiamo di postulare l'esistenza del carro (il possessore delle parti, o il possessore della forma delle parti assemblate), allora le "parti" di cosa sono parti? Proprio come non c'è carro senza le parti del carrozza, così non ci sono parti del carro senza un carro. (Per un altro argomento che tratta con la forma, cf. 6.136.) 

185. MAB, 273: "Se nel carro, la particolare forma delle ruote e così via, è esattamente la stessa come era prima [dell'assemblaggio] del carro, allora è sicuro che esso, come era inesistente in mezzo alle parti smontate, così non esiste anche quando il carro [è assemblato], perché la forma delle parti [individuali] non è differente [da quella che era prima dell'assemblaggio]".

186. MAB, 274: "Se nel carro non si è prodotta nessuna differenza nella forma [delle parti] paragonata con le precedenti misure di larghezza, lunghezza, circonferenza e così via di tali cose come le ruote, assi, e stanghe, allora dovrebbe essere appreso - ma nessuna differenza è appresa. La ruota [individuale] possiede una particolare foggia composta dai suoi raggi, l'orlo, ed il mozzo [e le altre parti], e quando il carro è [assemblato], non può essere percepita nessuna differenza. Similmente la larghezza e così via, dell'asse e [delle altre parti] non cambia, e perciò è irragionevole dire che il carro è [soltanto] la forma delle sue parti". 

187. MAB, 275: "Se ogni qualsiasi entità chiamata 'il composito' infatti esistesse, allora si  dovrebbe legittimamente designare una forma come dipendente da esso. Il cosiddetto 'composito', tuttavia, non esiste in alcun senso, e come potrebbe quindi [il carro] essere designato come una forma dipendente su ciò che neanche esiste? Secondo [il nostro oppositore], una designazione può essere basata solamente su una sostanza reale". Per il Prasangika e il suo oppositore, il composito non è reale perché è soltanto un composito - un assemblaggio di parti reali. La forma di questo "composito" è come "il profumo di un fiore che nasce nel cielo".  

188. Cioè, proprio come il vostro ragionamento inevitabilmente arriva alla conclusione che la forma è soltanto una convenzionale designazione dipendente da un'altra designazione (il composito) dipendente ancora da un'altra designazione…. 

189. MAB, 275: "Le cose composite che possiedono un'ingannevole natura intrinseca sono prodotte in dipendenza di falsità [generate] dall'ignoranza spirituale. Per es., il germoglio che possiede un'ingannevole natura intrinseca è prodotto in dipendenza di un seme che anch'esso possiede un'ingannevole natura intrinseca. Bisogna riconoscere la natura senza residuo di tutte le cause ed effetti, che possiedono un'ingannevole natura intrinseca. Cosa c'è di buono in questo insensato aggrapparsi ad un'entità che è come l'ombra di un cervo, che è incapace di mangiare un [reale] cibo anche dopo centomila tentativi?". Se non si può mangiare cibo reale (non si può trovare una persona reale), allora perché tentare di ottenere cibo da un cervo illusorio (perché tentare di costruire una reale persona aldilà dei "compositi" illusori)? 

190. MAB, 276: "E' stato già spiegato come la forma e così via non sono prodotti. Perciò, siccome non sono prodotti, essi non esistono. Come può essere ragionevole che [le cose] che non esistono debbano essere caratterizzate come causa di designazioni tipo 'la brocca' e così via,? Di conseguenza, la brocca e così via, non sono in possesso di una qualità di 'sé' caratterizzato dalla foggia della loro forma [e le loro altre qualità caratteristiche]. Non è ragionevole che tali cose come le brocche debbano essere considerate come aventi una reale sostanza per un substrato-appropriato." 

191. MAB, 276-277: "Obiezione: Se invero, quando è cercato per accordarsi alle sette alternative nel sistema appena descritto, il carro non esiste, allora poiché esso non esiste, nel mondo la realtà convenzionale designata "carro" sarebbe totalmente distrutta, e non si dovrebbero sentire espressioni tali come 'Porta qui il carro!', 'Compra un carro!' oppure 'Prepara il carro!'. Perciò, perché questi sono dati per scontati nel contesto dell'esperienza di ogni giorno, i carri e [le altre simili cose] esistono. Risposta: Questo problema è solo vostro!. Il carro non è scoperto quando è cercato per accordarsi alle sette alternative discusse in precedenza, e pure voi concepite metodi per stabilirlo tramite l'analisi razionale come un'entità [oggettivamente reale], senza accettare alcun mezzo alternativo di prova. Di conseguenza, come stabilirete voi le realtà convenzionali del quotidiano, rappresentate in espressioni tipo 'Porta qui il carro!' e così via?…. Benché il carro non sia stabilito tramite nessuna delle sette alternative nel sistema [discusso sopra], sia dalla prospettiva del più alto significato che da quello dello schermo, tuttavia il mondo tralascia l'analisi razionale e designa il carro in dipendenza delle sue parti, la ruota e così via. Allo stesso modo [i colori] blu e simili, e [gli aggregati psicofisici] delle sensazioni e così via, tutti [sono designati in dipendenza delle loro parti]. Noi, comunque, accettiamo la 'designazione in dipendenza' come l'unica condizione dell'originazione in dipendenza, e perciò la nostra posizione non ci porta alla conseguenza di distruggere le convenzioni di ogni giorno. Sarebbe opportuno che pure il nostro oppositore accettasse questo [concetto]". 

192. MAB, 278: "Con riferimento alla sua appropriazione del substrato [composto di] ruote e così via, esso è un 'agente'; e con riferimento al suo proprio substrato-appropriato, esso è un 'appropriatore'." 

193. MAB, 279: "[L'esperienza di ogni giorno] deve essere completamente rivoluzionata. L'esperienza di ogni giorno, (cioè la verità relativa) dello schermo, si rivela non esistere quando è sottoposta ad analisi, benché sembri esistere quando è non-esaminata e data per scontata. Proprio per questa ragione, quando il meditante sistematicamente l'analizza in questo modo, egli rapidamente penetra nelle profondità della realtà [espressa nella verità del significato più alto]". 

194. MAB, 280: "Benché nel concettualizzare, una persona concepisce davvero che le ruote e così via siano il carro semplicemente in base al sapere che le une sono unite all'altro, un'altra persona [che non sia totalmente dipendente dalla concettualizzazione] non fa la stessa cosa. La prima [persona] concepisce un 'possessore' di parti come la ruota che è dipendente dalle sue proprie parti. Ma se la ruota e le altre parti sono totalmente smontate e cosparse intorno, allora esse non saranno pensate come parti di un carro". 

195. MAB, 281: "Per esempio, quando un carro - il possessore di parti - è bruciato, pure le sue parti certamente saranno bruciate. Similmente, quando il fuoco della discriminazione sprizza dall'attrito causato strofinando insieme le legna dell'analisi, e il carro è poi bruciato completamente da questo fuoco che non ha cognizione della sua fiamma, allora anche le parti diventano combustibile per la saggezza, e non procurano danno [nell'essere concet-tualizzate come se possedessero] le qualità del 'sé', perché anch'esse sono incenerite". 

196. MAB, 281-282: "Proprio come il carro è designato in dipendenza delle ruote e così via - le ruote e le altre parti servono da substrato-appropriato (upadana) ed il carro funge da appropriatore (upadatr), similmente, in accordo con la verità dello schermo, tanto per non distruggere totalmente le convenzioni del quotidiano, il 'sé' è considerato un appropriatore. I cinque aggregati psicofisici, i sei elementi, ed i sei organi di senso coi loro particolari riferimenti oggettivi costituiscono il substrato-appropriato del 'sé', ed il 'sé' è concettua-lizzato in dipendenza di questi aggregati, e così via. Così come le ruote e le altre parti costituiscono il substrato-appropriato del carro, così gli aggregati psicofisici costituiscono il substrato-appropriato del 'sé'." 

197. Upadana, 'appropriazione', o 'substrato-appropriato', proprio come 'karma', 'azione', o 'oggetto dell'azione'. 

198. MAB, 282: "Allo stesso modo in cui questa relazione tra 'substrato-appropriato' e 'appropriatore' è ordinata secondo la convenzione, anche [nel caso del 'sé'] la relazione tra 'oggetto dell'azione' e 'agente' sarà accettata come, ad esempio, con il carro…. Il cosìdetto substrato-appropriato degli aggregati psicofisici è l'oggetto dell'azione, mentre il 'sé' è l'agente. Questo è la [convenzionale] relazione. Il 'sé', che è completamente dipendente dalle [altre] designazioni dipendenti (upadayaprajnaptisamasrita), non offre nessuna base per concetti di assolutismo o nichilismo, o altre [visioni così estreme]. Di conseguenza, concetti come permanenza ed impermanenza sono facilmente confutati". 

199. MAB, 285-286: "Obiezione: E perché concetti come impermanenza e così via, non si possono propriamente applicare al 'sé'? Risposta: Perché [in termini di verità del più alto significato] non c'è nessuna tale entità. Se ci fosse un qualche 'sé' con la natura intrinseca di un'entità, allora i concetti di impermanenza sarebbero applicabili, ma invero nessun tale 'sé' esiste, e poiché esso non esiste [questi ed altri concetti non si applicano ad esso]…. Anche cercato nelle sette alternative, un ['Io'] permanente o impermanente è impossibile. Colui che non concepisce questa [sua] irrealtà, e che è attaccato alla [sua] esistenza per la forza dell'ignoranza spirituale, e si aggrappa alla nozione: 'Questo è il 'sé' - a causa della sua errata visione filosofica di un 'Io' reale e sostanziale - dovrà trasmigrare da una vita all'altra, in continuazione." 

200. MAB, 286-287: "Bisognerebbe conoscere il 'sé' come un qualcosa riferito all'idea di un 'Io', che diviene manifesto a innumerevoli creature avvolte nell'ignoranza spirituale e per questo condannate alle varie migrazioni: creature umane, spiriti affamati, animali, divinità, demoni e esseri tormentati negli inferni. La cognizione del 'mio' appare in riferimento a [cose] interiori che partecipano alle qualità del 'sé', come gli organi di senso e così via, che sono la base per la designazione [di un 'sé'], così come le cose esteriori [possessi del 'sé']. Ossia, qualsiasi cosa possa esservi riferita a ciò di cui [il 'sé'] diventi 'il possessore'. Questo 'sé' è stabilito tramite l'ignoranza spirituale, e non tramite una qualche essenza intrinseca. Anche se non esiste, è convenzionalmente così designato attraverso l'ignoranza spirituale. Tuttavia, i meditanti non l'apprendono in nessun modo; e quando non è appreso, i sensi e così via, che costituiscono il suo substrato-appropriato, anche non appaiono. Il meditante non apprende alcuna essenza in nessuna entità, e perciò egli è liberato dal circolo senza fine delle transmigrazioni." 

201. MAB, 287-288: "Proprio come una brocca è impossibile senza la creta del vasaio, così in assenza del 'sé' non c'è nulla da poter essere chiamato 'il mio'. Il meditante, di conseguenza, non apprende alcun 'Io' né 'mio.' Egli non percepisce alcun circolo delle trasmigrazioni ed è così liberato. Quando la forma e gli [aggregati psicofisici] non sono appresi, allora [le afflizioni] come l'attaccamento e le altre che dipendono da esso, non sorgono. [Non avendo percepito) alcun substrato-appropriato, i pratyekabuddha e gli sravaka dimorano nel nirvana. Ma i bodhisattva sono presi da compassione, ed anche se hanno già concepito l'assenza del 'sé', essi restano nella corrente di esistenza fino a che [tutti gli esseri raggiungono) il Risveglio. In base a ciò, le persone abili dovrebbero sforzarsi verso [la comprensione del] l'assenza del 'sé', come è stato spiegato qui". Il termine sred pa'i di La Vallée Poussin (1907-1912,288.7) è erroneo, come egli presume. Cf. TKP, 406.13 (srid pa'i = 'corrente di esistenza') su cui ci siamo basati per la nostra traduzione. 

202. TKP, 408: "Non solo sono parti e così via, interdipendentemente stabilite, ma anche cause ed effetti interdipendenti…. Di conseguenza, nel caso che siano stabilite tramite un essere intrinseco, allora: 1) sarebbe irragionevole [supporre che] la causa sia primaria, poiché quando esiste la causa, l'effetto è stabilito in dipendenza di essa; e 2) sarebbe irragionevole supporre che l'effetto sia primario, poiché [in quel caso] emergerebbe senza alcuna causa. Perciò, si deve capire che, come il carro, causa ed effetto sono designazioni dipendenti uno dall'altra, non esistendo assolutamente in modo intrinseco". 

203. MAB, 291: "In questo caso, se la causa produce l'effetto tramite connessione con essa, allora come non vi è differenza tra un fiume e l'acqua dell'oceano nel quale si getta, gli uniti [causa ed effetto] sarebbero identici. Di conseguenza non ci sarebbe differenza tra il dire 'Questa è la causa' e 'Questo è l'effetto'…. Se c'è produzione senza il collegamento, allora proprio come qualsiasi altra cosa che non sia l'effetto non si connette [con la causa, l'effetto non si connetterebbe con la causa] e non sarebbe prodotto. Oppure, se c'è produzione senza il collegamento, allora tutto potrebbe pure essere prodotto [da una sola, identica causa). Per chi difende una causa e un effetto con intrinseco essere, nessun terzo concetto [di relazione causale] è possibile separatamente dalle [due alternative di] non-connessione o connessione, così un effetto non sarà prodotto da una causa con intrinseco essere". 

204. MAB, 291-292: "Una causa che ha la qualità di essere una causa (hetutva) è una causa dalla quale segue un effetto. Se, anche in assenza di qualunque effetto, una causa potesse avere la qualità di essere una causa, allora la 'qualità di essere una causa' posse-duta da questa causa sarebbe caratterizzata dall'inesistenza di qualunque causa; e questo è inaccettabile". 

205. MAB, 292: "Noi abbiamo condotto (la precedente] analisi delle distinte caratteristiche intrinseche del prodotto e del produttore, (dimostrando che) la produzione dipende da un'erronea concettualizzazione. Le entità sono come le apparizioni magiche, perché la loro natura intrinseca è non-prodotta. Ciononostante, come i peli e le altre cose erroneamente appresi da qualcuno affetto da oftalmia, [queste entità] anche senza alcun intrinseco essere, sono prese come oggetti dei concetti reificati, senza [ulteriore] riflessione. [Dato questo tipo di comprensione] i difetti precedentemente discussi non si applicano a noi. Inoltre, siccome le cose dell'esperienza di ogni giorno sono stabilite senza l'analisi, questo è il motivo per cui sono stabilite". 

206. MAB, 293-294: "Ecco perché noi diciamo che voi negate tutte le cose senza alcuna ragione. Invero, cosa c'è di ragionevole [nella vostra istanza] che una causa sconnessa col suo effetto non produca [quell'effetto]? Senza una connessione, un magnete attira il ferro che è il suo appropriato oggetto, però non attira tutto. Similmente, senza il collegamento, un occhio percepisce la forma che è il suo oggetto appropriato, mentre non [percepisce] qualsiasi altra cosa (cioè, non percepisce i suoni o le altre cose non-materiali). Allo stesso modo, 1) ad una causa manca qualsiasi collegamento [con l'effetto] che produce; ma 2) una causa non produce solo qualsiasi cosa con cui non è connessa [con essa] - essa produce soltanto il suo effetto appropriato. Perciò, uomini nobili non sarebbero d'accordo con voi mai, perché voi negate irragionevolmente tutte le cose. Inoltre, nel dibattito voi fate ricorso ad ogni confutazione. Senza alcuna convincente vostra propria posizione, voi disputate solo per distruggere la posizione dei vostri oppositori". 

207. TKP, 412 (cf. MAB, 294-295): "La tesi dell'oppositore presuppone 'l'esistenza'; ovvero, presuppone l'asserzione di un significato ultimo stabilito tramite il riferimento a [un concetto di] essere intrinseco. Ma noi non sosteniamo nessuna tale tesi, e perciò il difetto implicito sia nella 'connessione' che 'non-connessione', e le conseguenze di ciò, non si applicano a noi…. Come è stato detto (PV, 260-261): 'Shariputra chiede: "Subhuti, può qualcosa (dharma) di non-prodotto ottenere uno scopo non-prodotto?". Subhuti risponde: "Venerabile Shariputra, io non considererei che un conseguimento non-prodotto sia ottenuto da qualcosa prodotto, e né considererei che sia ottenuto da qualcosa di non-prodotto". Shariputra continua: "Venerabile Subhuti, ci sono o no lo scopo e la completa realizzazione (abhisamaya) [di quello scopo]?". Subhuti risponde: "Venerabile Shariputra, lo scopo e la completa realizzazione [di quello scopo] certamente esistono, ma non nella forma [delle verità soteriologica e convenzionale]. Shariputra, sia lo scopo che la completa realizzazione, sono semplicemente le realtà di ogni giorno. [Inclusi tutti i vari livelli di conseguimento spirituale] i bodhisattva sono mere realtà convenzionali. Dalla prospettiva del significato più alto, tuttavia, non ci sono nessuno scopo e nessuna piena realizzazione".

208. "Fatto obiettivo" (Tib. dngos grub) è una atemporale verità non-contestualizzata opposta ad un'asserzione designata per essere adatta ai bisogni di un particolare tempo e luogo. 

209. Vedi la discussione di queste stanze in §3.4.2, "Designazione dipendente",     e alla fine di "La perfezione della saggezza", nel §4.6.3. 

210. La stessa lista di sedici esempi è data in MVP §933-957. 

211. "Essere" (bhava) è l'oggetto dei concetti reificati di esistenza intrinseca. Cf. MS 22.11: tradotto e discusso nel §3, n. 69. 

212. MAB, 313: " 'Estremo' si riferisce ale visioni estreme di 'assolutismo e nichilismo". 

213. I diciotto elementi sono i sei sensi, più i loro rispettivi oggetti e le cognizioni (o coscienze) associate con loro. 

214. I vari tipi di meditazione sono discussi nel contesto di fonti classiche rilevanti in Dayal 1932, 229ff; vedi anche Lamotte 1944-1980 per una discussione estesa sui dhyàna e gli altri poteri speciali riportati in queste stanze finali dello Stadio 6. 

215. Gli "Ingressi alla Liberazione" (vimokshamukha) sono una serie di meditazioni sui tre aspetti della vacuità. Essi conducono al riconoscimento che l'esperienza di ogni giorno (samsara) è essa-stessa la liberazione del nirvàna. Il primo di questi, "liberazione tramite la vacuità" (shunyatavimoksha), è associato con le cose composite e la loro assenza di un 'sé' (anatman). Il secondo, "liberazione tramite l'assenza di segni" (animittavimoksha), si  riferisce all'assenza nelle cose convenzionali di qualunque "segno" o marchio logico a cui ci si potrebbe aggrappare e che potrebbero essere trattenuti dalla mente. Questo è il riconoscimento dell'incapacità di ogni cosa concreta a fornire una soddisfazione durevole all'ardente bramosia che proviene dall'ignoranza della loro natura più profonda. Il terzo, "liberazione tramite l'assenza del desiderio" (apranihitavimoksha), è la cessazione di ogni speranza e paura in precedenza connesse con l'idea che la sicurezza durevole potrebbe essere trovata in ogni cosa composita. Questa è la rinuncia per il desiderio del nirvàna, poiché si vedrà che la possibilità del nirvàna non è presente in una qualche forma di sicurezza che si possa desiderare, ma essa è qui ed ora nel mondo così come è. Per una discussione più particolareggiata di queste tre meditazioni, vedi Conze 1962, 59-64. 

216. La Vallée Poussin 1907-1912 numeri 6.209 e 6.210. 

217. La Vallée Poussin 1907-1912 enumera questa stanza e la prossima 6.211. 

218. Questi quattro tipi sono: 1) conoscenza degli insegnamenti arrivati tramite l'analisi e la logica; 2) conoscenza del loro significato; 3) conoscenza dell'etimologia delle parole usate nei testi; e 4) la fiducia nella propria presa dei primi tre tipi. Vedi Dayal 1932, 259ff., per un breve discussione sulla pratisamvid con riferimento alle fonti classiche. 

219. Oppure, "la vacuità di non-essere". 

220. Oppure, "la vacuità dell'essere". 

221. Vedi Stadio 6, n. 3, sopra, per la "cessazione". 

222. Il "gregge comune" è un riferimento agli sravaka. Le due ali sono il metodo (o 'mezzi-abili') che tratta della verità convenzionale, e la saggezza che tratta della verità del significato più alto. 

 

SETTIMO STADIO 

 

1. La Vallée Poussin numera le cinque stanze che descrivono gli stadi 7-10 con limiti di capitolo. La sua decisione di raggruppare insieme questi ultimi quattro stadi probabilmente riflette il loro comune interesse con lo sviluppo degli 'abili-mezzi'. 

2. Cf. TKP, 442: "È chiamata 'Cessazione nella talità' perché al momento della [sua] nobile concentrazione equilibrata (aryasamàdhi) ogni proliferazione concettuale associata con l'apparenza del dualismo cessa nella 'talità' (ciò che è)". 

 

OTTAVO STADIO 

 

1. Ovvero, i Buddha dissuadono i bodhisattva dai concetti reificati di una isolata liberazione individuale e li dirigono nuovamente nel flusso della vita di ogni giorno, dove la loro decisione di agire per il beneficio di tutti gli esseri viventi è riaffermata e portata a perfezione. L'evento è discusso in DB, 43.  

 

NONO STADIO 

 

1. Significato poco chiaro. 

 

QUALITÀ E  FRUTTI DEI DIECI STADI

 

1. Noi abbiamo usato la numerazione di La Vallée Poussin. 

2. Cf. MAB, 355: "Solamente in un cielo senza nuvole la luna può illuminare tutti gli esseri viventi, e similmente… i poteri [di un Buddha] sono prodotti [per contribuire indiretta-mente] allo sradicamento di ogni illusione che impedisce l'ottenimento della [totalità delle] qualità dei Buddha benedetti". I poteri di un Buddha rimuovono le nuvole dell'illusione dalla mente (il cielo) del bodhisattva, così che la luce delle qualità del Buddha (la luna) possa illuminare tutti gli esseri. 

3. Cf. ibid., 356: "Per esempio, anche se le brocche, le ciotole ed altri vasi simili sono differenti, tuttavia essi sono equivalenti perché sono [tutti] vuoti, e lo spazio in essi non è differente. Similmente, anche se la forma, le sensazioni e gli altri aggregati psicofisici sono differenti [l'uno dall'altro], essi sono reali nel possedere ognuno la caratteristica distinta di non-produzione. In questo modo, essi sono senza differenza e dovrebbero essere capiti come identici". Questa è la "identicità" (samata) di tutte le cose, la loro identica vacuità di qualunque esistenza intrinsecamente valida. 

4. TKP, 456: "Se non c'è insorgenza, cioè, nessuna produzione di un concetto che penetra la realtà, allora, in assenza di un conoscitore di realtà, che è ciò che può ragionevolmente essere accreditato da voi avendolo insegnato agli altri discepoli: 'Ho io completamente penetrato la realtà che possiede la caratteristica distintiva [di non-produzione]'? [Tale istanza] sarebbe considerata irragionevole".

5. Cf. ibid.: "Se si asserisce che benché la realtà della forma e così via sia intrinsecamente non-prodotta, [questa realtà] è conosciuta dall'intelletto, [allora noi solleviamo la seguente

obiezione]. Quando si asserisce che la realtà è intrinsecamente come la pace della non-produzione, allora deve essere accettato anche [come conseguenza] che l'intelletto, ovvero, la saggezza (prajna) - in nessun modo potrebbe penetrare un tale oggetto. E in base a ciò, se si prosegue nel sostenere che l'intelletto penetra davvero in una realtà intrinsecamente vuota di produzione, allora quale immagine di quale oggetto possiederà  (la cognizione de) l'intelletto? Nessuna immagine, sembrerebbe. Quindi, in assenza di ogni oggetto, l'intelletto non può penetrare la realtà". Il Prasangika offre la seguente risposta criptica a questa obiezione (cf. MAB, 358): "Non è che vi sia una qualche conoscenza di un determinato oggetto tale che la realtà sia compresa per mezzo di un concetto reificato. In questo caso, semplicemente, la conoscenza e l'oggetto di conoscenza, sono non-prodotti". Forse qui l'argomento è che l'intelletto può concepire la realtà solamente indirettamente, tramite i concetti e le impressioni sensoriali che si comportano come i suoi oggetti. Esso deve sempre funzionare nel contesto della verità convenzionale, riconoscendo le distinzioni tra le cose nel tempo e nello spazio e definendo le loro relazioni l'una con l'altra. La conoscenza nondualistica di un Buddha, tuttavia, è immersa sia nella verità convenzionale che nella verità del significato più alto, in cui tutte queste distinzioni sono percepite come interdipendenti rappresentazioni dell'esperienza di ogni giorno. Vedasi i commenti sulla conoscenza nondualistica nel §4.10 e nel §5.4: "La Conoscenza Nondualistica". Mentre la conoscenza dualistica divide, la conoscenza nondualistica contestualizza. TKP, 459: "Come l'acqua mescolata con acqua, questa conoscenza [nondualistica] è fissata nell'identicità". 

6. Il "suono" più ovvio è la voce di un Buddha. 

7. Le azioni di un Buddha sono compiute senza alcun sforzo, poiché il corpo di un Buddha, così come ogni atto che egli può compiere, è prodotto grazie ai meriti guadagnati durante le sue vite come bodhisattva. 

8. Quest'ultima riga non è completamente chiara. Una traduzione alternativa è: "Questa [pace] è sperimentata direttamente come il corpo [del Buddha]". 

9. Un gioiello che compie-tutti-i-desideri (cintamani) è capace di accordare ogni beneficio alla persona che lo possiede. Anche se la preziosa gemma è responsabile dei pensieri e dei sentimenti del suo proprietario, essa è priva di alcun meccanismo concettuale. 

10. Ovvero, si è realizzato tramite il corpo di beatitudine (cf. TKP, 466). 

11. Jambudvipa è il continente più meridionale dei quattro che contornano il mitologico monte Meru. Esso include (o è equivalente a) l'India. 

governati dai Buddha. 

13. "Intenzioni" o "motivazioni" sono di due vasti tipi. MAB, 378: "Le 'Intenzioni' sono fuorvianti dubbi che rimangono, e queste intenzioni sono 'facoltà nel senso che facilitano la produzione di attaccamenti e così via. La parola 'vario' allude ad intenzioni [del secondo tipo] che sono le cause di virtù come la convinzione, e così via". 

14. Questo si riferisce alle ventidue facoltà enumerate in MVP, § 108. 

15. Vedi nota in 6.207. 

16. Cf. RV 5.61-64; ed anche CS. 

17. Il Veicolo Inferiore (Hinayana) ed il Grande Veicolo (Mahayana).

18. Ci sono cinque "impurità" (panchakasaya) enumerate in MVP, §124. La prima è la ayukasaya, la diminuzione della durata di vita in questa epoca, poi drstikasaya, credenze dogmatiche filosofiche o religiose che si sono radicate nei pensieri reificati; kleshakasaya, che sono le afflizioni disturbanti, in primis l'afflizione dell'attaccamento; sattvakasaya, l'impurità di essere costretti ad esistere come esseri viventi ignoranti; e kalpakasaya, il problema di vivere in un tempo degenerato. 

19. Vedi MAB, 403, per le informazioni su queste parentesi. 

 

EPILOGO 

 

1. Cf. MAB, 77, tradotto e discusso nello Stadio 6, n. 5. 

 

 

 

 

FINE

 

 

(Finito di Tradurre nel Settembre 2001 – da alberto mengoni – per conto del Centro Nirvana-– pubblicato liberamente ad uso dei meditanti e studiosi - senza scopi di lucro)