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DIALOGO CON LICIO ZULIANI

SULL'AMORE

   

12/2/2006

Licio - Caro Dario, colgo l'occasione della lettura delle tue poesie raccolte sotto il titolo Un'immagine fluida di Dio per alcune considerazioni sul vocabolo amore e le sue mille e più sfaccettature. Considerazioni personali, che come tali non intendono minimamente interferire con o, peggio ancora, influenzare le altrui interpretazioni. 

Confesso, a me stesso per primo, che fin da ragazzo ho riguardato il vocabolo di cui vado a trattare con un certo sospetto: dal mitico Catullo a Petrarca, dal T'amo pio bove a D'Annunzio l'ho sempre avuto in odore di retorica, se non proprio e sempre di secrezioni ormonali. Mi si dirà: bravo, ma stai parlando di amore profano, quello con la a minuscola, altra cosa è l'Amore. È ben naturale; il fatto però è che non sono affatto convinto che le due cose siano poi tanto diverse o chiaramente distinte. Con ciò non credo nemmeno di dire qualcosa di tanto originale se, per la legge di analogia codificata nella Tavola di Smeraldo, deve essere "così in basso come in alto". Analogia di non semplice comprensione nel momento in cui affrontiamo il problema del male; che qui non intendo minimamente sfiorare. Voglio dire che anche coloro che hanno affrontato il tema dell'amore dal più elevato punto di vista "tradizionale" (Evola, ad esempio) non sfuggono al sospetto di voler rivestire con belle parole gli impulsi della carne. Mi si dirà ancora: oddio, al giorno d'oggi un altro bacchettone! Non propriamente; come ogni persona di sana e robusta costituzione psicofisica non sfuggo all'impulso dei cinque sensi. Corre peraltro l'obbligo di ricordare come in ogni dottrina o religione che si rispetti il mantenimento della castità sia altamente raccomandato al fine del conseguimento di un più elevato livello di spiritualità. In ciò si sono espressi assai chiaramente sia Gesù (anche se oggi va di moda dargli Maria Maddalena per "fidanzata") che san Paolo (mi risparmio le citazioni dei passi, sono assai facilmente individuabili); per non dire del buddismo, che di fatto è un monachesimo. Come allora conciliare il sacro con il profano? Ah, io proprio non lo so ed è per questo che mi piacerebbe conoscere il tuo parere in merito. 

Passando all'Amore con la A maiuscola, con questo si intende l'Amore di Dio e per Dio. Se quanto sopra era di difficile comprensione, qui si brancola nel buio. Come si può "amare" Dio, che è l'infinito incommensurabile? Io un'idea me la son fatta: se si intende amore come sinonimo di unione, allora diviene concepibile il desiderio e lo sforzo di rientro e fusione nel Principio Supremo dal quale a vari gradi discende tutto ciò che è. Su ciò non so se altro si possa dire. 

   

15/2/2006

Dario - Caro Licio, rispondere alle tue domande e considerazioni sull'amore è tutt'altro che facile. 

Cominciamo da qui: una risposta facile è una stupidaggine. 

Da un lato tu parli dell'amore usando il termine come in genere è usato, ovvero convenzionalmente. È palese che tale "amore" significa poco o niente. D'altro canto distingui, secondo altra consuetudine, un amore "profano" da un amore "sacro". Ora, questo non ha a mio avviso alcun senso. Non vi è profanità nell'amore. Dio è amore, e in ogni particella d'amore è presente. Dovesse anche incidentalmente (ma è ben difficile) accadere che si manifesti amore in un amplesso a pagamento, ebbene anche lì sarà Dio. L'amore spazza via tutto, l'impurità del momento non sussiste di fronte a lui. 

Del resto cosa è impuro? L'oblio di Dio. Il pentimento rivolto a Dio è certo più puro della dimenticanza di Dio di chi si ritiene giusto; è meglio peccare e pentirsi e fare il bene, che non rimanersene ignavi a non far nulla né di male né di bene. 

Quanto alla castità come astinenza, poi, se ci pensi bene, non ha niente a che fare con l'amore: è una tecnica di "raccolta", che può avere un senso se si sa come utilizzarla, se no è solo fonte di squilibrio. È sì constatabile che, nei momenti di più intensa spiritualità, l'aspetto fisico-sessuale perde di importanza, ma ciò non significa che la cosa valga sempre, o che sempre ci si debba comportare come se vivessimo in uno stato che invece in quel momento ci è estraneo. 

Né è vero che l'ingiunzione dell'astinenza sessuale sia universale e antica: non è affatto propria né dei Veda né della Bibbia né del Corano. È invece un consiglio monastico per chi sa essere monaco, adatto a religioni di monaci come il buddhismo o certe forme di cristianesimo. 

Dici che Dio è incommensurabile. E incommensurabile è infatti l'amore, essendo esso stesso Dio. La maggior bestemmia, sia pure involontaria, è volerlo commisurare. Come commisurare l'amore di una madre per il figlio, di un innamorato per l'amata? Chi prova a farlo, è un pazzo. 

Bisogna anzi spazzare via tutto ciò che con l'amore non può coesistere, ogni piacere del limite, della condanna, ogni libro che dica di parlare di Dio trascurando l'amore... Ogni dogma che non risuona nel cuore è follia, ogni sistema che irrigidisce il sentimento è satanico. È satanico tutto ciò che rende difficile quel che è facile, oscuro quel che è chiaro, segreto quel che è palese. 

Quanto alla metafisica, è reale solo se si sposa alla percezione dell'incommensurabile, se no è una gabbia vuota, è la "scienza delle sbarre". 

Dio è presente, soltanto presente. Se non si ama, non lo si percepisce, pertanto tutto ciò che nel disamore se ne afferma è affermazione di un'assenza che non può essere Dio. È affermazione di un'ombra che dell'amore non ha la vita ma che solo ne rappresenta un'immagine deformata. Dio va visto dove si ama, altrove non c'è. Lì va visto, e non altrove, a costo di mandare al diavolo tutto quanto s'è studiato e affermato negli anni. 

È meglio un sorriso vero che mille volumi di un erudito pieno di aridità. La vita divina è un fiume che non si ferma mai; abbandonati in esso, le nostre potenze divengono armoniche; se invece arranchiamo contro corrente, la nostra fatica è enorme. 

Lasciamo perdere A maiuscole e minuscole: nella sfera della misericordia il giudizio è assente. Se mille volte peccherò e mille volte amerò, mille volte sarò perdonato, mentre non potrà essere perdonato chi si erge con un codice contro Dio, perché in quel modo afferma se stesso mentre estirpa le proprie radici.

   

16/2/2006

Licio - Mi parrebbe necessario, a questo punto, dare una definizione di "amore", ovverosia di che stiamo parlando. "Dio è amore" va bene, ma che vuol dire? Amore è un sentimento (derivato dai sensi)? Dio ha un sentimento? Ovviamente, no; diversamente sarebbe un Dio fatto Lui ad immagine e somiglianza dell'uomo, come molti pensano, non viceversa. Allora, cosa sia l'amore bisogna sentirlo? come la fede? Ma il "sentire" non ha la stessa derivazione di cui sopra? 

Le tue motivazioni sono assai convincenti e condivisibili, ma il dubbio si insinua tuttavia, è il mondo della qualità che si mescola con quello della quantità, Dio ed i sensi, il bello ed il brutto, il buono ed il cattivo. O il bene e il male, è lì che in definitiva si va a parare. In questo, ammetterai, ci può aiutare la metafisica. Se con Dio intendiamo l'Infinito Principio Supremo (uso le maiuscole per indicarne l'incondizionata assolutezza), tutto ciò che è, manifestato e no, ne discende per gradi; e, scollegato dal Principio, di per sé è relativo, diversificato, condizionato. Anche l'amore. Fin qui sto ripetendo la lezioncina; ma ciò che allora si deve fare, ed è ciò che più conta, è il mantenimento in attività del cordone ombelicale con il Principio, non per far discendere Lui al mio livello (panteismo) ma per ricordarmi che è Lui che rappresenta il termine del mio viaggio nella reintegrazione nel Principio (Amore di Dio). Diciamo le stesse cose con parole diverse? Ho l'impressione che sì. 

Ancora una cosa. Circa la castità non è esattamente come dici. È fuor di dubbio che nel Cristianesimo la castità sia posta ad un più elevato livello di spiritualità che non la condizione matrimoniale (delle altre non se ne parla nemmeno). In ciò sono chiarissimi sia Gesù che san Paolo. E, mentre può essere forse ammissibile revisionare san Paolo, andrei assai più cauto con Gesù. A meno di non seguire la moda corrente che guarda a san Paolo come "inventore" del Cristianesimo e manipolatore dei Vangeli a suo uso e consumo nella costruzione di un'organizzazione terrena. 

Dunque, Matteo 19,10: "Gli dicono i discepoli: Se tale è la condizione dell'uomo riguardo alla moglie, non merita sposarsi. Ed egli disse loro: Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto quelli ai quali è stato concesso. Ci sono infatti degli eunuchi nati così dal seno della madre, e vi sono degli eunuchi fatti tali dagli uomini, e ci sono di quelli che si son fatti eunuchi da sé in vista del regno dei cieli. Chi può comprendere comprenda". Ora, scartata naturalmente l'interpretazione che consiglierebbe l'autoevirazione a maggior gloria di Dio (interpretazione che sembrerebbe essere stata messa in opera da Origene su se stesso, ma io non ci credo, era troppo intelligente per una cosa simile), a me pare chiaro che Gesù intendeva dire che una vita dedicata volontariamente al Signore è spiritualmente la più elevata, per chi può... 

Ancora san Paolo, Prima Lettera ai Corinti, 7.25-35 (riporto per brevità solo la conclusione): "Colui che non ha moglie, si dà pensiero delle cose del Signore, e come possa piacergli; chi invece è ammogliato, si dà pensiero delle cose del mondo e come possa piacere alla moglie, sicché rimane diviso. Così pure la donna non maritata e la vergine si danno pensiero delle cose del Signore, per essere sante di corpo e di spirito; la maritata invece si preoccupa delle cose del mondo e come possa piacere al marito. Vi dico queste cose per il vostro bene, non per tendervi un laccio, ma in vista della nobiltà di tale stato, che facilita l'assidua familiarità col Signore, senza distrazioni". 

E Râmakrishna, che era un gran santo e indù, nello stesso concetto è convissuto per tutta la vita con la legittima moglie nella condizione di fratello e sorella, lo racconta lui stesso. Discutibile? Sicuro; però è così e non possiamo dire diversamente.

   

16/2/2006

Dario - Ma caro Licio, l'amore proprio non lo definisco! Come definire l'infinito? Nella sfera della definizione non c'è né amore né infinito. Quindi la metafisica esiste solo se non è definizione ma spazio. Senso dello spazio spirituale, e delle sue possibilità. La metafisica è simbolo, non schema. Sentimento metafisica quantità qualità sensi spirito... io credo di essermi espresso chiaramente: senz'amore tutto ciò non val nulla. E in questo sono paolino al 100%. 

Quanto alla castità, perché, anche qui, definire? La strada è molteplice, anche se uno è il fine. Dal momento che vi sono santi sposati e che il matrimonio è un sacramento, non vi è ragione di sostenere che l'astinenza sia meglio. Può invece essere talvolta, per certi aspetti, più facile. Ma più facile non vuol dire più vero. 

Vedi, uno cammina, va per la sua strada, e fa certi incontri: conta la sua risposta a questi incontri, sulla sua strada. Perdere tempo a parlare degli incontri altrui e dell'altrui strada, non solo non serve a nulla, ma fuorvia. 

Il peggior rischio dei sensi è che non si sappia riconoscervi il creatore. È più facile riconoscerlo nelle emozioni lievi che in quelle basilari, più facile vederlo nel cielo che sulla terra. Ma se togliamo al creatore la sua creazione, sragioniamo. 

Quando la Maddalena dai molti amanti viene perdonata perché ha molto amato, questo non esige una riconsiderazione pudica. Gesù non aveva bisogno di schermarsi gli occhi e la mente. La vita viene dalla morte e la morte dalla vita: tutto ciò è egualmente reale, o egualmente irreale. La Bibbia comprende anche gli amori di Salomone. 

Non c'è bisogno di gerarchizzare le esperienze, l'amore non ha limiti e non ha sosta, scioglie ciò che è rigido. Forse una delle sue migliori rappresentazioni è nel nonno che si adatta al nipotino. Non gli propone un sistema, ma cerca di aiutarlo a trovare le sue risposte. Altri possono consigliargli molte cose, ma lui segue il desiderio del bambino. Questi "altri", questi tentatori, siamo spesso noi e tutta la razza di coloro che credono d'essere nel vero; ma per fortuna il Nonno non ci ascolta se non nella misura in cui siamo noi stessi bambini.

   

17/2/2006

Licio - Ciò che è scritto è scritto. Sì, ce ne possiamo liberare con una scrollata di spalle, darne diverse interpretazioni, pur tuttavia resta scritto. E poco conta che io dica di condividere largamente le tue argomentazioni: ciò che ti ho riportato tra virgolette è stato detto e scritto dal Cristo e da san Paolo, senza se e senza ma... e io ho riportato solo due passi, ma potrei continuare. Lutero ha poi detto qualcosa di diverso, ma a lui preferisco i primi due. E quando tu dici che "la Maddalena dai molti amanti viene perdonata perché ha molto amato e questo non esige una riconsiderazione pudica", perdonami ma questa è una tua estrapolazione: è stata perdonata per la sua fede, oltre che per il suo amore (per Lui, non per i suoi amanti). Tanto è vero che all'adultera (quella della prima pietra) dice: " va', e d'ora in poi non peccare più" (Giovanni, 8). Mica gli ha detto "va' e fai quello che vuoi purché sia con amore"... Sennò ogni relazione adulterina sarebbe lecita e buona purché connotata dall'amore, come peraltro immagino avvenga in molti casi. Qui però non si tratta di dare dei giudizi che appartengono solo a Dio, ma di dare chiarezza ad un concetto, quello di amore, fonte di tante confusioni e malintesi. 

Insomma, anziché a cambiare idea mi convinco sempre di più che l'amore inteso in senso lato va preso con le molle e molti distinguo, ben lontano dall'essere quella pietra filosofale che tutto smacchia e nobilita. Se invece accettiamo la tua definizione che identifica l'amore con l'infinito e quindi con Dio, costituendone di fatto uno dei nomi, si sciolgono tutti i dubbi e le difficoltà e decade ogni barriera; ma allora è di quell'Amore - con la A maiuscola, scusa - che si parla, non di quello che si intorbida lungo la discesa "per li rami". 

   

19/2/2006

Dario - Su Maddalena si può discutere a lungo, come sul matrimonio. La mia penultima opinione in merito (l'ultima non la conosco ancora) è che un sacco di matrimoni non valgano un bel nulla, che celebrarli sia stato un insulto all'intelligenza spirituale e che in tali matrimoni l'adulterio non debba necessariamente configurarsi come tale. 

Quanto alla sessualità e a tutto il resto, ripeto con san Paolo che non vi è sapienza o capacità che valga qualcosa senza amore (o carità, se preferisci), quindi neppure l'astinenza, mentre con la tradizione cristiana ti ricordo che il matrimonio è sacramento, e che i celebranti ne sono gli sposi, e che "non può separare l'uomo ciò che Dio ha unito". Quindi come considerare un sacramento sanzionato da Dio come inferiore a un altro, cioè all'ordine? O peggio ancora, come ritenere superiore a un sacramento qualcosa come l'astinenza che sacramento non è (l'ordinazione sacerdotale non richiede per sé affatto l'astinenza, questa imposizione non è dogmatica, bensì disciplinare, tant'è che i popi sono sposati)? 

Gli insegnamenti tradizionali, Gesù e Paolo inclusi, sono espressi in relazione a circostanze, mai in modo astratto; questo li rende vivi ma al tempo stesso difficili da capire. Vanno adattati correttamente ogni volta. Il problema è che ognuno crede di saperlo fare, anche chi non ne sa niente.

   

1-2/3/2006

Licio - Per deviare un po' il discorso sull'amore, se lo chiamassimo "compassione?" 

Infatti, il concetto di "compassione", per lo meno nell'interpretazione dell'attuale Dalai Lama, si avvicina alquanto a quello di "amore" nella tua accezione. Nella mia, amore significa "unione", che al massimo livello di spiritualità concepibile è la fusione nel Principio (il "fuso ma non confuso" di Meister Eckhart). Tutto qui. 

Colgo invece nel tuo messaggio del 19/2 qualcosa di più che un accenno di relativismo (scusa l'abuso del termine che da qualche tempo se ne fa, ma non saprei come diversamente dire). È vero che gli insegnamenti tradizionali vanno adattati ai tempi (ed ai luoghi), come vero è che ognuno crede di saperlo fare; anche noi crediamo di saperlo fare, ma siamo tanto sicuri che noi stessi ne sappiamo così tanto? 

Guarda, questo te l'ho già detto una volta, mi pare giunto il momento di rendere il suo merito alla donnetta che si affida alla Provvidenza, che si esprime per il tramite della sua Chiesa, bella o brutta, ma che almeno la pone al riparo dalle più turpi devianze, quelle contro lo spirito... almeno spero. E questo riconoscimento, almeno teorico, dell'autorità della Chiesa Cattolica mi pare tuttora importante, anche alla luce dei magri risultati conseguiti nei secoli dalle Chiese Riformate, che di ciò che hanno ricevuto ben poco hanno saputo trasmettere. 

E li conosco anche abbastanza bene: vari Pastori, anche importanti, hanno frequentato nella mia giovinezza le case di mio padre e dei suoi fratelli, ché tutti avevano la "mania" della religione! Le loro interpretazioni strumentali ed utilitaristiche, per quanto abili ed erudite (oh sì, quello assai più che non i preti cattolici) non mi hanno mai convinto. 

In tal caso, allora sì, meglio la Chiesa Cattolica ed anche il Buddismo, almeno così come mi viene veicolato da Coomaraswamy (il resto non so).

   

2/3/2006

Dario - Ama e fa' ciò che vuoi... 

Relativismo o no, ultimamente danno all'uomo qualche milione d'anni e il Padreterno è per forza "più vecchio". La tradizione più vecchia ha al massimo cinquemila anni: come non essere relativisti? Panta rhei, anche l'ortodossia... 

Ho gran rispetto per le vecchiette, quando l'età dà loro senso del limite e saggezza, non però per le pettegole che passano il tempo a condannare. Circa la chiesa cattolica poi, sono in principio desideroso di essere d'accordo con te; ma quando di questi suoi rappresentanti ne vedo o incontro uno, rimango perlopiù deluso, qualche volta esterrefatto. Adesso pare che abbiano addirittura messo il copyright sulle parole del Vicario di Cristo, come a dire l'hanno messo sulle parole che dovrebbero condurre a Cristo... Pensa te: Gesù che predica solo se lo pagano... Povero Cristo e poveri cristi quelli che ne vorrebbero l'amore e trovano burocrati dello spirito... 

Quanto ai protestanti, so bene cosa vuoi dire, però mi resta nella memoria un panettiere mistico che parlando di Mosè si commuoveva. Era protestante, ma di certo Cristo non protestava contro di lui... M'è spiaciuto quando ha chiuso il negozio. 

Compassione, amore... van bene tutti i termini, basta che il cuore non sia freddo. Se è freddo il cuore, che è il vero atanòr, tutto diviene simulazione e nulla cuoce o nasce al di dentro.

   

3/3/2006

Licio - D'accordo su tutto, meno che sulla prima frase (Ama e fa' ciò che vuoi...); questa mi ricorda troppo il "pecca forte e credi ancor di più", magari ribaltabile a piacimento. È questo il relativismo di matrice protestante che non posso accettare, e ti assicuro che così la pensavano i Pastori Metodisti di cui ti dicevo; anche se poi, per carità, capisco bene che ognuno può e deve seguire la via che ritiene più acconcia al suo modo di essere e di sentire e con ciò conseguire grandi meriti, inarrivabili per qualche "ortodosso" di mia conoscenza. 

Non si voglia però mettere una tal frase in bocca a Cristo od a san Paolo, che non hanno mai detto qualcosa del genere, né alla lettera (che uccide) né in qualsivoglia dei rimanenti tre sensi nella cui chiave si possono leggere le scritture (filosofico-teologico, politico e sociale, esoterico – Guénon, L'esoterismo di Dante).

   

4/3/2006

Dario - Caro Licio, più che con me non sei d'accordo con sant'Agostino, giacché Ama et fac quod vis è una delle sue più celebri frasi, tratta da una sua omelia (7,7,8) sulla Prima Lettera di Giovanni. Cito da http://www.santagostino.info/pdf/ama_e_fa_cio_che_vuoi.pdf:  

«Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene». 

Era forse protestante anche sant'Agostino?

Quanto ai sensi della scrittura, temo tu trascuri l'anagogico, che non è semplicemente esoterico, ma è tutt'uno col mistico: Quo tendas, anagogia. Ora, si tende verso là dove è l'oggetto delle nostre speranze, e questo non è dissimile dall'amore.

Senz'amore non c'è nulla; dove c'è amore, c'è tutto. Dio è amore, e non c'è senso né vantaggio a limitare Dio.

Torno a citarti il notissimo cap. 13 (1-8) della Prima Lettera ai Corinti di san Paolo, trascrivendolo da http://www.lameditazionecomevia.it/innoamore.htm:

«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi l'amore,
sono come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l'amore,
non sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l'amore,
niente mi gioverebbe.
L'amore è paziente,
è benigno l'amore;
non è invidioso l'amore,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta.
L'amore non avrà mai fine».

Io temo proprio che preferire la scienza dei teologi o degli esoteristi a quella dell'amore non sia un vantaggio. Certo mette meno in gioco...

   

4/3/2006

Licio - Caro Dario, come non essere d'accordo con Agostino, Paolo e... con te? 

Dobbiamo però avere anche la sincerità intellettuale di ammettere che una frase messa lì, fuori dal contesto è altra cosa e dà adito ad interpretazioni "allargate" che né san Paolo, né sant'Agostino e men che meno Cristo hanno mai incoraggiato.

Potremmo fare l'analisi parola per parola dei testi che mi hai inviato, ed allora dovremmo ammettere che entrambi gli "autori" coniugano il verbo amare nella sua più alta accezione. 

Se poi la si vuole intendere diversamente, ognuno lo può fare. Come peraltro senza ombra di dubbio e senza mezze parole lo facevano quegli amici metodisti di cui ti dicevo; i quali, appunto, citando così la nuda frase (figurati se l'ho sentita poche volte, davo per scontato; è quella che loro maggiormente "amano", da cui il mio sospetto) giustificavano ogni sorta di amore, anche il più materiale. Fatti loro. 

Con tutto ciò, tu dici cose giuste, soprattutto in chiusura: questo è vero, è più comodo giocare agli esoterismi stando in tribuna che scendere direttamente in campo.

  

4/3/2006

Dario - Caro Licio, certo è chiaro che la frase era intesa da san'Agostino in senso assai poco carnale, se è questo che vuoi dire. 

Scorrevo ieri in Internet il suo trattato su Le nozze e la concupiscenza, e devo dire che lo trovavo terribile. Però penso che san Paolo fosse assai meno massimalista di Agostino, e Cristo assai meno di ambedue... 

Io non so che dire; spero che le interpretazioni secondo cui il sesso è maligna derivazione siano sbagliate, se no finirò all'inferno... Credo tuttavia che bisognerebbe analizzare il nesso tra sessuofobia e psicologia del convertito per capirci qualcosa. Temo anche che vi sia un fraintendimento circa l'astinenza sessuale, che può essere "tecnicamente" utile all'asceta che voglia accumulare particolari energie, ma non è da confondersi con la castità coniugale. L'idea di Agostino e di molti altri che il sesso sia da giustificarsi solo ai fini della procreazione, e il piacere un male necessario a questo fine mi sembra mostruosa, priva di compassione umana e di rispetto per la divina armonia del cosmo. Né mi fido di quanto viene da simili esagerati... 

Propendo invece a credere che taluno farebbe di tutto per dimenticarsi di essere nato "da un grumo di sangue", come dice il Corano, perché vorrebbe piuttosto sapersi di natura elevata, angelica. Questo porta però, come gli angeli ribelli, a disprezzare il creato, supponendosi da più di quel che si è, e disprezzando tutto ciò che non piace o ci ricorda la nostra vera origine.     

Da parte mia credo invece che ogni aspetto del creato vada ritenuto nobile, e così pure il sesso e il piacere, purché siano scevri di ogni elemento di sopraffazione. La Pietra nasce di materia vile, ma d'altra parte nasce anche dall'Oro. Questo vuol dire che la materia prima dell'opera è vile o aurea a seconda del cuore di chi guarda.

  

   

 

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