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DAL CANTICO DEI CANTICI A KABIR

Franco Orlandi & Dario Chioli

   

   

Franco Orlandi, 24/1/2008

Il piacere di vagare nell'oceano
della vita immortale
mi ha liberato da ogni interrogativo.
Come l'albero è nel seme, così
ogni malattia è nel porsi
delle domande.

Gentile Dario, trovo conforto in questa poesia di Kabir. [*] Per far tacere la mia mente che desidera trovare la via del Mistero.

[*] Questa poesia (n. LX), come quella che sarà riportata in seguito (n. XC), è tratta da: Kabir, I Canti a cura di Rabindranath Tagore, Red Edizioni, Como, 1999. Trad. it. di Barbara Brevi. Ediz. it. a cura di Massimo Jevolella. 

Mi pare, oggi, che non ci sia nulla da capire, da cercare, e se si vuole comprendere fin nei particolari e anche dietro di essi ciò che succede e scorre sopra e dentro questo grande palcoscenico che è la vita, si può certo indagare ma solo nella speranza di trascendere la mente.

Mi sbaglio se dico che lo studio della qabbalà ha come fine quello di far tacere la mente, superare i suoi labirinti producendo una sorta di cortocircuito?

Non vedo altra vera finalità. E poi, ancora, siamo noi a fare ogni passo verso la luce? Siamo lei come Dario ed io come Franco a volere la luce, ad aggiungere studio a studio, riflessione a riflessione? Non è solo l'Eterno, solo Lui, che ci sta conducendo per cercare ed infine trovare Se stesso? Non è in fondo Krishna stesso che conduce Ârjuna alla grossa crisi interiore di fronte alla battaglia di Kurukshetra e prepararlo così all'insegnamento che costituisce il segreto dei segreti, e cioè affidarci consapevolmente e completamente a Lui? 

È illusione che sia Ârjuna a compiere, con le sue decisioni, il suo cammino. 

All'azione di questo dramma partecipa tutto il mondo di uomini e popoli, e Krishna dirige la grande azione del Poema quale centro segreto e guida nascosta di ogni singolo uomo.

Ad Ârjuna tocca fare – o meglio "subire" – un "salto quantico" nella esperienza della sua coscienza che grida in quel doloroso momento: «È meglio ch'io mi lasci massacrare,disarmato e senza opporre resistenza, dai figli armati di Dhritarashtra. Non combatterò».

Che cosa può volere? O non volere? Lui combatterà perché Krishna lo vuole: l'Eterno, quando viene il momento, non ti tira forse per i capelli? E per strade ignote?

Quale importanza può avere il dubbio del mio pensiero di fronte a una qualunque via da intraprendere, o la ricerca di comprensione o ancora studiare o non studiare, quando è proprio Krishna a guidare il mio carro nella battaglia della vita? Non è il caso di espandere il silenzio, congiungere le mani, ritirare i giochi della mente che tutto vuole carpire, raggiungere, collegare, confrontare, giudicare, ricercare, imparare?

Ogni nostra azione è una pura illusione se crediamo che dipenda dalla nostra libertà. La nostra scelta non è decisiva, perché l'Eterno ha già scelto ed anche concluso la liberazione delle schegge di luce adombrate nelle qelippòth. Mi guardo e tutto mi pare che sia una faccenda tra Sé e Se stesso. Noi separiamo in continuazione ma c'è una sola ed unica coscienza che è già, ma non ancora, nello stato di luce.

A chi mi rivolgerò
per apprendere qualcosa dell'Amato?
Kabir dice:  «Così come non potrai
trovare la foresta se ignori l'albero,
nello stesso modo, non Lo troverai mai
nelle astrazioni».

   

Dario Chioli, 25/1/2008

Caro Franco, condivido la totalità delle sue interpretazioni. È vero, la mente deve cortocircuitare affinché altro emerga. Non beninteso sparire, essa ha una precisa funzione, come quella della bussola: troppo vicina al polo non segna bene, ma da lontano dirige.

In questo senso, secondo la mia interpretazione, la qabbalà – come altre tradizioni – mette a disposizione degli strumenti per riempirla di significati alternativi che, tutti insieme, facciano implodere il ragionamento ordinario in una serie di piccoli misteri, che alludono al Grande Mistero. In questo senso del segreto, del sentiero nuovo tra le macerie del vecchio, c'è già una strada, una strada che congiunge emozione logica e speranza.

Quanto ad Ârjuna, ebbene sì, anche noi come lui dobbiamo percorrere un cammino, combattere una battaglia contro le nostre predisposizioni naturali e acquisite, al fine di non esserne completamente determinati. Ma in tutta questa lotta, non deve sorreggerci la speranza di vincere, bensì quella di essere fedeli al nostro intento.

Perdere o vincere non è importante, è importante essersi mossi e commossi nella ricerca del vero.

Caro Franco, è vero che la faccenda è "tra Sé e Se stesso", ma in questo spazio, in questo "tra", ci può portare la nostra ricerca, in modo tale che perda per noi importanza tutto ciò che non è Sé e che in questa perdita di importanza troviamo davvero il Sé come fondamento di noi stessi. Ovvero, dobbiamo porci domande quando serve per procedere, combattere quando serve per procedere, e poi riposare alla fine nella consapevolezza di esserci arresi a Quello che è origine e fine del nostro intento.

Speriamo, a tal fine, che la vastità spirituale di Kabir possa pervaderci e rallegrarci e illuminarci.

   

Franco Orlandi, 12/2/2008

Caro Dario, continuo il mio studio sul Cantico dei Cantici

Purtroppo non ho trovato su di esso nulla di scritto da Buber od Heschel, che in passato mi aveva consigliato. Si trova invece in commercio una edizione di Mario Pincherle, ed. Macro. Lo conosce? Vale la pena prenderlo in considerazione?

Le dirò che più recito il Cantico e più grande si fa in me il senso di unità, soprattutto come richiesta che si dispiega nelle mie camere segrete. Vivo sensazioni d'altri tempi e avverto le segrete aspirazioni dello sposo e della sposa. Sto riscoprendo la Poesia come fulcro del mio silenzio,come desiderio della mia anima, come elevazione del corpo. Davvero la poesia è una medicina potente per la cura dell'anima?

   

Dario Chioli, 12/2/2008

Caro Franco, non credo proprio che valga la pena di occuparsi di Mario Pincherle o delle edizioni Macro.

Non consigliavo Buber o Heschel in quanto abbiano scritto sul Cantico (può ben darsi, ma non mi ricordo), bensì in senso generale. I testi chassidici infatti sono a mio avviso tutti pervasi dello spirito del Cantico (ma forse è l'anima che nel Cantico semplicemente trova il proprio Luogo congeniale).

Di specifico, dei libri che ho, mi viene in mente il Commento al Cantico dei Cantici di Rashi di Troyes, Qiqajon editore (io ce l'ho in un'edizione Fabbri), che mi ero dimenticato. Debbo a lei averlo ritrovato. Vedo che risolve come Ceronetti il passo iniziale del Cantico (o almeno così accade nella traduzione italiana), anche se resto poco convinto che sia legittima una traduzione così libera. Il testo è sicuramente interessante per vedere come interpretano gli ebrei.

Qiqajon ha anche pubblicato testi medievali di Guglielmo di Saint-Thierry e Rupert di Deutz sul Cantico, ma non li ho letti. In genere tutta la letteratura mistica cristiana, ovviamente, ne è pervasa. E ne è pervasa anche buona parte della qabbalà.

Del resto non è sempre un libro specifico ad illuminare. Spesso basta un'allusione, una parola, e questo lei ben lo comprende, visto come parla della Poesia. In effetti lei ha ben colto perché nel mio libretto sulla qabbalà citavo Jaufré Rudel.

Medicina sì, e anche rivelazione, e esito dal mondo del tempo. Naturalmente, perché così sia, dev'essere Poesia davvero. E questa Poesia può essere il nostro "mondo futuro", la memoria immortale che ci attende, e trapela già oggi dalla memoria mortale.

   

Franco Orlandi, 13/2/2008

La ringrazio molto delle indicazioni che mi fornisce. 

A volte sono preso da una certa ansia di giungere a qualcosa perché ho la sensazione di avere poco tempo a disposizione. Sorrido di me perché come ben sa, in campo spirituale, tutto ciò è superfluo. È che in certi momenti aspiro ad un possibile e infinito senso di pienezza....

   

Franco Orlandi, 8/3/2008

Gentile Dario, ho bisogno di lei. Non riesco a trovare libri di Heschel e Buber, in particolare I dieci gradini della saggezza di Buber e La discesa della Shekinah di Heschel, più i soliti eventuali sul Cantico. Sto anche cercando, ed in commercio non si trova, Il Pellegrino Cherubico di Angelus Silesius. Per caso ce l'ha?

Mi hanno regalato Il Cantico dei cantici e la tradizione cabalistica di Giuseppe Abramo e Nadav Eliahu Crivelli, ed. Bastogi. Lo conosce?

Recito spesso il Cantico e respiro le vie segrete tra maschile e femminile e a quanto pare ogni parola può avere un riferimento con altre parole e con i numeri. Il Cantico sarebbe stracolmo di riferimenti simbolici e metaforici. Voglio informarmi senza perdermi in sottigliezze e speculazioni che non ho la capacità di gestire, mantenendo il passo vicino all'animo del poeta.

Angelus Silesius dice: «Dio si dà senza misura: quanto più lo si brama, tanto più si offre e si concede». Bramare Dio. Come si può? Visto che il desiderio molto spesso spinge verso strade distruttive e autodistruttive: annullamento del corpo e processi mentali alienanti, meditazioni estenuanti e quant'altro.

Forse una bramosia con elementi di leggerezza e distacco, sulla quale non ci si deve fissare come un traguardo da raggiungere in una corsa che si vuole vincere?

   

Dario Chioli, 10/3/2008

Caro Franco, dei libri che lei cita ho Racconti chassidici. I dieci gradini della saggezza di Buber e Il Pellegrino Cherubico di Silesio, non la vecchia scelta uscita nei "Breviari dell'anima" Bocca, bensì l'edizione integrale con testo tedesco a fronte curata da Giovanna Fozzer e Marco Vannini e uscita nel 1989 per le Edizioni Paoline.

Il libro di Giuseppe Abramo e Nadav Crivelli lo conosco solo di nome, ma non ne so nulla e non ce l'ho.

Condivido la sua prudenza circa le sottigliezze, non bisogna perdervisi più di quanto sia utile al nostro spirito. Voler vincere può essere una buona cosa, ma solo se è una vittoria voluta e cercata nell'amore, altrimenti è solo un vincolo. Ma se è voluta nell'amore, questa vittoria è piuttosto una perdita, un disciogliersi di fronte all'altro, che allora non è più "altro".

   

 

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