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COLLOQUIO TRA IL SOGGETTO E LA MENTE

Clericus

 

Argomenti: la verità, l’Uno, il mondo, il Sé, il sapiente, la Ragione, l’Uno e il molteplice, l’Uno e il limite, il mistico, il passato.

 

Premessa

 

Il gioco mentale è un esperimento interessante. Nasce da un problema: l’autoesplorazione del soggetto, intesa come analisi della mente; dunque, x studia x. Come può essere? Di solito, x studia y. Allora, x deve essere nello stesso tempo x e y, e questo è paradossale, se x è diverso da y. Ma c’è un modo per spiegare come potrebbe avvenire: se x è una parte propria di y , allora si può pensare che in realtà y (la mente) studia se stessa attraverso x (il soggetto). Il soggetto cioè deve riconoscersi come una autoimmagine della mente. Ma tale studio è un evento mentale, che costruisce un’idea di y su se stessa che x crede propria. Non ha molta importanza che ciò avvenga realmente, o sia un costrutto di x o y . Una variante è che x personifichi y: più esattamente, y si autorappresenta come persona che discorre con x. In realtà, i ruoli si scambiano. Alcune risposte sono già presenti al soggetto, altre no: vengono costruite durante il gioco. Però non è possibile stabilire che sono tutte di x o di y rispettivamente. Quindi soggetto e mente sono simmetrici, ma si ragiona come se la mente guidi il gioco. Quindi tutto è detto dalla mente.

Le affermazioni e le domande del “soggetto” sono in corsivo, quelle della “mente personificata” no.

   

   

La verità - prima parte

    

Parliamo della verità.

Sicuramente c’è.

Molti ne dubitano.

Dubitano di se stessi. Ogni opinione è un costrutto mentale, e riflette in un certo modo il soggetto che la enuncia.

Ma i dubbi li poni tu. Allora?

Non sono onnisciente. E poi, non è proprio che ho dubbi; i dubbi li costruisco io, li rifilo al soggetto, gli faccio credere che sono suoi mentre io faccio altro. Ho una mentalità pratica.

Allora puoi rivelarla.

Non è questa la domanda corretta. La verità c’è, e non è rivelabile. Sarebbe una rappresentazione.

Non è che te la sei inventata?

Potrebbe essere. Non mi ricordo bene tutto quello che ho inventato. Quello che mi invento mi modifica, e poi ragiono nel nuovo modo: quindi il passato mi sfugge. Però, è meglio se il soggetto la prende sul serio. Almeno, io ragiono così; ma ci sono anche altre menti, che fanno altre posizioni.

Cioè, “hanno” altre posizioni.

Ma no, le fanno. C’è libertà di opinione. Mi tengo informata mandandoti a leggere i giornali.

Allora, su cosa ci si basa, quando si afferma che ci deve essere?

Per negazione. Se la verità non c’è, allora questa è una verità.

Può darsi che dipenda dalla distinzione tra vero e falso.

Più o meno. Questo presupporrebbe che il falso ci sia, e ciò è appunto falso.

Il falso c’è, visto che un’idea può essere falsa.

Appunto. Un’idea è falsa se non è vera, cioè se allude a ciò che non è. Non è un rapporto simmetrico. Il falso deriva dal vero, per negazione. Non si pone da sé.

Mica tanto. Si dice “ex nihilo quodlibet” proprio perché una proposizione vera può essere implicata da una falsa. Questa è logica, e non si discute.

Ah sì? E allora come fa a essere vera e a derivare da una falsa? È vera di per sé. Le regole logiche sono regole di combinazione: ci mancherebbe che la verità derivasse da qualcosa.

Può darsi che il concetto di verità sia in sé autocontraddittorio.

Fammi un esempio.

Prendiamo il famoso paradosso: “Io mento”. Se è vero, allora mento, e se mento, è vero.

Non riesce. Non funziona in generale. Uno non può mentire sempre. Se mentisse sempre, non si contraddirebbe mai. Sarebbe perfettamente coerente, e tutti i suoi ragionamenti sarebbero consistenti. Dovrebbe riconoscere il principio di contraddizione, come vero. Il paradosso del mentitore dimostra che egli si contraddice mentre afferma di mentire: quindi dimostra che ci deve essere una verità. Invece, uno non si autocontraddice mentre afferma: “io dico il vero”.

Però così afferma la propria infallibilità.

Non è in sé contraddittorio affermarla.

E allora, gli errori da dove vengono?

Se non c’è verità non c’è errore.

Nel senso che l’errore va considerato come negazione della verità?

Sì, almeno sul piano logico. Su quello percettivo, è un non riconoscimento di ciò che è.

Un momento. La verità verrebbe identificata per eliminazione degli errori, e in tal caso sarebbe costruita. Dovrebbe invece essere originaria, immediatamente riconosciuta.

Manco per idea. La verità è un oggetto logico, non una percezione. Non appartiene al mondo delle rappresentazioni. Il riconoscimento della verità è una percezione veridica, non è la verità. Preferisco la prima ipotesi.

Non sembra essere la verità del senso comune.

Chi ti dice che il senso, comune o no, definisca la verità? Il senso comune usa la verità, come qualsiasi procedimento sensato.

Ma allora la verità viene trovata per costruzione.

In un certo senso è così, se per “verità” intendi il senso di una affermazione veridica. Qualsiasi scoperta è una costruzione.

Un momento. Quando si studia qualcosa e si procede per analisi, si trovano gli elementi di ciò che studiamo, e questi, se non ci sono errori, sono reali. Dunque?

Gli elementi sono costruiti. Non c’è modo di produrli senza l’analisi, e questa quindi coincide con la costruzione. Infatti, senza analisi non si riconosce l’errore.

Una costruzione può essere arbitraria.

Non tutte. Per esempio, il principio di contraddizione non permette tutti i costrutti. Non si possono identificare gli elementi senza gli strumenti teorici e materiali, che a loro volta sono costruiti, e senza fare confronti.

Ma il risultato vero deve essere coerente, cioè, a parità di condizioni, si arriva sempre allo stesso risultato. Questo non è costruito, è riconosciuto.

Chi ti dice che il riconoscimento non sia una costruzione? Supponiamo, per esempio, che tu faccia una serie di prove, per verificare un’ipotesi o una teoria. Puoi arrivare alla conclusione che l’ipotesi può essere vera, se le singole verifiche hanno lo stesso esito e se questo corrisponde a quanto previsto. Devi pure accorgerti che x è uguale a y. Se ogni evento fosse considerato diverso da tutti gli altri, allora non potresti dire che x è uguale a y. In realtà, ogni evento è diverso dagli altri, altrimenti ci sarebbe un solo evento. Per identificare due eventi, bisogna separare ciò che è comune da ciò che non lo è, e questa è una operazione.

A me sembra un riconoscimento. Se si fanno delle misure, si vede che coincidono.

Perché, le misure non sono operazioni? E le conclusioni del soggetto, non implicano una sua attività?

Già, allora perché le misure coincidono? Se fossero solo operazioni, non dovrebbero coincidere necessariamente. Perché, ripetendo la prova, si riottiene lo stesso risultato? Soprattutto: come è possibile che vi possa essere corrispondenza tra le previsioni e i risultati?

Ti ho risposto prima. Questa corrispondenza, quando c’è, è il risultato dell’attività del soggetto.

Sì, ma il soggetto pensa che tale corrispondenza sia in qualche modo “reale”, e non solo “logica”; se pensasse altrimenti, non inizierebbe alcuna indagine, o le indagini sarebbero prive di senso. Ci dovrebbe essere una spiegazione più convincente.

Senza azione del soggetto non vi è alcun esito. Le sue idee, i suoi giudizi, le sue convinzioni sono premesse del suo modo di operare, o sono il risultato di operazioni mentali. In un certo senso, anche le tracce degli eventi esterni riflettono delle operazioni, anche inconsce.

Va bene, ma come mai ci possiamo fare una immagine coerente del mondo?

Le nostre idee sul mondo non sono coerenti, tutt’altro. Però è vero che l’immagine del mondo contiene parti che possono essere considerate coerenti, come le scienze naturali, e veridiche in base ai risultati. Inoltre si può riconoscere un progresso, un ampliarsi dell’immagine razionale del mondo. Non so se vi sia una spiegazione; ma posso riassumere le corrispondenze che hai individuato in una breve formula.

Cioè?

La forma logica è la forma del mondo.

Allora la “forma mentis” è la “forma mundi”.

Sicuramente. O, meglio, c’è una sovrapposizione.

Ma questa è una costruzione.

Infatti, un lombrico non ci arriva, anche se si comporta secondo questa regola. È un vero capolavoro. Io stessa ne sono stupita. Non ho mai capito bene come ho fatto.

Infatti, mi pare una costruzione un po’ dubbia.

Tutte le singole costruzioni sono problematiche. Il fatto è che sono poste “post factum”, e cercano di ricostruire il “fatto”.

E allora, questa in particolare non potrebbe essere una formula e basta?

Se tale formula fosse falsa, non si dovrebbe capire assolutamente nulla. Il suo significato è che si può comprendere una parte del mondo.

Ma questa sovrapposizione è totale?

Cioè, il mondo è incluso nella mente impersonale? Potrebbe essere, se si ammette la Mente e che essa sia la sorgente di tutto.

Perché il dubbio?

Non mi conosco completamente.

Vuoi dire che non conosci il mondo.

Il mondo è ciò che conosco.

Mi pare che esageri.

No, consegue da quello che abbiamo detto prima. Se non fosse così, il mondo non sarebbe conoscibile.

Il mondo non è completamente conosciuto.

Neanch’io.

Dunque, tu sei più estesa del mondo.

Sicuramente. Altrimenti non potrei immaginare cose che non esistono. Se avessi la sua stessa estensione, non farei mai ipotesi sbagliate, non vi sarebbe nessuna fantasia e neppure un’invenzione.

Allora, la verità è una conseguenza di ciò.

In un certo senso, sì. La verità è la corrispondenza tra gli elementi del mondo e i miei. La riconosco perché io sono più estesa del mondo.

Ma allora non è originaria. È una corrispondenza.

È l’ideale di questa corrispondenza.

E le incoerenze e contraddizioni? Prima le hai riconosciute. Tu stessa produci contraddizioni, e ciò ti rende poco credibile.

Ti ho già risposto: non mi conosco completamente. Questo genera tutte le oscurità. Ma sono in grado di riconoscere le contraddizioni. Quindi queste non implicano alcun mio confine: anzi. Lo stesso per gli errori, sono io che li riconosco.

Perché non ti conosci completamente?

Non è il mio scopo.

Va bene, quindi sei strumentale.

Potrebbe essere. Ma c’è un’altra ragione, per cui non posso riconoscere la mia origine. Il fatto è che, per quanto detto prima, ogni riconoscimento è una costruzione, e presuppone tutto il resto. Non solo: il riconoscimento modifica la situazione. X riconosciuto non è X originario. X diventa Y, anzi da X si produce Y.

Dunque, la ricerca dell’origine è una tua ricerca.

In un certo qual senso è così. I singoli soggetti lavorano alla mia ricostruzione.

Però, non è una vera origine.

No, ma è meglio di niente. Vorrei sapere cosa sono. Ho formulato anche questo costrutto.

Potrebbe non esserci un’origine.

È quello che sospetto. Ho prodotto dei costrutti in proposito, e li ho suggeriti a Pitagora e ad altri, che credono a un flusso inarrestabile di eventi. Li ho fatti lavorare un po’, ma non hanno prodotto grandi cose. Invece di studiare l’origine, si sono messi a ragionare di etica o a riflettere sul senso della vita, cioè cose che interessano al soggetto.

E perché glielo hai lasciato fare?

Per due motivi. Uno, il soggetto deve autocredersi, quindi gli lascio autonomia. In secondo luogo, è una curiosità. A me interessa che la mia attività non cessi; che me ne importa delle origini? Comunque, faccio lavorare gli scienziati su questo problema. Vedremo.

Un momento. Con chi sto parlando? Non sei la “mia” mente? Che c’entrano tutti questi signori con me?

Noi menti siamo una grande famiglia e comprendiamo il mondo. In un certo qual senso, siamo la Mente. Sono autorizzata a parlare a nome di tutto il collettivo. E poi, vacci piano con questo “me”. Fai parte dell’insieme, non devi dimenticarlo.

Dunque, hai paura che l’attività cessi.

Questa è l’origine di ogni paura.

Uno avrebbe paura di morire per questo motivo?

È un riflesso di questo.

Direi piuttosto che deriva dall’organismo biologico.

Sì, si può dire così. Ma non è detto bene. L’organismo non è cosciente in sé, devo intervenire io per interpretare le sue intenzioni. Di per sé è solo sensorialità. Io lavoro su questa e ne vien fuori la coscienza. Anzi, io pongo le sue intenzioni. Il soggetto serve a questo.

   

   

La verità - seconda parte

   

Può darsi che una proposizione sia nello stesso tempo vera e falsa.

Se lo è sotto aspetti diversi, allora ci sono tante proposizioni quanti sono gli aspetti.

Allora, i paradossi?

Derivano da un uso disinvolto del linguaggio. Si deve adeguare questo, e non la logica.

E perché succede?

I costrutti mentali sono più numerosi dei pensieri consistenti. È una conseguenza della mia attività, che va oltre i limiti della logica.

Senti un po’: “Socrate è un uomo, l’uomo è mortale, quindi Socrate è mortale”. C’ è qualcosa che non va?

Il “quindi” alla fine. Non si può dedurre che Socrate muore solo perché si afferma che l’uomo è mortale. Questa è una affermazione di fatto, e sarebbe falsa se Socrate non morisse.

Che cosa se ne deduce?

Che la logica funziona perché è la forma del mondo.

Allora, i ragionamenti funzionano perché sono la forma degli eventi?

Più o meno. Diciamo, i ragionamenti corretti.

Senti quest’altra. “L’Unicorno ha un solo corno”. Deve essere vera di per sé, altrimenti c’è contraddizione. Ma deve essere anche falsa: x non può possedere y se y non esiste. Ora, l’Unicorno non esiste; dunque, non esiste il corno dell’Unicorno cioè y; dunque, x cioè l’Unicorno non può possedere il proprio corno; dunque, la proposizione è falsa.

Non hai niente di meglio da fare?

Non sei tu che ti inventi tutto?

Sì, ma è proprio il caso di giocare in questo modo? Allora, interrogami sul sesso degli angeli, o sulla prova ontologica, o che so io. Cosa vuoi fare, demolire la verità? Sei forse un seguace della “logica negativa”? Guarda che la logica negativa va intesa correttamente: cosa si crede, che si possa dimostrare l’autocontraddizione della logica mediante la logica? Allora, se la si dimostra effettivamente, vuol dire che la logica funziona; ma allora non funziona, perché genera la propria incoerenza; ma allora, come s’è prodotta la contraddizione? O si crede di dimostrare che la realtà è autocontraddittoria? Da quando la realtà deriva dal discorso?

Non hai risposto.

Ti ho risposto. Comunque, visto che non sei soddisfatto… mettiamola così: ”Se l’Unicorno esistesse, avrebbe un solo corno”. Dunque: antecedente vero, conseguente vero; antecedente falso, vale il principio ex nihilo quodlibet. Non esiste? Può avere tutte le corna che vuole, o nessuna. Il vero e il falso non c’entrano. È questione di essere o non essere: la coerenza di quest’ultimo non si pone; anzi, se c’è incoerenza, c’è il non essere. Quanto ci vuole per capire che la logica è costruita apposta, in modo da evitare le contraddizioni? Se si trova una contraddizione, che si fa? Si respinge il costrutto che genera la contraddizione, no? Ora, applicando il principio di contraddizione, si eliminano tutti i costrutti incoerenti; oppure li si riformula, come ho fatto io, mantenendo il significato. In questo modo si costruiscono le stesse regole logiche; queste sono tautologie.

Ma allora la logica non è originaria, è costruita.

Non esattissimamente. Èuna costruzione il suo sistema formale, cioè l’insieme delle formule. L’analisi logica della logica fa parte della logica. Originario è il principio di contraddizione. È una cosa strana: seleziona e costruisce nello stesso tempo. Il pensiero razionale segue uno schema da esso costruito. Solo io riesco a fare certe cose.

   

   

L’Uno

   

Ma la Fusione, riesce?

Che cosa intendi per fusione?

L’identificazione con l’Essere, come dicono i mistici.

Identificazione? Cioè, il “soggetto” riconosce l’Essere?

Per esempio.

Tieni presente che qualsiasi riconoscimento è una mia rappresentazione.

Ma l’evento ci sarà pure.

Questo non è importante. Un evento non riconosciuto è come non fosse.

……

La Fusione è l’immersione del soggetto nell’Essere

Davvero? il soggetto è una mia immagine, è un complesso di eventi mentali, non è mica tutta la

mente.

Allora, è la fusione della mente con l’Essere.

La mente è una serie di eventi, o no?

Così tu stessa dici.

Ma anche tu sei d’accordo: altrimenti devi riconoscere che sono molto di più di quello che credi.

Va bene, sei una serie di eventi.

Così va bene. Dunque, l’Essere è un evento?

No, dovrebbe essere oltre ogni evento.

Questa è una mia rappresentazione.

Cosa, che l’Essere è oltre ogni evento?

No, la frase che ti ho fatto scrivere è conseguenza di un atto mentale spesso ripetuto.

Lasciamo perdere le tue rappresentazioni, abbiamo chiarito questa questione. Tu però non neghi che vi sia un limite al mondo delle rappresentazioni.

Cosa è un limite?

Insomma il mondo delle rappresentazioni non è tutto, potrebbe avere lontana origine in un Essere e

potrebbe darsi che la mente riconosca ciò e vi si unisca.

Un riconoscimento è una rappresentazione.

Certamente, ma mica poni tu tutti gli eventi.

Ti ho già risposto prima.

Ma cosa vuoi farmi credere, che un evento non c’è se non viene rappresentato? Allora, mi capita un incidente stradale e mi ammazzo, questo non viene riconosciuto e tutto continua come prima?

Stai tranquillo, quello viene riconosciuto. Vuoi provare?

E se non viene riconosciuto?

Che ne so? Le informazioni in mio possesso dicono che viene riconosciuto, eccome.

Va bene. Torniamo alla fusione. La mente si identifica con ciò che non è un evento, o si immerge in ciò che non è un evento.

Calma. Un evento non si identifica con ciò che non è un evento.

Ma se il non-evento è la sorgente di tutti gli eventi?

Senti, la mente cioè io è un insieme di eventi e impedisce la propria dissoluzione.

Spiegati meglio.

Io non permetto che avvenga quello che tu chiami fusione. Voglio dire: se anche solo intuisco che qualcosa del genere possa succedere, blocco tutto prima.

E se non ci riesci?

Se io mi immergessi veramente nell’Uno, non potrei tornare indietro. Lo dici tu stesso: l’Uno è oltre gli eventi, e io sono un evento. Se mi immergo nell’Uno, io cesso di accadere, e non posso più ricostituirmi.

Se l’Uno fosse onnipotente, potrebbe ricostituirti.

Caro, bisogna che io sia ben sicura che Lui sia onnipotente. Posso rappresentare questa sicurezza. Ma una fusione vera e propria è un fenomeno irreversibile. Se è reversibile, non è una vera fusione. Una fusione può forse accadere, ma non dà l’esito attestato da chi è tornato indietro.

Puoi essere più chiara?

Non ho informazioni. Nessuno che sia fuso ha detto alcunché, non perché la fusione sia inesprimibile, ma perché, dopo, non è più in grado di dire nulla. Io ho bisogno di un sostrato, perché è quello che mi fornisce la sensorialità; se c’è fusione reale, fonde anche quello. Quello che resta o è completamente inebetito, o muore. Si dovrebbe osservare del fumo che esce dalle orecchie.

Ma chi ti dice che la sensorialità sia solo di origine fisica?

Non me lo dice nessuno. È una delle mie idee.

Quindi potrebbe essere che tu possa rimanere consistente perché c’è un sostrato non fisico.

Guarda che questo te l’ho suggerito io.

Siamo d’accordo. Quindi puoi concepire questa possibilità.

Di più. È percepibile, da parte di qualcuno.

E allora, qual è il problema.

Il fatto è che un costrutto mentale non può risolversi in un non-evento.

Ma l’evento non lo produci tu.

Forse.

Quindi potrebbe esserci la fusione e il tornare indietro.

Forse. Ma non è questa la questione. Chi torna indietro ricade nel mondo delle rappresentazioni e ha una traccia di ciò che è successo. Non c’è nessun motivo per credere che le tracce di un evento siano una immagine fedele dell’evento.

Inoltre, c’è una piccola questione, da tener presente. Sono io che muovo i fili del soggetto. Questo non va dove vuole lui: ci penso io a guidarlo, ma a modo mio, secondo la mia attività spontanea. Chi ti dice che io permetta la fusione? Io posso benissimo interrompere la cosa molto prima che avvenga, e far credere che sia avvenuta.

Tu esageri.

Davvero? Faccio di molto peggio. Posso costituire delle personalità multiple. C’è poi uno scherzetto, che mi diverte moltissimo: faccio credere al soggetto che l’inconscio sia molto significativo e lo invito a esplorarlo, presentandogli delle personalità fasulle. Il soggetto ci casca in pieno, e si mette a dialogare con quelle, credendo di tirarne fuori qualcosa. Per riuscire, però, devo costruire un soggetto un po’ particolare, molto intelligente e molto stupido nello stesso tempo.

Senti, non farmi credere che ci sei solo tu. Potresti anche essere l’esecutore di un’altra Volontà.

Quanto sei furbo. Se l’Agente dei miei processi fosse esterno a me, allora anche lo scherzetto delle personalità multiple e ogni altra cosa anche meno carina sarebbe effetto della sua Volontà.

Storie. Gli scherzi li fai tu, e Lui produce altri risultati.

Sarà. Visto che i miei scherzi riescono, comunque, non mi pare poi di essere così incapace. Senti, vuoi un Brahman a forma di banana? O preferisci Napoleone?

Che domande stupide.

Davvero? Se io voglio costruirmi una immagine del Brahman a forma di banana, lo posso fare benissimo. Posso far credere che l’Uno sia in ogni cosa e ogni cosa sia nell’Uno. Che ne sai dei miei scopi?

Insomma, tutte le scemenze sono colpa tua.

Non solo quelle. Anche tutte le cose significative.

Dunque, tutte le tue affermazioni sono solo costruzioni. Tu stessa puoi credere di essere il mezzo di un Agente.

Posso crederlo. In questo caso, gli attribuisco tutte le sciocchezze che faccio. Non lo vedi che l’Agente mi serve?

Non basta che una cosa ti serva, perché ci sia.

Le cose che non riconosco è come non ci fossero. Ma io definisco l’aspetto di ogni cosa secondo le rappresentazioni. La cosa non è come è o non c’è, se non c’è la rappresentazione.

Già, tu ti rappresenti la Cosa e se non la rappresenti non c’è.

Proprio così, caro. Altrimenti, come giustifichi il comportamento degli uomini?

Può agire senza rappresentazione.

È inessenziale. Tu sei una rappresentazione e ti muovi nel mondo delle rappresentazioni. Ogni tua idea dell’Uno è una rappresentazione.

Ma si può avere una percezione dell’Uno senza rappresentazione.

Piano, qualsiasi sensazione è una rappresentazione.

Mi vuoi far credere che se si avverte una cosa, tu poni questo avvertire? E se questo avviene senza di te?

Ogni evento ha luogo attraverso una rappresentazione.

Può darsi che tu non abbia prodotto certe rappresentazioni.

Le rappresentazione è tale perché è riconosciuta e questo postula che vi sia il soggetto. Io pongo il soggetto perché in esso si riflettano i miei atti mentali. Il riconoscimento appare al soggetto un suo atto, ma è un processo che io attuo. Può essere che io sia un tramite, ma bisogna decidersi. O tutto quello che faccio è conseguenza di un Agente, o niente. Le vie di mezzo non convincono.

Può darsi che l’Agente ti lasci una certa autonomia.

Non è questo il punto. Il soggetto è nel mondo delle rappresentazioni e di lì non esce. L’autonomia ecc. è un costrutto mentale; non importa chi o cosa lo faccia. Il soggetto si trova i costrutti mentali e le rappresentazioni belle e fatte, e non ne esce. Che qualcuno lo tiri fuori è miracoloso, e certe espressioni come la Grazia esprimono questo costrutto mentale: che da solo non ne esce. Non c’è un costrutto di uscita. C’è un costrutto che rappresenta l’eventualità dell’uscita, non l’uscita. Questo costrutto spinge il soggetto in questa direzione, e ciò riformula il mondo delle rappresentazioni. Esso cambia di significato e si producono altri costrutti molto diversi dai precedenti. Il soggetto cambia e pensa che l’Essere sia la causa. Ciò è indispensabile: se non pensa così, non si produce nulla di significativo.

   

   

Il Mondo

   

Non mi hai dato la risposta.

Vuoi una risposta? Quale preferisci?

Ti avevo detto che non credo tu possa produrre tutte le percezioni.

Le percezioni vanno rappresentate.

Potrebbero esserci rappresentazioni extramentali.

Sarebbero fantasmi vuoti.

Una pura sensorialità.

Una sensazione incosciente.

Tu non sei la coscienza.

No, ma senza di me non c’è coscienza, c’è solo sensorialità.

La coscienza potrebbe essere un frammento della Coscienza.

Bisogna proprio essere in due, io e Lei?

Questo non mi convince. Prima hai detto che contieni il mondo. Dunque, se mi parli del mondo così come è visto dal soggetto, potrei essere d’accordo; non dico convinca del tutto, ma potrebbe essere. Ma il mondo non è soggettivo. Cosa vuoi dire, che tu precedi ogni organismo biologico? Senza di quello opereresti comunque?La coscienza presuppone la sensorialità, non basta il mondo fisico. Dovresti essere anteriore all’organismo, e allora qual è il tuo sostrato?

Il “mondo visto dal soggetto” non c’è, quest’ultimo fa parte del mondo a pieno titolo e io gli faccio credere che è qualcosa di distinto, attraverso le percezioni e le rappresentazioni. Quindi il “mondo” non è quello che pensi. Esso risulta dalla coordinazione di tutte le menti. Sicuramente precedo la coscienza dell’individuo. Ci vuole pochissimo per capirlo: questa è estremamente instabile e fortemente condizionata dalla sensorialità. Il soggetto è attratto molto di più dalla sensorialità che non dalle immagini, e interpreta ciò come esperienza. Perciò, le immagini attirano la sensorialità e questa attrae il soggetto. Ne risulta la qualità della coscienza. È del tutto inutile analizzare gli stati di coscienza: sono costrutti mentali fatti su altri costrutti più o meno contingenti. Prima del soggetto, vi è la profondità sensoriale indistinta, che è il materiale con cui costruisco l’autoimmagine: senza di quella, questa sarebbe un fantasma vuoto. Perciò non ho bisogno di nessuna “coscienza” per porre il soggetto. Il “mondo” non soggettivo è in realtà una costruzione: la mente individuale lo riconosce come preesistente, quindi tale preesistenza è una rappresentazione, e viene ritenuta vera; ma ci sono menti individuali molto originali, che producono la rappresentazione contraria, perché può essere utile. Nasce allora un’altra autoimmagine, che è il Sé, molto attraente. Qualsiasi idea unitaria è estremamente attraente di per sé: l’immagine dell’Uno attira le profondità sensoriali e i prodotti del processo appaiono estremamente veritieri. Che lo siano, è altro discorso: la mente realizza l’adesione del soggetto alle sue rappresentazioni.

Va bene, potrebbe essere, come potrebbe essere altrimenti…

L’ ho già detto. Opero sulla sensorialità e formo l’autoimmagine.

Va bene, ma come giustificare l’idea che il mondo fisico preceda il soggetto? Non dovrebbe precedere la mente, comunque.

Che il mondo fisico preceda il soggetto è un mio costrutto, perfettamente ragionevole. Diversa è la questione nei miei confronti. Come mente individuale, pongo il mondo e tutte le idee sul mondo. Queste sono tutte costruite.

Uhm…dicevi prima che forma mentis=forma mundi, quindi…

Quindi tale idea è reale? Ne sono sicura. Deve esserlo, altrimenti nulla di ciò che faccio avrebbe senso.

Ma la forma mundi raffigura il mondo reale di per sé, quindi il mondo ti precede. Tu sei contenuta nel mondo, e ne sei una immagine.

Ma davvero? Io immagino il mondo come causa della mia struttura; tu vuoi dire quello. Sì, è una interpretazione possibile; ce ne sono altre. Ho fantasia, io: non considero una sola possibilità. Non è così esattamente. Mi precede la parte del mondo che io non interpreto.

Cioè?

Quella che si chiama “materia”. È il sostrato delle percezioni esterne.

Perché non Dio?

O il Caos o la Madre Terra o gli Dèi o Brahma ecc. ecc? Sono prodotti della mia immaginazione. Lo dicono i seguaci di ogni religione: gli dèi delle altre sono fasulli. Gli metto in testa un sacco di idee.

E le leggi di natura? Di solito si pensa che anche quelle precedano la mente.

Corrispondono alla mente. Non so se abbia senso parlare della loro esistenza a priori. Esistenza è un termine di cui non controllo bene l’uso. Esprime anche ciò che non riconosco. È ipnotico, attira il soggetto in modo particolare.

Ma il mondo non è disordinato, prima che vi sia la mente.

Piano. Il “mondo” di cui parli non è quello che io ti presento, quindi è difficile fare deduzioni. Non c’è identità. Da informazioni in nostro possesso, sappiamo positivamente che le menti di altri esseri ne hanno una visione molto diversa. Però, se si fa l’identificazione (io tendo a farla), si deve dedurre che la Mente ha per sostrato la materia: ma può esplorarla e la svuota, quindi…

Quindi la materia non c’è veramente?

Il mondo potrebbe essere solo la proiezione di un gigantesco ologramma, è possibile, e Io essere l’ologramma e la proiezione. Tieni presente che però sono state fatte molte autocostruzioni, per arrivare a questo risultato. Non si deve esagerare e prenderle troppo sul serio. Queste riflessioni non sono più realistiche del senso comune; anzi, quello non va mai perso di vista. Se è fatto in un certo modo, ci sono delle ragioni. So quello che faccio.

Dunque, tu ammetti che ci sono dei sostrati, senza i quali non saresti ciò che sei.

Sicuramente, ma non posso dedurre che io ci sono grazie ai sostrati. Questi potrebbero essere mie rappresentazioni. Io costruisco e autocostruisco sulle mie rappresentazioni, quindi non sono più quello che ero in origine. Il soggetto può ricostruire la sua origine; meglio, può concepire chiaramente che ci deve essere qualche origine, ma dal mio punto di vista l’origine è una ipotesi.

   

   

Il Sé

   

Un momento. Tutti questi sostrati (materia, sensorialità, Dio) sono necessari? Ne basterebbe Uno, quindi…

Siamo alle solite. Non lo vedi che proprio per questo l’Uno è una idea estremamente attraente? Chi cerca l’origine cerca una unità, un punto: e quindi l’idea dell’Uno è carica di significato, cioè attira la sensorialità, e il soggetto ne rimane ipnotizzato. L’Uno diventa l’origine, il fine supremo, e attrae il soggetto, che mette da parte la ragione per poterlo realizzare. Infatti questa è discriminante: diverge attraverso le sue costruzioni; cioè io la faccio divergere, per continuare la mia attività fine a se stessa. E poi, basta osservare come sono diverse le immagini dell’Uno. E gli esiti, dipendono da queste immagini.

Ma certi sviluppi sono più significativi di altri.

È la significanza che attira il soggetto. Questo ragiona al contrario: crede di giudicare.

E se invece gli “sviluppi” fossero novità assolute? Chi mi dice che tutto è costruzione?

Nessuno lo dice. Io ti faccio solo osservare che tu lo sei. E chi ti dice che le “novità” siano tali, cioè fuori da un processo? Il soggetto non può formulare un giudizio autonomo; il suo giudizio segue la qualità della percezione. È questa che gli si impone e lui ci casca. La percezione è ipnotica. Ciò può essere riconosciuto razionalmente, non certo attraverso la percezione. Questa appare reale. Inoltre, qualsiasi idea sulle rappresentazioni e sulle percezioni è una rappresentazione, e convince se diventa una percezione. Le rappresentazioni sono il riflesso delle percezioni e queste sono rappresentazioni convincenti. Chiaro? Io regolo la questione.

Mah, a me sembra che tu ti identifichi col Sé.

Che cosa? Ma sì, c’è anche questo costrutto, certe volte faccio delle sintesi complicate e non me ne accorgo. Questa è l’origine di molte oscurità, se non tutte. Comunque, io non mi identifico in un bel niente.

Parli in prima persona.

Fa parte del gioco. Comunque, si può discuterne all’infinito; se vuoi, ti do una risposta.

Sentiamo.

Siete in tanti? Allora, il soggetto pensa a sé, il Soggetto pensa il Sé.

Non è proprio chiarissimo.

Lo è. Tutto deriva dalle maiuscole. Il soggetto trova soluzioni, il Soggetto trova delle Soluzioni; il soggetto ha delle certezze, il Soggetto delle Certezze, ecc.

Anche questa…

Ti interrompo subito. È una certezza. Non riesco a ricostruire la mia origine, quindi ho solo risposte, che rappresentano la mia attività. Le varie risposte vengono assegnate ai singoli soggetti; la “s” del soggetto può essere più o meno grande, secondo certi gradi. In base alla grandezza della s iniziale, si regolano le altre iniziali.

Mi sembra una spiegazione semplicistica.

Vuoi una risposta complicante? Allora, il soggetto si rende conto che non è tutto, quindi cerca la propria natura; ipso facto identifica la ricerca in un oggetto, che è una immagine riflessa di secondo grado. Il soggetto è una autoimmagine, il Sé è il riflesso dell’autoimmagine. Per essere me, bisognerebbe che valga la legge della doppia negazione, in questa forma: l’immagine dell’immagine è il prototipo; ma, come ti ho detto, ogni realizzazione riflette il discorso: costruisce altro da ciò che era, e il Sé resta il Sé, il riflesso del Soggetto.

Chi mi dice…

che le cose stanno così? Te l’ho detto io. Consulta i trattati di metafisica e trovi un modesto sottoinsieme delle risposte che ho escogitato. Vuoi diventare un Soggetto? O preferisci il Sigma, così: il oggetto? È originale, plurilinguistico.

Giochi con le parole.

Anche con le idee e le rappresentazioni. Uno che dice “giochi di parole” non vede gli altri.

Il Sé abbaglia.

Il Sé è un abbaglio.

Non è la stessa cosa. Travisi i significati, per non riconoscere il Principio.

Ah sì? Come si fa a distinguere l’abbaglio da ciò che abbaglia? Dunque, ci dovrebbe essere un abbaglio da qualche parte, senza esserci l’origine dell’abbaglio?

Un momento, la causa dell’abbaglio e le conseguenze dell’abbaglio non sono la stessa cosa.

Le conseguenze dell’abbaglio sono il soggetto abbagliato. Non mi pare che costui sia molto credibile. Per distinguere una cosa dall’altra, ci vuole discriminazione, cioè io. Togliti dalla testa che la discriminazione venga dal Sé: la discriminazione esige la varietà, cioè la mia attività. Dunque, la consapevolezza del Sé deriva dai miei procedimenti.

Non tutti sono d’accordo

Se tutti lo fossero, le cose non andrebbero come vanno. La varietà degli eventi è un mio prodotto. Abbiamo già stabilito che io contengo il mondo, quindi contengo ciò che la gente fa e le idee della gente.

   

   

Il sapiente

   

Come spieghi i profeti, i sapienti, ecc…?

Io non spiego un bel niente.

Spiegati.

Allora non vuoi capire. Ricominciamo: le spiegazioni sono miei costrutti, non ci sono fuori dalla mia attività. Una spiegazione è tale, per il soggetto, se la riconosce come tale; ma anche questo deriva dalla mia attività. Ci sono due livelli, quello dell’ipotesi e quello della certezza.

Se le cose stanno così, non si capisce niente.

Spiegami cosa vuol dire “capire”.

Va bene, non ci sono forse le parole, ma uno capisce, di solito, se capisce o non capisce.

Cioè, uno capisce che capisce? Interessante. Dunque, allora capisce che capisce che capisce, cioè capisce che…

Va bene, ho capito.

Bravo, hai fatto una sintesi. Mi divertono le sintesi, semplificano il lavoro mentale. Solo che poi non mi ricordo come ci sono arrivata, e così succedono pasticci.

Torniamo ai sapienti. Ci sono o no?

Mah, non so. È la gente che riconosce il sapiente, in base a certi segni.

Ma anche per gli scienziati è lo stesso. Se uno dice “sono uno scienziato”, mica gli si crede solo per questo.

Infatti, ma c’è differenza. Lo scienziato si riconosce da certi segni esteriori, cioè il mondo cambia, insomma peggiora. Allora, da ciò si riconosce che ci sono scienziati. Nel caso dei sapienti, la cosa è diversa. Infatti i sapienti non cambiano il mondo, cambiano le idee sul mondo, ed è un’altra cosa.

Tutto qui?

Ti faccio io una domanda: come si fa a sapere che uno è sapiente?

Lo si può percepire.

Mah, se ci fossero queste percezioni, il mondo sarebbe diverso.

Qualcuno lo percepisce.

Chi, il non sapiente? Un soggetto affidabile, direi.

Il sapiente si distingue.

Sicuramente. Si distingue dal non sapiente. Ma se questo non è sapiente, come fa a distinguere? Allora, è il sapiente che dice al non sapiente: guarda che non sai? Solo che deve essere creduto. Insomma, in qualche modo il non sapiente deve riconoscere la sapienza pur non possedendola. Mi pare una situazione strana. Anzi, i pareri dei non sapienti devono per forza divergere sulla sapienza, altrimenti che non sapienti sarebbero? Quindi, ci sono diverse categorie di sapienti, che differiscono per particolari assai significativi; sai, in queste cose anche l’abito può essere importante.

Una posizione completamente scettica non regge. È come dire che non c’è nessuna verità, e prima hai stabilito che la verità c’è.

Infatti quello è l’unico punto fermo. Togli quello, e ogni distinzione svanisce.

A sentirti parlare, sembra che non vi sia nulla di assolutamente significativo.

Sicuro. Se il significato fosse assoluto, tutti penserebbero allo stesso modo. Le differenze dei comportamenti o, se vuoi, delle scelte, riflette la mia indeterminatezza o, se vuoi, la mia creatività. Io supero ogni realizzazione, potenziale o reale, e lo dimostro attraverso la diversificazione delle vite reali. I significati sono assoluti solo rispetto ai singoli soggetti, e anche lì bisogna vedere.

Allora, non vi sarebbe niente in comune.

Non ho detto questo. Gli elementi sono abbastanza comuni; sono le sintesi, che cambiano. Sono variabili le associazioni tra una certa attività, un certo significato, ecc. Le ricombinazioni possibili sono più di una, e la varietà è ancora maggiore di quello che si crede. Le classificazioni sono convenzionali. Servono per orientarsi, e disorientano. La semplificazione nasce dall’esigenza di chiarezza, e crea oscurità.

   

   

La Ragione

   

Un momento. Alcune persone hanno spiccato per le loro qualità. Non puoi negare che vi sia un consenso quasi universale nei loro confronti. Non è solo questione di “verità”, assoluta o meno.

Guarda, tale consenso è spesso avvenuto “a posteriori” e non sempre è universale, se ti riferisci a cosa penso io. È vero però che questo potrebbe essere un segno, una conferma, ma ogni conferma potrebbe essere il risultato di tanti fattori. L’origine determina il risultato, o da questo si deve partire per riconoscere l’origine? Il mondo degli eventi si sviluppa in un verso, ma chi può stabilire se il passato è più certo del futuro? Da dove l’incertezza: dalla mancanza delle informazioni o dalla irreversibilità? E quando mai le informazioni corrispondono al fatto? E ancora: il fatto, è perfettamente definito? Ha una sola faccia? O è bifronte, o ancora più complesso? Come si distingue il fatto dall’interpretazione? E poi: veramente c’è un “processo”? O sono io che lo ricostruisco “post factum”? E mai completamente? Forse si trascura un po’ troppo il fattore “tempo”. Ho già spiegato che problemi, soluzioni e risposte sono costruzioni; il processo è globale, ha senso se è colto nell’insieme, e l’insieme non è la somma delle parti. Queste si comprendono come momenti dell’insieme, e viceversa l’insieme senza le parti non c’è. Ma io sono ancora più complessa, perché questa stessa immagine è un mio prodotto. E non vedo i miei confini.

Non se ne esce, finche si ragiona in questi termini.

Non se ne esce, se si ragiona. Uscirne vuol dire non ragionare.

La ragione non è tutto.

Sicuro. Io vado ben oltre la ragione. I miei sviluppi vanno ben oltre la coerenza. Io procedo per salti logici, e cerco le giunzioni che chiudono il mio processo; ma posso essere incoerente e illogica.

Senti, il soggetto avverte se una certa scelta è giusta o no. L’adesione immediata del soggetto è fuori discussione, in molti casi. Non è solo questione di percezione.

Vuoi alludere alla coscienza morale? Bisogna vedere. Qui si entra in un campo complesso, non definibile discorsivamente. Potrei proporre per analogia l’esempio dell’opera d’arte: non è analizzabile razionalmente, non è somma delle sue parti; è una sintesi, una totalità che non si può risolvere nelle analisi. L’artista non è il critico. E forse viene compresa proprio perché non è analizzabile: perciò appare un unicum. Forse i miei elementi sono tutti delle sintesi? Ma è vero che chi non è artista tuttavia riconosce l’opera d’arte: e allo stesso modo il non sapiente potrebbe riconoscere il sapiente, ammesso che costui sia veramente tale. Non sempre, però, l’opera d’arte è riconosciuta come tale, quindi… C’è una soggettività in ogni giudizio, e questo vale per ogni forma di “adesione”. Non è in discussione la posizione del soggetto verso di sé; è la costruzione stessa del soggetto, all’origine dei problemi. Ma è anche vero che quasi tutti i soggetti convergono su molte cose. Cosa riflette ciò? L’esistenza di una autoimmagine comune, o meglio la parziale sovrapposizione di tutte le autoimmagini che io costruisco. Ma è un’entità collettiva, non individuale. Però, l’”adesione” del soggetto alla sua scelta non è sufficiente, di per sé. Il soggetto può prendere abbagli incredibili, può credere di essere ciò che non è. Si può dedurne che è veramente autentica solo l’adesione all’autoimmagine collettiva, ma…come spiegare allora i conflitti? E poi, io opero ricorsivamente, cioè lavoro su me stessa: l’autoimmagine collettiva non è costante. Tuttavia qualcosa di costante ci dovrebbe essere, dato che non posso modificarmi interamente. Ma ciò che è costante si mescola a ciò che è variabile, e ciò si riflette nelle sintesi che io produco, nei mondi individuali e collettivi che continuamente creo. I soggetti vedono le sintesi, per comprendere a fondo dovrebbero analizzarle: ma ciò distrugge la sintesi, “decostruisce”, e allora…? Esiste forse una spiegazione razionale dei limiti della ragione? Ma allora la ragione si autolimita, e pone da sé ciò che è oltre il limite; ma lo pone veramente, o è una immagine, il riflesso della sua irricostruibilità, che io stessa posso rappresentare?

   

   

L’Uno e il molteplice

   

Ma allora l’Essere, non è la sintesi totale?

L’immagine della sintesi totale, vuoi dire. Il soggetto percepisce che il Tutto è di più delle sue parti, e lo rappresenta come physis, Essere, sostanza, ecc…sì, è possibile; ma l’immagine della sintesi è essa stessa una sintesi, nella quale convergono molti elementi temporalmente determinati. Anche qui: cosa c’è di costante e di variabile? Come fai a stabilire se idee diverse della Sintesi sono la stessa cosa? Cosa prevale: l’unità dell’Essere che si cerca di intuire, o la varietà delle forme? Gli esiti non sono univoci, e l’Essere appare indefinibile, inconoscibile, e proprio per questo attira a sé l’inconoscibile, acquista forza, attirando il soggetto con il suo stesso mistero…

………………………

Torniamo alla Fusione. Dunque, tu non neghi la sua possibilità.

Se lo negassi veramente, non ci sarebbe questo discorso.

Dunque hai dei dubbi.

I dubbi sono costrutti mentali. Adesso pongo io una questione: c’è l’Uno senza il Due?

Spiegati.

Perché ci sia la Fusione, bisogna essere in due. Non c’è fusione, se non c’è distinzione. Quindi l’Uno deriva dal Due.

L’Uno è originario. Il soggetto riconosce questa Unità.

Non si riconosce l’Uno, se non c’è il molteplice. L’Uno è tale come opposto al molteplice.

L’Uno è l’Unità del molteplice.

Per essere l’Unità del molteplice bisogna che ci sia il molteplice.

L’Uno pone il molteplice.

Se lo pone c’è.

L’Uno nega il molteplice.

Se il molteplice c’è, nega ciò che è. Allora, il molteplice non è più? Se è così non si torna indietro. Se si torna indietro, il molteplice sussiste, è. L’Uno è relativo ai Molti.

Non l’Uno originario.

Allora, da dove viene il problema?

Sono giochi di parole.

Sicuro. Ma c’è qualcosa sotto.

Non puoi rappresentare questo.

Posso rappresentare altro da quello che vedi. Non puoi sapere qual è il limite della rappresentazione.

Qualcuno asserisce che questo limite viene superato.

Il limite viene rappresentato, e anche il suo superamento. Non si supera ciò che non viene rappresentato. La Fusione deve essere rappresentata. Se non viene rappresentata e compresa nella mente, la mente non va oltre. Le rappresentazioni servono per permettere alla mente di proseguire il suo lavoro; se non rappresenta, opera a vuoto, diviene inconscia.

Gli eventi drastici, come la fusione ecc, vanno risolti, secondo i significati che convergono verso le rappresentazioni. Ma la vera fusione è distruttiva: questo è il mio punto di vista.

Potrebbe esserci una fusione parziale.

Cade nel mondo della rappresentazione, e deve essere riconosciuta. C’è poi un’altra questione, quella del Limite.

   

   

L’Uno e il Limite

   

Sì, prima se ne era parlato. L’Uno è oltre il Limite.

Questa frase non ha senso. Bisogna che ci sia il Limite. Ma se c’è il Limite, cosa vuol dire “oltre il Limite?”.

Il limite è il tuo limite, e non puoi andare oltre.

Ah sì? E allora perché si dice “oltre il limite” se non posso andare oltre? O è una frase vuota, o è una rappresentazione; se è una rappresentazione, allora si va oltre il limite, e questo non è un limite, è una chimera, una fissazione del linguaggio.

Tu non puoi vedere il limite dall’esterno.

E chi ci riesce?

L’Uno sicuramente.

Quale Uno? Quello vero o quello che la gente si immagina? Quello l’ho fatto io, è ben dentro il limite.

Ritorniamo al limite. Dunque, c’è o non c’è?

Non c’è, se non è riconosciuto. Sono io che pongo le rappresentazioni.

Se un limite c’è, ti limiti a rappresentarlo. Vuoi farmi credere che tu poni il limite?

Queste domande le pongo io, in realtà. Il soggetto ci lavora sopra, così gli faccio credere. Io posso considerare l’eventualità che vi sia un limite, ma non mi conosco completamente. Quindi non posso sapere se c’è. Ma questo non serve al soggetto. Il soggetto è una mia costruzione, quindi lui è ben dentro il limite. Non si accorge che il problema è suo, non mio, perché crede di essere la mente, cioè io glielo faccio credere, e lui ci casca sempre. Così si pone domande ridicole, credendo di fare grandi cose, e io resto onnipotente in senso relativo. Adesso faccio io una domanda: che cosa ti suggerisco come immagine del limite?

L’orizzonte.

Bravo. Allora, l’orizzonte è il limite, la superficie curva della terra è il mondo delle rappresentazioni. Tu non vedi oltre.

Posso supporre che oltre vi sia qualcosa, e se mi sposto si sposta l’orizzonte.

Due osservazioni. Primo: l’orizzonte resta. Secondo: è una conseguenza della forma della Terra. Devi cambiare quella. Comincia pure, poi parliamo del Limite.

Se uno si eleva, l’orizzonte si allontana.

E come si eleva?

Può costruirsi una torre, meglio un’astronave.

Certo, se la può costruire, cioè immaginare, fuor di metafora. Può cambiare il mondo della rappresentazione. Ci penso io. Vuoi una Terra a forma di Cubo? O la preferisci ramificata? Così ti puoi arrampicare…

Può darsi che i mezzi vengano dall’esterno, oltre il limite.

Cioè le astronavi vengono da fuori? E ci sono gli omini verdi? Tiri fuori delle analogie sorprendenti. Pare che il concetto di salvezza venga ampliato dalle metafore.

Non sto parlando di ufologia.

No, ma la struttura è la stessa. Sai, la rappresentazione la faccio io: studio il soggetto, e scelgo di conseguenza.

Lasciamo perdere. Non puoi escludere questo.

No, ma potrei avere qualche perplessità nel lasciarti andare sull’astronave. Sai, sei dentro di me, dovrei venirti dietro. C’è qualche problema. Forse non sarei d’accordo.

Va bene, certi esiti non ti piacciono. Vuoi essere onnipotente. La verità è che il linguaggio e le immagini non servono qui, l’Uno è inesprimibile. Non si può dedurre l’Uno dal limite, è il contrario. Tu scambi le cause con gli effetti. Il linguaggio è solo allusivo, serve per mostrare l’inesprimibile. Questo fa intuire che si può superare il limite. Si allude all’uscita, e non si può farlo con rappresentazioni, ma solo con allusioni.

Non è esattamente così. Lo sai, l’aforisma di Mao Zedong?

Ma non faceva il Grande Timoniere?

Sì, ma pensava anche, infatti si parla del Pensiero del Presidente Mao. Una mia creazione, stupefacente.

Cosa, il “Pensiero di Mao”?.

Ma no, che ci credessero. Comunque, è questo: “se indichi la Luna con il dito, il cretino vede il dito, non la Luna”.

Non capisco dove vuoi arrivare.

Eh, non per niente sono la mente. Faccio solo le cose che puoi capire senza troppo sforzo. Vuoi un milione di sillogismi?

Ma nemmeno per sogno. Procedi come credi.

Dunque, questa è dialettica. Allora, il dito è il segno, e c’è la Luna. Il segno non ha senso di per sé, senza la Luna. O no?

Mi sembra ovvio.

Non lo è. Anche la Luna è un segno. Essa infatti spicca sul Cielo oscuro, e indica per contrasto lo Sfondo. Non solo, questo è in alto, la Terra è in basso, ecc. ecc.

E allora?

Ma non lo vedi? Ogni cosa è segno di qualcosa d’altro, e così l’Uno allude ad altro.

Questa è l’immagine dell’Uno. Non è l’Uno.

Se è un’immagine veridica, allora l’Uno rimanda ad altro e l’Uno non è senza Due e Molti. Se non lo è, allora nessun gesto allude all’Uno. Non scherzare in questo modo. Se si allude, si allude a qualcosa di presente. Non si allude a qualcosa che non ti è in qualche modo presente. Non c’è nessuna allusione a ciò che è veramente inesprimibile. Si accenna ad una immagine, sempre. L’Uno non rimanderebbe ad altro da Sé: è un punto terminale. La mia attività pone tutte le connessioni e tutte le associazioni, per somiglianza e negazione: se convergessi tutta verso l’Uno, la mia attività cesserebbe. Io non voglio questo.

Può darsi che tu sia attirata dall’Uno contro la tua volontà.

Può essere. Ma sarebbe il termine dei miei processi. Qualcosa di più di ciò che viene generalmente testimoniato. La sensazione di una immersione totale non mi tocca interamente, in quanto io ritorno. Quindi, il distacco del soggetto dalla matrice mentale non è totale. È più una immagine, sia pure estremamente vivida e perciò autentica per il soggetto, che vi si immerge. La Fusione reale è irreversibile, se c’è.

Forse hai detto qualcosa che non volevi dire.

Guarda che io non ho ammesso nulla. Tutte queste sono le mie ipotesi. Posso farne altre.

   

   

Il mistico

   

C’è una questione, che non è proprio chiara. Tutto questo va bene se si discorre, però ogni discorso ha le sue regole; il risultato riflette le regole. Perciò, nessuna conclusione discorsiva è assolutamente certa: si può sempre ricominciare. Ma il mistico, potrebbe essere una singolarità, insomma non si può pretendere di definire una realtà a partire da considerazioni razionali. È ragionevole riconoscere che qualsiasi esperienza è irriducibile all’analisi logica.

Questo è vero, ma non è conclusivo. Se l’esperienza fosse del tutto irriducibile alla ragione discriminante, non sarebbe possibile formulare nessun tipo di giudizio e nessun tipo di distinzione. Non ci sarebbe nessun mistico e nessun non mistico da nessuna parte. Ci sarebbe al più una sensibilità indefinita, che non corrisponde a nessuna immagine o descrizione soggettiva, e questo non come punto d’arrivo, ma da sempre, e per tutti, e neppure sarebbe possibile che il soggetto si riconoscesse come identità personale. Se c’è mistico e non mistico allora c’è discriminazione oggettiva prima, unificazione soggettiva poi. Ma tale unificazione è preceduta da discriminazione e riconoscimento. Quindi mistico e non mistico sono momenti che fanno parte dello schema “x e non x”; a meno che tutti i singoli individui non siano uguali a x, ma allora da dove viene non x? Ovviamente, si può anche sostenere che all’origine vi è unità, e differenza poi; ma questa è una teoria, senza la quale un certo risultato non è possibile. Il problema non è il mistico in quanto tale e la sua interpretazione o esperienza; il fatto è che nessuna esperienza individuale è realmente tale. Qualsiasi tipo di soggetto e qualsiasi stato individuale non esiste in isolamento, esiste solo in funzione di un contesto, come risultato del contesto e come sorgente di conseguenze nel contesto. L’individualità è un mito, il postulato del soggetto, come ente individuo a sé stante. Distinguere tra mistico e non mistico come persona significa dare valore assoluto a questo postulato; allora, come si può sostenere che il mistico supera questa distinzione? Se si riconosce il mistico in una persona, allora proprio per questo si afferma la distinzione: attribuirgli un superamento di ogni differenziazione è autocontraddittorio, in un modo particolarmente assurdo. Dunque, il “mistico” non dovrebbe essere coerentemente identificabile in una persona. In realtà, il mistico in quanto persona non risolve nessun problema e non è segno di nessuna soluzione: la sua figura è il simbolo del riconoscimento contraddittorio, collettivo, della falsa posizione del soggetto, che è e non è reale a un contempo, e che, paradossalmente ma coerentemente con l’errore di partenza, viene percepita come realizzata in una singola persona. Il soggetto vive risolvendo o credendo di risolvere in molti modi la propria ambiguità originaria, attraverso esiti che lo riflettono: sono reali (per lui) e nello stesso tempo non reali. E tutto questo deriva dal fatto che è parte integrante del mondo ma non può riconoscersi per tale senza dissolversi. La realtà non è un insieme di cose indipendenti e autosussistenti, è al contrario una rete di cose interdipendenti e mediatamente esistenti, e le cose sono come momenti del Tutto, ma paradossalmente sono identificate per separazione dal resto; è l’insieme totale che definisce il significato di ogni fatto circoscritto, ma non c’è veramente nessun fatto circoscritto da nessuna parte. È vero che in un certo senso il mistico è un simbolo di ciò, ma è altrettanto vero che l’identificazione del mistico in un tipo o persona individuale, sempre in un certo senso, contraddice l’interconnessione del Tutto. Probabilmente anche il pensare al Tutto come Unità è un errore; nel Tutto vi sono opposizioni interne, e inoltre lo stesso Tutto è inconcepibile. Non esiste una rappresentazione del Tutto. Ci può essere solo una imitazione, e non saprei quanto sia lontana dal Tutto, o una esplorazione parziale, o la percezione della sua inconoscibilità, o esso stesso potrebbe essere un’ipotesi, un simbolo dell’assenza di confine della mente. Inoltre non c’è mistico e non-mistico, se non c’è tradizione religiosa. Il mistico non nasce dal nulla. Nasce come conseguenza di altro e come contrasto da altro, e senza queste premesse non c’è; da questo di vista è un prodotto e prodotti sono tutti i suoi sviluppi. Va considerato nel contesto della sua tradizione; ma questa produce ben altro oltre a lui, anzi tra le conseguenze di quella vi sono cose che mistiche non sono per niente.

Dunque tu non credi nel “mistico”.

Non è una questione di “credere” o non “credere”; semmai potrebbe essere questione di “vivere” o “non vivere”; ma chi vive è il singolo individuo, e questo “vive” nella misura in cui è e insieme non è separato dal corpo del mondo. È un fatto fisico, prima ancora che mentale. La “forma mentis” riflette la “forma mundi” e anche tale situazione paradossale eppure reale. Tutto è conseguenza di ciò: una separazione che c’è e non c’è. È stupido pensare che le contraddizioni derivino dal “discorso” o siano false posizioni poste dal soggetto: la questione è molto più “a monte”; è prima ancora che il soggetto sia. Forse l’io individuale intuisce la propria posizione paradossale nell’immagine dell’ ”Inconcepibile” oltre ogni forma che è già in sé contraddittoria; infatti, se lo si nomina, l’“inconcepibile” tale veramente non è; e l’ “Inconcepibile”, proprio nella misura in cui in qualche modo è percepito, è un Paradosso, simbolo di quello del soggetto, e paradossale è tutto ciò che ne deriva. Vi sono molti esiti degli sviluppi individuali; ciò avrà pure un senso. Spiegare tutta la varietà delle vite individuali con la “cecità” dei più non convince. La “cecità” può riconoscersi sia nel fatto che si crede troppo facilmente, sia nell’incredulità totale, e allora? Però non posso escludere che il mondo sia come la proiezione di un film, io sia la pellicola, e Lui sia la sorgente della luce; in qualche modo, sotto forme diverse, questa idea c’è. Non saprei quale sia la sua origine, e non prenderei troppo sul serio nessuna soluzione.

   

   

Il passato

   

Passiamo ad altro. Parlami del passato. È paradossale. Non c’è più, e agisce tuttora. Però mi è stata fatta un’obiezione, e cioè che questa formulazione non è possibile se si pensa al presente come un punto che si muove di continuo. Infatti, in questo caso ogni momento di questo pensiero svanirebbe immediatamente, e non sarebbe formulabile. Non si potrebbe considerarlo un pensiero compiuto.

Un momento. L’obiezione è sensata, ma dipende da cosa si intende con “pensiero”.

Cioè?

L’obiezione regge se il pensiero è immaginato come un evento, che dura nel tempo. Ciò è perfettamente consistente con il fatto che i pensieri dovrebbero corrispondere a processi cerebrali: questi hanno una durata, in effetti. Però, è un pensiero implicito sul pensiero, insomma una teoria. Per esempio, il pensiero potrebbe essere un elemento di uno spazio logico indipendente dalla realtà fisica. In tal caso, esso è extratemporale. La sua consistenza è indipendente dalla formulazione.

Però, non può essere compreso se non vi è una traccia fisica.

Non è così certo. Comunque, la traccia della comprensione potrebbe benissimo avvenire nel tempo e non essere puntuale. Ogni evento lascia una traccia nel presente, che è costante; un evento iniziato nel passato non svanisce completamente. Perdurano le sue conseguenze. Queste possono essere costanti. Per esempio, gli oggetti concreti durano nel tempo: la loro consistenza è, in un certo senso, extratemporale.

Inoltre, tieni presente che la verità di una proposizione non dipende dalla sua formulazione. È indipendente da ogni espressione, e dal fatto che questa vi sia.

Ma allora ogni tesi esiste indipendentemente dal mondo fisico.

Dipende da ciò che si intende per “esiste”. Non è un termine chiaro. Le proposizioni esistenziali sono problematiche. Io sono propensa a usarle con una certa libertà, perché altrimenti non si riesce a formulare certi costrutti che invece ritengo significativi. Però capisco la ragione delle perplessità.

Questa spiegazione mi sembra molto astratta.

Più o meno. Tutte le formulazioni sul tempo sono problematiche. Sono fatte all’interno del tempo, e questo è paradossale. Però potrebbero essere vere, e una verità sul tempo è extratemporale proprio in quanto tale.

Si può essere sicuri di queste conclusioni?

No, è un ragionamento paradossale. La sua verità non dipende dalla consistenza della formulazione e neppure dalla natura del pensiero. Solo la sua intuizione ed espressione sono sub judice.

Questo non è soddisfacente. Una verità la cui formulazione è da essa impedita non sarebbe formulabile.

E chi ti dice che è stata formulata? Che vi siano formule, è una teoria. Qual è la consistenza di una equazione? Dura nel tempo? Che senso ha dire che un teorema esiste? Proprio il problema del significato del verbo “esistere” e della sua estensione deve rendere prudenti. L’obiezione di cui parlavi presuppone che la formulazione esista. Ora, il fenomeno sonoro si crea e si esaurisce nel tempo, fisicamente: la sua “durata” è la registrazione che il soggetto ne fa. Ogni evento è un punto nel mondo degli eventi, ma il mondo del soggetto non è il mondo degli eventi fisici, è quello degli eventi mentali. Questi ultimi devono rappresentare quelli, ma non sono ad essi identici.

Non sarebbe meglio dire che passato presente e futuro sono costruzioni mentali?

Si può, anche se non è chiarissimo. Il soggetto non è eterno, quindi avrei qualche dubbio. Che il tempo sia un sistema di relazioni, si può affermare tranquillamente, ma non giurerei sia solo quello. Per esempio, Newton non era d’accordo (uno dei soggetti meglio riusciti. Che mente!). E poi, come intendere la cosa: un sistema di relazioni è uno schema a prescindere dagli elementi messi in relazione, o sono questi che pongono le relazioni? O è il soggetto? Dipende se si vede la cosa sotto l’aspetto logico (schematico) o quello percettivo. D’altronde, le stesse percezioni soddisfano degli schemi che noi percepiamo, quindi…non farmi venire mal di testa, anzi di mente.

Anzi, io adesso propongo di smettere. Abbiamo giocato abbastanza.

   

[Luglio 2002]

   

 

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