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Dario Chioli

COME VENERE DAL CREPUSCOLO

    

   
I. - II. - III. - IV. - V. - VI. - VII.
VIII. - IX. - X. - XI. - XII. - XIII. - XIV.

    

   
   

I.
   

Ho girato il mondo
molto più con il pensiero che non con le mie gambe
del resto il mondo è vasto
ogni essere un intero universo
e nel solo risvolto dello sguardo di un uomo
c’è da perdersi
 
C’è qua quel che c’è anche là
e pur qualcosa ogni volta
d’integralmente segreto
una via per uscire verso le stelle
 
Chiunque tu incontri
è una strada
per ripristinare i nomi
 
Non so chi abbiate incontrato voi
vivendo
io ho incrociato destini
singolarmente nobili
vite
singolarmente ignobili
 
Non so chi abbiate amato
vivendo
io ho amato tutti qualche volta
poi i demoni m’hanno preso
hanno giocato con il mio cuore
gettato nella mia testa fandonie
gravato il mio corpo di diecimila catene
 
Non so che pensarne
non voglio neppure perderci tempo
pare infatti che talvolta io risorga
emerga dal caos come Venere dal crepuscolo
anche se solo chi guarda il cielo la vede
gli altri vedono la punta delle proprie scarpe
 
Ho volto occhi che talvolta piangevano
a scrutare le ombre e le chiarezze
molti demoni d’ombra e di luce
molto tempo perso
 
I demoni sono così ingombranti
gli angeli così lievi
ma se volete potete chiamarli in un altro modo
i demoni saranno contenti
come possono essere contenti loro
e per gli angeli qualunque nome
è davvero troppo grossolano
 
Quanti cammini si sono incrociati
in una maglia impossibile da decifrare
ma tutta questa decifrazione
a che serve?
 
Il trucco è vecchio
il nodo da sciogliere è antico:
chi non fa nulla non ottiene nulla
ma chi fa qualcosa ottiene una sola cosa
 
Per ottenere quel che vale la pena
che fare?
 
M’è parso che le parole e i sentimenti
fossero così menzogneri
non c’è da fidarsi
fatti di echi sporchi di compiaciute debolezze
se siamo capaci di guardarci negli occhi
vediamo che non possiamo che soffrire
finché non brucino queste scorie
quest’immonda melassa
 
Non possiamo che soffrire
finché non diventiamo esili veli
per cui traluca l’ignoto
questo fantastico sogno
che non possiamo esprimere
 
(se potessimo esprimerlo
che sogno sarebbe
sarebbe solo uno dei tanti
che ci fa stare qui
persi nel labirinto di questo essere
separato dal cielo)
 
Ora io non so proprio
chi abbiate visto
forse dei molti che vi sono passati accanto
neanche uno è esistito per voi
 
non è così raro
l’esistere si sente esistendo
e se non sei non vedi che
ciò che non è
 
falsi maestri
falsi apprendisti
false strade
falsi pentimenti e godimenti
non è così raro
che un cane si creda dio
   

   

   

II.
   

I nomi paiono morti
il linguaggio stracciato
non c’è nessuno
veridico
un pensiero sano non c’è
 
Mi guardo intorno
i nomi paiono morti
parole un tempo sacre
che ribrezzo
contaminate
vuote
parole del non esistere
tele di ragno disfatte
cadaveri d’insetti nelle trame
 
Senza parole
come farsi spiegare
dove andare
qual è la meta
come distinguere
l’ospite dall’assassino?
 
Anche se un buon poeta
talvolta fa rivivere le parole
pure tornando fuori del suo paradiso istantaneo
muoiono di nuovo
e allora come fare a sapere
ciò che vuoi sapere
come mettere nella mente
parole che la mente corrompe?
   

   

   

III.
   

Cumuli di rovine
se lì ti volgi non esci
 
Lascia il paese morto
incammìnati per altra via
 
Ho incrociato esseri
che penavano tutta una vita
per sostenere il peso
di molte necessità
forse non sapevano perché
non nel modo che lo sanno i sapienti
ma il loro sguardo era limpido
 
Ho incrociato esseri
che amavano senza legge
non ci sono più leggi
e tuttavia si ama
 
(quelli che amano per obbligo
non sono neppure vivi
il loro amore sterco putrido
il loro abbraccio una follia)
 
Non ci sono più leggi
quelle che ancora ci sono
sono cadaveri penzolanti da una forca
a frollare nel paese degli antropofagi
 
Quelli che ancora parlano chiaro
il loro cervello è andato
giocano nel teatrino delle ombre
straccetti che ballano
la loro chiarezza è perfetta
come la mummia di un morto ben conservata
 
Non ci sono più leggi
le parole sono vuote
e tuttavia si ama
   

   

   

IV.
   

Cercano amori in giro
per farne tasselli di un sistema
hanno sistemi che fanno acqua
cercano santi come tamponi
 
Nessun dio più li sorregge
nel moltiplicarsi delle formule
 
Mille pagine
per dire di amare
Mille leggi
per ingiungere una carezza
 
Folle bruciare i libri
ma più folle non farlo
se i libri sono questi
quest’immonda follia
 
Dio è analfabeta
anzitutto
poi se gli va di parlare
inventerà il linguaggio
 
Foglie secche
le teste dei teologi
ghiande marcite nel sottobosco
i loro frutti più preziosi
 
Quante belle accademie
per dimostrare che si sa dimostrare
ma nulla è dimostrato
se non lo dimostra l’amore
 
In questa terra cristiana
si farebbe meglio a tacere
a uscire tra la folla senza farsi vedere
a sostenere l’orfano e la vedova
categorie che non importano a nessuno
ma sempre a dio
che è più nessuno di tutti
 
E non cambia niente se cambi continente
sempre lo stesso:
mille cupole e il letamaio di Giobbe
ma Giobbe era un profeta
dura per sempre
le cupole sono una folla di sogni
e il sogno è bello se chi lo sogna ha un cuore
 
Quelli poi che su dio ci campano
bisogna anche capirli
è difficile vivere
e non tutti sono capaci
di credere davvero
 
Se parlassero di credere
solo quelli che credono
la maggior parte starebbe zitta
e alla fine qualcuno parlerebbe al posto loro
 
Sarebbe lo stesso
perché la mente dilaga
erigendo dighe spezzando dighe
fiumi di fango si riversano
nei fiumi sacri
 
I fiumi sacri non si contaminano
ma ognuno ci trova ciò che è
se cerca fango ce lo troverà
 
Quindi se anche talvolta
predomina lo sdegno
questo però non è che il nostro proprio fango
la passione che nutre la nostra propria illusione
 
Dio è più astuto di me
se ne frega di quel che dico importante
per fortuna
altrimenti chissà cosa succederebbe
   

   

   

V.
   

Ho visto dio molto spesso
tutte le volte che ho tolto gli occhiali
 
A volte era un bambino
seduto tranquillo in perfetta serenità
altre volte camminava in mezzo alla strada
era proprio una bella donna
tutti, come bisogna, la guardavano
o ancora sentendo una musica
che parlava di chissà che
traluceva negli occhi di molti
che non ne sanno il nome
 
E questi si salveranno
perché il nome vero non è un nome
 
E tutti quelli che non sanno niente
forse sanno lo stesso qualcosa
l’età oscura è prima di tutto
un nostro convincimento
il sogno del nostro disprezzo pieno di follia
 
Sotto le scorie giace l’era nuova
fin dall’inizio del mondo
uno scende e l’altro sale da sempre
 
E tu dove vuoi stare
dove il tuo occhio cerca la sofferenza
o dove il tuo cuore penetra le profondità della notte?
   

   

   

VI.
   

Il demonio ci ha nominato sentinelle
ci sentiamo stranieri
stiamo fuori
siamo così importanti
il mondo non ci merita
 
Tutto è così confuso
sembra la festa della morte
armi che uccidono a milioni
i giusti uccisi o non ci sono
come sempre come sempre
ma i giusti non siamo noi
 
Come vediamo bene che gli altri
hanno confuso tutto
ma il nostro lumicino
anche noi lo mettiamo via
 
Forse abbiamo paura
che i venti del mondo lo spengano
 
Di sentinella guardiamo in lontananza
aspettando di vedere dio
ma dio non è nessuno
e nessuno è entrato a sostenere il mondo
nessuno è lì che aspetta tutti
e tu stai di vedetta
credendoti qualcuno
   

   

   

VII.
   

Memoria d’un essere
che attese a lungo sulla torre
il re che lo investisse
di compiti degni di lui
 
La torre affondò tra le nubi
(le fondamenta dissolte
sui muri le mani dell’edera)
dio lo dimenticò
 
Ospiti attesero ospiti
e mai non uscirono fuori
per anni gli uni gli altri si attesero
nel mezzo la porta di casa
 
Se ami la casa
il tuo cielo non ruba il suo posto
sta dove ti pare che stia
lontano lontano
 
Finestre chiuse dieci anni
cento mille
strade col cancello in fondo
un cartello: niente visite
cane che morde attenti
fugge ogni essere
il cane della tua morte
 
Che profondo mistero
il tuo io
tu solo a conoscerlo gli altri se ne infischiano
che profondo mistero
nessun orecchio lo vuole sentire
 
Anni di fantasie
decori fantastici
onori degni di Socrate e nessuna cicuta
che dolcezza di lui
fingere vivi la onorata morte
 
Il cielo se ne gira
per le strade sue
è insuperabilmente reale
miliardi di stelle nel suo grembo
miliardi di grembi nel suo segreto
miliardi di segreti in ciascuno suo atomo
 
Memoria di uno
che ne voleva fare
il tetto della sua torre
dalle fondamenta smangiate
dalle radici di vento
 
Che follia credere
di poter credere davvero
è già tanto se emerge alla luce
la nota esile di un canto
 
Oppure sei folle davvero
ma allora neppure esisti
esule fuori della tua patria
vigile apolide senza macchia
 
Nessuno li ha visti
i santi per davvero
quelli che sono veri
sfuggono all’occhio
 
In questa terra cristiana
potessimo tutti tacere prostrarci
nella festa di tutti i santi
sotto il peso dei silenziosi
unica speranza che il mondo
non rientri nelle siccità della nostra mente
ma invece ricco dissipi
fuori dell’umana memoria il meglio
   

   

   

VIII.
   

Non so perché questo canto è fuggito
così ripido così irregolare
non so dove porti che strada mi indichi
forse
voleva soltanto camminare
nella strada del mio pensiero
l’araldo di un diverso esistere
il cenno potente d’un’ombra
   

   

   

IX.
   

Giorni mesi anni o chi sa
che vorrei poter dire in giro
qualcosa
 
Qualcosa di simile a un pensiero
che non sa salire senza la mano di dio
come un fuoco che divampa tra veglia e sogno
troppo sveglio non lo vedi
troppo sogno te lo nasconde
 
Essere puri come un volo tra le montagne
neanche l’uccello ma il volo
traccia invisibile del piano del cielo
il nostro destino ombra della libertà
 
Covo in me stesso l’uovo della fenice
potessi ardere ancora
più di questo
più di questo
   

   

   

X.
   

Innamorarsi
è la chiave
davvero amare uccidere se stessi
un abbraccio il rogo iniziatico
nessun oggetto d’amore può resistere
 
Quest’amore incredibile senza destinatario
solo quello solo quello
ecco il corpo di dio
il divoratore delle nostre separazioni
 
Un cielo dove vanno solo le cose obliate
quelle che rimangono sono soltanto follia
le verità si scordano
questa mente è un forno crematorio
il popolo di dio è bruciato
restano gli assassini
 
O esile fumo di là dai comignoli della città umana
rancori e passioni dileguati
quale mistero
 
Specchio in cui ognuno si vede
com’è
e questo com’è non è niente
tutta la vita a inseguire un come
non c’è come
non c’è cosa
c’è soltanto ardore
 
Se non brucia non serve
se non muore vita non dà
se non ama permane
a perseguitare il popolo
 
Questo popolo governato dalle chimere
questa gente del nostro essere
quanto splendida tuttavia
la loro anima
un miracolo di miracoli
se potessimo vederne l’arcano
subito morremmo di gioia
   

   

   

XI.
   

Fetonte cavalcò fino a morte
memoria ne perdura
 
Senza voli costruiscono per decenni
alcuni
fragili edifici
che nessuno ama
 
Ricco d’un solo istante lui
poveri loro d’innumerevoli iniziative
 
Che strano
nessuna legge decreta il successo
 
Imponderabile
sogno che filtra nel mondo
dalle cortine del padiglione segreto
   

   

   

XII.
   

Forse si vorrebbe scrivere
dei propri dolori delle proprie gioie
ma il dio della parola ha altri scopi:
lascia il tuo superfluo
spogliati
nudo ti penetrerò
fatto a nuovo per mostrare
la santità del non sussistere
 
Parti per un cammino
conosci la meta
ma una donna t’attraversa la strada
è fantastica
vuole il tuo aiuto
poco c’è voluto a cambiare la tua determinazione
la porti dove vuole
il tuo essere ha cambiato colore
la passione di lei ti ha tinto
e se ne va
e tu non sei nessuno
tutta la vita a cercare niente
 
Incontro per via
gran copia di fantasmi
finché vedo non c’è nulla che valga
io so
che la passione accieca
e conduce là dove non saprebbe il tuo occhio
 
Amore mio
deserto d’essere
amore mio
   

   

   

XIII.
   

T’incrocio
la mia strada taglia la tua
insegnami qualcosa
cos’hai da dire?
 
Poso lo sguardo
ovunque capiti
spero la tua superficie trasalga
partorendo dalle sue pieghe l’ignoto
 
Quanto cammino
per una speranza così tenue
quanti esseri incontrati
sempre vecchio
sempre bambino
 
Ma vale la pena provare
non è la continuità che conta
ma l’emergere del mistero
 
Quattro cose da ricordare su mille
le tue quattro cose le mie
 
Un unico insieme
che incrocia altri mille insiemi
 
E spesso succede se hai cuore
che l’occhio beva l’occhio
   

   

   

XIV.
   

Molte strade tracciate
non mi interessano
troppe cose da credere
troppi ruoli da rappresentare
 
Tutte le mattine speranze
tutte le sere speranze
non spero nulla
non voglio nulla
 
Chi non ha nulla
spera molto
 
Un luogo
affascina il mio essere
nel silenzio si aprono le sue strade
fiumi sacri portano via le mie scorie
 
Se volessi spiegare la strada
non saprei proprio
forse bisogna camminare fin oltre le montagne di Tule
ma io non mi sono mai mosso di casa
forse bisogna bere incantate pozioni
ma io ho bevuto soltanto qualche bicchiere di vino
forse bisogna salvare il mondo
ma per quel che ne so non ho salvato proprio un bel nulla
 
Che inettitudine
nessuno è più inetto dell’uomo felice
non ha scopi non ha virtù
scodinzola come un cane
non è un bell’esempio
da lui non puoi apprendere
 
Bisognerebbe però che lo vedessi
quando cammina dentro l’invisibile
ma nessuno può farlo
non ha volto
non lo puoi riconoscere
non ha nome
non lo puoi chiamare
non ha forma
non lo puoi fermare
 
Che inettitudine
l’uomo felice non ti può insegnare
non ha niente da dire
 
Chi ha molto da dire
non ha niente da fare
allora è infelice e parla
chi ascolta non ha niente da fare
allora gli risponde
 
Se però passa per la strada una bella donna
tacciono e la guardano
presi dalla passione
 
Così si traveste spesso l’invisibile
i tuoi occhi son gli ami con cui ti cattura
il tuo petto rimanda le sue melodie
la passione è il suo corpo
sotto il suo fuoco è dio.
   

[25-26.IX.1997]
     

 

    

   

 

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