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Dario Chioli

NELLA VALLE DEI MORTI

Poesie dai trentuno ai trentadue anni

 
 
Sommario
1987In questo vasto mondo meravigliosoDisconobbi me stesso
 Melograni nella penombraCome una nube
Cigno d'oro I saggi d'un tempo
Matris migræ carmen1988Le cinque direzioni
Nella valle dei morti Fuggiasco pellegrino
Il granello d'oroAl guardianoI puledri impazziti nel sole
Ad un amicoO passeggeroAlzo la coppa e brindo
Esser tra noi rivaliÈ celata la spada 
 
   
 

Cigno d’oro

Oscilla, oscilla
albero mente, oscilla.
Danza, danza
albero cuore, danza.
E intrecciate le fronde
a ricoprir la stanza
dove il tripode giace, illuminato
dalla fiamma del nappo, il cui liquore
spicca con labbra di pietra
il sire oscuro dell’ombra mia,
figlio di draghi e soli,
vento muto d’abisso,
cigno d’oro.

31.I.1987

   

   

Matris nigræ carmen

“Sussurro canti, figli del deserto.
Ho partorito, madre nera, incubi
che la notte pervadono, e la mente.
Senza nemici, nell’ignoto regno
sola e libera danzo. Solamente
mi pervade passione per quel fuoco
che dal cuor di costui giunge alle stelle”.
 

“Insorgi dunque, o madre nera. Sono
luna e sole i tuoi occhi e quei fantasmi
come figli d’un sogno son svaniti.
Dall’inizio del mondo tu hai gettato
incantesimi limpidi, ma impuro
rese il tuo sogno il vile, onde ti ha fatta
madre d’incubo, ché era egli incapace
di cavalcare il fuoco. Ora ti chiedo
di risplendere, o sacra nuda Notte,
nel deserto del cuore”.
 

“Tu a me luce domandi? In quale anfratto
o caverna del mondo vuoi fuggire?
Tutti gli esseri dormono e nel sonno
mai non cercano alcuno che li svegli.
Ora tu cerchi morte ed un serpente
che ti fischi negli occhi oppure il verde
vai cercando segreto occhio di Dio?
Per qual fine ricerchi che io splenda?”
 

“Seguo e percorro la via dell’astro regio,
del vate oscuro che enuncia in sortilegio
questo segreto mio e tuo, l’intimo amplesso
per cui fragili ossa
non chiudono il fuoco in una chiusa fossa.
Splender perciò voglio vederti, mossa
d’amor per questa meta
ch’io spero, donna segreta”.

31.I.1987

   

   

Nella valle dei morti

Nella valle dei morti sono entrato.
La mente ardeva possente, ho cantato.
Eco fischianti e arcangeli d’abisso
mi seguivan nel viaggio. Mi scortavano
fino alle ultime barriere dei mondi
esseri limpidi d’aria ed il ricordo
di saggi antichi e splendenti che un tempo,
aquile alte, guidavano il mondo.

Per un giorno ho veduto, ho contemplato il mare
dove giacciono le ancore dei velieri scomparsi.
Ho raccolto dall’albero di vita un rosso frutto,
l’ho accostato alle labbra, l’ho baciato e ho pianto.

Quando morsi, però, morsi il mio cuore:
svanì la gioia e tace il dolce canto.
Hanno chiuso i miei occhi, mi han rubato
il frutto rosso: il fanciullo è infelice.
Dalle case di pianto non sa uscire,
non vi è alcuno a sentirlo, non vi è alcuno.
In nessun luogo al mondo vi è qualcuno.

28.III.1987

   

   

Il granello d’oro

Se un epitaffio, me morto,
mai voleste scrivere,
scrivete che un cane morto
ha partorito un granello d’oro.
Quel grano poi mise radici,
ne venne fuori un grand’albero.
Su esso posò un usignolo:
di giorno vola, di notte canta.

Un piccolo bambino s’è innamorato:
nel cuor della notte è fuggito dal suo lettino.
Su per la spessa scorza della quercia
speranza e coraggio lo spingono.

L’uccello fuggì, ma lui guarda,
non vuol rassegnarsi, non scorda;
ne spera il ritorno, lo attende
con occhi sgranati - e lo afferra
una nuvola d’oro - una stella
in cima dell’albero spunta.

La nebbia d’incanto lo prende:
sull’ultimo ramo scompare.
Per terra rimane il cane morto:
il grano d’oro ne è uscito.
Un usignolo stellare l’ha portato
lontano dalla mente degli uomini.

29.V.1987

   

   

Ad un amico

Ciò che cercammo insieme
come è possibile obliare?
I cento metri insieme percorsi
non son, pur nell’abisso, un’isola?

Chiaro un cammino di neve si stagliò
nella notte incantata dell’errore,
dolcemente un’eco risonò
per i liberi figli del deserto.

Serbo il ricordo
di un uomo dal vasto intento:
il suo cuore era nobile,
il pensiero una spada.

Volle recidere
la catena che ci legava,
e insieme volle distruggere
il ricordo dei compagni.

Oh quando di notte tu guardi
fuor del tuo eremo le stelle,
non senti piangere il cuore
per ciò che era e non è?

O forse pensarci non vuoi
e cerchi un deserto d’oblio,
e vaghi sognando quel mondo
che attende i viandanti laggiù?

Fin là, tuttavia, nel profondo
tuo specchio quest’uomo ti cerca,
poiché mai nessuno recide
il congiunto segreto immortale.

Quand’anche tu te ne fuggissi
fin dentro le terre del cielo,
giammai mi potresti oscurare
nel cuore il ricordo di te.

5.XI.1987

   

   

Esser tra noi rivali

Io non so nulla, certo, io non so
qual è la strada per fuggir dal sogno,
quale il magico verbo che ho bisogno
di dire per volare, e neanche fare
prodigi mai veduti io so, e neppure
combattere con gli astri guerre dure.
Però la notte al cielo mostro il cuore,
cerco la via, getto sospiri e incanto:
taluno forse che sia chiaro e dolce
dal cielo un dì verrà per amor santo.
Allora forse splenderà l’oscuro,
scordato sarà ogni suono impuro,
l’ala sapiente dell’uccello anima
una strada aprirà dentro le nubi.
Non vuoi tu, io ti chiedo, allora essere
qui con me e con te stesso e in quell’istante,
nobili aurighi dell'anima nostra,
esser rivali nella corsa magica
su in alto, su in alto tra le stelle?

5.XI.1987

   

   

In questo vasto mondo meraviglioso

In questo vasto mondo meraviglioso
qualcosa abbiamo accettato,
qualcosa rifiutato.
Chissà se la nostra scelta era esatta,
chissà se la mente non ci ingannò.
Però di certo sappiamo
che di dov’era il nostro cuore
mai siamo fuggiti.
Fratelli che come noi avete cercato
del mondo chiaro il segreto,
cantate per noi una strofe
di quelle che abbassano l’orecchio di Dio.
Ditegli che noi cercammo il vero,
che sol per questo noi c’incamminammo.
Sorgano dunque i soli del profondo,
gli angeli dai chiari occhi.
Ed entrino nella nostra stanza
gli amici giammai perduti.

12.XII.1987

   

   

Melograni nella penombra

Guidaci tu nel luogo del tramonto.
Coglieremo melograni nella penombra,
berremo al calice rosso scuro del loro cuore
e getteremo i semi, dolci della nostra vita,
fin nel ventre segreto del tempo.
Sii tu, madre morte, nostra luce.

18.XII.1987

   

   

Al guardiano

Dammi il responso: Orfeo
dove ha danzato infine?
Dei suoi canti divini
l’ultimo dove è fluito?
Il vento delle sue parole,
dimmi, dov’è andato?
Il sole del suo cuore,
dimmi, in quale mondo dà luce?
I nostri fratelli se ne sono andati,
i barbari spregiano le bellezze del mondo:
nostro destino è rinchiuderci nel silenzio.
Ma ascolta, fratello, il Regno non è perduto:
inseguiremo le tracce di coloro che sono andati,
canteremo canzoni che dal passato le nostre labbra
rievocheranno nel triste deserto di quest’epoca,
e ancora una volta, amico, il cuore batterà forte
e moriremo non senza aver combattuto
con nobile cuore l’ultima battaglia.

3.IV.1988

   

   

O passeggero

O passeggero, non guardarti intorno;
la strada è piana e solida e la nebbia
non sa impedirti il passo. Nel cammino
tu prega Dio e inoltre non deviare,
ma guarda in alto e giù non scender mai.
Se scendi un attimo, non ritornerai:
segui la strada, fratello, e pace avrai.

3.IV.1988

   

   

È celata la spada

È celata la spada che colpirà domani,
che oggi nessuno vede ,
che noi sappiamo esistere,
fatta di ferro d’anima,
temprata nel sangue.

6.X.1988

   

   

Disconobbi me stesso

Disconobbi me stesso. Ora conosco
quel che gli altri non sono e cerco intorno
se mai un dì, fuor dalle porte bianche,
possa vedere gli occhi del fratello,
chiari lucidi astri di quel mondo
onde cademmo, frusti, in quest’errore.
O tu che vaghi, se troverai Dio,
vieni a darmene conto, e del suo asilo
troppo bianco per gli occhi, troppo vivo
sicché pochi lo vedono, e anche dimmi
un nome per poterlo infine udire
quando parla tra i venti, ed un arcano
che ci guidi in sua terra. Grati siamo
a colui che ci aiuti, nostro padre
novello essendo, che ci dia la vita
che un dì fu nostra.

6.X.1988

   

   

Come una nube

Come una nube posa sul mio cuore:
il mio destino è celato da un velo.

La soluzione è semplice semplice.
Quante parole nel vento di novembre!

16.XI.1988

   

   

I saggi d’un tempo

I saggi d’un tempo celavano anime
profonde come mari, in cui pesci sconosciuti
contemplavano soli. Nessuno vide mai
l’intima giostra delle visioni scomparse
ch’essi non rimpiansero, perduti nella luce.

16.XI.1988

   

   

Le cinque direzioni

Ora che aspetto un figlio,
ascolto il vento da est.
Sorgerà nel sole novello
il nostro rimedio alla morte?

Ora che gli avi son sazi,
volgo il mio cuore lontano.
Da nord risplende la stella
che è polo del cielo dell’uomo.

Intorno la sagra dei folli
al solito vedo inesausta.
Il sole del sud li arde in fretta
e presto verranno a sventura.

Ricordo montagne a occidente:
la luce ogni dì vi scompare.
Si perde un sospiro di pace
là verso quel buio confine.

Di giorno e di notte io taccio:
attendo il segnale dell’alto.
Nel centro celeste del corpo
da sempre l’altare è ricolmo.

16.XI.1988

   

   

Fuggiasco pellegrino

Fuggiasco pellegrino,
invero qui non ti fermo.
Di là, di là troveremo
la nostra casa e la vita.

16.XI.1988

   

   

I puledri impazziti nel sole

Acclamano, cianciano, saltano,
puledri impazziti nel sole.

Un cenno del sire Morte
sgomenti li rende, e silenti.

La luce abbagliante del sogno
presto ritroveremo.

Dalle mute sponde staccandoci,
voglia il cielo che pochi rimangano.

16.XI.1988

   

   

Alzo la coppa e brindo

Alzo la coppa e brindo
a coloro che verranno,
che anch’essi possan gustare
l’aroma fuggente del vino.
Auguro loro che possano
non troppo tardi imparare,
ché il vino gustiamo da giovani
e poi si è noi vino alla morte.

16.XI.1988

   


 
 
   

 

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