| Nelle tue vene
 Deliro, amico mio, deliro.Ho chiome arcuate come la luna,
 occhi che sfavillano
 nelle notti della sua morte.
 Sui seni mi si sciolgonoi capelli
 e una selvaggia solitudine risplende
 sul mio viso illuminato dai tuoi sguardi.
 
 Deliro, amico mio, deliro.I sigilli del mio ventre voglio infrangere,
 e piantar le radici del tuo albero
 nella terra ove corrono i miei fiumi.
 Voglio scorrere in te, nelle tue vene;
 con te essere, mio fiore di delirio,
 una bruna vittoria a due corpi.
 
 29.I.1976
         Fujiwara no Kiyosuke
 “L’età che m’era parsa tristeora m’è divenuta cara”.
 Fujiwara no Kiyosuke, poeta
 del tempo vero, conoscitore,
 quest’immobile mondo muta anch’esso
 come il pensiero.
 
 2.2.1976
         Ero felice
 Colpii col ginocchio uno spigolo:sentii male, non pensavo a nulla.
 Dissi: Non è questo il segreto?
 Ero felice.
 
 2.2.1976
         Per il verde silenzio
 Con strane contorsionicresce il rampicante.
 Lo guardo con attenzione:
 vorrei avesse parole.
 Ma è per il verde silenzio
 che l’edera cresce.
 
 2.2.1976
         Una donna m’attende
 Lacerato nel mezzo io mi sentoe è il mio essere solo una metà.
 Più lontano qualcuno anche lui cerca
 la sua mezza persona e non la trova.
 
 Una donna m’attende
 o forse un dio.
 
 Io non so perché mai mi senta tale
 e so solo che non si può restare
 con lo spirito e il corpo lacerati.
 Ben ragiona colui che mi disprezzi
 e mi dica ammattito ed ignorante,
 ma non ha la sua voce peso alcuno
 per fermar la ferita che dilaga.
 Che ragioni gli potrò mai dare
 per chiarir la stranezza dell’evento?
 
 Una donna m’attende
 o forse un dio.
 
 5.2.1976
         Troppo alte cose
 Troppo alte coseilludevano la mente.
 Ora convengo che la verità
 ha segni che nei roghi non appaiono.
 
 5.2.1976
         Il bambino
 Il bambino, che è un simbolo eterno,lo guardi e dici: Avevamo.
 Ma io sorrido felice e dico: Ho.
 Forse qualcuno si volta
 e mi chiede: Che cosa?
 Ma io taccio, io taccio: non ho parole.
 
 5.2.1976
         Comparire sulla scena
 Comparire sulla scena del mondo -mi pensavo un attore -
 mettere in scena la burla senza fine,
 ridere della morte del riso
 e propagare avvilita conoscenza.
 
 Ma è notte,
 gli invisibili orizzonti lanciano fremiti,
 il profumo dei tigli sale alla mia stanza:
 come potrei soffrire
 se non una dolce sofferenza?
 
 5.2.1976
         Per sentieri sfuggenti
 Una macchina corre nella strada.Si protende la musica celeste
 per seguirla - il cuore si fa vuoto.
 Tutta è protesa la sua viva sete
 per andarsene ai giri delle strade.
 E m’incammino, come un uomo solo,
 per sentieri sfuggenti.
 
 5.2.1976
         Notte di pioggia
 Scende la pioggia;nel suo abbraccio
 vorrei protendermi,
 irrecusabile dono.
 
 Ho tuttavia timore
 ch’essa non cambi tono,
 e così io cadrei
 verso la terra di morte.
 
 Innumerevoli
 sono le sue promesse;
 non v’è posto in esse
 per un piccolo volo?
 
 Sì, so bene che non
 mi potrebbe respingere
 se anche soltanto un attimo
 durasse il mio volo.
 
 E perciò, dolce notte,
 perché non ti protendi?
 Non è questa speranza
 la tua lode più pura?
 
 5.2.1976         Il suo corso fremente
 Spesso sogno un torrenteche discende dall’alto,
 e sedermi alla riva
 e ascoltare il suo gorgo.
 
 Nella sera guardare
 il suo corso fremente,
 rannicchiato in coperte
 contro il freddo dei colli.
 
 Un po’ più in là la nebbia
 precluda ogni visione,
 così che io resti
 separato dal mondo.
 
 E a questo punto
 la mia infanzia sorride.
 Non verrà forse anche lei,
 per un lieve bacio?
 
 5.2.1976
         Il libro della stellata oscurità
 L’umanità dorme,i suoi sogni escono
 dai mondi dell’inconsapevolezza,
 intrecciano danze di desideri
 un tempo sopiti che riemergono
 a imprimere il loro segreto
 nel libro invisibile
 della stellata oscurità.
 
 5.2.1976
         Solo carezze
 Non avere paroleè un gran buon segno.
 E perché dunque scrivi?
 chiederete.
 Ma non sono parole
 invero, queste.
 Sono solo carezze,
 ariosi sogni.
 
 5.2.1976
         Questo dilemma scaltro
 Corri il rischio di diventare savio:la minaccia è lanciata
 e chi è avvertito
 mezzo è salvato
 e mezzo è già perito.
 Così m’han detto,
 o forse m’è sembrato.
 Ma non è la saviezza che m’attira,
 è ben altro, è ben altro,
 né granché mi par giusto
 fuggirla, se viene.
 Non è questo e neppure quest’altro.
 Cos’è dunque?
 E che so?
 Forse persino
 questo dilemma scaltro.
 
 5.2.1976
         Attendi ancora
 Assai spesso neppur trovo la strada.Malinconico vago.
 Ed allora mi dico: Attendi ancora.
 Certamente vedrai ciò che t’accieca.
 
 5.2.1976
         Il domani
 Il domani è passatoprima d’essere venuto.
 In piccoli istanti
 il tempo infinito è costretto.
 
 5.2.1976
         Se all’isola sacra
 Se all’isola sacra volgi la tua prua,ricordati di me, o viaggiatore.
 Ma se anche te ne dovessi scordare,
 basterà l’abbondare del tuo cuore.
 
 5.2.1976
         Ciò che esce dal cuore
 E questo,che ciò che esce dal cuore riempie i mondi
 e muove le stelle
 e sorregge il vecchio cosmo,
 questo, se anche parlarne è vano,
 io affermo, sottoscrivo e suggello.
 
 5.2.1976
         Un grande vuoto
 Un grande vuoto è fatto.Tutte le cose stanno come so.
 I nostri amici impazziti del mondo
 possono volger consigli e separarmi
 dall’Occhio del mondo un istante,
 ma soltanto un istante, e poi mi volgo,
 mi volgo e guardo verso la mia estate.
 
 5.2.1976
         Ignorare
 Perfettamente sereno me ne stosul limite dell’ignoranza.
 Ed ignorare
 è la mia sola meta.
 
 5.2.1976
         Il gioco
 È bello il gioco,è l’unica saggezza.
 E se giocare davvero non volete,
 subito allontanatevi da me.
 
 5.2.1976
         Come a Mosè gli ebrei
 Sorreggo a me medesimo le braccia,come a Mosè gli ebrei.
 Così, scrivendo con la stanca mano,
 mi procuro un ricordo d’infinito.
 
 5.2.1976
         Meditare o cantare
 Meditare o cantare:dov’è il segreto di diamante,
 il rubino della purezza,
 zaffiro dei pensieri lievi?
 Dov’è la pura visione
 che dona alle sfere di nebbia degli occhi
 un senso? Dove l’impronta
 degli uccelli svaniti nel cielo,
 l’acqua di bufera danzante
 su e giù nei grovigli di favola notturna?
 Come decidere di aprire lo scrigno,
 come vivere una vita conclusa anzitempo,
 come morire se non d’una morte di betulle splendenti?
 
 Meditare o cantare:
 quale donna assetata d’accenti di purezze quotidiane,
 quale uomo, bisognoso
 di pensieri di valli coronate di fiori,
 quale bimbo, dal sorriso di antica lampada,
 che torna dal ricordo come un vecchio fauno,
 quale creatura dal grembo dell’inverno
 può portare per noi segreti di ninfea,
 di radici composte nel segreto di melma,
 di steli insorti come brevi sogni?
 Chi di noi può vantare
 ferro di spada di silenzio
 e il canto verde subissato di stelle
 d’una stanza che, bimbi, nel suo ventre
 di gloriosa Medusa ci chiudeva
 e filava per noi luminosi infiniti?
 
 Meditare o cantare:
 come scegliere la spada per un cuore,
 infiggerla in mille,
 e disprezzare con voluttà d’Eolo amoroso
 ogni cosa che è ferma, ogni sostare,
 se anche ingemmato ne è il seggio
 o inghirlandato.
 
 9.2.1976
         La distruzione
 Questa notte invocheròla distruzione delle utopie che infestano il mondo,
 invocherò la dimenticanza sopra le bandiere dei fanatici.
 
 Ecco guarda, osserva, rifletti:
 i figli dell’Islàm ammazzarono gli Amici,
 progenie del Messia sorsero gli inquisitori,
 dal seno della scienza crebbero i distruttori.
 
 Furono essi cantori di vittorie?
 Diedero luce agli uomini con le loro menti persuase?
 Furono i loro stermini più che insensata ebbrezza?
 
 I nipoti di Tolomeo si mostrarono stolti,
 i figli di Aristotele nemici del pensiero;
 ne seguì forse che Galileo mentisse,
 o piuttosto non mentivano essi stessi?
 
 Figli di tradizioni di vita e indipendenza,
 alcuni crescono come flauti interrotti;
 privi di luce, ostaggi del passato.
 
 E s’adirano quando dalla sede del tempo
 se n’esce il presente. Ed odiosi minacciano
 distruzione di tutto ed orrore ad ognuno:
 spregiatori del mondo sono indegni di vivere.
         Lapidi
 Ciò che fu vero,se lo porti nell’oggi,
 è come un nume
 di lapidi morte.
 
 Di sopra pietre
 chi caverà,
 se non è saggio,
 spirito e vita?
 
 18.2.1976
         La coppa oscura
 Guardo la coppa oscura della valle:segue il mio cuore un rivo che vi scende.
 
 Ed ecco a un tratto mi colpisce il vento
 e gli occhi leggono immagini nel cielo.
 
 Guardo le nubi, sento quel richiamo,
 e triste chino il capo sospirando.
 
 18.2.1976
         Sopra un seggio d’attesa
 Vi son giorni che passanodentro l'ozio e il disagio.
 Io mi distendo allora
 sopra un seggio d’attesa
 senza lottare, sapendo
 che le cose dispaiono.
 Alla fine del giorno
 il grigiore s’attenua,
 poi nel grembo notturno
 è infinito riposo.
 
 18.2.1976
         Soltanto quel cielo
 Perché rivolgi gli occhi al cielo,dimmi, perché tu guardi il cielo?
 
 Non so la causa, non so neppure il modo,
 soltanto so quel cielo.
 
 18.2.1976
         Non ho molto da dire
 Non ho molto da dire, in fondo;ho un solo pensiero, in fondo.
 Perdonami se non ti do canzoni
 per quelle ore che non ho vissuto,
 ma il mio fastello di silenzio brucia
 sempre più, sempre più.
 
 18.2.1976
         Marinai di terre lontane
 Marinai di terre lontane,trovatori, ciambellani, buffoni,
 ridatemi il mondo che non può tornare,
 il mondo delle vaste imprudenze
 del bambino ignaro. Ma forse
 rivivrei come è stato, non saprei
 come fare altrimenti.
 
 18.2.1976
         Padroneggia la vita
 Padroneggia la vita e non scordared’esser fecondo.
 Ma se non dai nessun seme alla terra, si sa,
 la pianta tua non crescerà.
 Così non credere che perché è un’era folle
 tu debba vivere privo di ragione,
 ma estirpa fuori dalla tua campagna
 le gramigne di morte e decadenza.
 Abbi pigrizia nell’alzar lamenti
 e invece fretta a deriderli, assai più.
 Infatti al mondo non stanno le cose
 come tu credi ma come tu vuoi:
 se più non vuoi, rovescia la tua mente
 e affida al cielo la tua rivoluzione.
 S’empiranno di fiori frutti e foglie,
 nobile amico, i rami del tuo albero.
 
 18.2.1976
         L’anfora dei venti
 Venite all’anfora dei ventie rinchiudetevi in essa.
 Per mille e mille luoghi danzerete,
 vedrete e udrete turbini e canzoni.
 E tremerà la vostra mente, timorosa
 che non s’incrinino i pilastri della terra.
 
 18.2.1976
         Corre dentro la mia speranza
 Un bambino corre dentro la mia speranzae è fede, luce e fuoco il volo dei suoi passi.
 Non rimarrò nella nuda terra fra gli esseri oscuri.
 Alzerò i miei stendardi verso le sorgenti del ripido cosmo
 e troverò nel buio vorticosa rinascita.
 
 25.2.1976
         El Eliòn nato due volte
 El Eliòn nato due voltedopo che dimenticato l’avevo
 è tornato a distruggere
 le mille menti di morte
 che in spire di fumo avvolgevano
 i miei canti di bimbo.
 
 Come potevo cantare se lui
 non veniva per ardere
 nel suo fuoco di sterpi
 gli occhi di Mosè?
 
 Nei canti di Quello
 che di più lungi viene,
 nato due volte io
 ravviverò la memoria
 alla luce dei misteri che mi pare
 d’aver compreso a volte, mentre poi
 a più alto luogo se ne fuggono
 rapidi accecandomi
 d’immortale nostalgia
 nata due volte.
 
 17.III.1976
         Alle porte del senso
 Alle porte del senso mi affaccioe guardo al di là. Pare talvolta
 che andare si possa, eppure
 sempre ci chiude l’anima
 il sigillo oscuro. Venti
 da noi corrono alla meta,
 e non possiamo seguire noi stessi,
 e la corsa si chiude in cavità
 da noi lontane ancora, e siamo,
 con doloroso spasmo, ancora
 due in uno, e non sappiamo
 quest’esilio perché si protragga,
 e cercare noi stessi ancora dobbiamo
 sebbene il luogo e l’entrata altre volte
 abbiamo contemplato, e veduto
 in rapidi secondi il viso
 di noi più vero, quello
 che nel silenzio scolora
 di quest’ora la vita.
 
 17.III.1976
         Disarcionare Dio
 Perché accetti l’incenso e brucii sacrifici dell’anima, Elohìm?
 Perché non bruci l’anima? Forse
 dovrei lanciare potenti richiami
 ai forti cavalli dell’anima mia
 che cavalcando sempre mi rapisci
 su montagne lontane trascinandoli
 separati da me, che non ho briglie
 per trarli a me.
 Disarcionare Dio: come potrei?
 Pure tu dici, tu canti, tu sfidi:
 Infine uccidi
 in Me stesso te stesso.
 
 17.III.1976
         Lo scherzo del dio
 Per lunghi giorni in giro se ne vaquesto mio io, e poi guarda e si avvede
 che un dio gli ha giocato uno scherzo,
 fatto bere il rosso calice
 che moltiplica l’istante,
 che divide ciò che sta unito.
 
 17.III.1976
         Per amore del mare e della luna
 Come spuma nel mare mi figuro il mondo,come bolla che un po’ in alto si tende,
 s’ingrossa, s’incavalla ad acque, svanisce
 nel salire al frangente dall’abisso
 per amore del mare e della luna.
 
 17.III.1976
         A cercare la mela
 T’alzi verso il ramo più alto a cercare la mela.Ecco stai ferma, non chinare le braccia
 e lascia andare la mela.
 Resta così, la mano tesa.
 Non vedi la speranza che ti lacera,
 protesa,
 nell’intervallo dal tuo cuore al cielo?
 
 17.III.1976
         Dal balcone dell’Ospite
 Se il corpo opprime, l’anima è legata,non c’è una spada che mi faccia in pezzi?
 Buona sorte se ci uccide un dio:
 non potrà ricusare di mostrarsi.
 Da noi la morte non sarà veduta:
 le nostre ceneri giocose bruceranno
 nei gorghi del vento.
 Nessuna memoria di noi, così la morte
 non saprà dove andare
 e noi staremo affacciati a guardarla
 dal balcone dell’Ospite che nessuno ricorda.
 
 17.III.1976
         Mi sorprendo talvolta
 Mi sorprendo talvolta che non sopiù né tempo né spazio, me ne sto
 fisso a guardare una cosa qualunque
 senza emozione, senza riflessione.
 Ma poco dura e, subito riscosso,
 torno al pensiero che avevo rimosso.
 
 17.III.1976
         Impedito a ferire
 Tu dolce riposo, ninnananna dei pensieri lievi,tranquillo gioco del tempo, oceano dell’assoluto,
 tu morte che dissolvi la frode e il rimpianto,
 chiave di volta della nostalgia, cupa insanguinata
 bandiera della speranza, figlia della verità,
 tu balia del dolore dell’uomo, madre dell’innocenza,
 onda che fluttuasti all’origine, terra ove disparvero
 gli alti voli tesi nel cielo, uccello cieco
 che fosti luce agli uccelli incatenati dalla luce,
 tu morte, manto dei ripetuti silenzi, grembo d’acque,
 seme di rigogli vegetali, segreto degli affetti,
 lato nascosto d’ogni paravento, parola di Dio,
 mi tendo ai miei fini perduti, mi tendo
 alle disperse cose del silenzio, alla vergine
 foresta dell’ingenuità, mi tendo al tuo cuore
 con archi e lance, e povero e nudo mi spogli e mi guardo
 impedito a ferire, impedito a sanguinare.
 
 21.III.1976
         Sansone e Delilà
 I. Nella notte Delilà, impegnando la tua anima,derubi Sansone di tutti i suoi segreti;
 però non puoi rubargli la parola
 che gli spezza la vita.
 
 Inutilmente insisti, Delilà,
 lungamente chiedendogli il segreto;
 il suo sguardo d’un tratto egli richiude
 e più nulla ti dice.
 
 Tu piangi e ti disperi, con ardore
 veritiero lo abbracci, Delilà. Sansone
 pensa che l’ami e tu, tutta pervasa
 di sete di sapere, lo assicuri.
 
 Sansone ha ucciso molti, le sue mani
 grondano sangue di mille filistei;
 il suo pensiero anche è così stanco:
 desidera riposo, Delilà.
 
 Tu lo conosci, conosci la sua mente
 rude, inadatta a un conoscere sottile,
 e con parole stillanti sicurezza
 chiedi a Sansone che t'apra il suo cuore.
 
 Preme il segreto con lance solitarie
 la sovrumana grandezza di Sansone;
 sopra il tuo seno, entro il tuo ventre dolce
 prometti, Delilà, la pace.
 
 L’eroe vorrebbe completo riposo,
 di te si fida, in te si vuol vuotare;
 solo rimane come un paravento
 contro di te il seme di El Sciaddài.
 
 Come una dea, Delilà, ti ergi
 davanti agli occhi abbagliati di Sansone;
 e come dea gli addossi come colpa
 questo silenzio di separazione
 
 Irrequieto, trafitto dal segreto,
 desideroso d’averti, l’eroe mente;
 ma come dea che conosce il mentire
 la sua menzogna gli provi, Delilà.
 
 Per ogni volta, Delilà, che mente,
 con mille spade gli trafiggi il cuore;
 a dura prova lo metti, ché egli vuole
 sempre più avvicinarsi al tuo mistero.
 
 Coi tuoi capelli nella notte scura,
 Sansone, avvolgi la tua Delilà;
 ma non delira, è come freddo sasso,
 il muro del segreto sta tra voi.
 
 Ed ecco che sussulta in tutto il corpo
 e si fa dolce e t’avvolge con le mani:
 “Oh perché mai non cacci la tua spada
 dentro il mio petto, che più io non soffra?”
 
 Mille catene d’un tratto ora t’appare
 facile sciogliere, con poche parole;
 lei svelerà il suo mistero infuocato,
 e allora parli e tutto si rinnova.
 
 Sta Delilà con te e t’accarezza
 ogni pensiero, ogni perduto anfratto,
 e nella notte profonda e serena
 gusta il dolcissimo frutto del potere.
 
 La vittoria che adesso appare a entrambi
 è come un fremito di sangue splendente:
 sogna Sansone i luoghi dell’Antico,
 beve il latte di vita Delilà.
 
 Finché la luna si fa chiara in cielo
 giace Sansone, dorme ed ha visioni;
 la lunga chioma abbraccia Delilà,
 la bacia, taglia e prende fra le mani.
 
 Attratti, giungono ora i filistei;
 con catene Sansone vien legato,
 mentre lo abbraccia Delilà nel sonno
 che ancora dura qualche breve istante.
 
 All’improvviso poi si rizza in piedi
 ma non sa infrangere le proprie catene;
 malcerti vengono vicino i filistei,
 mentre ferma lo guarda Delilà.
 
 Fissano gli occhi l’uno dentro l’altra,
 lui sbalordito, ebbra Delilà,
 che anche lo bacia. E tace il forte eroe,
 penetrando il mistero della morte.
 
 Rassicurati, tornano i soldati,
 da Sansone dividon Delilà;
 rabbiosamente Delilà si oppone
 nello splendore della sua potenza.
 
 Ma i filistei non sentono ragioni
 e la separano violenti da Sansone;
 egli la guarda addolorato e stanco,
 mentre è abbattuta in terra Delilà.
 
 Corrono via, trascinano Sansone
 senza curarsi di lei, senza vederla;
 sotto il fardello d’un disprezzo antico
 Delilà crolla, priva d’ogni forza.
 
 Ma poi d’un tratto il mistero si compie
 e la perduta potenza va inseguendo:
 nelle sue mani ha la chioma di Sansone
 e dentro il cuore ha amore, Delilà...
   II.
 Sansone è cieco, per amore cieco,
 Delilà è cieca, per amore cieca.
 El Sciaddài va pregando Sansone,
 verso di lui si fa strada Delilà.
 
 Come una volta Sansone non sarà,
 ma non si uccide con gli occhi un mistero;
 sopra il suo seno gli darà riposo,
 e dalle labbra la potenza perduta.
 
 Ecco lo segue sui gradini del tempio,
 tra le colonne lo vede appoggiarsi;
 forte lo sente ancora come un tempo
 e una violenza selvaggia la percuote.
 
 Ecco si tende Sansone, ecco con rabbia
 di Delilà sente l’ultimo grido;
 su Delilà crolla il tempio e la vita,
 crolla il tempio e la vita su Sansone.
 
 Le colonne si spezzano e trionfa
 con la forza di Sansone El Sciaddài.
 Una gloria di sangue e di mistero
 la sua grazia riversa sulla morte.
 
 Ecco si levano Sansone e Delilà
 dai propri corpi, ecco se ne vanno:
 la loro ultima selvaggia solitudine
 si discioglie in oceani di stelle.
 
 La potenza perduta di Sansone,
 la potenza insorta in Delilà,
 ecco sono una unica potenza,
 una bacca dell’albero perduto
 sopra gli occhi di entrambi.
 
 22.III.1976
         Edera bianca
 Ho congiunto per te le sette colonne d’argento dell’universo,
 per te ho inventato amache di liane
 da un pilastro all’altro del mondo.
 
 Tu giochi con mani di stelle
 dentro lo specchio galattico,
 e sostengo i tuoi piedi
 con anima d’arcobaleno,
 mentre tu ti tendi, ti tendi
 verso il grido della città perduta.
 
 Padrona dell’anima mia,
 concedi a me turbato cantatore
 una morte di riposo sereno
 tra le tue mani e il tuo corpo di edera bianca.
 
 25.III.1976
         L’elica dorata del tempo
 Strisce di giallo lucentesciabolano nel cielo il blu;
 le acque azzurre sciaborda
 un’elica dorata di tempo.
 Vanenti remiganti passano
 verso il tramonto e presto
 dispariranno. Solo me ne sto
 con gli occhi fissi al bianco
 di più vicine regioni, intento a scrivere
 sotto il cielo che attende la notte.
 
 25.III.1976
         Slegate il cordone d’argento
 Slegate il cordone d’argento,lasciate trascorrere l’anima,
 sconfinata, nel nulla.
 Le onde del mare fluttuantigettano schiume alla luna:
 sciogliete le onde del desiderio
 e lasciatele ricadere sul cuore.
 
 Non v’è cosa che si possa fermare:la cima del monte d’acqua ricadendo
 spezzerà la vita.
 Lasciatevi cullare dal vento,dal vento che porta nel mare:
 vi condurrà lontano,
 con ali invisibili, in mare.
 
 25.III.1976
         La chiave girerò io stesso?
 “Maestro vieni, accorri” –così dice il discepolo,
 così può dire.
 “Maestro dammi una parola di verità,
 un verbo che conceda allegria” –
 ma io che dirò?
 Io, solo, muto, di me stesso
 la chiave girerò io stesso?
 Potrei volgere la mente a cose straniere,
 cercare la menzogna che mi metta in pace;
 ma chi sopporterà così forte in cuore
 il peso assurdo dell’ignoranza?
 Potrei divenire di me stesso maestro;
 ma quale orgoglio potrebbe condurmi?
 Se un uomo venisse e m’insegnasse,
 e io credessi ai suoi insegnamenti,
 a me stesso crederei
 eppure penserei
 che a lui ho creduto
 e così salverei
 l’interiore umiltà.
 Ma se nessuno viene -
 non posso accecarmi -
 come mai potrò sfuggire
 la schiacciante grandezza
 che ferisce il cuore?
 
 25.III.1976
         Lamento del poeta che non ha una donna che gli scaldi le giornate
 
 Il quale, troppo certo di volerelibera donna padrona di sé,
 finisce per restare solo e in dubbio
 se non cercasse invero se medesimo.
 
 Il quale dubbio angustiandolo a fondo,
 lo fa guardare attento fuor di sé,
 ma non trovando allora alcuna donna
 decide infine di tornare indietro.
 
 E tornato che è indietro, ecco continua
 col rimanere solo, e più non spera
 trovar la donna amata, e ricomincia
 a colorir fantasticando i giorni.
 
 E allora si lamenta e ride e canta
 e più non vuole mutare condizione:
 vorrebbe dare amore per la vita,
 ma dov’è il ricco che riceva il dono?
 29.III.1976
 
         Una notte
 Una volta ci siamo incontratisotto il manto di stelle.
 
 Poco importa fosse un manto artificiale
 con lampadine al posto delle stelle
 e tanta gente attorno che danzava:
 subito io e te fummo persuasi
 che una nuova esistenza s’appressava.
 
 Il gran frastuono più non sentivamo,
 quasi nessuno attorno a noi danzasse,
 e la marea di folla con malizia
 a poco a poco ci spinse fuor dell’uscio.
 
 Non c’erano stelle né più lampadine,
 aguzzavamo gli occhi nel gran buio
 e camminammo e camminammo,
 finché si fece silenzio nelle strade.
 
 Un ubriaco passava cantando,
 lo seguimmo; ma ci vide e fuggì.
 Seduti su un muretto, un uomo e una donna
 si abbracciavano; ma ci videro,
 salirono in macchina e corsero via.
 Sentimmo dietro l'angolo un miagolio:
 svoltammo, e non c’era nessuno.
 Un bimbo su un balcone ci guardava curioso;
 ma venne qualcuno, lo trasse a forza in casa,
 chiuse le persiane e crebbe ancora il buio.
 
 Allora ci sentimmo liberi di vivere
 e ci fermammo nel silenzio della via deserta.
 Dentro di noi ardeva il desiderio:
 ci congiungemmo nella notte fonda.
 
 Si avvicinò un passante, ma non ci muovemmo:
 chi ha giudizio, di notte non passa
 per strada, riposa nel sonno,
 già esausto del suo vivere diurno;
 non ha fantasia, non pensa
 che io e te ci possiamo anche unire
 di notte, per strada,
 perciò non ci cerca,
 perciò non ci vede,
 perciò non ci odia,
 perciò il nostro amare
 intatto perdura.
 
 Il passante svanì nella notte,
 era perso in pensieri, neppure ci vide.
 
 Di notte, di notte
 suonano chitarre.
 Di notte, di notte
 scintillano fuochi.
 Di notte, di notte,
 su sabbie marine,
 di notte, di notte,
 in sentieri montani,
 di notte, di notte,
 su asfalti e su viali,
 di notte, di notte
 si fanno canzoni.
 
 Si fanno canzoni di notte, si fanno
 ricordi per giorni ancora a venire,
 per giorni e momenti in cui poseremo
 senza rimpianti di fronte alla vita,
 quando l’età c’imbiondirà i capelli,
 raddolcirà l’ardente cuore e i sensi,
 quando chi avrà ricordi spegnerà
 volentieri la luce della sua esistenza.
 Ricco di cose, non si volterà.Tutto ha nel cuore: perché si volterebbe?
 Solo alla sera si volge chi ha paura,
 chi dietro sé non ha nessuna strada:
 vede la vita come un muro alto
 che ostruisce il cammino.
 
 Ma in questa notte noi ci leveremo
 verso le dune del cielo, chiameremo
 la sorella del sonno: O tu che alla ventura
 corri nel mondo, fermati qui presso,
 vieni qui subito, non ti recare altrove.
 
 Ma la richiesta esaudita non è,
 maliziosa la morte se ne va lontano:
 ama inseguire chi cerca di fuggire
 e per fuggire dimentica la vita.
 Che farebbe di noi, come potrebbe
 privarsi della veste di dolore?
 La congiunzione nostra è così vasta:
 sicuramente perderebbe la strada.
 
 Vanno a zonzo per il cielo le stelle,
 con le nuvole giocando a nascondino;
 a moscacieca invece gioca il cuore
 di chi guarda nel blu.
 
 3.IV.1976
         I cavalli scuri
 Tanta gente dietro di me ho lasciato:dove si sono fermati? dove sono andati?
 Quale uomo o donna mai potrà seguirmi,
 accostarmi, parlare?
 Ecco fuggono via i cavalli scuri:
 nella pista di gara io solo
 fisso le stelle notturne.
 
 24.IV.1976
         Le isole
 Scioglierò i nodi del tempo.Lo spirito e l’anima si protendono
 e fuggono tra le cuspidi gialle del sole
 i mille pensieri.
 Tosto io cado dentro un abisso profondo
 e qui inquieto annerisco al fumo dei distruttori,
 salendone come per voto
 verso i celesti cardini dell’ora.
 Quali chimere voleranno lontano,
 affinché le segua nel loro perdersi oscuro?
 Mille vortici divini furono sotterrati
 in cuori putrefatti, avviliti recisero
 da se stessi la vita.
 Astarte, Afrodite, grande Dea del mare,
 in questo lontanissimo nulla
 i vostri segreti come, come ritorneranno?
 Gelidi, ambiziosi di morte, i Mortali eterni
 dove deposero i figli, i Mosè delle acque?
 I Simboli delle notti, delle stelle,
 delle nostre parole profonde come oceani,
 succhiarono latte dal seno delle Madri
 e dai vortici delle parole spente
 trassero sopra il mondo silenzio.
 Ho veduto Isole vaganti sopraffare
 la sordità del cuore, le Isole lontane
 dei mostri obliosi dell’infanzia.
 Ho udito le Parole evocate
 nei canali del corpo vagare,
 in cerca d’un’anima che dolore o speranza
 accendessero infine, e non ebbero voce,
 e spezzate ricaddero nel vortice quieto.
 Poiché un giorno forse torneremo dai nostri esilii
 e guarderemo negli occhi brucianti gli Dei del cielo,
 tornati ad essere i nostri Avi interiori
 che lunghe vite e viaggio e ritorno cantarono,
 conosceremo allora, come mantici gioiosi
 accendendo la vita nella spirale dell’abbraccio,
 le Parole dell’essere e la terra.
 
 25.IV.1976
         Osservare le stelle
 Di sopra le vane chimere del tempovolgo lo sguardo entro il mare dell’essere.
 Lentamente si muove di là dai nostri occhil'immoto nume genitore dell’esistere.
 Noi non possiamo conoscerne la strada,essa è come un’onda che sempre s’infrange.
 Dell’onda spezzata nessuno troveràin nessun luogo del mondo la sede:
 essa è un paradiso d’innocenza perduta,dispersa nel volo di cento pensieri.
 Si stende nel cielo a mille soli la setedi uomini che sempre ritornano alla terra:
 per tale sete io più non tornerò,trovando il morire come fonte di luce.
 Ciò che infine resta è soltanto la morte:di là da questa soglia perché non andare?
 Tutto ciò che sta di qua è solo canto:si riposa il cantore di là dal nero velo.
 Chi canta, chi ride infine troveràragione del canto, una causa per il riso.
 Di noi sulla terra ragione non esistee mente pauroso chi dice di saperla.
 Saggezza è ricordare d’osservare le stelle,
 infrangere il tempo con mille visioni.
 Di qua dalla vita fantasmi del futuroritornano anche, se tu li sai vedere.
 
 30.IV.1976
         Bella ragazza dal cuore di vento
 Bella ragazza dal cuore di vento,porta lontano dolore e ricordo.
 
 Lasciami immerso in un lago di stelle,
 cantore cieco perduto nel sogno.
 
 Verrà la notte e mi perderò
 dentro uno stormo di uccelli profondi.
 
 16.V.1976
         Io non dimentico
 Perché t’avvicini? Perché t’allontani?Resta dove sei. Io non dimentico.
 
 16.V.1976
         L’uccello dorato
 L’uccello dorato volava sopra la terra.E su ogni terra lasciò cadere una piuma.
 E ogni piuma divenne un essere umano.
 E l’essere umano si fece uccello dorato.
 E volò lontano verso i mille tramonti.
 
 17.V.1976
         Attraverso la morte
 Come fasci di rose si sono perduti,come voli nell’aria da nessuno veduti.
 
 Sono andati lontano dove il mare si perde,
 dentro abissi di gemme non ancora fiorite.
 
 Come nuvola in volo trascinata dal vento
 attraversa gli spazi il Vascello di Luce.
 
 18.V.1976
         Fermarsi alla soglia
 Anni ed anni e qualcuno viene,ti guarda nel volto e ti dice:
 Chi sei tu?
 Anni ed anni e qualcuno è fuggito,
 e nella sua corsa folle si volge e ti dice:
 Chi sei tu?
 Anni ed anni e qualcuno si è perduto,
 e dai suoi sogni emerge e ti dice:
 Chi sei tu?
 Anni ed anni e qualcuno il suo peso ha portato,
 il suo cuore ha alleviato e ti dice:
 Chi sei tu?
 Anni ed anni e qualcuno ha cessato
 il suo dire, il suo fare,
 e ti fermi alla soglia e non senti nessuno,
 ed ascolti, ed ascolti dentro il vuoto, lontano,
 ed ascolti, ed ascolti, e vorresti sentire,
 e nessuno tu puoi più sentire.
 
 2.VI.1976
         Le parole dei bimbi
 Libere come stormi d’aurighinell’alto cielo perduti,
 guidano i carri di Febo le parole
 dei bimbi, cariche di bianche
 previsioni remote.
 
 2.VI.1976
         Le nostre grevi speranze
 Da noi qui sulla terraverrà un giorno forse
 Qualcuno. Ciberà di vento
 le nostre grevi speranze.
 
 2.VI.1976
         Una palla di uomo
 Una palla di uomo, un nanerottoloho veduto una volta sulla strada,
 e mi parve una stella che guidasse
 la fiumana dei sogni.
 
 2.VI.1976
         Non annaspò neppure
 Si fermò,stette, ristette e si guardò
 ben bene sul pelo dell’acqua
 e si gettò,
 e scomparve giù in fondo,
 fece pluff,
 non annaspò neppure,
 fece pluff.
 
 Inutilmente ho atteso tutto il giorno
 che ritornasse a galla, gonfio d’acqua,
 il mio cadavere,
 ma su non è tornato.
 
 Ditemi, amici, ditemi perbacco:
 chi lo ha veduto?
 
 2.VI.1976
         L’enigma che piange
 Un enigma,oh il bell’enigma!
 Guardatelo in faccia,
 guardate l’enigma
 ben bene sulla faccia.
 L’enigma piange:
 perché mai piange
 questo mio enigma?
 
 2.VI.1976
         Talora un mondo si dissolve
 Talora un mondo si dissolve,un domani precipita e condensa e si fa presente.
 Noi dimentichiamo le cose passate,
 ciò che credevamo non ha più spazio alcuno.
 Tace la storia, tacciono i passati richiami,
 ché ogni cosa è destinata a perdersi nel nulla,
 o forse più lontano del nulla.
 
 5.VI.1976
         Quaranta giorni e quaranta notti
 Quaranta giorni e quaranta notti,quaranta giorni e quaranta notti camminò Elia
 per giungere al Chorév.
 Camminò quaranta giorni
 e poi quaranta notti
 finché si fermò davanti al Chorév
 a deporre se stesso.
 Nel suo cammino
 quaranta giorni stette,
 quaranta creazioni,
 e poi vide il cielo.
 
 8.VIII.1976
         Un piccolo luminoso elfo
 Lampeggia un piccolo luminoso elfo ed io ogni voltaodo il suo nome, Nulla, e mi dissuado
 dall’azione inattuata. Mi ritrovo,
 da sepolto che ero, mentre volo
 libero verso l’inafferrabile indicibile
 unica meta.
 
 15.VIII.1976
         Giglio e rosa
 Giglio incrociato a rosa,
 la purezza e il sangue,
 a notte un uomo va cercando intorno
 alla luce lunare, la perversa
 tetra follia fuggendo. Chiara
 dentro luoghi cosparsi di dolore
 è la stanza profonda, viva
 di fiabeschi commiati, arie di bimbo
 che con palle di vento gioca in cielo. Pure
 cerca l’uomo nel mezzo delle morti,
 dentro il segreto delle disperazioni,
 l’urna di vetro fragile che insegna
 a tenere la sorte dolcemente
 senza fuggire mai, senza guardare
 troppo di fianco, troppo di lontano.
 Giglio incrociato a rosa,
 la purezza di ogni cosa che vive,
 sangue rosso fluente che si contrappone
 per vie diverse nella stessa via,
 via che corre, dentro il buio, un uomo
 sopraffatto dal sole.
 
 15.VIII.1976
         In un eremo inaccessibile
 In un eremo inaccessibile,senza nessuno che parli,
 ingiudicato e senza giudicare,
 quello è un posto adatto.
 Osservare da fuori,
 dalle porte del nulla,
 gli uomini, le bestie,
 il grande mondo, gli alberi.
 E rimanere liberi
 per sentire la voce
 di se stessi quando
 più non c’è voce.
 Restare così,
 un frutto abbandonato
 come per consuetudine
 nel campo del raccolto,
 un frutto soltanto,
 lasciato nel campo
 per le mani del viandante,
 di chi va lontano.
 
 1.XII.1976
         Con gemme di esperienza
 Con gemme di esperienzaarricchisco ogni giorno
 il prezioso tesoro dei tuoi doni.
 Tra le rive del pianto
 tu mi sei di guida
 come un dolce vento d’autunno.
 Docile la mia mano
 si aggrappa all’esistere,
 pronta a lasciar la presa
 se appena ti veda.
 Ancora per un attimo,
 un nulla innanzi a te,
 io resterò quaggiù
 arricchendo il tesoro.
 
 1.XII.1976
         Ad Antonella che mi portò una rosa     La vidi entrare con la rosa in mano:Shenandoah solleva gli occhi al cielo,
 sorge la luce dal profondo azzurro.
 
 La vidi entrare col suo rosso fiore:
 Shenandoah mi canta dentro il cuore
 il leggero sussurro d’un giorno nuovo.
 
 Io sospirai parole dolci
 quando mi prese Shenandoah.
 
 Shenandoah guarda la luna,
 la falce specchiata dal mare:
 nel mare degli occhi si specchia lei,
 si specchia negli occhi miei Shenandoah.
 
 Fu una rosa che tendeva alle stelle
 il primo pensiero di Shenandoah,
 il primo dono alla vita fu il sogno
 d’un calice rosso dall’aroma lieve.
 
 Shenandoah si china sull’onda
 del mare profondo, dal glauco fluire:
 nella galassia delle sue mani
 pongo la sfera dei miei pensieri.
 
 Ripongo il destino cullato dal vento
 dentro i correnti rapidi flutti
 che con le braccia levate alle stelle
 lancia nel cielo Shenandoah.
 
 3.XII.1976
         Un dies irae
 Un dies irae, un cammino perduto nel boscotra i demòni notturni, gli gnomi scipiti
 grigi come lo smog che ricopre la vita
 di noi uomini e donne sopraffatti dal niente;
 un parlare di canti e d'annate lontane,
 un vantare di spenti deliri incendiari,
 un narrare di vite ce ne andiamo a cercare
 tra lo scrivere vano di Petrolpoietài.
 Pietroburgo se anche si scosse una volta
 sotto il fuoco dell’odio, e Versaglia e Berlino,
 senza fine nel mondo potremmo cercare
 una furia di vita, un desiderio ebbro
 nei silos vuoti in cui, protetti dall’ozio,
 pigri si giacciono i seguaci di Hedoné.
 Anche oggi tuttavian odio ad essi,
 la nota pura udiremo, eterno flauto.
 
 3.XII.1976
         Anime in fuga
 Intorno ai marmi rosati
 dei templi antichi, spossate
 d’irrefrenabili unioni
 di donne, uomini e sogni,
 su strade colme di serpi
 che si rigirano al sole,
 nell’aria tersa al mattino,
 nel bianco incesto aurorale,
 volgono i passi a ritroso
 anime in fuga da sempre.
 
 1.I.1977
         Antica immagine in danza
 Subito ardendochiuderti fra le braccia
 come un fiore d’oro,
 come un fiore di vento.
 
 Sciogliere nel fuoco
 le chitarre del cuore,
 ferire con spine di rosa
 le tue cosce danzanti.
 
 Colmare con neve sciolta
 e trasportare in cielo
 mille ruscelli di vita
 sopra il tuo ventre e il mio.
 
 Modulare con flauti
 e zampogne di fauno
 le melodie barbariche
 delle ere di fuoco.
 
 Cogliere dal tuo respiro
 nubi radiose e leggere
 e premere in cieli notturni
 i calchi delle tue braccia.
 
 Un’antica immagine danza
 con mani al di sopra del capo,
 traendo nel gorgo profondo
 i cento pensieri d’un uomo.
 
 E l’uomo si sferza, si frusta
 con occhi di onda lacustre,
 in stagni fissando lo sguardo,
 fremendo di sete di mare.
 
 23.I.1977     |