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Dario Chioli

SILENTIUM AMORIS

Poesie dei ventiquattr'anni

 
 
Sommario
1980Il ritorno di ErosLode allo Scommettitore
 L’Oste scorteseSolo un passo
La casa del poetaCavalli del tempo e della luceIl dilemma
Gli esseri del prodigioUscire dal mondo del tradimentoL’alfiere
La porta dell’eccessoPer mille camminiIn singolar tenzone
Il dio perdutoL’intreccioIl bicchiere di nettare
Silentium amorisDritto all’InfinitoLode dei piccoli peccati
Mancò il buioLa compassioneLa canzone infinita
Lode all’InfinitoVivaSulla nuda montagna
Odino e i MagiVorrei incontrarti ancora 

 
 
   
 

La casa del poeta

Sappiate, amici, che il poeta ha casa
dentro la notte.
Gioca coi teschi e con le palle fulminanti,
infigge saette nei cuori senza ferire.
Chi non ha l'arte
non la può comprendere:
perché ascoltare inetti sentenziare
senz’aver detto un verso nella vita?

18.III.1980

   

   

Gli esseri del prodigio

Alle volte, ammalato, non ho voce
per parlare con gli angeli. Essi sentono
questo pianto del cuore solitario
e dalla vetta luminosa dell’Essere
scendono allora nel giorno abbassandosi fugaci.
Vedi lo specchio dove li puoi guardare?
Essi hanno alle dita anelli di Paradiso,
ali di fuoco li avvolgono e gli occhi sono scuri
più del regno dei morti.
Tra specchio e specchio scendono,
sfanno il tuo male in spirali d’amore.
Tu allora sorridi, il rimpianto si fa dolce,
l’immensità del mondo è madre e non prigione,
l’insondabile abisso è come il tuo passato,
lo scordi nel fermo attrito del tuo sguardo.
Non sapresti più dire, nulla più ti fa grande,
lieve è il tuo lamento, la tua gioia infantile.
Gli uomini ora ti guardano e ridono divertiti,
un buffone gli pari, un eccentrico bizzarro,
un uomo senza domani, privo d’un ideale.
Ma come grande, poeta, è questo fare immobile,
contemplare il deserto come si muova libero,
e tu più libero ancora del vento che muove le sabbie.
Pur essendo soggetto a ogni accidente banale,
sai che infine ogni cosa ha un senso che ti sfugge,
e di questa ignorante certezza ti fai strada
per camminare prodigioso sulle limpide acque.
Nessuno ti vede, nessuno ti conosce,
nessuno di coloro che ti vengono incontro;
alcuni si fermano, alcuni se ne vanno,
tu resti fermo a chiedere ancora più luce al cielo.
Dei tuoi mille vicini forse uno ti parla:
tu parla con quello, agli altri non dare ascolto.
Infine la rete si stringerà ben stretta,
gli spiriti dell’ombra li legherai al sole
e inconsistenti si disperderanno.
Gli angeli ancora scenderanno nei giorni,
nella tua anima prenderanno stanza.
Echeggeranno le parole vive
e ogni oscuro recesso sarà luogo di canto.
Cavalcheranno ancora i cavalli del sole
esseri turbinosi e uomini del fuoco.

18.III.1980

   

   

La porta dell’eccesso

Che vale girare il mondo?
Sempre uguali sono gli uomini.
Che vale cercare ancora?
Sempre uguale è lo scopo.
Molte cose avendo indagato,
tanto grande, ho visto, è la morte
che il bello sparisce,
come goccia di rugiada in una pozza,
cristallo di sale nel bitume.
Non debolezza mi sopraffà,
non forza mi seduce;
non odio mi turba,
non passione m’illude.
Non vanesio io sono né pazzo,
non cieco io sono né stolto.
Chiaro è il mio occhio,
la mia guancia sente ancora
la dolce carezza del mare
(io, proteso sull’acqua a baciare
l’onda corrente, ero
vivo com’efflorescenza
d’un loto dai mille petali sul lago).
Morire peraltro non mi pare
che una via verso Dio, così che
vale forse la pena di forzare
in questa vita la porta dell’eccesso.

5.IV.1980

   

   

Il dio perduto

Forte è l’anima,
il cuore non è stanco,
vita e amore volgono
radiose corolle al cielo.
Coppe colme di ventosa luce
bevo completamente.
Sono il dio perduto
del vecchio tempo
e presto, amici, sorgerò
una volta ancora
libero sulle onde.

8.V.1980

   

   

Silentium amoris
 

Sai, caro ragazzo,
sai che molto nascosto sono,
chiuso in un segreto mille volte sigillato.
Silentium amoris
è il vivere.

Sei tu, amico, un viandante
in me per caso perduto
come in oscura selva magica:
forse non più troverai la strada,
forse sorgerà anche in te
il fuoco vivo alto splendente
che tramuterà la terra
in visione e pellegrinaggio.

Non fuggirtene, chiedo tra me,
eppur dirlo non posso,
ché molte cose accadono
e la chiave avere è difficile
e chissà che tu non muoia domani.

Ma se puoi, resta,
prego tra me. Oppure
me ne andrò silenzioso.

8.V.1980

   

   

Mancò il buio

Mancò il buio,
subentrò la visione.
Il canto della folgore
alzai forte nel cuore.

8.V.1980

   

   

Lode all’Infinito

Lode all’Infinito
che dal Trono divino protende
mano illimitata.
Qual vaso io sono
che continuamente per anni
urge alcuno che versi
in lui acqua di vita e vino,
onde s’inebrii
qual limpido lago solcato
da tempestosi turbini.

1.VI.1980

   

   

Odino e i Magi

Segretamente in quest’ora
Odino e i Magi s’incontrano.
Per essi danza in sette veli ignuda
Astarte cananaica.
Toglie il suo sguardo ogni volta
vita al tuo corpo, e in brani lacera
l’anima tua che fiduciosa attendeva
una lontana stella di latte,
un materno asilo.

1.VI.1980

   

   

Il ritorno di Eros

T’adottarono come figlio,
il segreto padre presero per bimbo,
la dolcezza del sapere ignorando
costruirono piramidi di sabbia,
eressero rovine dove sorgeva la vita.

Eros, sole splendente, padre di genti,
sappiamo che infine tornerai dal silenzio,
arpa che vibra sul mare.

1.VI.1980

   

   

L’Oste scortese

Bevo dalla coppa spinte irrequiete
all’infinito oceano nascosto appena sotterra.

Possa Oste scortese farci bere alla botte.
Loderemo questa mancanza sua di cortesia.
 

1.VI.1980

   

   

Cavalli del tempo e della luce

Avverto eco del mondo più lontano,
criniere fluenti dei cavalli del tempo
che condussero il cocchio che guidavo
quando ancora non ero. Alcuni dèi
più si fanno sentire, altri li avverto
dietro spesse cortine, e un Invisibile,
ch’è ragione di tutto eppur non odo,
pur mi sembra che sia dietro le stelle,
dove smisi di correre cadendo
in questo mondo che mi sta illudendo.
 

Odo l’eco di un mondo e nostalgia
già mi prende fortissima e mi guida,
e molto soffro per la mia impazienza.
Tanto forte è il pensiero che mi pesa
qui nell’intimo cuore: anima d’anima
che per lunghi periodi pur scordo,
mentre vedo che fuggo e mi rimbrotto
e non so cosa fare. Solo quando
incrocerò per la strada del silenzio
un dio che venga attratto dal mio canto,
potrò pregare per la gran giustizia
lo scudiero del cielo di ridarmi
ancora una volta il mio cavallo di luce,
cui luna e sole intrecciano nella criniera
un mare rosso di stelle, e mare e cielo
si fondono nell’azzurro sereno del manto,
e inferno e oblio fanno gli zoccoli inconsunti,
e gli angeli dell’Invisibile suonano
nel gran nitrito che scuote la pace dei mondi.
Su tal cavallo l’uomo può condursi
alla profonda eco che lo scuote,
per quanto fievole, nell’intimo del cuore.
Di tale eco però la fonte prima
non può trovare né il cavallo cavalcare
se non può prendere l’arpa del suo cuore e suonare.

25.VII.1980

   

   

Uscire dal mondo del tradimento

Oceani di concetti, mari di parole
talora prendo in mano, e li suffumigo
con pestilente assafetida finché
se ne scappano via. Allora resto
io splendente bambino in faccia al sole
e incenso e sandalo brucio e caccio via
gli umidi spiriti che mi tormentavano.
E poi con forte cuore in giù m’interrogo
e in me risuonano voci e sento chiaro
lo splendore dell’essere. M’illumino,
e nel suono d’un vento senza fine
mando voci nel cielo, e in tale attimo
sento di me non scordarsi il Vivente.
Fonti di gioia schiude e messaggeri
che gridano con gli occhi Non ti scordo.
Son ridestati i profumi del mio cuore
e un balsamo è infuso negli occhi e nell’anima.
Dalla mia giovinezza ho cercato la verità,
essa è una donna dagli amori eterni.
Felice è chi compie tale scelta
che può uscire libero dal mondo del tradimento.


25.VII.1980

   

   

Per mille cammini

Per mille cammini ti cerco, in mille rivoli
si disperde il pensiero. Signore del mondo,
molte cose si oppongono, gli uomini
interrompono i canti e mi disturbano
con loro morte e infinito rancore.
Le loro strade facili trascorrono
e spesso incrociano i miei difficili sentieri;
mi estenua il contrasto di una tale larghezza
con il ripido pendio su cui m’affatico.
Ma in un mondo lontano mi hai dato per amante
la meta stessa di tutti gli amori,
la qual con lunghe chiome mi accarezza
apparendo negli abissi di luce del cuore.
Sia dunque un luogo di là dallo spazio
per i cammini che ho scolpito verso di lei
nella dura roccia di granito della vita.
Lì danzeremo, o Signore del mondo,
l’invisibile ballo ch’è magico scalpello
a chi vuol trarre dalla pietra il suo essere, a chi vuole
aprire una porta di gioia nel ventre della morte.

25.VII.1980

   

   

L’intreccio

Morte e vita giacciono intrecciate
in amoroso amplesso. L’essenza della vita
penetra nel grembo della morte; ivi congiunta
n’esce incarnata in tua propria esistenza
dove, se accogli il richiamo dell’amplesso,
come da un ponte attraverso la morte
tutto l’essere giunge dal seno della tua origine.
Quindi non v’è cosa alcuna che giaccia
se non per oblio o per segreto disegno.

25.VII.1980

   

   

Dritto all’Infinito

All’Infinito non chiedere il finito;
le sue ragioni son migliori delle tue.
Angeli e santi amministrano le cose
singolarmente, ma se il tuo pregare
sa dirigersi dritto all’Infinito,
perché occuparsi di meschinità?
Volgi dunque il tuo sguardo, se lo puoi,
alla radice del mondo. Di lì crescere
ti verrà cosa agevole, altrimenti
se fuori vaghi, ti disperderai
tra vento di sogno e morte.

25.VII.1980

   

   

La compassione

Più odi cose infuriate contro te, più ridi, bimbo.
Più odi cose obbedienti a te, più ridi, bimbo.
In un caso è la morte che ti avversa,
e nell’altro è la morte che ti tenta.

Tu stai fermo sul seggio della vita,
il tuo lieve sorriso sperderà l’oppressione.
Le mugghianti onde schiumose dell’oceano
si poseranno dolci davanti a te.

Prendi di quest’acqua con le tue mani:
dov’è l’orrore? dov’è lo spavento?
Sorridi, bimbo, ha decretato il cielo
per la dolcezza la più terribile forza.

Le cose violente le spezzerà la violenza,
la loro impotenza camuffata di terrore;
tu prendi di questo terrore con le tue mani:
è più debole di un passero caduto dal nido.

Riponilo sul ramo, la tua compassione
lo avvolgerà nelle spire dello stupore.
Il suo grido si muterà in silenzio,
il silenzio sarà la tua strada.

25.VII.1980
 

   

   

Viva

Viva, intrecciasti le chiome
con fiori odorosi, con balsami.
Viva, esponesti il tuo corpo
ai raggi del sole, all’estate.
Viva, danzasti alla notte
nel lucido abbraccio dei campi.
Viva, fuggisti col canto
nel buio la luna a guardare.
Viva, foggiasti il tuo volto
secondo chiedevo e speravo.
E ora che più nulla spero,
ti abbracci ancor viva al mio cuore.

28.VIII.1980

   

   

Vorrei incontrarti ancora

Vorrei incontrarti ancora, un dì, prima ch’io muoia,
nella notte piena di stelle, con la pallida luna
brillante come nel giorno della visione strana quando disserra il mondo segreti senza confine.

Con te leggere il libro nei bianchi spazi segreti
dove nessuno ha cercato angeli per la sua vita,
come un viaggiante nocchiero smanioso di verdi terre
dai fertili terreni ignorate dall’uomo.

Vorrei nel ridente abbraccio dimenticare la morte,
così a fondo scordarla che l’anima risplenda
della gloria luminosa d’irrecuperabili epoche.

Volgeremmo gli occhi come al nascere del mondo
innocenti e voluttuosi assaporando la vita
e per sempre erranti nel dolce baratro delle stelle.

28.VIII.1980

   

   

Lode allo Scommettitore

Nella notte dell’anima
splende la mia luna,
né è sì misera che il sole
non l’abbeveri con la sua luce.
 

Lode canto a tal stella,
allo Scommettitore
che nel mio cuore trae
dai dadi doppia sentenza,
in duplice ipotesi ponendo
salvezza mia oggi o domani.

28.VIII.1980

   

   

Solo un passo

Dei raggi della stella mi rivesto:
fluente cascata di luce risplendo.

Un passo, solo un passo
per misurare il mondo.
 

3.X.1980

   

   

Il dilemma

Scrivere ancora
o rompere la penna?
Parlare ancora
oppur chiuder la bocca?
Cercare sempre
oppur sempre sorridere,
fino alla fine,
nel seggio segreto del cuore?

3.X.1980

   

   

L’alfiere

Nessuno ascolta: il varco dell’amore
solo nel fondo di un oscuro cunicolo
che tu solo intravedi s’apre ancora,
e tu non puoi condurvi che te stesso.
 

Essere vivi e anche essere muti,
sprofondar nel silenzio della vita
e distogliere gli occhi dolorosi
dai tuoi fratelli schiavi
per sopravvivere, per fartene lamento
fino alla soglia dei mondi.
 

Quando porterai
la tua anima libera dalle molte catene
alla sede delle stelle e t’interrogheranno,
fatti alfiere, fanciullo, delle cose che più non sono,
delle arpe il cui suono si è perso nella dimenticanza.
Dal seno dell’oblio invoca una verde terra
per gli esseri dolorosi a cui tagliarono le radici.
 
Quando vivo giungerai alla sede delle stelle,
dal lungo viaggio porta intatto tutto il dolore.
Dai tuoi luoghi nascosti emerga tutto il ricordo
e la memoria tua sia fatta madre di tutti gli esseri.
 

Chi spegnerà il dolore, la fatica del vivere
se non coloro che vanno liberi dal peso della notte?
Sono essi che debbono incombere
come stuolo di selvaggi guerrieri
nei paesi profondi della distruzione.
Così ancora, di sotto veli scuri,
cortei di stelle saliranno nel cielo.

3.X.1980

   

   

In singolar tenzone

Siedi.
Tenzone è tra te e la morte.
Essa non vive se non per la tua vita.
Muori a te stesso ed essa non sarà.
 

Tu guarderai la luce nella placida notte
fino a sentir sonare in te una musica
più vasta della morte, che non vede
le cose grandi.

3.X.1980

   

   

Il bicchiere di nettare

Sollevate fino in cielo
le anime spente che vogliono volare.
Sollevatele
con mani dolci e un bicchiere di nettare,
perché vedano almeno per un giorno
il grande spazio di là dalle montagne.

10.X.1980

   

   

Lode dei piccoli peccati

I.

Pare ch’io molto pecchi eppur vi dico
che sono vivo. Il dio della saggezza
neppur mi ha in uggia e solo mi destina
qualche accidente che mi lasci vivo.
 

II.

E invero lodo i piccoli peccati
per cui non puoi giammai voltarti indietro
dicendo Nulla mi ha mai smosso il cuore.
Se di piccole colpe abbiam ricordo,
siamo vivi e indulgenti e al nostro sguardo,
uomo o donna, qualcuno corrisponde.

10.X.1980
 

   

   

La canzone infinita

Disgusto ho del mondo e amore
delle genti passate.

Tutto s’è perso ed ho recuperato,
per non morire, cose che niuno più vuole,
vecchi ideogrammi che nessuno traduce.

Rimasta solo la morte,
mi siederò e canterò,
come il cigno sul lago,
la canzone infinita.

1.XI.1980

   

   

Sulla nuda montagna

Sulla nuda montagna arrossata di morte,
nella molteplice disfatta,
vedo un volo veloce
di rinnovellata Fenice.

Ma a noi dalla memoria spezzata,
carichi di assurda conoscenza,
sian date solo la pace e la fuggevole
visione della nostra giovinezza.

1.XI.1980

   

   

 
   

 

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