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DIALOGO TRA NIETZSCHE E SOCRATE

Dario Chioli

 

NIETZSCHE. Che vuoi da me, asino d'una bestia?

SOCRATE. Bene hai detto, ché non risultando che le bestie possiedano asini, ne consegue che quell'asino è piuttosto un uomo e che, l'espressione essendo da bestia, tale bestia sei tu. Questa autoconoscenza è tanto precisa che è quasi inverosimile trovarla in una bestia, ma del resto io sono sempre stato ignorante e non ho nessuna intenzione di apprendere ora in qual modo tale espressione dipenda dal tuo cervello, e neppure in qual modo le bestie possano finire ai Campi Elisi, cosa che molti non ammetterebbero mai.

NIETZSCHE. Carissimo Socrate, delle tue erudite invettive me n'infischio del tutto. Del resto mi piacciono più le bestie degli uomini, che sono invece corrotti, stupidi, pretenziosi di mille privilegi e incapaci di procurarsene da sé neppure uno. Quindi resta pure uomo finché ti pare, perché uomo sei e uomo rimani, degno compare di quel caro Diogene canino che essendo bestia rifiuta di essere uomo, così come tu essendo uomo rifiuti di essere bestia.

SOCRATE. E come tu essendo pazzo rifiuti di essere sano.

NIETZSCHE. La cosa mi tocca nel vivo, lo ammetto. Ma anche tu, essendo sano, non sei propenso ad impazzire.

SOCRATE. Ben detto, Federicuccio. Per di qua non si avanza. Giriamo dunque il discorso su un altro punto. Io me ne sto dunque qui a sentire: cosa mi racconti, perché io capisca ciò che tu vuoi dire? Tu sai poetare assai bene, e la mia povera mente ha giustappunto bisogno di bei paragoni per capire le cose profonde. Comincia dunque, e sta' sicuro che non mi stancherò di sentirti.

NIETZSCHE. O divino Socrate - ti chiamo divino, beninteso, perché Dio è morto -, per quanto io sia pazzo, so bene che chi parla per primo ha sempre torto, così come chi passa a reggere, per sbadataggine, la parte affermativa della diatriba. Tu hai capito abbastanza il pensiero di Eraclito buonanima, ma io l'ho capito meglio di te, e di conseguenza puoi aspettare fino alle calende della tua amata Ellade ma non mi sentirai certo iniziare una discussione con te. Del resto ho scritto un bel po' di opere, vattele a vedere, se ci tieni.

SOCRATE. O barbarico filosofo dal nome barbarico, la tua barbara proposta viene in ritardo, poiché vi ho già dato più d'uno sguardo, e con attenzione, e sebbene nutra molti dubbi che l'Oracolo delfico non ti proclamerebbe di certo uno degli uomini più sapienti, tuttavia, se si prescinde dal modo di pensare proprio degli oracoli apollinei, qualcuno degli altri ti potrebbe anche dar la palma. Per questo voglio parlare con te e, se tu evitassi le invettive, le eviterei anch'io, giacché io sono sempre in cerca di chi ne sappia più di me che non so niente.

NIETZSCHE. Ecco, vedi! Ciò che di te sempre mi ha dato più sui nervi è quel tuo non sapere. Io invece so perfettamente tutto e non posso sopportare quella tua ricercata fasulla ignoranza. Non hai fatto che distruggere, il che non è male, a patto che si crei qualcos'altro... Tu invece no. E bene han fatto a darti la cicuta.

SOCRATE. Oh perché non ti ho avuto per discepolo! Non avresti angustiato le mie ultime ore cercando di farmi fuggire a tutti i costi, e forse ti saresti ricordato di sacrificare ad Asclepio, come quei disgraziati si son dimenticati di fare, tant'è che venendo qua Asclepio mi guardava dopo un po' con occhi arcigni, e ho dovuto rabbonirlo, il che m'è costata una fatica maggiore di quella che mi serviva con Santippe. Perché è vero che han fatto bene a darmi la cicuta; altrimenti sarebbero stati dei pazzi simili a te, Federicuccio, e avrebbero corso il rischio di diventare simili a me.

NIETZSCHE. Se con questo intendi prevedere che io, in questi beati Campi Elisi, mi accosti a te e rinneghi le maledizioni che ti ho or ora spedito per dritto e per traverso, immerso nel sacro fuoco delle Muse con cui tu non hai niente a che spartire, perbacco il tuo modo di far divinazioni dimostra del tutto che il divino è morto. Grazie di avermi tolto questo dubbio che m'infastidiva non poco, tutto sommato. Quanto alla cicuta, sta' ben tranquillo che io non te l'avrei fatta bere dopo il processo, ma prima.

SOCRATE. Questo si chiama barare, Federicaccio. So bene che tu non sei molto amico della morale scontata, come neppur io del resto, ma tu non l'avresti fatto, perché si avvelena solo chi si odia, e secondo te bisogna amare per poter odiare. Ora, se tu mi odii, vuol dire allora che mi ami. Ma forse è davvero questo che sotto sotto volevi dire, e la verità t'è sfuggita di tra i denti. O Dei, impiantate baccanali danzanti, e che la quiete di questi regni celesti sia scossa da questa magnifica scoperta! Chiamate Dioniso e Apollo perché ballino assieme. Io farò un balletto con Nietzsche, che di certo non avrà nulla in contrario, giacché in questo mondo mi sono abbellito.

NIETZSCHE. In una gara di mentitura e travisamento il lauro sarebbe certo tuo, Socrate. Si può avvelenare anche chi si disprezza per la sua insignificanza, per la sua meschina nocività. Fammi perciò il piacere di rimandare i festeggiamenti ad altra data, oppure falli per Santippe.

SOCRATE. Uhm. Santippe non è quassù, ed è meglio così. Però quasi quasi se vi fosse... potrei donartela. È vero che le mogli non si regalano, ma se le dicessi che tu mi odii, sta' certo che ti si attaccherebbe subito subito senza chiedermi neppure il permesso. Sarebbe un bel quadro, tu e Santippe... e sarebbe interessante vedere come faresti con lei tra i piedi a proseguire nelle tue abitudini di pensiero. Chiedendole della grandezza, lei descriverebbe ministri e mercanti; parlando della superiorità, penserebbe a quella dei ricchi. Se poi le chiedessi del Superuomo, passerebbe subito a descrivere un tipo umano che avrebbe certo molto di quello che tu stesso definiresti un idiota. Dopo un po' di questo esercizio, forse la tua immaginazione perderebbe un poco di smalto e tu seguiresti Socrate, per poter amare la vita con tutto ciò che essa propone, così come permette la mia ironia. L'ironia dei pazzi infatti arriva solo fino a un certo punto, perché altrimenti non impazzirebbero; la mia invece prende in giro persino se stessa. Non credere dunque che il tuo disprezzo possa toccarmi, o che io ti disprezzi a mia volta. Tu mi diverti troppo, ed è proprio di questo che io volevo farti persuaso, che tu non hai nessuna possibilità di esercitare la tua irrisione violenta contro di me, giacché ad essa si oppone, da parte mia, una irrisione meno violenta ma più sottile assai, che ben controbilancia la tua, dissolvendola nel mentre che ne viene dissolta, sicché alla fine tu ed io restiamo come prima, con intatte tutte le possibilità di comprenderci a vicenda. Tu hai cercato distruzione e creazione, compiendo un perfetto circolo attorno all'asse della conoscenza, circoscrivendolo, localizzandolo; io invece mi sono seduto sull'asse tranquillamente, intuendo perfettamente il segreto del fare, ma senza fare alcunché. Messi assieme, potremmo dunque fare una bella composizione che comprenda tutti gli aspetti: era questo che volevo proporti. Io organizzerei e tu manifesteresti, tu guideresti e io farei la strada, e in definitiva creeremmo tutti e due per la parte che ci compete, in barba a quegli stupidi che ci hanno così mal inteso, pur pretendendo di essere nostri eredi.

NIETZSCHE. O Socrate, mi va assai bene questa proposta, ed è giusto che venga da te, perché a te spettava, ché sei più vecchio e perciò quello a cui stava di dimostrare la propria giovinezza. Del resto è giusto che la mia pazzia si tinga dei colori della ragione e la tua ragione di quelli della follia, perché senza l'una o l'altra la vita dello spirito non è completa, e la verità diventa un gioco da bambini. E bene hai fatto a rivolgerti a me, perché infine solo chi può intendere l'umanità del mio Superuomo può intendere anche la tua ignoranza assoluta. La tua strada ti ha condotto alla morte, la mia mi ha condotto alla pazzia. Ma ora la pazzia lascerà vivere la vita, e la vita darà ragionevolezza alla follia. Evviva Socrate! Diamo inizio ai baccanali e mettiamoci anche un pizzico d'ironia, mandando a chiamare i nostri sedicenti discepoli, che ci delizino coi loro discorsi. Ma vengano anche Eraclito, Pitagora, Parmenide e i loro buoni amici, con qualcun altro più giovane, a divertirsi con noi. Ma per quanto riguarda i cari discepoli, dovremo per l'occasione scendere all'Averno, giacché non son certo quassù, tranne qualcuno come Platone o Aristotele, qui inclusi per altri meriti che quello di esserci discepoli. Infatti tante sono le balordaggini causate dal genere dei discepoli che Caronte veramente si sentirebbe defraudato se glieli prendessimo. Ma oggi lo inviteremo con noi e così ci lascerà vederli, e già son certo che ne trarremo tanto spasso che l'oscurità stessa si farà un po' più luminosa e anche quei poveracci ne trarranno qualche giovamento. Ecco Socrate che già mi fai diventare compassionevole! E compassionevole voglio essere e perciò mi munirò d'una cappa tale che non ne esca alcuna luce, ché quelli, dopo aver avuto sollievo, non ripiombino poi in un'oscurità che parrà loro ancor più disperata, giacché le lanterne spente, per quanto le si lustri, da se stesse non danno luce.

SOCRATE. Bene hai detto, Federicuccio, e anch'io indosserò una cappa, e ben spessa, ché Santippe non mi riconosca poiché, diffidente com'è, al vedere quella riunione di filosofi, penserà certo che ci sia anch'io, e verrà sicuramente a cercarmi per potermi rabbuffare ancora una volta. Eh, Nietzsche, dura è davvero la vita dei filosofi sulla terra, ma qui su ci si può ancora divertire, per fortuna, e in fondo non ci abbiamo perduto nulla ad essere savi.

NIETZSCHE. O saviamente pazzi, caro Socrate.

SOCRATE. Certo, certo, saviezza e follia son due bocce: chi piglia l'una chi piglia l'altra, ma i birilli sono i medesimi.

NIETZSCHE. O Socrate, mi sa che tu ti stia già facendo poeta!

SOCRATE. E tu sei già così allegro da non sembrare neppure più un romantico.

NIETZSCHE. Eh sì, Socrate, non c'è fuga quassù.

SOCRATE. E c'è tempo per vivere.

NIETZSCHE. E per ridere.

SOCRATE. E per amare.

NIETZSCHE. Come si deve.

SOCRATE. Sì, come si deve.

 

[23.2.1976]

 

 

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