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FLORA

Dario Chioli

 

I. Lunedì.

Mentre sono in preda all'angoscia, mi penetra in mente il ricordo dell'immagine di Flora dipinta dal Tiziano, così densa e forte, seria e generosa.

Qualcosa ancora in me sopravvive. Flora ha steso le sue mani, nelle spoglie vegetazioni della mia anima ancora qualche foglia verdeggia, una pallida eco del lontano vibra sommessamente.

Non tutto è perduto. Traggo un lungo respiro, alzo gli occhi al cielo e piango. 

 

II. Martedì.

Ho mantenuto da ieri una certa sensazione di profondità. Non sono certo in pace, ma come chi guardi da lontano il naufragio della propria nave. Così naufragano i miei atteggiamenti e le mie costanti. Ed in questo naufragio, avvolto nel caldo abbraccio delle onde, oso sperare di dirigermi a riva.

Giungo in ufficio con una certa calma, e guardo con disincanto l'altrui fretta, la follia così comune di chi corre senza fare, per intrinseca necessità. Che gioco di specchi: corri per rifletterti nel giudizio di questo e quello, e questo e quello si attendono da te che tu effettivamente ti rifletta in loro, estrinsechi nell'ambiente la loro idea guida, spesso così squallida. Alla fine ti chiedi se sia il caso di spiegarsi, ma il diavolo vigila coi suoi mille trucchi, nessuno ti comprenderebbe. Il carisma del capufficio è più invadente di quello di Dio.

Mi fermo e sorrido, ma sono così solo. Mi torna in mente Flora, una strada si apre, di compassione per coloro che non comprendono le regole del gioco, di speranza perché ho compreso le regole del gioco.

 

III. Mercoledì.

Dico ad un amico sacerdote: "Non sai veramente d'avere un'anima, e allora cerchi d'immaginarne una pallida figura, nel cui pallore vorresti confondere anche i vividi colori della mia. La mia anima, quando riesco ad avvedermene, è una vasta regione, molti fiumi vi corrono, molti popoli vi abitano. Tu ne parli invece come se fosse un francobollo da apporre su una lettera per l'aldilà, o un sigillo necessario per esser considerati dei buoni cristiani".

Mi risponde che non è facile predicare Cristo a coloro che si credono cristiani, né parlare dell'anima a coloro che non desiderano sentirne dir nulla. Ha certo ragione, ma non è in questo suo sforzo verso ciò che è quasi impossibile che io posso riconoscermi.

 

IV. Giovedì.

Mi ha raccontato Uno che un giorno, anni fa, voleva capire se davvero i Vescovi credessero in Dio; allora se ne è andato ad un Vescovado ed ha chiesto di parlare al Vescovo.

Il portiere gli ha chiesto chi era. Lui ha risposto: "Sono Uno".

Quello non sapeva niente di lui e lo ha mandato da uno dei segretari del Vescovo, che ha cercato di capire perché volesse vedere il Vescovo.

Uno ha provato a dirglielo, ma quello si è scandalizzato. Ad ogni modo tanto ha insistito che quello alla fine lo ha portato da un altro segretario.

Uno credeva che fosse il Vescovo e gli ha posto la sua domanda. Ma poi ha capito che non era quello che cercava, che il Vescovo non c'era o che, se c'era, i suoi segretari non glielo avrebbero fatto vedere.

 Allora è andato via e ha scritto una lettera. La lettera diceva così:

Signor Anziano dei credenti in Dio, ero venuto per cercarla e parlare di Dio. Dio è così difficile da raggiungere, mi parla solo qualche volta. Volevo sapere se a Lei parlasse più spesso. Però Lei non ha voluto parlarmi neppure una volta.

A questo punto ho maggiori prove dell'esistenza di Dio che della Sua. Tendo poi a credere che Lei sia per i credenti quel che i suoi segretari furono per me, un impiccio, un ostacolo. Fosse venuta a Lei una nuova Maria di Magdala, le avrebbe impedito di vedere Dio, avrebbe respinto i suoi profumi.

Così noi peccatori del mondo siamo ormai obbligati ad andarcene senza consolazioni. "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto" (Gv 20, 13).

 

V. Venerdì.

Il racconto di Uno mi ha sospinto in lunghe riflessioni. Per quel che ne so, la figura di Gesù sopravvive a tutte le immagini con cui hanno tentato di definirla e descriverla. Nessuna teologia l'ha incluso, nessun potere l'ha legato, lui sta lì, pietra lasciata in disparte dai costruttori, che non sono che servi, ignari del suo potere ed inconsci del proprio ruolo. Lui parla all'anima quando l'anima lo avvicina, nei momenti unici della vita, quelli che avvicinano al mondo divino donde egli vigila. Ogni morte è apocalisse, ogni invocazione è edificio di luce.

Quando verrà, le cattedrali saranno ormai tutte distrutte. Parlerà negli altari del deserto - quattro sassi sulla sabbia del cuore - piuttosto che dai baldacchini barocchi dei suoi rappresentanti. Perché non ha rappresentanti. Solo gli assenti si fanno rappresentare. Anche la luce ieratica delle icone cesserà; la luce verrà dai sassi e dalla polvere, dall'acqua e dal vento, dagli alberi e dagli animali, dalle stelle e dagli uomini. Quando verrà. Verrà ma non sarà né cristiano né ebreo né musulmano né indù. Sarà solo Se Stesso, e per ciascuno la sua propria morte, e la strada dell'eternità. Felice chi lo riconoscerà, chi a lui si avvicinerà, perché vedrà la Gnosi. E lo abbraccerà finalmente l'amorosa Madre del mondo, Flora, nuda di ogni limite, nello splendore del silenzio.

 

[1992]

 

 

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