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LA FISSA DIMORA DEI VIVI

Dario Chioli

 

Quando E.G. si volse intorno, nella piana non riconobbe nulla, e si chiese dove mai fosse, se per caso non stesse sognando o non fosse in preda ai fumi di una droga. Infatti non vedeva nulla di noto, solo banchi di nebbia intorno a lui pervadevano lo spazio, emettendo strani aloni mai prima da lui veduti.

Poi vide un punto nero, che pareva molto lontano, un punto pesante, opprimente, da cui fu attratto come la preda dal serpe, sicché vi fissò, incantato, gli occhi.

Per periodi incommensurabili controllò il punto di buio che avanzava.

Avanzava di pochi metri ogni ora, ed era come se avanzasse lo stesso orizzonte.

E.G. lo osservava, cercando nel mondo una fissa dimora lungi da quel buio.

Si fece più grande, sempre più grande, finché oscurò tutto il mondo. E E.G. l'osservava, e nel mentre cercava una fissa dimora dove alloggiare.

Nebbie nere pervasero tutte le strade, le cose si spensero nell'invisibile, gli esseri umani si inoltrarono in perpetuo svenimento finché disparvero sopraffatti da quella realtà. E E.G. fissava il nero punto espandersi, e la sua fissa dimora cercava, e fermo rimaneva, come roccia su roccia, per tempi incommensurabili.

L'abisso coprì la terra col suo buio assoluto, il nulla premeva senz'ostacoli tutti gli spazi del cielo, nessuna sensazione accadeva nel mondo. E E.G. fissava, dimenticato dall'abisso, assuefatto al suo limite nella vastità di quel dominio.

Coperto di oscura caligine, di torpore, di assenza, scrutava intorno in cerca di una fissa dimora. Ed infine la vide, come in un sogno, nel folto dell'oscurità che a poco a poco si diradava, si apriva al suo sguardo.

E guardava nel puro buio di quella stasi millenaria la fissa dimora dei vivi, e mosse una mano, il capo, e dalla mano, dalla mente, partirono vortici d'incendio, fuoco su fuoco.

E apparvero vuote trascorrenze, esseri lontani di ritorno dalle tenebre del tempo, da millenni d'oblio, fantasime senza giovinezza, senza età, senza morte, cicli su cicli, e il suo sguardo contemplò tutto questo nei bagliori del fuoco e subito fu stanco. E distolse gli occhi, e osservò la fissa dimora dei vivi.

Alle sue spalle allora echeggiarono canti, risa e rumori di giochi e, voltosi, rivide nel seno della sua infanzia le maschere dei padroni del nulla. Ma poi vide la loro faccia e ne rise, perché erano solo abitanti di valli morte, stracci e stemmi del tempo. E udì le voci dei profeti, dei santi, degli uomini preposti alla guida, ed erano simili al silenzio.

Si distolse perplesso da tutto ciò, e si sentì trarre indietro verso le notturne ondulazioni delle nebbie, le dimore ingannevoli, gli ingannevoli specchi di stelle. Ma poi si scosse, mosse la mano e generò creazioni, e subito si strappò alla stretta. Sprofondando con gli occhi nella fissa dimora dei vivi, spiccò un balzo e disparve.

Così si svolse in verità la sua morte, amica mia, e si disse che un carro di fuoco lo avesse rubato, mentre essi lo volevano onorare, quel più vecchio di tutti, quel padre di genti, ma venne il carro e lo rubò, così dicono. Ma in realtà, amica mia, nessuno sa donde spiccò il suo balzo, nessuno sa dove ricadde, nessuno può dire quale dimora lo ospitò, perché nessuno vide, nessuno guardò, tutti chinarono il capo, sopraffatti dall'improvvisa nascita della luce.

 

[28.XI.1976]

 

 

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