www.superzeko.net  

Sommario del sito

ANARCHIA DELLO SPIRITO

Dario Chioli

   

Il regno dei mandarini

Con il termine "mandarim", versione lusitana del malese e indonesiano "mantari/manteri/menteri", originante dal sanscrito "mantrin" (consigliere), vennero indicati dai portoghesi gli alti dignitari dell’Impero cinese. Ancora in gran parte storicamente inesaminati giacciono i rapporti tra le fortune politiche di costoro da una parte e delle diverse tradizioni religiose dall’altra. È ben noto che il burocrate cinese, già confuciano ad oltranza, in disgrazia si faceva taoista, come dall’altra sponda dell’oceano il giapponese, già ligio scintoista, in analoghe circostanze si dava allo Zen; reinterpretavano cioè il proprio allontanamento dalle corti come una dimostrazione della vanità del tutto. Naturalmente ciò ha accentuato i tratti rinunciatari di autodifesa di tali venerabili tradizioni. Sembrò talvolta che né i taoisti né i buddhisti mangiassero, bevessero e ridessero. Ma in realtà tutto ciò perlopiù non fecero se non quando non poterono, e non potendo si comportarono come la volpe con l’uva: denigrarono l’oggetto irraggiungibile, come un impotente che vanti disprezzo per l’altro sesso. In questo la posizione loro è analoga a quella dei cortigiani romani che, esiliati, divenivano stoici ovvero, proclamando l’inconsistenza delle ricchezze, ne facevano però largo uso, serviti da un gran numero di schiavi, come Seneca.

Questa classe di cortigiani sempre dunque ha mentito in tre modi: in primo luogo ha ingannato se stessa e la società sostenendo a proprio materiale vantaggio la validità di tutte le burocrazie e gerarchie spirituali del momento; poi ha ingannato se stessa e la società vantando la preminenza di un ritrarsi dalla vita politica e dal consorzio umano che per essa derivava solo da una non ricercata disgrazia; ed infine ha ancora ingannato se stessa e la società costruendo una sorta di potere, succedaneo di quello precedentemente perso, col presentarsi, mediante svariati espedienti, come classe magistrale in possesso di tradizioni segrete o impareggiabili sapienze.

Anche per tale ragione il mondo è infestato d’erbe maligne che, in base ad estesissime reti di relazioni, riescono in un universale inganno ai danni delle persone semplici o di ceto inferiore. Non è facile trovare un modo per estirpare tali erbacce, direi proprio che la capacità del singolo non è sufficiente, ma fidiamo, invero, nel mito, secondo cui, quando pronti sono i bevitori, vien versato il vino, anche se prima non lo si è visto. Cura nostra sarà dunque quella di vedere i risvolti dell’inganno e, per via negativa, alcune possibilità non solo di scampo, ma di nobile ripristino della regalità umana.

Un apparente inganno senza scampo

I mandarini hanno il potere politico, economico, culturale. Hanno ingenerato nella mentalità e nel costume correnti l’acquiescenza verso tutte le loro attitudini. Le loro peggiori follie vengono imitate e, nonché scusate, addirittura vantate. Hanno costituito un’enorme rete complottarda che ha provveduto ad elidere dal linguaggio e dalla coscienza gli strumenti, le categorie di giudizio che potrebbero mettere in risalto il problema.

Il metodo d’inganno è di base semplice: strutture di controllo abbinate a idee di autoprotezione instillate subliminalmente nella società. Vediamo qualche esempio.

Da un lato il potere politico viene gestito senza alcun interesse etico. D’altro canto si mantiene in piedi una finzione morale che impedisce di comprendere l’assoluta amoralità dei potenti. Peraltro si provvede poi a titillare il senso d’importanza personale di tutti coloro che al potere anche brevemente s’accostano, in modo da renderli complici, da smorzare ogni loro possibile presa di coscienza.

Non migliore è la situazione in campo culturale. Comprato a poco prezzo in vario modo il consenso della maggior parte dei cosiddetti intellettuali, vi sono innumerevoli istituzioni che nessuno contrasta, che determinano il gusto, la scelta d’un libro o d’un quadro, d’un film o di uno spettacolo. La gente comune suppone che tali istituzioni seguano un criterio di valore, ma la cosa non sta così; solo talvolta, casualmente, un merito s’accompagna alla fama, che più facilmente s’accompagna alla compromissione, alla complicità, alla consegna della propria autonomia a qualche entità che la spegne.

Similmente vengono gestite le cose religiose. Le burocrazie religiose pensano al denaro, al potere che ne deriva, alla risonanza attraverso i mezzi di comunicazione, al credito politico, e solo di tanto in tanto a quello che dovrebbe essere la loro ragion d’essere. Giocano però sulla presenza dei santi, la cui immagine viene sfruttata per il mantenimento di strutture che di santo non hanno quasi nulla. La gente del resto stenta a capire il grado di torbido cinismo a cui può giungere per mille vie una cosiddetta personalità religiosa, non ha in genere attitudine a sondare la psiche umana, e patirebbe un modello che la costringesse a faticare, a cercare soluzioni.

Che fare dunque? E chi qualcosa vorrà fare?

Queste parole hanno uno speciale destinatario: coloro che dopo molti anni di riflessione si sono resi conto che non basta l’adesione formale ad un qualche gruppo ideologico o religioso per rendere la propria vita degna di essere vissuta; che qualcos’altro manca se ci si ferma a questo.

Che cosa?

Rispondere è meno facile di quanto possa sembrare, poiché si rischia ancora una volta di ridursi ad una acritica professione di fede.

Ci si interroga, si formulano domande e si danno risposte.

Sotto questo aspetto si possono suddividere gli uomini, secondo le loro opinioni, in atei, agnostici, religiosi. Ma questa è una suddivisione talmente grossolana da non avere quasi significato. Infatti c’è l’ateo che si dà per passione all’arte medica, e questi non somiglia a quello che si dà al traffico d’armi. C’è l’agnostico che tale si definisce perché dopo lunghe riflessioni s’è reso conto dell’enorme divario che intercorre tra la complessità dell’universo e le nostre capacità conoscitive, e questi è diverso da chi si definisce agnostico solo per svicolare dai preti senza litigarci. C’è infine il religioso che tale si definisce per un senso gregario di appartenenza, e questi non somiglia minimamente a chi ha identificato nella propria esperienza, perché se ne è sentito trasformato negli anni, quello che chiama Dio.

Ma anche questa è soltanto un’indicazione grossolana; in realtà la situazione è incredibilmente varia, irriducibile a categorie. C’è tra l’altro un sacco di gente, la maggioranza apparente, che non manifesta interesse alcuno a definire o capire cosa siano un ateo, un agnostico, un religioso.

Ogni ideologia poi ha le sue schiavitù, ma anche necessità che la producono. Non è dunque utile propugnarne una impossibile abolizione, ma neppure si può pretendere che tutti se n’accontentino.

Infatti l’ideologia, come la struttura sociale, costituisce una difesa per le fasce deboli, ma un legame per le fasce forti. Poiché tutti noi in genere talora e periodicamente rientriamo sia tra gli uni che tra gli altri, non sembra auspicabile affermare i diritti solo dei forti o solo dei deboli. Per esempio, chi sa indagare è forte rispetto a chi non lo sa fare; ma quando non sa risolvere un problema, fintantoché non lo risolve è più debole di colui che accetta le soluzioni impostegli come stereotipi ambientali. Allo stesso modo, socialmente ciascuno è debole nascendo, soffrendo e morendo, e forte nella giovinezza e nella salute. Chi ama, poi, è più forte di chi non ama, però in quest’amore vi può essere molta debolezza, quella della persona amata e dei turbamenti che può procurare. E ancora: una società non può considerare soltanto le attenuanti di un crimine e non condannare alcuno, perché ciò esporrebbe i deboli alla violenza; né può eliminare del tutto la considerazione delle attenuanti, perché in ogni forte c’è molta debolezza, in ogni debole molta forza.

Tutto ciò non è particolarmente complicato da capire, e penso che chiunque rifletta con serenità possa riconoscere l’esistenza di tale problema.

Chi poi se n'è reso conto, può se non altro imparare ad astenersi da giudizi e scelte precipitose e ad operare con maggiore discriminazione e saggezza, cosa nient'affatto di poco conto.

   

[18.IX.1997]

   

 

Se vuoi invia un commento, specificando da che pagina scrivi:

scrivi@superzeko.net

Sommario