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CONSIDERAZIONI SULLA PALINGENESI

Dario Chioli

   

   

Cos'è la palingenesi?

Vecchio come il mondo è il simbolo che lo paragona ad una ruota, in cui tutto si muove con moto circolare, ad eccezione del suo asse geometrico. E come ogni simbolo, anche questo vale ad innumerevoli livelli. Uno di questi riguarda da vicino l'umanità, in questo senso, che la maggior parte di essa si nutre d'instabili opinioni, ma vi è sempre in qualche modo un centro che dall'instabilità è alieno e a cui, interiorizzando, si può giungere, così come si percorresse verso l'interno uno dei tanti raggi della ruota, fino al mozzo. Questa interiorizzazione, nel momento in cui raggiunge il centro, determina un salto qualitativo che può esser chiamato palingenesi, ovvero la rinascita di chi è morto al mondo dell'opinione e nasce in quello della verità. Tale palingenesi è altresì fonte di libertà rispetto ai limiti usuali dell'esistenza e di una conseguente percezione delle cose che è drammaticamente diversa dalla nostra di uomini legati. Per questo, con un simbolo indù scivaita, gli uomini comuni si possono chiamare "paçu", "bestiame", ma il rinato, in quanto fa tutt'uno con Çiva, è invece assimilabile a questi quale "Paçupati", il "padrone del bestiame".

È inoltre da notare che, in questa rivoluzione, quasi nulla perdura di quel che si credeva di essere, e in particolare vengono distrutte tutte le opinioni generali, tutte le "visioni del mondo", gli schemi, le rigidezze, i limiti. Il corpo stesso vien percepito in modo del tutto diverso, e i termini che dobbiamo usare per descrivere questa rinnovata percezione senz'altro falliscono di molto l'obiettivo della precisione.

È per questo naturale che molte stoltezze siano state scritte, da gente che perse preziosi anni della propria vita nel tentativo fallace di adattare la palingenesi alle proprie opinioni, anziché fare l'inverso, ovvero aprire alla palingenesi la propria mente. Ad esempio si è perso un sacco di tempo nel tentativo di definire se gli organi e le percezioni di cui trattano i testi sullo Yoga ed i Tantra siano fisici o no. Esiste a questo proposito un termine sanscrito abbastanza utile, "sûkshmaçarîra", che vien tradotto con "corpo sottile": i centri dello Yoga sono centri suoi. È però certo che esiste un rapporto tra tale corpo sottile, il corpo comune ed altre modalità ancora dell'essere, un rapporto difficile da capire e definire. Si sa per esempio che i "centri" o "ruote" (sanscrito "cakra"), oltre ad essere parte del corpo sottile, sono anche la via d'accesso a particolari forme di conoscenza e a particolari mondi, non meno "oggettivi" del nostro. Sono inoltre fiori di stupore che si colgono lungo la strada verso la palingenesi e, in quanto tali, hanno anche rapporto con una serie di plessi fisici. Se ne ha così una ben nota rappresentazione che li disloca lungo la colonna vertebrale, in progressione gerarchica crescente dal basso in alto fino al supremo, sopra la sommità del capo, quasi corona o divina aura: il fior di loto dai mille petali (sahasrârapadma), tolto il quale si è liberi dal mondo contingente.

Ordunque taluni, per aver visto tale raffigurazione senza averne chiari i limiti, hanno voluto operare immediatamente una identificazione tra corpo fisico e corpo sottile, processo questo troppo sbrigativo. Se è infatti vero che tale identificazione è esatta a un certo livello, raggiunto un certo stadio, è però vero che a quel punto si attua nell'ordine percettivo anche tutta una serie di altre trasmutazioni, tali da rendere totalmente superflua la posizione del problema in questi termini. Troppe altre realtà vengono coinvolte perché possa ancora interessare la considerazione di un dualismo tra corpo grossolano e corpo sottile. Quel che sembra ora di estrema importanza ha poco in comune con quanto attirava l'attenzione in precedenza.

Va inteso con questo che non bisogna sopravvalutare l'abilità d'indagine del ricercatore comune. Invero se costui non trasmuta se stesso, volgendo la propria costante attenzione verso le realtà interiori, verso il "gran lago della coscienza", non capirà un bel niente. Coglierà, sì, certe analogie, ma queste analogie non sono che ombre di ombre, a fronte del misterioso abisso del suo essere, ch'egli infine non potrà affrontare. Tali analogie, infatti, non gli varranno a nulla di fronte alla prova della morte, quando dell'uomo rimarrà solo ciò che davvero sussiste: egli non riconoscerà la bianca luce del dio nascosto, e fuggirà senz'essere rinato.

E si è giunti dunque al nocciolo della questione, ovvero che non serve a niente occuparsi di palingenesi se non la si cerca per se stessi. Intanto perché non se ne comprenderà granché e poi perché si deve morire. Come a dire che ciascuno di noi molte cose può opinare, ma è comunque sicuro di avere un termine, entro il quale dovrà dar conto di se stesso, non tanto perché qualcuno gli pesi su qualche bilancia i peccati e le virtù, ma perché la distruzione del suo corpo porterà una serie di prove che dovrà superare, se vorrà giustificare la propria ulteriore esistenza nel gran mondo. Quindi, lo si voglia o no, di palingenesi si tratterà. Ora la si può cercare, ma allora la si dovrà affrontare.

Il fatto poi che quasi nessuno abbia presente questa ovvia considerazione, non è tanto indice del fatto che la maggior parte degli uomini non credano in nulla di trascendente, perché quasi neppure si pongono il problema. È invece dimostrazione della loro qualità di "paçu", bestiame, schiavi: l'illusione, l'errore, la paura li legano e chiudono i loro occhi. Che poi qualcuno si proclami ateo o qualche altro preferisca inginocchiarsi davanti a un prete, è solo questione che la libertà fa paura, poiché essa implica il rischio di morire, di morire in senso definitivo. Essa è la bianca folgore di Zeus nell'Olimpo segreto del cuore: quando le forme esterne hanno ancora il predominio sul composto umano, di certo rifiutano di farsene distruggere. Pertanto, in mille rivoli, la mente verrà ritratta via dalle sue intenzioni interiorizzanti, sarà fatta deviare su innumerevoli questioni di poco o nessun interesse, che sotto un travestimento politico, religioso, erudito, ludico o d'altro tipo ancora avranno come unico fine quello di dissolvere la concentrazione della mente. Per questo Patañjali, nel secondo aforisma degli Yogasûtra, sostiene che "lo Yoga è la cessazione delle fluttuazioni della mente" (yogaçcittavrttinirodhah). Questo però non indica, come talvolta si crede, che si debba per forza dedicare un certo numero di ore per giorno a tentar di sopprimere, maniacalmente, ogni insorto pensiero per giungere a un vuoto che non si sa bene che significhi in questo contesto; quanto piuttosto che la cessazione del flusso mentale è il segno caratteristico del raggiungimento dello Yoga, raggiungimento che implica l'adesione al fine costantemente cercato di tutte le parti del composto umano, e non della sola mente dialettica. Si tratta infatti di distruggere, del pensiero illusorio, anche i germi latenti e non solo le loro contingenti manifestazioni. L'oretta di meditazione esotica ha la stessa efficacia dello schiacciare un pidocchio lasciandone le uova, tant'è che la maggior parte di coloro che cadono in quest'equivoco, finiscono per smettere, in preda a una delusione più o meno confessa.

Coloro comunque che cercano seriamente, si accorgono dei propri errori e, fuggendoli, raggiungono la luce del vero. Perché su questo non dovrebbero esserci dubbi: non è mai la debolezza, odierna o passata, che impedisce il raggiungimento, ma solo la presunzione che, ingannevole, ci vieta di riconoscere la nostra debolezza come tale. Poiché se essa vien riconosciuta si muta in forza, in quanto il suo gran vuoto vien colmato dalla Potenza Divina, e così sarà ogni volta, finché tutte le potenze umane, conosciuta la loro vuotezza, non siano state integrate e così trasmutate nella Potenza Divina. Allora il mondo, in via di distruzione, farà luogo a una visione mutata e Harmonia, simile a Hermes, sonerà un concerto antico che "coloro che avevano orecchie ma non sentivano" ora sentiranno con grande e sicura meraviglia. Col che il fine umano sarà raggiunto e la palingenesi svelerà il dio nella sua veste di uomo.

   

Che prove ci sono?

Chi, della palingenesi incredulo, cerchi prove assolute, non le troverà. La sua richiesta è infatti come il tentativo di un sordo che cerchi di paragonare le sonorità di due lingue.

Se però taluno già avverte che esiste un altro ordine di realtà, coordinato al suo e del suo esplicativo, allora questi potrà in seguito notare una serie di indizi che lo confermeranno nella sua sensazione.

Egli comincerà a vedere certe convergenze, certe somiglianze che non avrebbe un tempo saputo osservare, convergenze e somiglianze che gli parleranno di molte cose, e alcune anche specificamente e direttamente della palingenesi.

Taluni di questi segni saranno di carattere personale diretto: sensazioni, intuizioni, indizi, strane coincidenze, esperienza della potente grazia divina, del destino, avvertenze d'un'antica nobiltà senza limite, d'una regalità impareggiabile che governa le cose.

Altri segni saranno dati dal costituirsi d'un patrimonio di memorie assai particolari, che racconti di altri, miti, storie strane o anche apparentemente banali confermeranno. In tale memoria nulla sarà superfluo, e ogni componente sarà stata integrata nel corpo generale mediante qualche forma di stupore o meraviglia, ché è il modo in cui la verità tocca la nostra mente.

Simili a questi, altri segni verranno all'indagatore dal confronto di miti e religioni, leggende e fatti del passato, e questi sono gli unici di cui si potrà efficacemente parlare agli altri, in quanto se ne può trattare in modo apparentemente più oggettivo, evidenziando le varie analogie sino a collazionare una serie di indizi relativamente convincenti. Salvo che molti, a dispetto di ogni precauzione, si fermeranno alla lettera o ad un'inutile speculazione raziocinante.

Alcuni invece, migliori e più fortunati, sapranno avvalersi di un'adeguata scienza ermeneutica per disvelare, sotto le superfici analogiche, lo spessore anagogico, il trascinante ratto in alto del dio. Hermes, sermonis deus e psicopompo, li condurrà fuor dell'inferno per la strada che sale senza fine. L'aquila di Zeus rapirà il coppiere divino.

   

[1986]

   

 

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