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LA PARTITA A SCACCHI INTERIORE

FRAMMENTI DI SIMBOLOGIA

 

Dario Chioli

 

 

“Una volta yin una volta yang, questo è il Dao!”

dallo Xi Ci Zhuan
(Granet, p. 90 ss.)

 

La mia conoscenza del gioco degli scacchi è quella di un dilettante. Ci ho giocato intensamente per anni con un paio di miei amici, nell’adolescenza, di meno in seguito e pochissimo negli ultimi anni. Invero sembra un po’ folle, soprattutto a chi ha superato la giovinezza, passare il proprio tempo in un gioco, sia pure così stimolante come gli scacchi. Troppe le complessità della vita, per volerne aggiungere ancora di fittizie. Tuttavia…

Parecchi scacchisti sono stati paurosamente nevrotici, la loro capacità è divenuta un limite per la vita reale. Quando perdevano, il mondo crollava. Lo sa bene il dilettante, che in fondo non ci campa, non ci si basa per vivere, che il mondo crolla quando si perde, figuriamoci dunque il professionista, il “campione”…

È un’arte fugace, da adolescenti. Come l’adolescenza rappresenta il culmine della spinta vitale, così pure gli scacchi rappresentano una sorta di culmine dell’esercizio mentale. C’è chi gioca decine di partite in contemporanea, o alla cieca, o tutt’e due. Ma una simile sensazione di potere, legata a un gioco, è destinata a scemare, o a indurre nevrosi.

Tuttavia gli scacchi rappresentano qualcosa d’altro, oltre alla smania di affermazione. Chi le ha viste forse non dimenticherà mai le scene del Settimo Sigillo di Bergman in cui il cavaliere gioca a scacchi con la morte.

L’uomo gioca la propria vita. E la perderà. Sa già che la perderà, ma gioca lo stesso. Il fine non è vincere, ma giocare fino in fondo, lottare e lottare.

Perché dunque si lotta? Forse perché si lotta con se stessi, perché noi stessi siamo la nostra propria morte.

Ed ecco svelato l’inizio:

il Re bianco siamo noi, ma anche il Re nero siamo noi.

 

* * *

 

Non ci basta un gioco semplice, non serve a vivere. Sappiamo, nel fondo, che non possiamo fare a meno di rappresentare almeno due parti alla volta.

Mentiamo tutta la vita, sostenendo altrui menzogne, con la pretesa che la verità sia evidente, e che noi la conosciamo ed accettiamo. Ma non è così: noi al contempo la accettiamo e la respingiamo perché, in fondo, la verità non è né qua né là:

la verità è inafferrabile.

Chiunque uno afferri, non può afferrare il Re. Chi sta per afferrare il Re, egualmente non lo può fare, perché allora ha vinto la partita, e questa finisce. Shah mat. Il Re gli è sfuggito, non può essere suo prigioniero, è morto prima che lo catturasse.

La verità prigioniera non esiste. La verità è nella morte dell’opinione, dell’apparenza.

La verità è inafferrabile.

Ma la partita a scacchi ha molto altro da dire. Moti e strategie sono le stesse del nostro procedere quotidiano. Gli errori e le virtù sono gli stessi e infatti molto spesso - qui come là - non sono quelli che sembrano.

 

* * *

 

Negli scacchi sono in evidenza due simboli importanti, la scacchiera e il numero sessantaquattro.

La scacchiera riporta per associazione alla pavimentazione massonica e templare, il sessantaquattro ai quadrati magici di Mercurio ed al Yijing, dei cui esagrammi esiste peraltro anche una disposizione a scacchiera.

Sul pavimento massonico è interessante confrontare quanto dicono René Guénon nei Simboli  della scienza sacra e Jules Boucher ne La simbologia massonica.

Ambedue concordano nel ritenere l’alternanza dei colori simbolica di tutte le coppie di opposti, siano esse cosmologiche, morali o metafisiche. Guénon ne afferma esplicitamente la corrispondenza con il simbolismo cinese dello yin-yang e la parentela con la scacchiera degli scacchi. Boucher, che riporta anche opinioni di altri autori sostanzialmente concordanti, insiste anche sul simbolismo delle linee divisorie tra le caselle, sostenendo che su esse si muoverebbe l’iniziato, alieno dall’abbandonarsi eccessivamente tanto al bianco quanto al nero, mentre il profano passerebbe dall’uno all’altro senza equilibrio, e scatenando ogni volta reazioni contrastanti.

Sulla tavola di Mercurio così si esprime invece Enrico Cornelio Agrippa nel De occulta philosophia, II, xxii:

“La sesta tavola si riferisce a Mercurio ed è composta d’un ottonario moltiplicato per se stesso, contenente sessantaquattro numeri che sommati sulle otto linee orizzontali e verticali e sulle diagonali, danno la cifra di duecentosessanta e in complesso un totale di duemilaottanta. La tavola è governata da nomi divini con una intelligenza pel bene e un demone pel male e se ne ricavano i caratteri di Mercurio e dei suoi spiriti. Incisa su un disco di argento o di stagno o di rame giallo, o scritta su pergamena vergine, con l’immagine di Mercurio fortunato, rende chi lo porta amabile e felice, gli fa ottenere quanto vuole, lo fa guadagnare, combatte la povertà, dà la memoria l’intelligenza e il dono della profezia, fa conoscere mercé i sogni le cose nascoste. Con un Mercurio infortuniato produce invece effetti assolutamente opposti”.

Riproduciamo qui tale tavola.

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8

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5

4

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1

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9

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2

3

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6

7

57

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Quanto allo Yijing, la disposizione a scacchiera dipende dal fatto che i sessantaquattro esagrammi sono ognuno la somma di due tra gli otto trigrammi.

 

Kun

Gen

Kan

Sun

Zhen

Li

Dui

Qian

Kun

2

23

8

20

16

35

45

12

Gen

15

52

39

53

62

56

31

33

Kan

7

4

29

59

40

64

47

6

Sun

46

18

48

57

32

50

28

44

Zhen

24

27

3

42

51

21

17

25

Li

36

22

63

37

55

30

49

13

Dui

19

41

60

61

54

38

58

10

Qian

11

26

5

9

34

14

43

1

 

* * *

 

IL RE

Il Re

Il Re si muove poco, spesso l’essere costretti a muoverlo è brutto segno. A volte lo fa, e magari così vince la partita, soprattutto però nel finale. Ma all’inizio, quando il campo è pieno di pezzi, di azioni, di contese, sta da parte. A un certo punto anche si arrocca, cioè si protegge ulteriormente dietro pedoni e pezzi. Il Re infatti rappresenta la chiarezza, la verità, che è invisibile, indiscernibile quando la mente è invasa dalle opinioni e dagli impulsi. Le azioni in corso nella scacchiera all’inizio sono ancora ribollenti, molteplici, soggette a opzioni le più diverse: il Re sta fermo, è praticamente invisibile al nemico. Qualcosa in noi dev’esserci che tace quando tutti urlano, sta fermo quando tutti corrono, e che parla e si muove solo allorché la stanchezza ha invaso i folli che gridavano e correvano, che nel loro gridare e correre hanno disperso le proprie energie. Allora parla, si muove ed opera, correttamente e necessariamente. Solo questo è davvero il Re, la monarchia interiore sta tutta lì, che la saggezza governi le apparenze, perduri dietro il carnevale delle emozioni, sotto le maschere dei ruoli assunti per gioco o per guerra.

Di Re ce ne sono naturalmente due, il bianco e il nero. Perché il nostro miglior nemico - migliore in quanto nemico perché pessimo per noi - siamo sempre noi stessi. Lo sappiamo, nessuno sa altrettanto bene ingannarci con falsi scopi, false promesse, con sogni che titillano le nostre vanità. Se il Re bianco arrocca, arrocca anche il Re nero. Se viene allo scoperto l’uno, anche l’altro spesso lo fa. C’è una certa simmetria nel gioco dei due. Se il Bianco non sbaglia, alla lunga la simmetria dovrebbe premiarlo, ma spesso sbaglia, e il Nero si impone. Talvolta naturalmente sbaglia anche il Nero, per fortuna, tanto che statisticamente è come dev’essere: a parità di forze sono più le partite vinte dal Bianco. Infatti per il Nero è già vittoria lo stallo, cioè bloccare il Bianco. Le opinioni erronee si impongono soffocando il senso della verità, trasformandosi nella mente dell’uomo da ipotesi relative in fattori assoluti, che alimentano tutti i fanatismi.

 

* * *

 

LA REGINA

La Regina

La Regina è il più forte dei pezzi, è energia pura, è la virtù, il De, l’energia di chi ama e cerca il Re. Va dritta e in diagonale, avanti e indietro. Nessun altro le è pari. Il Re esprime il Dao, la Regina esprime il De, e talvolta fornisce la vittoria sacrificandosi.

 

* * *

 

GLI ALFIERI

L'Alfiere

Gli Alfieri vanno in diagonale, ognuno secondo il proprio colore. Sono le forze inflessibili, che bisogna sfruttare secondo la loro natura. Una forza yang non diverrà yin, né una forza yin diverrà yang. Possono però agire poco o molto, vicino o lontano.

 

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I CAVALLI

Il Cavallo

I Cavalli sono l’incarnazione della capacità strategica. Saltano, ma avanzano solo di un numero determinato di caselle. Allo stesso modo la capacità strategica può essere assai utile, purché però sussistano le condizioni per usufruirne, non siano venute meno le forze.

 

* * *

 

LE TORRI

La Torre

Le Torri sono cumuli di energia, sono opere costituite sia di yin che di yang. Dietro o dentro di esse può ripararsi il Re. Le Torri possono essere - usiamo la simbologia massonica - eretti templi della virtù, ovvero profonde prigioni scavate per il vizio. Templi e prigioni scompariranno, ma nel frattempo ci avranno aiutato a perseguire i nostri fini.

 

* * *

 

I PEDONI

Il Pedone

Sono otto, e in ciò corrispondono ai trigrammi del Yijing. Sono infatti i “mattoni” della strategia dell’esercito di terra, come i trigrammi sono i costituenti dei sessantaquattro esagrammi.

Raggiungendo il lato opposto della scacchiera possono trasformarsi in qualunque altro pezzo salvo il Re: sono in ciò pertanto importanti simboli della possibile metamorfosi del piccolo nel grande.

Tale possibilità è per se stessa una forza. Infatti, in talune circostanze, insieme al Re un solo pedone può vincere la partita, mentre un solo alfiere o cavallo, che pur si valutano tre volte il pedone, non lo possono.

Per la stessa ragione la speranza del divino conduce l'uomo pur nella sua debolezza, e gli fa affrontare avversità che esseri più forti non tollererebbero.

Gli 8 trigrammi
(ba gua)
Trascrizione pinyinTrascrizione di WilhelmTrascrizione di Blofeld
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kunkkunnk'un
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genkennkên
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kankkannk'an
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sunsunnsun
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zhencennchên
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lilili
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duituitui
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qiankkiennch'ien

 

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L’ARROCCO

Il Dao si nasconde, non sempre è visibile. Né sempre è buona cosa svelare le proprie più intime disposizioni e le proprie intenzioni. Per questo ci si arrocca; una forte difesa dà serenità all'attacco.

 

* * *

 

LA PRESA AL VARCO

La presa al varco rappresenta l’occasione. Anche il minimo pedone, la minima iniziativa, possono bloccare l’iniziativa dell’avversario quando l’occasione è propizia. Quando l’avversario attacca, si espone.

Chi cerca il Dao passa per luoghi pericolosi. Se la sua reazione è adeguata, procede; altrimenti, si perde in un labirinto di cui non si renderà conto che tardivamente.

L'immobilità del Dao non è incompatibile con la fulmineità dell'azione.

 


 

Opere citate

# Marcel Granet, La pensée chinoise, 1934, trad. it. Giorgio R. Cardona: Il pensiero cinese, Adelphi, Milano, 1971. Cfr. II, 2. La trascrizione data da Granet dell'opera citata è Hi ts'eu.

# René Guénon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, 1962, trad. it. Francesco Zambon: Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano, 1975.  Cfr. cap. 47.

# Jules Boucher, La Symbolique maçonnique, 1948, trad. it. Caio Mario Aceti: La simbologia massonica, Atanòr, Roma, rist. 1990. Cfr. IV, 4.

# Enrico Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia, 1533, trad. it. Alberto Fidi. Studio introduttivo di Arturo Reghini: La filosofia occulta o la Magia, Ed. Mediterranee, Roma, 1972.  Cfr. II, 22.

# I King, a cura di Richard Wilhelm, 1923, trad. it. Bruno Veneziani e A.G. Ferrara:  I King (Il libro dei mutamenti), Astrolabio, Roma, 1950.

# The Book of Change, a cura di John Blofeld, 1965, trad. it. Alexa: I Ching. Il Libro della Mutazione, Oscar Mondadori, Milano, 1975.

 

Iconografia

Ho tratto le raffigurazioni dei pezzi degli scacchi che illustrano questo testo, anni fa, dal web. Non riesco a ricostruire da quale sito. Mi scuso pertanto con gli eventuali detentori dei diritti, che sarei felice di citare se sapessi chi sono.

 

 [2001-2003]

 

 

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