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PERCHÉ SI È COSTRETTI A CONDURRE UNA RICERCA?

Dario Chioli

 

La risposta è naturalmente qualcosa che eccede le possibilità mentali ordinarie. È tuttavia egualmente utile cercare ciononostante di rispondere, portando la mente ai suoi limiti, per raggiungere, con l'ausilio peraltro di una condotta personale che ciò non ostacoli (cosa che molti volentieri scordano, e che è invece fondamentale), quella funzione sovramentale che taluni dottori della Chiesa (per es. San Bonaventura) chiamavano "apice, o fiore, della mente", e che a mio avviso corrisponde almeno in parte alle funzioni collegate dagli indù al "loto dei mille petali" sovra la sommità del capo.

Il bizantino Nicolas Cabasilas ne "La vita in Cristo" (UTET, Classici della Religione, Torino, 1971) diceva che "l'esistenza presente non può stabilire perfettamente la vita in Cristo nell'anima dell'uomo; ma nemmeno lo può quella futura, se non incomincia qui... questo mondo porta in gestazione l'uomo interiore, nuovo, creato secondo Dio... Al modo dell'embrione che, mentre è nell'esistenza tenebrosa e fluida, la natura prepara alla vita nella luce e plasma, quasi prendendo a norma la sua esistenza futura, così è dei santi... L'embrione tuttavia non può certo giungere alla percezione di questa vita; i beati invece già ora possono cogliere molti riflessi della vita futura" (pp. 63-66). Personalmente ritengo questa posizione forse la più corretta tra tutte: bisogna cercare in sé, dentro "il secolo presente", per quanto riusciamo (secondo il numero dei nostri talenti), l'ordinamento del "secolo futuro". Le spiegazioni si manifestano, non indiscriminatamente ma in quanto ci siano indispensabili, contemporaneamente al rinnovamento della vita interiore.

Un'interpretazione "allegorica", interiorizzante, di tutta la storia della caduta di Adamo si può trovare in Filone, "Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia" (Rusconi, Milano, 1994), utile per allargare il campo dell'interpretazione.

Un'analisi del problema del male è condotta approfonditamente nella tradizione esoterica ebraica (qabbalà), dove si sostiene che l'uomo non percepisce l'ordinamento divino espresso nelle potenze luminose dette sefiròth, perché è invischiato e coinvolto nei gusci del caos, cioè nelle qelippòth: queste non hanno però un potere reale, e le potenze luminose possono manifestarsi allorché alle qelippòth venga sottratta la luce che imprigionano. In pratica tali gusci, o scorze, altro non sono che le nostre identificazioni erronee, le varie idee di massa, i nostri personaggi interiori presuntuosi e infantili ecc. Tutto ciò, d'altra parte, il sufismo chiama nafs, "psiche", e ne auspica la distruzione, ovvero la trasformazione spirituale.

Per la qabbalà si possono leggere: di Gershom Scholem "Le grandi correnti della mistica ebraica" (Einaudi, Torino, 1993), o "La Cabala" (Mediterranee, Roma, 1982, di struttura enciclopedica, a voci, e quindi adatta per una consultazione). Un autore che vale la pena di leggere è anche Moshe Idel, allievo di Scholem (edito da Giuntina e Jaca Book). Per il sufismo, in relazione all'oggetto nostro, è consigliabile per es. `Abd al-Qadir al-Jilani, "Il segreto dei segreti - Sirr al-asrar" (L'Ottava, Giarre [CT] 1994), dove si dice: "Il fine della nascita dello Spirito in quello che è il più basso dei regni della creazione è che esso deve cercare di ottenere una maggior prossimità ed un maggior grado mediante il corpo ed il cuore, ponendo in quest'ultimo il seme dell'Unità per far poi crescere, sulla terra del cuore, l'albero dell'Unità". E' chiaro che, ancora una volta, questa più che una spiegazione, è una descrizione di ciò che succede. Se però la descrizione è fatta esperienza, allora tale esperienza conterrà la spiegazione.

Della tradizione indù non possono non venire utili le opere e i dialoghi di Ramana Maharshi (Ubaldini ed.) o la sua bella biografia scritta da Arthur Osborne ("Ramana Maharshi e la Via della Conoscenza", Ed. Vidyananda, S. Maria degli Angeli [PG] 1997), nonché la bellissima biografia di Shri Ramakrishna scritta da Christopher Isherwood, "Ramakrishna e i suoi discepoli" (Corbaccio, Milano 1997). Si vedrà in queste opere che la costante risposta dei maestri indiani alle domande astratte è: guardati qui ed ora, qui ed ora è il problema, il qui ed ora è l'albero del mondo su cui devi salire; fuori del qui ed ora c'è soltanto illusione. Le risposte di tali maestri infatti variano sempre, secondo chi hanno di fronte, perché la verità non è tale in astratto ma solo se vissuta; le affermazioni astratte, i simboli, sono solo strumenti per collegare il nostro qui ed ora all'eternità. Tutto va bene, se l'intento è quello; ma se l'intento non è puro, nessuna affermazione è vera.

Per quel che mi concerne, io non ho mai creduto che si debba rinunciare alla mente, alle spiegazioni ecc. Mi è invece divenuto chiaro che, qui come nell'arte, si tratta di sviluppare un "gusto" particolare, una particolare competenza, che costituisce la pietra di paragone dell'attendibilità, in quanto non potrà mai essere disgiunta da un reale sincero interesse per la verità. Tale "gusto", concesso dal cielo a chi ad esso si rivolge, è una preghiera silenziosa che non può non raggiungere Colui che, in certo modo, proprio per sentire l'uomo l'ha concessa.

Per quanto infine riguarda il problema della caduta da un'età dell'oro come eventuale fatto storico terrestre, si possono vedere le Leggi di Manu (edite da Adelphi) che costituiscono il codice fondamentale della struttura sociale e la sintesi delle concezioni mitico-storiche indiane (sono comunque un testo non propriamente divertente), nonché Forme tradizionali e cicli cosmici (Mediterranee) e Il Regno della quantità e i segni dei tempi (Adelphi) di René Guénon (che di questi argomenti tratta ancora in molti altri luoghi). Altri dati si trovano nei citati libri di Scholem. Bisogna comunque tener presente che tali dati nel loro aspetto storico sono di assai minore importanza che nel loro aspetto simbolico: è in effetti il kaliyuga interiore, la notte dell'anima, che bisogna illuminare ripristinando la luce dell'essere, del satyayuga; età dell'oro dello spirito. A me sembra in effetti indiscutibile la valenza spirituale del mito dei cicli cosmici, mentre della sua realtà storica non ho trovato mai le prove, anche se non ne escludo la possibilità. Ma per quanto mi risulta, i vari maestri spirituali più credibili non hanno perlopiù attribuito una grande importanza a tali questioni. L'unico significato chiaro e positivo del volgersi al passato come fonte di luce sembra essere il rifiuto che ne consegue di valutare come criterio di progresso l'accumulo indiscriminato di ricchezze e tecnologie. L'amante dell'età dell'oro cerca un'umanità immaginativa e nobile, rifuggendo dai criteri quantitativi moderni: in ciò si configura come nostalgico dell'età aurea, descrivendo a se stesso il mondo circostante come età delle tenebre, del ferro, uscirsene dalla quale ritiene un compito degno del suo essere.

 

[10.XII.1997]

 

 

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