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UN GRANDE GIUBILEO DI REINTEGRAZIONE

UNA SPERANZA

Dario Chioli 

 

   


Scrissi questo testo nel 2000 per La Cinquantesima Porta. Storia ed esoterismo del Giubileo, ma poi lo lasciai da parte perché poco organico col resto. Lo propongo ora agli internauti perché mi pare che tutto sommato potrebbe interessarli.


   

Apokatástasis tôn pánton

Nel suo senso biblico originario di ridistribuzione fondiaria il giubileo non può essere oggi facilmente praticato.

Ma nel santuario del cuore si può ancora trovarne il senso e ricercarne un modo d’applicazione che faccia al caso nostro.

Se un tempo, dunque, si trattava di mantenere un costante equilibrio terriero tra le dodici tribù d'Israele, oggi possiamo ancora invocare una qualche sorta di ridistribuzione, e la fine perlomeno periodica di ogni schiavitù, personale ed economica.

Quanti popoli e singoli uomini, donne, bambini schiavi.

Quanti oppressori, usurai, ricchi il cui spreco richiama la vendetta dei morti di fame, di sete, di dolore.

Rigettiamo tutto ciò. Cessiamo di chiudere gli occhi, illuminiamoli con il cuore.

Per poter guardare negli occhi il nostro fratello, la nostra sorella, proclamiamo un grande giubileo di reintegrazione.

Apokatástasis tôn pánton – Restaurazione di tutte le cose.

   

Vestire gli ignudi

In questo mondo nulla mi appartiene tranne quanto è parte della mia forma umana, ed anche questo solo transitoriamente.

Straniero e avventizio,1 folle sarei a credere mio ciò che senz’altro perderò alla fine dei miei giorni terreni.

Non però posso estendere ad altri questa considerazione come scusa per sottrarre loro il necessario, o per infischiarmene che non ce l’abbiano.

Bisogna vestire gli ignudi.

Nel santuario interiore ho scoperto un mio eterno giubileo, una povertà che lascia tralucere inattese ricchezze. Ma se l’altro è nudo, io non sono affatto povero, e non ho i diritti del povero.

Sarebbe bene che mi rendessi testimone di quanto pretendo e dico di credere, che di tanto in tanto dunque davvero rimettessi i debiti ai miei debitori, rendessi loro la terra dei padri, se me l’hanno ceduta per bisogno.

Certo rimettere i debiti spirituali, ma anche quelli corporali.

Perdonare ci fa sentire buoni, dare ci costa.

Ma il corpo deve seguire i dettami dello spirito. E si deve cercare di attuarli nel mondo.

Che meraviglia se potesse essere eseguito quest’ordine divino: Ogni cinquant’anni rendete tutto! Ogni sette anni rendete, ma ogni cinquanta rendete tutto.

Sarebbe ben diverso, se i popoli gravati di debiti, impediti a crescere da nazioni governate da poteri usurai che incarnano il peggio dell’umanità, da satanici monopoli economici legati a filo doppio ai mercanti d’armi, di droga e d’onore, potessero respirare, ricominciare a crescere.

Sarebbe ben diverso se quelle banche e quei privati che speculano sui debiti degli incauti e degli sventurati, sulle incertezze della legge, almeno ogni sette anni fossero obbligati a dare respiro ed ogni cinquanta fossero obbligati a terminare ogni speculazione.

Sarebbe così diverso se ritornasse in uso il senso dell’onore, il vincolo della parola data.

Ma è poi così difficile, trasporre nel mondo una norma così chiara, così evidente nella sua giustizia, ma così poco consona alla mentalità mercantile odierna?

Sì, è estremamente difficile.

Eppure bisogna farlo.

Bisogna muovere le montagne.2

   

Sarebbe il caso

Sarebbe il caso che le gerarchie religiose e civili, sempre coinvolte in ogni sorta di speculazione, una volta tanto operassero davvero concordemente in questa direzione.

Che coloro che indicono giubilei e pellegrinaggi e ne guadagnano capitali e prestigio, cercassero anche di rendere davvero la pace agli uomini, di dare da mangiare agli affamati.

Senza pusillanimità, ma con vigore.

Certi per una volta del diritto, magari anche per meritarsi fama e onori, anche con fini non integralmente puri di affermazione personale.

Se aspettiamo di essere perfetti, non faremo mai nulla.

Incominciamo, e Dio terminerà.

O Dio, mieti quello che non hai seminato.3

   

Un giubileo interiore 

Un giubileo interiore che si ripercuota nell’esteriore.

Allora sì una gerarchia religiosa sarebbe religiosa davvero.

Allora sì una gerarchia civile sarebbe civile davvero.

Perché il fondamento di ogni possesso è proprio nel giubileo, nella restituzione all’origine che rinnova la purezza dell’origine.

Il possesso per vivere mi è dato, a questo ho diritto, anche di prenderlo se non ce l’ho, ma il resto no, non è concesso prenderlo, né si ha diritto di tenerlo per sempre. Perché mai si dovrebbe averlo?

Dov’è scritto che la mia proprietà sia un diritto inalienabile anche contro i diritti dei popoli, della vita, della salute altrui? che i furbi debbano tenere schiavi gli ingenui o i deboli? che un piccolo numero di favoriti dalle circostanze, o anche dalle proprie capacità personali, debbano causare l’altrui sventura?

Di fronte a Dio nessuno è furbo, lui è più furbo di tutti. Ed io, io voglio essere un “piccolo dio” di fronte ai miei simili? Questa è davvero idolatria, e allora il mio parlare di Dio è vano, perché adoro solo me stesso.

Se a chi vuole il pane parlo di Dio, bestemmio.

Dio per l’affamato è il pane, non la parola del pane.

Sempre l’uomo degno temette un eccesso di fortuna a fronte dell’altrui disgrazia.

Che fortuna è, godere la vita e vedere gli altri soffrirla?

Di quale sensibilità fruisco, se questo non m’impedisce di gioire?

La felicità d’una macchina. Ci sono uomini, diceva Leonardo, che non altro che a riempire latrine sono abili.4 E ce ne sono tanti che in questo verso trasformerebbero il mondo, se potessero.

Sono forti perché solo a questo pensano. La loro mente è una possente macchina con un unico scopo, atta solo a danneggiare il mondo. Sono rigidi automi.

Dobbiamo proprio difendere il diritto di costoro, livellare il mondo al loro livello?

Non sarebbe auspicabile che le gerarchie dei vari popoli, ognuna delle quali già di per sé in teoria e spesso anche attivamente condanna l’usura e la speculazione sui propri simili, per una volta, anziché farsi concorrenza, dessero avvio e sostegno ad una grande operazione di riforma sociale e mentale?

Perché in verità di mistici che se ne fregano dei propri simili ce n’è già troppi, e non è che siano molto convincenti.

Omelie e litanie, preghiere e meditazioni di fronte all’affamato sono bestemmia.

Mistici d’un mistero che appartiene a loro stessi, di cui non fruiscono gli altri; mistici senza gioia dalla compassione teorica: è questo che voglio essere?

Certo no.

   

Nel santuario dei sognatori

Però, se per operare mi impongono di fare una professione di fede, di dire credo questo, neppure comincio.

Io non credo se non ciò che nel santuario del cuore mi si manifesta.

Ed è difficile che le varie burocrazie religiose me la passino, che accettino uno di fuori. Meglio – pensano – tra di noi, senza metterci alla prova, potremo fondarci sul noto, e di reciproco accordo dir molto il poco e stare così tranquilli.

Sì, è proprio difficile che il rabbino, il prete, il pope, il pastore, l’imam, il mullah, il brahmano, il monaco buddhista eccetera depongano i loro odi reciproci, cessino di farsi concorrenza, di guardarsi con sufficienza, per aiutare coloro che non appartengono alla propria compagnia.

E poi, che vogliano associarsi a coloro che addirittura ne mettono in discussione le certezze, che dicono loro «forse non sapete tutto quello che dite di sapere», è proprio da non credere.

Tuttavia i sogni di tanto in tanto si avverano, mai forse come esattamente li si pensava, ma se i sognatori che sognano lo stesso sogno sono tanti e a un certo punto si incontrano, chissà.

Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete.5

In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.6

E se sono uniti, nessuno più mette in discussione nessuno.

E questo sogno è che oggi stesso, non domani, l’ebreo, il cristiano, il musulmano e chiunque altro voglia giustizia, di fronte a queste o altre  simili parole, vogliano veramente pesare nel mondo per affermare il proprio sogno.

Costringere i propri capi e se stessi a fare.

Esprimersi e lottare.

Beati i pacifici,7 certo, ma questa pace non è immobilità.

Per quanti sono immobili, ricordiamoci, Gesù ha anche detto: Non sono venuto a portare pace, ma una spada.8

Una grande unità sovrareligiosa e sovranazionale che abbia il peso di tutti coloro che vi partecipano, per questo splendido scopo di reintegrazione sociale e mentale.

Difficile capire come, ma va fatta.

Certo anche con l’uso dei nuovi mezzi di comunicazione, con le nuove tecnologie, ma più sicuramente ancora con un’attenzione diretta, senza deleghe. Che non capitino troppi speculatori, non così tanti almeno da rendere tutto inefficace.

Senza negare le esperienze del passato, ma sperando anche nelle rivelazioni del futuro.

Una vera età nuova.9

   

Exo hoi kúnes

E chi non la vuole, non collabori, seguiti pure a nutrirsi del proprio meschino passato, delle proprie abitudini mentali, dei propri pregiudizi, come un cane che torna al proprio vomito.

Exo hoi kúnes – Foris canes. 10

Anche se è una guida, se è un capo, se è un notabile, è divenuto un inciampo.

Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. 11

Stia fuori dal tempio della nostra preghiera, giacché è fuori del tempio del buon intento.

A lui rivolgiamo le parole del Corano:

O miscredenti! Io non adoro quel che voi adorate.12

 

[2000]

   


1 Levitico, 25, 23.

2 Si ricava dal Vangelo di Matteo, 17, 19-20, che ciò che impedisce il miracolo è il non crederci, il preporre la nostra abitudine mentale alla speranza che sia fatto ciò che a questa appare impossibile. Incapaci di seguire le vie dell’Altissimo, pretendiamo tuttavia, folli, di limitarle.

3 Luca 19, 21.

4 «Ecci alcuni che altro che transito di cibo e aumentatori di sterco – e riempitori di destri – chiamar si debbono, perché per loro – altro nel mondo appare – alcuna virtù in opera si mette; perché di loro altro che pieni e destri non resta» (Leonardo da Vinci, Scritti letterari, Rizzoli, Milano 1952,  Pensieri n.111, p. 72).

5 Giovanni, 16, 24.

6 Matteo 18, 19-20.

7 Matteo 5, 9.

8 Matteo 10, 34.

9 Al di là di tutte le approssimazioni e le speculazioni ciarlatanesche che sotto l’etichetta new age (“nuova era”) vanno trovando asilo, è interessante notare come la diffusione di tale espressione indichi comunque come non sia affatto spento, per fortuna, il desiderio del rinnovamento.

10 Apocalisse 22, 15.

11 Matteo 23, 16.

12 Corano, 109, 1-2.

 

   

 

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