www.superzeko.net  

Sommario del sito

 

   

UNA NOTA SUL MALE E SULL'OMBRA

Dario Chioli 

   

   

Nota scritta a commento di una prima stesura del saggio L'ambiguità di Eros: appunti sul male e il mito di Alessandro Defilippi, poi uscito a stampa nella raccolta Il Male, curata da Isabella D'Amore (Armando, Roma, 2005). Di tale nota Alessandro ha poi voluto cortesemente citare nella versione definitiva del suo articolo qualche passo. 

   

Caro Alessandro, l'impianto generale del tuo articolo mi pare chiaro. Vediamo alcuni punti.

Circa la tua, peraltro corretta, presentazione del mazdeismo ti segnalo solo due cose: 1) che di mazdei ne esistono ancora in qualche zona orientale dell'Iràn e 2) che tra gli influssi sulle religioni del libro forse si potrebbe citare come ben saprai specialmente l'angelologia (anche se è un discorso complesso).

La tua analisi dell'Ombra in senso junghiano risulta chiara; quanto all'ambiguità o amoralità che ai teologi mancherebbe, penso di poter condividere in generale, con qualche eccezione, in particolare per molti mistici (che però sono appunto teologi sui generis). Interessante il rilievo che l'ambiguità/ambivalenza porti alla pietas. E così pure la citazione Recalcati/Lacan sul fatto che sia catastrofico muoversi nel segno del "bene dell'altro" senza aver fatto il proprio (tutti i fanatici che si comportano da cani ma proclamano verità assolute per indurre la bontà negli altri...).

Su Angra Mainyu ecc. come Ombra, ci sarebbe da riflettere su un fatto che perlopiù non si rammenta, ovvero che l'ombra di Dio santifica. Cos'è dunque quest'ombra che rende santi? Non è forse un'indicazione che il caos possa servire ad accumulare energia, santità, consapevolezza, come del resto dici tu stesso ne Il compimento? che proprio la crocifissione dell'io, come la chiami tu, porti ad una incommensurabilmente più intensa esperienza del Sé?

Ricollegandoci poi al discorso che si faceva da noi lunedì, è possibile pensare (in modo perfettamente biblico, perlomeno a mio avviso) che le grandi sventure di massa non siano che ricadute etiche globali di energie derivanti dall'Ombra mal utilizzate. Ovvero: l'Ombra sarebbe il caos da cui tessere il cosmos, ma se questo non si fa, introduce nella vita elementi caotici distruttivi. Di ciò poi c'è l'aspetto individuale e quello collettivo: ora, l'Ombra individuale può quasi sempre essere gestita dall'individuo, mentre l'Ombra collettiva va controllata tramite le leggi, ovvero tramite il principio astratto rappresentato p.es. da Ahura Mazda. Se questo non vien fatto, la distruzione e la sventura sono inevitabili. Non è dunque questione di colpa o vergogna, ma solo di conseguenza.

Quando poi tu racconti, molto bene, i miti di Tiamat, Ymir, Zagreo e usi espressioni come "impastato di male", io da buon quasi-tomista userei piuttosto termini come "derivato dal caos", nel senso che il cosmos è come la morte del caos. Ma qui naturalmente, da buon dualista, non puoi andar meco d'accordo...

Sul compimento della palingenesi e dell'individuazione dici cose che posso condividere in blocco, stante il fatto che il processo d'individuazione descrive un cammino reale che come tale non può essere discusso; certo ho constatato di persona che accettare l'Ombra, ovvero le proprie pulsioni terribili, permette di servirsi dell'Ombra senza esserne servi, quali se ne diventa allorché non la si accetti.

Sul quarto elemento della Trinità, non so se sai – probabilmente sì – che nei primi tempi del cristianesimo, i giudeocristiani parlavano appunto di Tetrade, dove il quarto elemento era spesso la Vergine o magari la Chiesa. A me pare poi che il rotundum possa esprimere simbolicamente la totale mancanza di angoli ovvero irrigidimenti di chi ha integralmente accettato l'Ombra e ne è stato perciò santificato, il che vuol anche dire – si vede nella storia di tutti i mistici – sacrificato, ovvero reso sacer, cioè maledetto e maledicente verso il mondo profano, che dagli irrigidimenti (qelippòth/demoni/psicosi dell'Ombra – e i demoni/psicosi hanno segni magici – anche, mi pare, nella constatazione clinica dei disegni degli psicotici – fatti di linee spezzate ovvero piene di angoli) è costituito.

Nel capitolo su Il Male e la sizigia, parli del diverso riconoscimento del male nel cristianesimo e nelle altre tradizioni. Hai ragione, credo che dipenda dal fatto che il cristianesimo nasce come forma ascetica dell'ebraismo e solo successivamente si trasforma in religione a sé stante, utilizzando peraltro – certo abbastanza stranamente – il diritto romano invece di quello ebraico. Questa confusione sul piano quotidiano, questa linea di diritto spuria, potrebbe essere in effetti una concausa di fatti come Auschwitz, a cui senz'altro comunque concorrono anche altri fattori, come p. es. l'abbandono della tradizione ancestrale in favore del mondo profano da parte di un gran numero di ebrei e di cristiani. Questo è sostanzialmente corretto non solo dal punto di vista antisemita di Evola o da quello tradizionalista di Guénon, ma dal punto di vista degli stessi ebrei osservanti nonché da quello biblico e cristiano. Infatti, se si affronta il viaggio nel mondo senza mappa, si rischia di perdersi e capitare tra i "cannibali".

Sulla psicologia come mitologia, sono particolarmente d'accordo in quanto l'unico, forse, sistema per integrare l'Ombra, mi pare proprio la drammatizzazione, la raffigurazione dei contenuti interni come immagini al contempo esterne.

Sull'ontologia del Male, sai bene la mia posizione. Il Male ontologico non è per me altro che una enorme Qelippà, la qelippà di tutte le qelippòth, cioè il massimo dell'irrigidimento, la pre-visione dell'instabile Trionfo dell'Anticristo. In questo senso il male è davvero, come dici, creatore di vita, perché senza Anticristo non c'è la visione della Gerusalemme celeste.

Parli, e mi pare assai curioso, di "uscita dall'uroboro". È certo vero che dall'"uroboro" esce il "flos mentis" che permette la visione intellettuale, ma io a differenza dei monisti credo che l'uroboro sia una grande immagine che va conservata in quanto può riflettere la luce della visione arricchendo il panorama interno e quello collettivo. Una civiltà ben governata è un uroboro splendente; una psiche integrata è un uroboro più splendente ancora.

Sul male come assenza di energia, quando parli della Materia di Bretagna, sono, è ovvio, perfettamente d'accordo. Questo è il male della depressione, della stanchezza.

Nell'ultimo capitolo su La clinica, mi paiono chiare le due situazioni che descrivi, quella con perdita di senso e quella senza tale perdita. La sola cosa che io aggiungerei è che mi pare che molto spesso la perdita di senso derivi da coscienti compromessi etici, che lì per lì uno crede di ammortizzare senza conseguenze, mentre poi le conseguenze si manifestano eccome. Detto brutalmente: non puoi vivere da narcisista per vent'anni e poi farla franca. O meglio: è bene per te se non ci riesci. L'importanza del terapeuta è una questione spinosa. Ho il dubbio che molti terapeuti siano solo dei ciarlatani, ma so anche che i ciarlatani possono giovare. Il suo è in fondo il ruolo – quanto pericoloso per sé prima ancora che per gli altri – del guru. Se capisce quel che fa può venire utile, se no può solo far danni. E se il paziente non collabora, utilizzando il terapeuta come una scusa per fare quel che ha sempre fatto, bisognerebbe che il terapeuta avesse il coraggio di sbatterlo fuori dallo studio. Ma quanti che tu conosci rinuncerebbero alla parcella per fare questo?

Un caro saluto

[10/11/2004]

   

 

Se vuoi invia un commento, specificando da che pagina scrivi:

scrivi@superzeko.net

Sommario