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UNA RIFLESSIONE SULL'ERMETISMO

Dario Chioli 

  

Mi sono spesso trovato in una strana impasse nei confronti dell'ermetismo. Ho l'impressione che molti ne parlino per semplice associazione d'immagini, senza capirci nulla, e che questo abbia generato tutta una letteratura confusa e fuorviante.

Cerco di capirci qualcosa confrontando – come nel saggio sul mito di Atena – gli insegnamenti ermetici ad insegnamenti per me più comprensibili. Tuttavia di tutta la simbologia precipuamente chimica – storte, alambicchi, miniere bavaresi di Basilio Valentino – capisco poco, non intendo fino a che punto quest'aspetto di laboratorio sia fondamentale. Capisco che una crescita spirituale possa essere associata all'esercizio di un'arte, come nel caso della vecchia arte muratoria, e se così semplicemente fosse mi andrebbe anche bene, sennonché non mi ritrovo le capacità di operare in tale contesto.

Se tuttavia paragono l'ermetismo alle tradizioni alchemiche taoiste o tantriche, il quadro si diversifica assai, e spesso le storte vanno sullo sfondo, o magari spariscono del tutto. E del resto anche tra gli alchimisti nostri non ci sono sempre. Sono, mi chiedo, due alchimie diverse, o due gradi diversi della stessa cosa? E per andare all'una bisogna passare per l'altra o no?

Ci sono forze – symboloi – che agiscono nell'anima sia che le razionalizziamo sia che non lo facciamo – e parrebbe che l'alchimia su questo o tramite questo debba agire. Tra l'altro mi sono persino trovato parecchi anni fa a scrivere (inconscio? o davvero conscio?) un intero romanzo ermetico. Ma dov'è il filo di Arianna per aggirarsi nel labirinto?

Peraltro io ho già l'impressione di aggirarmi in cotesto labirinto, e che il filo d'Arianna sia quello del mantenermi spiritualmente inflessibile, guardando con disincanto i miei difetti e le mie virtù, ben comprendendo che il piacere o la sofferenza d'essere o non essere qualcosa non sono nulla rispetto alla lucidità-magnete che ci conduce nella vita.

Ora mi chiedo: il labirinto in cui sento di muovermi è realmente lo stesso labirinto ermetico? E gli insegnamenti ermetici, come i koan, sono forse comprensibili a posteriori, come conferma?

Ogni volta che affronto un diverso punto di vista, una diversa tradizione, vedo e prevedo srotolarsi di fronte alla mia sensibilità infinite strade, ognuna diversa, ognuna irripetibile, poche che io stesso abbia tempo di percorrere a fondo. Anzi in un certo senso mi sento più un introduttore, un traghettatore, che non un introdotto, un traghettato. Perché forse il segreto della meta è nella partenza...

E di tutto sento il sapore. E il gusto, mi pare, è pressappoco tutto in questi labirinti.

Quanto al silenzio ermetico, io posso usufruirne interiormente, non certo esteriormente, lavorando in un ufficio ed avendo famiglia, e penso che questo in un certo senso delimiti le mie opportunità, circoscriva il mio contesto operativo.

Non so però se limiti anche me, poiché nulla può limitare lo spirito.

Mi sento infinitamente lontano da ogni adesione ideologica. Fruire ed essere fruiti, mantenendosi al tempo stesso liberi.

  

[8/5/2003]

   

 

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