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DA ATLANTIDE A SHAMBHALA

RIFLESSIONI SUI LUOGHI MITOSTORICI

Dario Chioli & Dario Giansanti

   

   

6/5/2004
Dario Chioli - Caro Omonimo Viterbese, sai qualcosa in particolare sui Roerich (Rerikh, famiglia d'origine scandinava, il cui nome mi sembra assai affine a Rurikh)? Ho letto Il cuore dell'Asia di Nikolaj e l'ho trovato curioso, pur tra gli errori della traduzione di Amrita. Ho anche una grammatica della lingua dell'Amdo e la traduzione degli Annali Blu del figlio Jurij (Georges), mentre non avrò mai – penso – il coraggio di acquistare i tredici o forse più volumi dell'Agni Yoga, compilazione teosofica effettuata pare da Elena Roerich, moglie di Nikolaj. Dell'altro figlio Svjatoslav ho alcuni ritratti del padre, ma ne so poco di più. Di Nikolaj voglio leggere anche i due volumi su Shambhala. E sto leggendo su di lui un volumetto edito anni fa da Rubbettino.

L'interessante è il mito di Shambhala, ma anche una descrizione del Tibet ben poco stereotipa, con una contrapposizione tra il Tashi lama portavoce di Shambhala e il Dalai lama tratteggiato quasi come un tiranno, con una povertà incredibile del popolo e un'ottusità oltre i limiti dei suoi governanti.

16/5/2004
Dario Giansanti - Mi spiace, l'unico Roerikr o Rjurik che conosco è il capo variago di Novgorod. Tuttavia la storia di Shambhala mi interessa. Non ho ancora capito se esista un effettivo mito tibetano o se sia una storia diffusa dagli esoteristi, come l'Agarttha/Agharti. Su quest'ultima ho letto (ovvio) il bellissimo libretto di Guénon e poi (sempre ovvio) Bestie, uomini e dèi di Ossendowski. Mi interesserebbe molto il tuo pensiero al riguardo...

16/5/2004
Dario Chioli - Il mito di Shambhala è veramente presente in Tibet; ne parlano gli Annali Blu e se ne parla nelle dottrine sul Kâlacakra. Di Agharti/Agarttha non sarei altrettanto sicuro, anche se sembra lo stesso mito. I libri di Roerich, che nel frattempo ho letto, danno elementi interessanti, ma a livello più che altro di chiacchiere su leggende locali. Del resto i testi di Roerich sono una strana mescolanza di cose ben scritte e curiose ed altre irrilevanti. Se un giorno hai voglia guarda www.roerich.ee (sito estone su tutta la famiglia, vi si trova un sacco di cose) o anche www.roerich.org (Nicholas Roerich Museum di New York).

Il mio pensiero su Shambhala/Agarttha è un pensiero interlocutorio. Gli elementi sono pressappoco quelli riportati nelle mie pagine sul Re del Mondo, Melchisedec e il Prete Gianni. Non so decidere in verità se davvero esista una dimensione affine ma non identica alla nostra (Tír na nÓg ecc.) e che ruolo possa avere di preciso per noi. Da un lato potrei ciecamente accettare ogni leggenda infischiandomene della logica, d'altro canto anche nei paesaggi mitici ci si orizzonta utilizzando la ragione (non solo, ma anche).

Sono tuttavia propenso a credere che, giunti ad un certo livello spirituale, il mondo paia assai più vasto e ricco di quanto non sia per il comune dei mortali, e i confini tra vero e immaginario alquanto sfumati, nel senso che anche l'immaginario ha il suo ruolo reale nel mondo e il reale il suo immaginario, sicché se non si fosse condizionati dalle "idee" correnti, sarebbe ben difficile a volte decidere cos'è vero e cosa no. Più che altro porre per obbligo un'alternativa significa già forzare, "scassinare" il problema. A me pare che la ragione debba essere fatta funzionare benissimo, ma come un bisturi, là dove serve. Se là dove serve non si usa, il paziente muore. Ma se lo si usa dove non serve, muore lo stesso.

Su Shambhala mi sento tuttavia chioccia: nel senso che covo... non so cosa ma covo...

17/5/2004
Dario Giansanti - Veniamo a Shambhala. Unico libro che abbia letto al riguardo è Luci su Sambhala di Valentino Compassi e sono rimasto atterrito. La mia perplessità era, diciamo, di ordine filologico. Bisogna considerare Shambhala (Agharti/Agarttha) tra i luoghi mitici, come le Isole dei Beati o il Tír na nÓg, ovvero regioni del mondo o del cosmo riconosciute da varie tradizioni mitologiche, teatro di gesta eroiche e di imprese scellerate, oppure si tratta di recenti invenzioni di qualche corrente esoterica, diciamo qualcosa come il Priorato di Sion anche se magari un po' più serio?

Personalmente metterei Shambhala nel primo settore e Agarttha nel secondo, ma, ripeto, rimango un perfetto ignorante riguardo alle questioni esoteriche. Scavando, poi, è chiaro che troviamo il mito del luogo dove è stato conservato il segreto dell'età aurea mentre il resto del mondo crolla nel kaliyuga. La mia perplessità non è peraltro oziosa, in quanto molte strade dei miei percorsi interiori conducono verso quel luogo riposto agli occhi del mondo, esente dal peccato di Adamo. Alcuni di questi percorsi sono stati sublimati in (pessima) letteratura. Ma questo non importa.

Ma veniamo, anche se rapidamente, al punto più interessante della tua risposta. Dici: «Sono tuttavia propenso a credere che, giunti ad un certo livello spirituale, il mondo paia assai più vasto e ricco di quanto non sia per il comune dei mortali, e i confini tra vero e immaginario alquanto sfumati, nel senso che anche l'immaginario ha il suo ruolo reale nel mondo e il reale il suo immaginario, sicché se non si fosse condizionati dalle "idee" correnti, sarebbe ben difficile a volte decidere cos'è vero e cosa no».

Meditando sul significato e il senso del mito, è facile, ad un certo punto, arrivare a Corbin e alla mistica iranica, e quindi a quel concetto di Mundus Imaginalis che è, per quanto mi riguarda, un bisturi meraviglioso per rimuovere i preconcetti e gli errori del linguaggio che, fatalmente, incrostano tali questioni. Il nostro concetto di "realtà" andrebbe ripensato da capo a piedi e l'immaginazione creativa andrebbe vista come strumento di esplorazione, non di invenzione. Il mito è una mappa che sovrapponiamo a un territorio interiore (o dovrei dire sottile... non sto facendo della psicologia, lo sai bene, solo tentando rozzamente una specie di metafisica). L'uomo è una sorta di interfaccia tra il mondo esterno, dominato dalla fisica, e quello sottile, metafisico, immaginale. Da una parte abbiamo, a spiegarlo, le scienze matematiche. Dall'altra parte, poesia e immaginazione, mito e simboli.

So che mi sto esprimendo molto male. Mi mancano le parole per dire quello che vorrei. Purtroppo la nostra terminologia falsa tutte le questioni metafisiche. Non posso dire "immaginazione" senza che si pensi alla fantasia, o "dimensione" senza che si arrivi alla fantascienza. Spero tu abbia in parte compreso questa confusa esposizione. Ripeto che questo modello è valido per quanto riguarda il mio percorso personale: altri potranno trovare altri modelli.

13/9/2004
Dario Giansanti - Ti scrivo di una piccola coincidenza, un nuovo incrocio delle nostre strade. Stavo infatti mettendo insieme per
Bifröst un po' di materiale bogatyrico e cercavo in rete immagini con cui corredarlo. Trovo così un bel ritratto di Mikula Seljaninovic, l'Aratore Primordiale dei canti popolari russi. L'autore un certo Roerich, del quale trovo – su un sito – anche una scena del Canto della Schiera di Igor', riconoscibile dall'eclisse sullo sfondo, e altro materiale interessante.

Qualche piccola ricerca su questo Roerich, tanto per mettere qualche riga nella pagina a lui dedicata nella sezione Museo e scopro che è un personaggio a dir poco straordinario, artista e poeta, filosofo e viaggiatore, studioso di culture orientali, esoterista di una certa fama. Mi sovviene d'un tratto che il suo nome non mi era nuovo: eri stato tu a parlarmene nel corso della nostra corrispondenza!

Ora, visto che muovendosi da Roerich si cade immediatamente nell'antroposofia e nella teosofia, che cosa ne pensi di Madame Blavatsky? La mia impressione non è, temo, molto positiva.

14/9/2004
Dario Chioli - Di Roerich apprezzo i quadri, e ne ho letto i testi su Shambhala, molto eterogenei. Ne penso tutto sommato abbastanza bene, girava col figlio Georges (Jurij) gran tibetologo (sua la traduzione degli Annali Blu) e la moglie Elena teosofa di spicco, non era neanche un reazionario, forse era persino una spia russa. Insomma, un personaggio abbastanza interessante.

Della Blavatsky (Elena Petrovna Blavackaja nata Hahn) penso che fu curiosa persona, caotica assai (come caotiche le sue opere) ma molto energica, probabilmente un po' mistificante ma la cosa andrebbe studiata più attentamente (non mi fido più dei giudizi di nessuno). Non mi pare proprio il caso di usarla come fonte, ma insomma non fu neanche una nullità. La Società Teosofica da lei creata generò cose insipide, ma coinvolse anche anche studiosi di vaglia, come George Robert Stow Mead, la David-Neel, Evans-Wentz...

La Blavatsky fu anche prolifica come narratrice, ma per la verità i suoi racconti, che ho in inglese, non li ho ancora mai letti.

Fu comunque, a leggerla, meno pesante di Rudolf Steiner (a cui risale l'antroposofia), che però forse era più in buona fede, e produsse ottime cose nelle arti applicate e nell'agricoltura biodinamica. Anche Edouard Schuré era di quel giro, e non scrisse cose spregevoli.

In compenso parecchi teosofi pubblicarono poi cose irrilevanti e melense, ai limiti del tollerabile e oltre. E il tutto contribuì a generare quella cosa che è il New Age.

Del resto gli esoteristi con la puzza sotto il naso con la loro smania per la tradizione finirono spesso per imparentarsi a Hitler, e non è certo meglio...

14/9/2004
Dario Giansanti - Ti ringrazio delle tue delucidazioni antroposofiche. Il mio primo impatto con gli antroposofi risale ai tempi in cui lessi per la prima volta Schuré, convinto che trattasse di mitologia, per cui lo ritenni un pazzo completo. In seguito mi sono riconciliato con i Grandi Iniziati, oggi arrivo addirittura ad apprezzarne la visione, anche se non riesco ancora a condividerne il metodo. Ahimè, caro Omonimo, la mia idea di Schuré rimane quella di una persona che scrive della bellissima narrativa ma la rovina spacciandola per saggistica.

Analogamente, quel poco che ho letto della Blavatsky mi dà l'idea di una venditrice di fumo, un'imbrogliona che sa di imbrogliare. Anche Swedenborg raccontava di civiltà spirituali ed esseri iperurani, ma già credo di più – se non necessariamente all'esistenza degli esseri con cui era in contatto – alla sua sincerità, cosa che con la Blavatsky proprio non mi riesce. Forse le faccio torto e nel dubbio sospendo il giudizio e mi occupo di altre cose.

Ahinoi, povere creature del kaliyuga! Moltiplichiamo i miti senza necessità...

A proposito, la David-Neel non ha scritto un libro su Ge-sar di gLing? Tra i dipinti di Roerich ne ho trovato uno – peraltro bellissimo – sul Cesare tibetano. Questa gente ha fatto moltissimo per far conoscere l'oriente in occidente, anche se spesso l'oriente che tramandavano era filtrato attraverso le loro concezioni... ma d'altronde non è sempre così per tutti?

14/9/2004
Dario Chioli - Capiamoci su Schuré, Blavatsky ecc.

Non è che io dica che sono attendibili. Però in Schuré vedo un romantico, si pensi al suo libro sulle Femmes inspiratrices, era un artista entusiasta e gradevole. Quanto alla Blavatsky è certo una gran confusione e c'è probabilmente parecchio imbroglio, non più però che negli altri occultisti del tempo suo e nostro, spesso assai più noiosi e folli ancora.

Quanto a Swedenborg, mai ho capito come si potesse leggere un autore così noioso, [*] ma ultimamente leggendo il Mistero dell'amor platonico del Rossetti vi ho trovato una chiave diversa curiosa, come se fosse un linguaggio cifrato. Non so se c'è del vero, ma mantengo per ora qualche riserva mentale.

[*] Nota del 13/11/2012: In realtà quando scrissi questo passo, conoscevo Swedenborg troppo male, avendo letto solo il volumetto su Le terre nel cielo stellato (Bocca, Milano, 1944). In seguito, consultando gli Arcana coelestia ho cambiato radicalmente idea.

Non solo la David-Neel ha scritto su Gesar, ma il libro mi pare sia anche tradotto per le Mediterranee (io ce l'ho in francese).

26/9/2004
Dario Giansanti - Stavo pensando di chiedere il tuo parere su un argomento che mi aveva particolarmente ispirato tempo fa e su cui avevo tentato di scrivere qualcosa, ovvero sulla natura e la forma della storia. Che cos'è la storia? Possibile conciliare la visione esoterica con quella storiografica? Quando è stata l'età dell'oro? È stata veramente in qualche remoto passato? Oppure vivevamo nelle caverne e lottavamo con orsi e tigri dai denti a sciabola? Dobbiamo credere alle sorti progressive dell'umanità o all'offuscamento spirituale? È esistita un'epoca in cui l'uomo possedeva intera la Tradizione, o tale tradizione è soltanto metafora di qualcosa che non abbiamo mai avuto, come il centesimo nome di Allàh?

28/9/2004
Dario Chioli - Circa le tue domande sulla storia, spero tu non supponga che io abbia come Ramtha un filo diretto con gli abitanti di Lemuria di trentacinquemila anni fa...

Più che sulla storia si potrebbe ragionare su quanto e come la psiche umana abbia rapporto con la storia. Temo infatti che tutto nell'universo vada e venga, e che ogni prospettiva semplificata sia falsa.

E che in molte semplificazioni e quindi errori si celino però più ragioni sociologiche, psicologiche, spirituali. Analogamente si fa del male incidendo una ferita suppurata per togliere un male peggiore ovvero l'infezione...

Quanto all'età dell'oro è sicuramente un paesaggio dell'anima, ma in un mondo dove si muore e uccide come è possibile situarla? Se esistette o esisterà in qualche tempo, è in un tempo che esce dalla storia cioè dall'individualismo che caratterizza le nostre analisi ordinarie. Metafisicamente è sia prima che dopo che mentre.

Storicamente pare un riferimento ideale che molti non sono in grado di perseguire se non supponendolo storicamente possibile, il che non è detto che sia.

Per es. nella Bhagavadgîtâ si ingiunge di agire indipendentemente dalle prospettive di successo, per corrispondere al proprio dharma; questa è una visione che a me pare del tutto realistica, ma alla maggior parte della gente parrebbe astratta e incomprensibile.

30/9/2004
Dario Giansanti - Veniamo al motivo dell'età aurea, per assicurarti che anch'io guardo ai luoghi del mito come a regioni della geografia dell'anima. È evidente che, quando parliamo di età dell'oro e di età del ferro o, se vuoi, di kritayuga e kaliyuga, ci riferiamo a una storia metafisica e non temporale. Questo è anche il mio punto di vista, anche se – a volte – non posso fare a meno di notare come questa costante perdita di interesse del mondo verso le esigenze dello spirito sia un segno preciso, stando a quanto dicono i testi tradizionali, che stiamo sprofondando nell'Ultima Era. Ormai non si fa più nemmeno la fatica di proclamarsi atei: la gente ha perso interesse per le questioni religiose. Il cristianesimo è considerato né più né meno un elemento della cultura europea. Non era così che doveva andare il kaliyuga?

D'altronde c'è una seconda considerazione. Se si va a guardare i miti, ci si accorge che l'età eroica appartiene sempre all'epoca precedente a quella in cui i miti vennero messi per iscritto. Il mondo crollò nel kaliyuga non appena Krishna morì, così come in Grecia l'età del bronzo si chiuse con gli eroi omerici. L'idea è che le età migliori e perfette sono automaticamente proiettate nel passato ogni qual volta il mito viene formalizzato in qualche modo. Sembrerebbe che, l'umanità, anche nelle epoche più remote, sia sempre stata convinta che i tempi che l'avevano preceduta fossero stati migliori di quelli presenti.

Ne deriverebbe – e qui corro il rischio di essere lapidato – che non è mai esistita una Tradizione Primordiale, almeno nella sua forma incorrotta, perfetta, eterna e sovrumana che si pretende abbia avuto in Origine, ma soltanto e sempre rivoli di saggezza che rimandavano a una Sapienza Perfetta che si presumeva perduta in qualche lontano passato. E questi rivoli di saggezza, gelosamente tramandati dai vecchi, erano destinati ad essere dimenticati dalle generazioni a venire (si sa come sono irrispettosi ed empi i giovani d'oggi), finché, nella futura apocatastasi, con la fine dell'età del ferro e il sorgere di una nuova età dell'oro, qualche Manu o qualche Re del Mondo avrebbe ristabilito in toto quella Sapienza da lui custodita.

Tuttavia, detto questo, devo aggiungere che la "realtà" mi sembra assai più sfuggente e complessa. In fondo essa non è solo il mondo come lo tocchiamo e lo misuriamo: oggi dimentichiamo troppo facilmente come l'immaginazione possa essere considerata un vero e proprio organo di senso. L'uomo è un po' l'interfaccia tra il mondo oggettivo e il mondo immaginale e questo ci costringe a prestare un'attenzione più profonda e diversa alle cose di cui partecipiamo, ad espandere quel concetto chiamato "realtà" a tutte le manifestazioni del nostro essere umani. Ripeto cose che ben sai, caro Omonimo, affinché tu possa indovinare dove vorrei andare a parare con il mio ragionamento.

Dire che a Roncisvalle fu combattuta una scaramuccia priva d'importanza, è mostrare un solo lato di una realtà immensa e composita. L'immaginario medievale non vide mai quell'imboscata alla retroguardia dell'esercito franco come una semplice scaramuccia, ma le diede un significato epocale, sostituì i Saraceni ai Baschi e ne fece l'intero perno tra la fase crescente e quella calante del mito carolingio. Non era un semplice evento storico, ma qualcosa di astorico, di metafisico, una sorta di passaggio – anche se in chiave minore – tra due età del mondo. Prima il Carlo Magno continuatore di un ideale impero cristiano, dopo un regno in dissoluzione, i cui princìpi ideali venivano disattesi, governato dall'ingiustizia e dalla ribellione.

Anche se nei libri di epica delle scuole medie le chansons de geste francesi non compaiono mai – a quanto pare la critica le considera poco significative dal punto di vista letterario – il ciclo nel suo complesso appare assai ben meditato e costruito secondo la logica di un autentico mito. È una visione del mondo, non soltanto le confuse affabulazioni di rozzi trovieri sulle piazze dei mercati duecenteschi.

Mi accorgo di aver parlato molto e di aver solo sfiorato l'argomento che mi sta a cuore. Ora lascio la palla a te, anche se ho intenzione di approfondire il tutto le prossime volte. Intanto ti chiedo: cosa ne pensi di Atlantide?

4/10/2004
Dario Chioli - Sull'età dell'oro, è interessante quanto dice l'Ecclesiaste (7, 11): «Non dire: "Chissà mai perché i tempi di prima eran migliori di questi?" giacché stolta è una tale domanda».

Le tue analisi le condivido del tutto, mi pare, salvo che ho un libro di epica delle medie dove compaiono le chansons de geste...

Atlantide... Oddio, Atlantide... è ovvio che ci ho pensato un sacco di tempo, essendo noi fatti come siamo... Mi sembra strano che Platone se l'inventasse del tutto, ma comunque è lui l'unica fonte, visto che Plutarco si rifà a lui. Vi sono anche miti africani e americani che potrebbero suffragare l'ipotesi, ma per esserne sicuri del tutto bisognerebbe studiarsi bene la questione.

E poi l'unico buco geologico possibile a prendere sul serio Platone sarebbe la zona Golfo del Messico-Antille, l'unico posto dove c'è un vuoto, nel senso che il profilo euroafricano non combacia con quello americano. Questo peraltro convergerebbe con la descrizione di Platone secondo cui Atlantide era davanti alle Colonne d'Ercole, ma prove geologiche non mi pare ve ne siano. Non è detto però che se un luogo sprofonda in una faglia di magma sott'acqua, debbano per forza rimanerne segni chiari dopo dodicimila anni. Va' a capire...

Come luogo perduto dell'anima – al pari dell'Antartide di Lovecraft, o di Shangri-La ecc. – l'Atlantide funziona certo benissimo, ma è da vedere se non è il caso talvolta di vedere nella struttura della psiche il segno di cose realmente successe.

7/10/2004
Dario Giansanti - Naturalmente non intendevo discutere l'effettiva esistenza del Continente Sommerso, un argomento che lascio volentieri agli ufologi, ai criptoarcheologi e agli epigoni di Kolosimo e Von Däniken. Hai ragione, alla fine l'unica fonte è Platone, il quale ci parlava anche dell'Atene pleistocenica, degli uomini tagliati in due e del mondo delle idee... e in effetti è ben probabile che la storia di Atlantide, così come ce la racconta (sia che l'abbia inventata di sana pianta, sia che l'abbia ricevuta dai sacerdoti saitici) sia utilizzata per i suoi scopi letterari.

Ho chiesto di Atlantide in quanto è sul Continente Sommerso che ebbi modo, tempo fa, di intavolare una strana conversazione con un altro giovane libraio, fervente guénonista, che ebbi la ventura di incontrare mentre eravamo sequestrati nei meandri delle Messaggerie di Roma durante la pausa-pranzo (alle Messaggerie fanno proprio così: ti chiudono dentro tra l'una e le tre, e intanto tu passi col carrello tra scaffali chilometrici di libri di tutti i tipi e di tutte le case editrici, in modo che tu possa rifornire la libreria; è naturalmente un diletto sublime per il bibliofilo, ma è consigliabile portarsi un panino).

Il ragazzo era giovane e arrabbiato, in un certo senso di una purezza cristallina. L'avevo incontrato nel settore esoterico, tra Armenia, Atanòr e Mediterranee. Ci mettemmo a parlare e lui ebbe modo di spiegarmi un sacco di cose, almeno secondo il suo punto di vista. Che io fossi o no d'accordo aveva poca importanza, visto che comunque lui non era disposto a scendere a compromessi, in quanto aveva ragione in partenza. Mi sono limitato ad ascoltare e non contraddire.

Tra l'altro insisteva sulla distinzione tra Tradizione Iperborea e Tradizione Atlantidea. Al riguardo io devo chiedere lumi a te, in quanto non ho ben capito che differenza ci sia tra l'una e l'altra. Le due "Tradizioni" sembravano in palese contraddizione tra di loro ma il mio amico mi affrettò ad assicurarmi che la contraddizione era solo apparente. Atlantide era esistita, ma come qualcosa a metà tra un luogo dell'anima e un luogo reale.

Provo a spiegarmi meglio (e purtroppo devo farlo a parole mie, rischiando di deformare irrimediabilmente il discorso del ragazzo): come luogo dell'anima, Atlantide esisteva realmente (e devo sottolineare "realmente") per quelle persone che la contemplavano nella propria visione del mondo. Si potrebbe arguire che dèi e dèmoni esistono davvero per coloro che vi credono, magari soltanto come concretizzazione di maschere stese a velare un Assoluto retrostante, ma comunque sarebbe la mente, la fede, l'immaginazione umana a plasmare il mondo di ciascuno (essendo il mondo umano un misto di materiale e immaginale), dando così i presupposti alla presenza di madonne che piangono, di jinn che rapiscono i bambini, di vampiri e fantasmi, e di apparizioni del Buddha.

Ecco, adesso non so più se sto riferendo le idee del mio interlocutore o se sto inseguendo qualche idea che quella conversazione mi ha fatto germogliare in testa. In fondo il Corbin sa bene che è ben possibile sbarcare in Atlantide se si ha la giusta immaginazione attiva, anche se poi credo sia arduo portare via qualche souvenir da laggiù. D'altronde alla fin fine è il nostro mondo ad essere l'ombra di Hurqalyâ e non viceversa...

Adesso devo andare... ti ringrazio per avermi ricordato la bella frase dell'Ecclesiaste, mi riprometto di vedere cosa pensano i filologi amerindi della parola Aztlán (se "z" in spagnolo è il "th" inglese e "tl" nella traslitterazione del nahuatl indica una laterale sorda, tipo la doppia LL del gallese, credo diventi un po' arduo avvicinare il termine azteco all'Atlantis greca...).

7/10/2004
Dario Chioli - Atlantidi: una, più giovane, denominata Atalantide, stava qua a sinistra di Viterbo, appresso alle colonne d'Ercole, ed era succeduta all'altra lassù a nord, Sopraborea, che era più vecchia assai...

Così mi pare, ma dovrei rinfrescarmi la memoria...

Nella mitologia tradizionalista c'è tutta una serie di cataclismi e diluvi, che tutti sanno quando e come, anche se non lo possono dire perché il tempo non è quel che sembra, e così oltre che ci si sbaglia si contravviene a non si sa che cosa. Più che altro importa che le date le diano gli altri, così si può criticarli...

A parte scherzi, quel che dici del culto di Brahmâ ecc. mi pare di origine occultistica (Fabre d'Olivet ecc.) confluito nella teosofia blavatskiana. Quel che diceva il ragazzo sull'Atlantide che esiste non esiste mi sembra curioso, fa quasi Agarttha e Re del Mondo, forse troppo.

Francamente su questi argomenti varrebbe magari la pena compiere degli studi, con il sottinteso però che è meglio dire dieci con le prove che non mille senza prove. C'era una volta Tilak (La Dimora Artica nel Veda), Santillana, l'Airyanem Vaê quello sì iperboreo, ecc. ecc.

Ma cce vòle na vita!

Su Aztlán comunque fammi sapere, ci sono però anche Tula e i Toltechi...

10/10/2004
Dario Giansanti - Adesso – eheheh – mi stai prendendo in giro. "Mitologia tradizionalista" dici... magari hai ragione tu...

Tuttavia l'altra volta – noto – avevi svicolato su una domanda cattiva. La riformulo in altro modo. Se è vero che la perfezione che non abbiamo ai nostri tempi la proiettiamo sempre nei tempi precedenti ai nostri (come testimonia l'Ecclesiaste), non sarà che quella sapienza incompleta e fallace che possediamo la proiettiamo nel passato perfetta e incorrotta e super-umana?

È mai esistita - almeno a portata di mani e menti umane - una Sapienza Originale e Primordiale? O si tratta solo di una sorta di utopia dell'anima, di curioso asintoto dell'intelletto?

Aztlán quale luogo primigenio... la marcia degli Aztechi nel Messico e la fondazione di Tenochtitlán... Non sono un esperto di mitologia amerinda, ahimè – e più per mancanza di tempo che di passione – ma tra gli Indiani del Nuovo Mondo si parlava spesso di emersione del genere umano da un mondo sottostante, e poi si è liberi di interpretarlo letteralmente (forse qualcuno l'ha fatto, magari tirando in ballo qualche versione locale di Agarttha...) o come di una nascita dalle "ossa della grande madre", che forse è tutt'uno con un'emersione delle forme da una specie di cisterna degli archetipi, qui trasformata in una sorta di mondo che è sia precedente che ipoctonio.

La lunga marcia degli Aztechi, come forse ricordi, finì dove essi videro un'aquila che mangiava un serpente sopra un cactus, e lì essi fondarono la loro capitale (vedi stemma nella bandiera del Messico).

Un cactus, un'aquila e un serpente. Curioso vero? Tutto ciò ricorda il frassino Yggdrasill, con il serpente alle radici e l'aquila tra i rami. O l'albero di Huluppu, con il serpente alle radici e l'uccello Imdugud tra i rami.

Si potrebbe anche parlare dell'albero della conoscenza, con il serpente tentatore e i cherubini a difenderlo. Una tradizione omologa che si trova alla base di questi racconti sembra ben diffusa... bisogna tirare in ballo Atlantide, la Tradizione Primordiale o cos'altro?

O forse semplicemente applicare alla mitologia le ipotesi monogenetiche della specie umana che Cavalli-Sforza ha già applicato con successo nella genetica e che Greenberg e Ruhlen hanno applicato nella linguistica?

11/10/2004
Dario Chioli - Prendendo in giro te prendo in giro anche me stesso...

Davvero, io non sono sicuro affatto se mai sia esistita Atlantide, o se la sapienza abbia mai abitato in questo mondo o mai l'abiterà. Però...

Però ho più sospetti che altro, cioè credo saggio non chiudere la porta a nessuna ipotesi, se non si hanno le prove. Così insondabile è il tempo, l'universo...

Direi che a questo punto della mia vita dovrei pronunciare alcuni ringraziamenti. Uno è senz'altro per gli inventori dei simboli, produzione così scarsamente redditizia sotto il profilo monetario...

Essi comunque al tempo stesso mi hanno anche incasinato, perché non sai mai bene fin dove il simbolo arrivi, e in quante direzioni.

Hurqalyâ è certo una dimensione dell'anima, ma chi la conosce fino in fondo? è mai possibile?

E poi quando vado in ufficio, dov'è Hurqalyâ, dove Êrân Vêj, dove il Pardés? Con uno sforzo, a lampi, il cuore ne ripalpita anche allora, ma devo far violenza, se no una dimensione amorfa e opaca spegne la mia passione...

A volte mi pare che si potrebbe davvero partire per la santa guerra magari col grido templare Vive Dieu Saint Amour! Altre volte mi sembra tutto così illusorio, e che sola strada di libertà sia la pienezza luminosa della Fravashi nella morte.

Mille Atlantidi e Iperboree nelle memorie mie e tue e dei nostri avi, reali e immaginarie, chissà quante vere?

Alla fine però gli anni ci stancheranno, e i libri letti li dimenticheremo. Solo la luce interna rimarrà, e tutto il resto paglia per il fuoco della luce dell'interno (se ci va bene).

Il frassino del mondo, Odino, Yggdrasill, sembrano ferite reali, sanguinanti, in un mondo di illusorio benessere, lacerazioni sulla faccia mediocre dell'abitudine.

Tendo infine a sospettare (la mia è la filosofia del sospetto?) due cose: la prima è che l'essenziale sia mistero, perciò silenzio, perciò fonte segreta aformale dell'espressione, disposta però a zampillare per chi davvero la desidera; la seconda è che, raggiunto un certo stato, i simboli comincino a parlare veramente, magari più di quel che già sperimentiamo, a mostrarci cioè la propria necessità.

Per esempio si potrebbe capire in che modo esattamente Yggdrasill stia dentro di noi, ma non astrattamente bensì fino a sentirne sensorialmente le radici, le fronde, le ferite, i cicli.

E poi sospetto anche che il tempo sia una fantasmagoria di dilatazioni e restringimenti, che non sia per nulla lineare, né unidirezionale, e che la memoria che se ne ha sia per ciascuno di noi assolutamente funzionale a ciò che è, sicché la sua percezione non sia in alcun modo oggettiva.

In conclusione: potrei anche partire per l'ennesima ricerca di Atlantide, perché questa cerca sarebbe una nobile impresa. Non so se si arriverebbe, e neanche se la meta esista, ma il sentiero sarebbe ricco d'avventure. Forse s'aprirebbero strade che portano a strani eremiti che c'insegnerebbero la strada, forse bellissime fate costituirebbero per noi novelli enigmi di vita e di morte in castelli che altrimenti giammai percepiremmo.

Per questo vado scrivendo e cercando da decenni, penso, e per questo anche tu lo fai, suppongo.

Ma sapere un dato storico preciso, anche solo uno, di cui essere totalmente sicuri, in campo storico è un problema serio. Serio per modo di dire, perché questo tipo di conoscenza che dura al massimo il tempo di una vita non conta molto.

Un nobile gioco, un castello di carte, una scommessa. Ecco tutto.

E nostra compagna di gioco è l'insondabile Notte (perché insondabile da noi inguaribili sondata).

  

  

 

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