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Filomena

FIORI MISTI

 

 

 Padre mio, non lasciarmi per sempre sull’isola magica che m’hai fortificato a difesa dell’innocenza, apri le braccia e lascia ch’io parta e pecchi: tu mi consolerai allora, quando mi riavrai vicino. A stento mi riconoscerai, padre anch’io del forestiero. Che fosse pagano o cristiano non m’importò, né che fosse più o meno empio: lo raccolsi in cammino tremante e smarrito sul ciglio d’un fosso, e lo serrai stretto sul petto. Però poi me lo sciolsi dal seno, gioioso di saperlo ammaestrato e rincuorato dall’esempio paterno. Ti sento commosso, mio tenero Padre, all’incontro con me e con l’amato mio figlio da me reso coraggioso e sicuro, e anch’io ho pianto tanto, al vederlo salpare pel protratto soggiorno nel proprio lontano orizzonte, ovvero nel vederlo iniziare la discesa più o meno gratificante all’interno di se stesso. Però ora è qui di fronte a noi, l’atteso che ha fatto ritorno sereno e fiducioso nel proprio futuro, assai fiero di me e di te, che abbiamo raccolto il domani in custodia e l’abbiamo poi staccato da noi ed affidato alla misericordia ch’emani da sempre e per sempre, Padre nostro.
 

 
Non mi fermerò riposando,
andrò scivolando sull’onde,
tanto sono profonde…
 
*
 
Scende dal viso mio una lacrima silente,
niente più ch’un luccichio nel buio della fede
ch’altro non vede che foreste fitte,
le mie mani patite
in preghiera unite.
Basta disperare,
non posso più vagare:
accetto le sconfitte,
la via farò a ritroso,
e troverò riposo!
Mi metto a camminare verso valle,
volto le spalle al sentiero dov’ero inerpicato,
ritorno sui miei passi,
e là, tra i sassi,
brilla insistente la mia stilla di pianto.
D’incanto lo so, che mai son stato solo,
e non lo sono, e giammai lo sarò!
È giorno d’avventura,
e non ho più paura!
 
*
 
Con gratitudine capisco la ragione
per cui conviene alla creatura sincera la passione,
vera lezione divina!
Con mano ferma, non per oscura paura,
volto pagina, e ancora,
e scrivo la storia della vita
con speranza di gloria infinita,
e cammino, cammino,
ad oltranza…
 
*
 
Miserevole pudore, me ne dolgo,
ma non colgo un fiore raro,
spuntato in un prato a me caro,
da me con sudore coltivato:
mi pare di sembrare spavaldo,
di meraviglia spregevole araldo,
e, timoroso, non oso gustare
il bel dono di Dio ch’io sono.
La mia vita è gentile,
ma vile.
 
*
 
Non giace il capo sul davanzale,
spiccato il volo ha l’usignolo,
e l’ha seguito l’occhio
invaghito
del sognatore audace,
che le braccia sul petto ha serrato
per impedirsi di costruirsi
un ristretto progetto d’amore.
La faccia volta all’infinito:
quest’è rivolta che non ha l’eguale.
 
*
 
Volo con nulla, ardo volando:
solo chi onora il dolore tanto volare avrà.
 
*
 
Fiero m’avvio per conseguire il mio destino divino.
Benedetta impazienza, vorrei salire a distesa,
però per adesso non conosco l’arcano,
perciò vado piano.
 
*
 
Io ti dono un capolavoro,
la verità che comprendo
a spese della beltà che ti rendo;
non più farfalla che danza sfinita e stravolta
nel vento dell’umano sentimento,
ma nuova, forte creatura,
ch’avanza fiera
alla volta della vita vera.
 
*
 
Perché poi io l’accolsi non so,
mi sentii divinamente amorosa e mi sciolsi,
mera sposa di un’ora che mi disfece e mi fece signora.
Non posso dimenticare,
e dunque sospiro in languore.
 
*
 
Ho ripreso il mio sogno,
in me è sceso sorridendo commosso.
Lo sorprendo col mio seno pieno di vita:
lo so, sarò in ogni bisogno esaudita.
Chi mi ama è il mio credo,
ed a lui mi concedo.
 
*
 
L’onda tornava sull’onda appena svanita,
la morte rimaneva affranta,
tanta era la vita.
Desiderio di sorgere ancora,
vinto il lutto e la pena,
e sicura balzare ammantata d’argento,
oh che bello, in novello
travolgimento d’amore.
 
*
 
Mattino dell’oggi in cammino,
alla cima dell’ignoto mistero:
d’un vivo raggio di commozione
scocchi mille scintille d’amore,
ed è della vita l’aurora.
 
*
 
Non vedi che danza la cenere,
e l’ocra colora la festa?
Non senti che batte le ali festosa
la piccola larva ch’avanza spedita
nell’alba radiosa della vita?
Rallegrati, sposa del re,
spunta il domani dal lutto,
attorno agitando ogni cosa:
tempesta dell’essere che nasce
da spirituali ambasce.
 
*
 
Zitto io finalmente,
l’odo e l’intendo, o maiuscola meraviglia!
 
*
 
Radioso dì,
mia residenza nuova,
cova di lodole ridenti al sibilo dell’uragano:
nel ventre scivolo della coscienza,
e lì m’aggomitolo man mano,
della sapienza il filo dipanando,
mentre s’abbattono sui miei non eccelsi pensieri
e sentimenti di ieri
nuvole fitte e scure,
sfilacci d’antiche paure.
Non mi cruccio,
aspettando al calduccio
che passi la tempesta
e l’aria sia di festa,
e ali metta il cuore coraggioso,
che si nutrì d’amor profondo
mentr’era al mondo ascoso.
 
*
 
S’assottiglia il manto di stelle,
cade in inchino il mattino.
 
*
 
Ardimentoso salgo,
colposo scendo,
fidente risalgo,
riconoscente ascendo.
 
*
 
Riposando sul monte di Dio
 “Alleluia!”
dissi io soltanto,
e lo dissi alitando
non il mio,
ma lo Spirito Santo.
 
*
 
Veloce arriva il Signore
sull’onda d’amare ambasce,
s’inchina ma non affonda
il paziente sotto la croce,
commosso sente il vento alle spalle,
e vicina gli appare la riva desiderata:
capisce che l’epifania
è diventata parusia.
 
*
 
Aspettando il suo arrivo passeggio nel bosco ch’è dietro  il palazzo del re,
e i suoi ardenti messaggi d’amore riconosco nel vento ch’agita i rami e pare mi dica:
“Lascia che t’ami con tutto me stesso, via il lutto e la pena,
a testa alta avanza, per me danza soave”.
 
*
 
Per me il cielo è il mantello del mare,
il sole è la stella dei giusti, con occhi diversi
il mondo è veramente un incanto.

   
*

 
È dolce il mio canto,
all’ombra del cedro fragrante ch’odora di pianto furtivo
è musica lieve.
L’ascolta l’ascoso suo sposo che è nei paraggi,
e vibra nel cedro con forti tremori
l’amore dell’altro che è dentro
il mio ed il suo cuore.

   

   

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