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OPERE EDITE

a cura di Dario Chioli

 

Nel 1999/2000 ho collaborato con la casa editrice Il leone verde di Torino proponendo, curando, rivedendo e presentando la riedizione delle seguenti due opere (di cui riporto la quarta di copertina e le mie presentazioni):

 

Racconti arabi antichi, a cura di Virginia Vacca, pp. 152

Mistici russi, a cura di Divo Barsotti, pp. 144

In copertina: particolare di miniatura persiana (sec. XVI-XVII), collezione privata

In copertina: particolare di miniatura persiana (sec. XVI-XVII), collezione privata

In copertina: "La creazione di Adamo" (1674) dal Gulani di Kanchaeti

In copertina: "La creazione di Adamo" (1674) dal Gulani di Kanchaeti

QUARTA DI COPERTINA

QUARTA DI COPERTINA

Virginia Vacca è stata una valentissima studiosa, che rese accessibili e di gradevole lettura al pubblico italiano parecchie opere arabe di valore tanto in campo filosofico come in campo letterario. In particolare, diede un importante contributo alla prima traduzione italiana delle Mille e una notte, dimostrandovi un grande talento letterario. Questa sua capacità si manifesta altrettanto bene in questa sua breve raccolta di racconti arabi antichi, in cui giammai si spegne la vivacità, la secchezza, la velocità del racconto. Il lettore può trovare in breve spazio e composti in assoluta armonia elementi di tutti i generi narrativi tradizionali, dall’aneddoto popolare al racconto, dalla storia sufi alla facezia e alla favola.

Questo libro può insomma servirgli di piacevole introduzione a un mondo letterario di grande rilevanza storica e culturale, in cui il senso della concretezza quotidiana e del misterioso sovrannaturale non entrano mai in conflitto, bensì compongono un affascinante disegno che rende possibile all’uomo di arricchirsi ed evolvere su entrambi i piani, mantenendosi circospetto e vigile nelle circostanze di ogni giorno, e consapevole tuttavia della sempre possibile irruzione in esse dell’inatteso, manifestazione per eccellenza dello spirito.

Divo Barsotti, sacerdote e fondatore della Comunità dei figli di Dio, è stato un pioniere nel presentare in Italia le dottrine mistiche russe più interessanti. Sua fu tra l’altro la prima versione, uscita nel 1950, de "Le relazioni di un pellegrino".

Nel volume che qui si presenta, la cui prima edizione risale al 1961, vennero resi noti gli insegnamenti di San Serafino di Sarov, Macario di Optina, Giovanni di Kronštadt e Silvano del Monte Athos, ovvero di alcuni tra i migliori maestri spirituali di Russia, che all’epoca erano in Italia praticamente ignoti. Sono documenti di grande interesse, sia perché ci introducono nel modo più diretto nell’universo spirituale russo sia perché possono aiutarci nel sostenere le prove della vita terrena facendocene cogliere o almeno presentire il disegno segreto che le informa al di là delle apparenze.

 

PRESENTAZIONE

PREMESSA

Sono debitore a Virginia Vacca di parecchie emozioni davvero intense, ed è con vivo piacere che ho proposto e contribuito a realizzare questa riedizione di una delle sue opere, piccola di mole ma gradevolissima di stile e di contenuto.

Ricorderò per sempre la meraviglia che indusse in me la lettura della sua scelta dal Giardino dei fiori odorosi di Abdallâh al-Yâfi’i, [i]pubblicata nel 1965 dall’Istituto per l’Oriente di Roma. Quelle storie talora profondissime talora quasi ingenue, miste di sapienza e di leggenda popolare, echeggianti mondi arcani e sovraterreni, fecero sì che per giorni, affascinato e piacevolmente sospettoso, mi guardassi intorno e indagassi dentro di me, ricercando quei presagi e quelle segrete ispirazioni che trasformano la vita dei mistici in qualcosa che ha poco a che vedere con la vita delle persone ordinarie. Per la prima volta sentivo parlare in modo chiaro “di una gerarchia occulta di Santi vivi, sconosciuti al volgo e non sempre noti gli uni agli altri” [ii] e mi chiedevo ingenuamente come fosse possibile incontrarli, e conoscere i loro capi, quello terreno, il Qutb[iii] e quello soprannaturale, “l’immortale e misterioso al-Khidr”. [iv]

Quando più tardi, maggiormente informato di cose sufi, [v] m’imbattei in questi Racconti arabi antichi nonché nell’altro simile volumetto Vite di sheikh musulmani [vi] (usciti peraltro prima, ovvero rispettivamente nel 1959 [vii] e nel 1960, ambedue per le Edizioni Paoline) ebbi modo di apprezzarne, oltre al significato, anche la concisione e la nitidezza dello stile, e – soprattutto nei Racconti – quel serpeggiante umorismo che non è altro che senso della misura, e segno di una saggezza che sa ben distinguere l’essere dall’apparire.

La scrittura di Virginia Vacca è sobria, essenziale. I suoi commenti non sono mai prolissi, ma sintetici ed efficaci. Talora anzi li si desidererebbe più diffusi. L’autrice fu infatti islamista e arabista  di vaglia, [viii] sensibile ed attenta tanto sul piano spirituale che sul piano storico e letterario.

Voglio qui ricordare quant’altro di lei ho letto negli anni, in primo luogo la preziosissima Antologia del Corano, uscita da Sansoni nel 1943, introduzione veloce e corretta secondo me tuttora non superata affatto, sia per chi non abbia la pazienza di leggersi tutto il Corano e in essa trovi la risposta alle proprie principali curiosità, sia per chi la utilizzi come utile sommario e promemoria dei temi coranici più importanti.

Poco prima, nel 1941, aveva pubblicato presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano il volume L’India musulmana, trattando in modo assai diffuso e puntuale un tema che non verrà spesso ripreso da altri in Italia.

Nel 1948 uscì da Einaudi in quattro volumi la prima e finora unica traduzione italiana dai testi originali de Le mille e una notte, fatta da lei e da Antonio Cesaro, Costantino Pansera e Umberto Rizzitano sotto la direzione di Francesco Gabrieli. [ix]

Con il Gabrieli collaborò anche nella stesura dell’opera Le più belle pagine della letteratura araba, che uscì nel 1957 presso la Nuova Accademia Editrice di Milano. Sue furono in tale volume le traduzioni di quasi tutti i testi in prosa.

Nel 1968 uscì, nei “Classici delle religioni” della UTET, Vite e detti di santi musulmani, amplissima scelta dall’opera Al-tabaqât al-kubrà (“Le massime categorie”) di `Abd al-Wahhâb ibn Ahmed al-Sha`râni al-Shâfi`i, [x] stessa fonte del suo precedente volumetto Vite di sheikh musulmani, e fondamentale per chi voglia familiarizzarsi con l’agiografia islamica. [xi]

Sempre nei “Classici delle religioni” della UTET, infine, nel 1982 pubblicò, insieme a Sergio Noja e a Michele Vallaro, i Detti e fatti del Profeta dell’Islâm, amplissima scelta dalla raccolta di hadîth [xii] di al-Bukhârî. [xiii]

In questa riedizione dei Racconti arabi antichi si è lasciato il testo immodificato, con le eccezioni di qualche piccolo aggiornamento e della correzione di alcuni refusi.



[i] Mistico e agiografo yemenita nato nel 1298 e morto nel 1367.

[ii] Il giardino dei fiori odorosi, p. 71. Cfr. anche della stessa V. Vacca, Vite di sheikh musulmani, Edizioni Paoline, Bari  1960, pp. 10-13, e Vite e detti di santi musulmani, UTET, Torino 1968, pp. 15-17.

[iii] Scriveva Laura Veccia Vaglieri nel suo libro Islàm, Pironti, Napoli 1946: “La dottrina mistica insegna che sulla terra in ogni epoca esiste un dato numero di santi viventi occulti e li classifica in una gerarchia di cui ogni grado porta un nome speciale e in testa alla quale è il qutb «polo», il quale provvede a migliorare le cose del mondo”.

[iv] Il giardino dei fiori odorosi, p. 72. Cfr. V. Vacca, Antologia del Corano, Sansoni, Firenze 1943, p. 117: “el-Khadir o el-Khidr, essere sovrumano della tradizione musulmana, per solito invisibile, che si rivela di tanto in tanto con salvataggi o grazie divine, specialmente nelle tempeste del mare. Venerato dal popolo, è considerato dai Sufi il capo della gerarchia mistica”. La tradizione islamica lo identifica con il personaggio di cui si parla al versetto 65 della sura della caverna: “E s’imbatterono in uno dei Nostri servi, cui avevam dato misericordia da parte Nostra, e gli avevamo insegnato della Nostra scienza segreta” (da Il Corano, a cura di Alessandro Bausani, Sansoni, Firenze 1961, p. 215). Il suo nome significa “il Verde” e si dice di lui “che dovunque egli stia verdeggia la terra, o che fa diventar verde qualsiasi cosa tocchi” (Bausani op. cit., p. 588).  Di al-Khidr si parla anche nel presente volume, nel racconto L’eterno viandante.

[v] Sûfî sarebbe, a rigore, colui che ha raggiunto la conoscenza ultima, ma nell’uso comune in occidente indica chi persegue una via di conoscenza spirituale perlopiù all’interno di una delle molte confraternite mistico-ascetiche islamiche. La più probabile derivazione di tale termine sembra quella dalla parola sûf, che significa “lana”, a indicare che i primi sufi si vestivano soltanto di lana. Esistono comunque molte altre spiegazioni più o meno convincenti.

[vi] Shaykh (sheikh nella trascrizione di V. Vacca), “sceicco”, è un termine che indica l’anziano, il capo religioso, il saggio. Usato anche in senso molto generico, come titolo onorifico, vale altresì ad indicare i capi delle confraternite e i maestri spirituali.

[vii] L’edizione in mio possesso è la quinta, del 1963, ma l’introduzione è datata dicembre 1958.

[viii] Francesco Gabrieli la definiva così nel 1982: “Virginia Vacca, decana oggi, con mirabile freschezza di spirito, di tutti gli arabisti italiani” (in: Al-Bukhârî, Detti e fatti del Profeta dell’Islâm, UTET, Torino 1982, p. VII).

[ix] Di tale opera esiste anche una scelta pubblicata da Mondadori nel 1958 su licenza Einaudi con il titolo 22 racconti d’amore da “Le mille e una notte”.

[x] Studioso e mistico egiziano nato nel 1493 nel villaggio di Sâqiyat Abi Sha`rah e morto al Cairo nel 1565.

[xi] Dello stesso Sha`râni pubblicò altresì nel 1972 a Napoli una scelta dall’opera Il libro dei doni, che non ho visto ma che è citata da Michele Vallaro nella bibliografia dei Detti e fatti del Profeta dell’Islâm, p. 53.

[xii] Hadîth sono i detti attribuiti dalla tradizione a Muhammad.

[xiii] Nato a Bukhârâ nell’810, passò la vita a raccogliere hadîth e morì presso Samarcanda nell’870. Viene ritenuto, insieme a Muslim, uno dei due migliori tradizionisti.

Divo Barsotti – sacerdote e fondatore della Comunità dei figli di Dio nonché scrittore mistico ben noto e attento studioso delle tradizioni spirituali russe - è stato tra l’altro il primo a rendere noto in Italia, nel 1950, un testo spirituale importantissimo come "Le relazioni di un Pellegrino". Con il libro che oggi ripubblichiamo – uscito in prima edizione nel 1961 - presentava d’altro canto figure di grandissima intensità come san Serafino di Sarov, Giovanni di Kronštadt, Macario di Optina, Silvano del Monte Athos, con ciò contribuendo ad infondere nuove importanti linfe nel patrimonio spirituale italiano, a volte un po’ ristagnante.

Quando, molti anni fa, mi capitò tra le mani questo testo, e per la prima volta vi incontrai la figura di san Serafino di Sarov (1759-1833), rimasi stupefatto. Provai la sensazione – quanto straordinaria - di ritrovare finalmente quell’oriente che nella gloria del Tabor diede luce all’occidente.

Mi venne altresì naturale associare tale figura a quella del Baal Shem Tov (ca. 1699-1760), il fondatore del chassidismo, la più nota corrente mistica ebraica moderna. Entrambi taumaturghi, entrambi tutt’uno con la tradizione che incarnavano, entrambi pieni di amore per la natura, i boschi, la terra e il cielo, entrambi erano semplicemente meravigliosi per chi li incontrava. Chi ha letto le magnifiche pagine che al Baal Shem Tov ha dedicato Martin Buber, leggendo il colloquio di san Serafino con Motovilov troverà, credo, più di una somiglianza.

Nell’uno come nell’altro la normalità è messa da parte, le ideuzze sulla pochezza delle nostre forze sono implicitamente irrise. Lo Spirito di Dio in essi si manifesta direttamente, ci chiama, disdegnando le nostre paure ridicole e pigre di coinvolgerci troppo, di esporci troppo, di essere da più di quel poco che siamo.

I taumaturghi hanno tutti qualcosa in comune: ti prendono per mano come un bambino e t’introducono in un mondo di meraviglie. Tu forse non migliorerai più di tanto, diventano passato anche i miracoli, che tuttavia avrai ben visti e vissuti, ti si saranno impressi nel cuore, e avrai allora un’arma da usare nei momenti più scuri, un’ancora.

Quando Motovilov sente uno strano calore in pieno inverno, o si sgomenta della luce angelica di san Serafino, non è diventato per questo molto diverso da prima, tuttavia gli è stata data un’opportunità, ha potuto fruire di un’esperienza unificante, vedere con gli occhi e la mente le ricchezze del cuore e di Dio. Lo starec con il linguaggio della visione gli ha detto: "non credere al grigiore del mondo, il mondo è splendente, è un angelo di Dio, è la corona luminosa di Sophia; non credere all’incredulo, credi ai tuoi occhi di questo giorno, perché in questo giorno tu hai visto un giorno che è di là da ogni altro giorno, hai visto il giorno senza fine della grazia divina". [i]

Le figure di Macario, di Giovanni di Kronštadt e di Silvano sono diverse, più vicine a noi, forse, e ai nostri limiti. Se in san Serafino s’incarna il mistero cristiano della Trasfigurazione, essi sono ottimi compagni in quello della Passione, nella strada che ci ammaestra a guarire nonostante le nostre malattie, a crescere nonostante la nostra debolezza. Poter avere a disposizione in un piccolo libro l’uno e gli altri, quando giunge una sera di tristezza, o un momento di oscurità, è una fortuna, terapeutica e gioiosa, che auguriamo a tutti.

   


[i] La virgolettatura di questa frase può indurre qualcuno in errore; infatti mi è capitato di sentirla attribuire a san Serafino, mentre in realtà è una mia interpretazione. 

Cfr. anche
http://www.leoneverde.it/catalogo/?azione=visualizza&id_libro=167&libro=Racconti+arabi+antichi
Cfr. anche
 http://www.leoneverde.it/catalogo/?azione=visualizza&id_libro=171&libro=Mistici+russi

 

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