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Sûtra del Loto

GLI OTTANTAMILA BODHISATTVA-MAHÂSATTVA GUIDATI

DAL BODHISATTVA-MAHÂSATTVA GRAND’ORNAMENTO INNEGGIANO

AL BUDDHA

SUL MONTE GRDHRAKÛTA (*)

   

Grande! Il Grande Illuminato, il Grande Signore Santo,

nulla di impuro vi è in lui, niente che contamini,

nessun attaccamento.

Istruttore di uomini e dèi, d’elefanti e cavalli,

la sua freschezza morale e la sua casta fragranza

tutto profondamente permeano.

Serena è la sua saggezza, il sentimento è quieto,

e fermo è il suo giudizio.

Di stabile pensiero, la sua coscienza si è estinta,

e perciò il suo animo è tranquillo.

I pensieri erronei ha da lungo tempo rimosso

e conquistato tutte le leggi dell’esistere.

Né esiste il corpo suo né non esiste;

senza causa né stato,

senza se stesso e senza altri da lui;

non è quadro né tondo,

non è breve né lungo;

senza comparsa e senza sparizione,

senza nascita o morte;

non creato e neppure originante,

non formato e neppure generato;

né è seduto né giace,

non cammina e non s’arresta;

non si sposta né ondeggia,

né è calmo o quieto;

senza avanzata e senza ritirata,

sicurezza o pericolo;

senza giustizia o torto,

merito o demerito;

non è questo né quello,

non va via e non arriva;

non è azzurro né giallo,

non è rosso né bianco;

non è porpora o cremisi,

e non è screziato.

Generati dai precetti son meditazione,

saggezza, affrancamento e consapevolezza;

frutto del contemplare le sei facoltà divine

e il pratico esercizio della via;

sorti da benevolenza e compassione,

i dieci poteri e coraggiosa natura;

egli è venuto in risposta

ai buoni karma degli esseri viventi.

Egli svela il suo corpo,

alto tre metri e venti, (**)

scintillante d’oro porporino,

ben proporzionato, brillante

e sommamente vivido.

Caratteristica dei suoi capelli è far ricci come la luna,

la nuca ha una luce come quella del sole.

I capelli ricciuti ha d’un profondo azzurro,

sopra il suo capo vi è una prominenza.

Gli occhi, limpidi come uno specchio purissimo,

guizzano su e giù.

Dei sopraccigli è azzurro cupo il tratto,

bocca e guance son ben modellate.

Le labbra e la lingua si mostrano d’un bel rosso,

come un fiore scarlatto.

I bianchi denti, quaranta quanto al numero,

hanno sembiante d’una nivea agata.

Ampia è la fronte, il naso pronunciato,

e maestoso il volto.

Il torace, con un segno di svâstika,

è simile al petto di un leone.

Mani e piedi son flessibili,

e recano il segno di mille raggi.

I lati e le palme loro sono ben torniti

e mostrano lineamenti raffinati.

Lunghe sono le braccia

e dritte e sottili le dita.

La pelle è liscia e delicata

e i capelli s’arriccian verso destra.

Le caviglie e i ginocchi son ben disegnati

e nascosto è l’organo virile

come quel d’un cavallo.

I muscoli ben fatti, la clavicola

e i femori son snelli

come quelli di un cervo.

Il petto e il dorso sono risplendenti,

puri e senza difetto:

mai acqua torbida li infettò,

mai grano di polvere li sporcò.

Trentadue segni analoghi vi sono,

le ottanta specie di eccellenza son visibili,

e in verità non vi è nulla che concerna

forma o nonforma.

Ogni forma visibile è trascesa:

senza forma è il suo corpo eppure ha forma.

E invero questo si può anche dire

della forma corporea di tutti gli esseri viventi.

Gli esseri viventi lo venerano gioiosamente,

a lui dedicano il proprio animo

e il proprio omaggio rendono di tutto cuore.

Con lo stroncare arroganza ed egotismo,

egli ha ultimato un tal corpo prodigioso.

Ordunque noi, l’assemblea degli ottantamila,

tutti insieme rendendo omaggio,

affidiamo noi stessi al santo del non attaccamento,

istruttore d’elefanti e cavalli,

libero dallo stato dell’opinione,

della mente, del pensiero e della percezione.

Rendiamo omaggio

e ci affidiamo al Corpo della Legge,

a ogni precetto, a meditazione, saggezza,

affrancamento e consapevolezza.

Rendiamo omaggio

e ci affidiamo al meraviglioso carattere.

Rendiamo omaggio

e ci affidiamo all’inconcepibile.

La sacra voce risuona in otto direzioni,

come risuona il tuono.

È dolce, pura e assai profonda.

Egli predica le Quattro Nobili Verità,

le Sei Pâramitâ e le Dodici Cause

in accordo coi processi mentali degli esseri viventi.

Giammai alcuno può udire senza dischiudere la propria mente

e spezzare i vincoli dell’infinita catena di vita e morte.

Giammai alcuno può udire senza raggiungere gli stati

di srota-âpanna, di sakrdâgâmin, anâgâmin ed arhat;

senza raggiunger la condizione di pratyekabuddha,

dell’impeccabile ed incondizionato;

senza raggiungere lo stadio di bodhisattva,

della non vita e non morte; in cui si ottiene l’infinita dhârânî

e il potere del verbo che non conosce impedimenti,

con cui si recitano profondi versi prodigiosi,

si gioca e ci si bagna nel limpido stagno della Legge,

oppure si esibiscono movimenti sovrannaturali

a balzi levitando ed alzandosi in volo,

oppure si può liberamente entrare ed uscire

dall’acqua e dal fuoco.

Tale è l’aspetto della Ruota della Legge del Tathâgata.

È puro, sconfinato e inconcepibile.

Tutti insieme rendendo omaggio

ci affidiamo a lui

allorché fa girare la Ruota della Legge.

Rendiamo omaggio

e ci affidiamo alla sacra voce.

Rendiamo omaggio

e ci affidiamo alle Cause, alle Verità ed alle Pâramitâ.

Per innumerevoli kalpa trascorsi

l’Onorato dal Mondo ha messo in pratica

tutti i tipi di virtù con strenuo impegno

per recar benefici a noi esseri umani,

agli esseri celesti, e ai re dragoni,

e a tutti universalmente i viventi.

Egli lasciò tutte le cose ardue a lasciarsi,

i suoi tesori, sua moglie e suo figlio,

la sua terra e il palazzo.

Generoso della sua persona come dei suoi possessi,

tutto diede - capo, occhi, cervello - in elemosina alla gente.

Mantenendo le prescrizioni di purezza dei buddha,

giammai egli fece alcun torto,

persino a costo della propria vita.

Giammai egli si adirò,

ancorché percosso con spada e bastone,

o per quanto fosse maledetto e ingiuriato.

Giammai egli si stancò,

a dispetto dei prolungati sforzi.

Custodì in pace il suo animo dì e notte

e sempre perdurò in meditazione.

Imparando tutte le vie della legge,

con la sua profonda saggezza

egli ha penetrato le capacità degli esseri viventi.

Per conseguenza, ottenendo libero potere,

è divenuto il Re della Legge

che nella Legge è libero.

Rendendo ancora, tutti insieme, omaggio,

ci affidiamo a colui

che ogni ardua impresa ha portato a compimento.

   

   

(*) Inno tratto dal primo capitolo del Sûtra degli Innumerevoli Significati, incluso in "The Threefold Lotus Sutra", edito da Weatherhill, New York, e Kosei, Tokyo, 1982. Trad. dal cinese in inglese di Yoshiro Tamura, con revisioni di Wilhelm Schiffer e Pier P. Del Campana. Il Sûtra degli Innumerevoli Significati (Wu-liang- i-ching), tradotto in cinese nel quinto secolo da Dharmajâtayashas, è inteso come introduzione al Sûtra del Loto della Buona Legge (Saddharmapundarîkasûtra), tradotto dal sanscrito in cinese per la prima volta da Dharmaraksha nel 286, ma di cui generalmente s’utilizza la traduzione di Kumârajîva (344-413) del 406 (Miao-fa-lien-hua-ching). Chih-i (538-597), quarto Patriarca della scuola che dalla montagna dove egli visse prese il nome T’ien T’ai (Tendai in Giappone), adottò il Sûtra del Loto come testo fondamentale della sua scuola, ritenendo che in essa fossero contenuti gli insegnamenti più profondi, impartiti dal Buddha ai suoi discepoli durante gli ultimi otto anni della sua vita. Sull’insegnamento della scuola T’ien T’ai si può confrontare quanto riporta Charles Luk (Lu K’uan Yü) nel quarto capitolo (pp. 119-178) dell’opera I segreti della meditazione cinese, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1965.

(**) La traduzione inglese dice "dieci piedi e sei pollici", che corrispondono a metri 3,2004.

   

Traduzione dall’inglese e note di Dario Chioli

[pubblicata sul n. 20, ottobre 1997, del mensile Occidente Buddhista, che ha ora cessato di esistere]

   

   

 

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