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TRATTATO DELLA PACE INTERNA

PARTE PRIMA

ECCELLENZA DI QUESTA PACE

 

Ambroise de Lombez

   

[tratto da: Traité de la Paix intérieure, 1757, 
trad. italiana di fra Fedele da Tortona: Trattato della pace interna e di altri soggetti di pietà, 
Torino, 1782, pp. 1-32]

   

Edizione elettronica e revisione di Dario Chioli

   


Sommario:

Notizie su Ambroise de Lombez – Premessa del traduttore (1782): A' lettori – Cap. I. La pace interna rende stabile in noi il regno di Dio. – Cap. II. La pace interna ci dispone alle comunicazioni divine. – Cap. III. La pace interna è attissima a farci discernere i movimenti di Dio. – Cap. IV. La pace interna ci somministra un grande aiuto contro le tentazioni. – Cap. V. La pace interna ci aiuta molto a conoscere noi medesimi. – Cap. VI. La pace interna conserva in noi la semplicità. – Cap. VII. La pace interna giova molto al raccoglimento. – Cap. VIII. Molti altri vantaggi di questa pace.


NOTIZIE SU AMBROISE DE LOMBEZ

Riproduco qui con qualche aggiornamento di stile e qualche nota aggiunta la traduzione di fra Fedele da Tortona della prima parte del Trattato della pace interna di padre Ambroise de Lombez (Ambrogio da Lombez), che Adolphe Tanquérey, nel suo Précis de Théologie Ascétique et Mystique, 1927, definiva «opera divenuta classica, assai utile per guarire gli scrupolosi».

Traduco qualche notizia su di lui dalla pagina web http://www.capucinstoulouse.com/freres.htm.

Jean de Lapeyrie nacque a Lombez il 20 marzo 1708 da una nobile famiglia di Armagnac, che annoverava parecchi membri illustri, per censo e per fama militare. Seguì i suoi studi classici presso i Dottrinari di Gimont. Gli studi di teologia li fece alla scuola Saint Thomas d'Aquin ad Auch.

Padre Ambroise de Lombez (dalla pagina web http://www.capucinstoulouse.com/freres.htm)Si fece notare per la sua applicazione al lavoro e per i suoi talenti espositivi nelle tesi pubbliche. All'età di 16 anni, il 25 ottobre 1724, entra tra i Cappuccini  prendendo il nome di fr. Ambroise. Subito dopo la sua ordinazione è nominato direttore dello studio di teologia al convento di Saint-Sever.

La sua elevata intelligenza, la felice memoria e la vasta sua erudizione gli forniscono, pur senza annotazioni scritte, il tema dei suoi insegnamenti. Ed allo stesso tempo il ministero del confessionale rivela il suo mirabile talento nella direzione delle anime.

Le sue forze avendo tradito la sua dedizione, è inviato dai superiori a riposare a Bagnères de Bigorre. Dopo aver ritrovato in fretta la salute, raggiunge il convento di Médoux, non lungi da Bagnères. Fu questa la sua residenza per 15 anni, al servizio del santuario di Nôtre Dame de Médoux («mellis dulcis») che era stato affidato ai Cappuccini. La sua reputazione nel ministero del confessionale, si diffuse fino alla Corte, con la regina Marie Leczinska, ed anche oltre, fino in America.

Capitoli provinciali lo nominarono Maestro dei Novizi e Priore del convento d’Auch. Nel 1765 il Ministro Generale Paul de Colindres gli affidò, con il titolo di Commissario, l'incarico di correggere  la rilassatezza e le divisioni che s'erano introdotte nella Provincia di Parigi, e ciò a motivo delle sue qualità spirituali. La sua bontà ed il suo zelo riportarono la pace e lo spirito religioso. Durante la sua permanenza nella capitale, fu anche confessore della regina Marie Leczinska e dei Cappuccini del convento Reale di place Vendôme. Gli intrighi della Corte ottennero dal nuovo Ministro Generale, Aimé de Lamballe, il suo rinvio alla Provincia. Con gran soddisfazione dei suoi confratelli, che lo scelsero subito come Definitore Provinciale e Priore del convento d’Agen.

Ma Voltaire ed i philosophes non la smettevano di lanciare sarcasmi contro i religiosi in generale e i Cappuccini in particolare. I Gesuiti erano già stati cacciati nel 1762 e la Commission des Réguliers stava per essere fondata nel 1766.

Nel 1769 padre Ambroise ritorna a Parigi, come Delegato della Provincia al Capitolo Nazionale, organizzato dalla Commission des Réguliers, presieduta dal Cardinale Loménie de Brienne. Col pretesto della sedicente riforma dei religiosi, il fine inconfessato era quello di eliminarli. La soppressione dei Gesuiti nel 1767, ne era il segnale precorritore.

Padre Ambroise intervenne vigorosamente nelle discussioni del 1769, opponendosi alle decisioni della Commissione. I suoi interventi indignati  non poterono che ritardare il declino degli Ordini religiosi. Tuttavia le nuove Costituzioni furono messe da parte, e i Cappuccini furono il solo Ordine religioso che si mantenne in Francia fino al 1793, nella fedeltà alle sue costituzioni.

Consumato dalle molteplici fatiche apostoliche, morì il 25 ottobre 1778, all'età di 70 anni, nel corso di un nuovo soggiorno di cure termali a Luz-Saint-Sauveur. Lasciò numerosi scritti, tra cui il Traité de la Paix intérieure, il Traité de la Joie de l’âme ed un'abbondante corrispondenza spirituale.

Personalmente assai addentro nelle vie mistiche, padre Ambroise riconduce tutta la sua dottrina spirituale alla «Pace interna». Essa s'identifica col Regno di Dio in noi.

Il contenuto dei suoi scritti e la forma letteraria assai curata gli valsero d'essere chiamato «il san Francesco di Sales del XVIII secolo». Seppellito, in un primo tempo, nella chiesa parrocchiale di Luz, nel 1863 le sue ossa furono trasferite sull'altipiano di Solferino, ai piedi del mausoleo e a fianco di quelle d'un eremita sconosciuto, già venerato da quelle parti.


PREMESSA DEL TRADUTTORE (1782)

A' LETTORI

Dopo la versione che io pubblicai, non è gran tempo, de' salmi di Davide, colla giunta di alcune mie considerazioni, fui incoraggiato ad intraprendere questa ch'io presento del non men pio, che luminoso Trattato della pace interna del padre Ambrogio da Lombez Cappuccino Francese, da lui diviso in quattro parti. Nella prima si parla dell'eccellenza della pace interna; nella seconda si espongono gli ostacoli, che impediscono l'acquisto di questa pace, ed i mezzi per superarli; nella terza si insegna la maniera più atta per arrivare al conseguimento della medesima pace; e nella quarta se ne prescrive la pratica.

Quest'opera, di cui si legge la decima edizione di Parigi prova sicura della sua utilità, e dell'universal gradimento, con cui fu ricevuta, è fatta per raffermar le anime nella virtù, e ne' progressi della medesima. Molti vi sono pieni di buona voglia, ma troppo agitati da soverchia attività. Trovansi altri divorati da scrupoli, inuguali nella loro condotta, trasportati dalla loro immaginazione, i quali per ciò sono ognor privi della vera pace dell'anima, che è però il fondamento della soda pietà. L'indirizzare tali anime a conseguire questa interna pace consolante, è l'oggetto di quest'opera. Se l'autore suggerendone i mezzi opportuni ha compiuto un tanto oggetto, merita la riconoscenza di tutti i fedeli.

Fra Fedele da Tortona
Cappuccino
 


TRATTATO DELLA PACE INTERNA

PARTE PRIMA

ECCELLENZA DI QUESTA PACE

   

CAPITOLO I

La pace interna rende stabile in noi il regno di Dio.

La vera pietà di un'anima fedele che brama attendere alla cristiana perfezione, non deve avere altra mira se non di unirsi a Dio col conoscerlo, e con l'amarlo, e di fare che Dio regni in essa, mediante l'assoluta, e continua di lei dipendenza, corrispondendo essa fedelmente all'interno suo impulso, ed a tutti i suoi movimenti, finché egli la faccia regnare con esso lui nella sua gloria. Ciò supposto, quale sarà quell'anima che crederà di poter godere di tutti cotesti vantaggi senza la pace interna, se non molto imperfettamente? Non c'insegna pure l'esperienza stessa, che le inquietudini dello spirito interrompono di continuo le nostre meditazioni; onde l'anima trovandosi debole e fiacca, non può elevarsi a Dio, che a grande stento? Oltre di che, le scosse violente, che di tempo in tempo ella soffre, le tolgono la tranquillità , ed alterano non poco in lei la stabilità del regno di Dio, il quale quantunque si compiaccia di formarsi un trono del nostro cuore, e di farlo sua sede, egli è però un trono vacillante, ed una sede mal sicura, in cui non può trovare riposo. Per ciò dice il Profeta (*), che Iddio abita nella pace; benché non lascia per questo di abitare nell'anima del giusto tuttoché agitata; vi dimora però come straniero, non potendo egli trattenersi a lungo in quell'anima, e ragionare ad essa familiarmente, in cui regna la confusione, e l'agitazione, sicuri pronostici che tale dimora esser debba di poca durata. E vaglia il vero, un'anima che trovasi tuttora agitata violentemente, non potrà mai dirsi che sia sodamente stabilita nella giustizia troppo necessaria perché Iddio abiti in lei pacificamente. Non così avviene di quella che si mantenne in pace per lungo tempo, di cui può dirsi fondatamente essere ella quella casa stabilita sopra una rocca immobile ad ogni prova delle tempeste, e dei venti, in cui si compiace Iddio di fare la sua dimora con sicurezza . E questa appunto è la casa di sua permanenza ch'egli vuole da noi, ove possa avere una fissa dimora (**), non amando egli quei padiglioni posticci, e mal sicuri esposti ad ogni soffio di vento: veri simboli di un'anima, cui la perturbazione variata grandemente da tutte le passioni che la producono, rende sempre ineguale, e differente da se medesima.

(*) Factus est in pace locus eius. – Salmi 75, 3. [N.d.C. – Le citazioni bibliche sono fatte ovviamente dalla Vulgata, e la numerazione è quella corrispondente – si può cfr. il testo on line a diversi indirizzi, tra cui: http://www.intratext.com/X/LAT0001.htm http://www.ub.uni-freiburg.de/referate/04/bibelinh.htm –  http://www.bouwebrouwer.tmfweb.nl/vulgata/. Chi voglia invece cfr. la nuova versione diffusa nel 1979 – Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio – deve riferirsi all'indirizzo   http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_index_lt.html].
(**) Cfr. II Re [=II Samuele] 5.

Le tribolazioni sono l'ordinario appannaggio riserbato da Dio qui in terra ai suoi più cari, e talvolta sono sì gravi, che come acqua, penetrando perfino nel più intimo del loro cuore, producono in essi delle turbazioni ed inquietudini, le quali peraltro non arrivano che alla superficie delle loro anime; talché nella parte più intima godono d'una continua pace, verificandosi perciò, che Iddio non mai è agitato nell'interno del suo tabernacolo, vale a dire, nell'anima dell'uomo giusto, comunque afflitto. (*)

(*) Sanctificavit tabernaculum suum Altissimus: in medio eius non commovebitur. – Salmi 45, 5-6.

   

CAPITOLO Il

La pace interna ci dispone alle comunicazioni divine.

Fra i tanti vantaggi eziandio temporali che questa pace apporta all'uomo, uno dei più essenziali si è, che lascia a Dio tutta la libertà di operare nell'anima nostra, d'illuminarla, d'accenderla del suo amore, e di guidarla come gli piace; all'opposto dell'agitazione di spirito, la quale formando in noi una spezie di nube, ed uno strepito confuso, ci toglie una parte del lume celeste, e c'impedisce di sentire la superna voce. Perciò dice Iddio per bocca del suo Profeta, (*) che ci condurrà nella solitudine per parlare al nostro cuore. Deve però avvertirsi, che per mettere l'anima in questa solitudine necessaria ad avere un colloquio dolce, e familiare con Dio, non si richiede una totale separazione dagli uomini, ciò non bastando per darci il silenzio dell'anima, ed il raccoglimento, in cui propriamente consiste la solitudine, che Iddio esige da noi. E chi non vede che quello strepito, il quale è proprio nostro, che si risveglia in noi per effetto degli oggetti esteriori, che per la via dei sensi s'intrusero nel nostro cuore, ci distrae assai più di quanto possa fare lo strepito della moltitudine che ferisce soltanto i nostri orecchi? Eh confessiamolo pure a nostra confusione, che volendo noi fare alcun poco di violenza ai nostri sensi, anche fra la moltitudine, e fra il tumulto si può essere raccolto, siccome lo è il mercatante per il buon successo di temporale negozio, dal quale speri grosso vantaggio. Non si mantenne pure raccolto Ezechiello tuttoché circondato da una turba confusa di schiavi gementi? (**) Ciò però non mai potrà effettuarsi in noi, finché ci lasceremo preoccupare dalla moltitudine dei pensieri di mondo, dai movimenti delle passioni, e ci troveremo nella confusione dell'anima. Quindi è che Dio ci dice, che ci condurrà nella solitudine, non già per parlarci all'orecchio, ma al cuore soltanto; dal che si comprende ch'egli richiede da noi la solitudine interna. Infatti, senza questo silenzio dell'anima si potrà ben essere solo, ma non mai solitario. Per ciò con tutta ragione disse s. Bernardo, che mancando esso ad un monaco, la cella di lui più non è un santo ritiro, ma una onorata prigione (***). Volete però intendere, come la Maddalena, le parole di vita che escono dalla bocca di Gesù? Conservatevi , a simiglianza di lei, in un silenzio profondo, ed in perfetto riposo. In tale guisa stando voi in pace, Iddio sarà con voi, e comunicherà con l'anima vostra. Siate umile, ed in pace, dice l'autore dell'Imitazione di Cristo (****); siate devoto e tranquillo, che Gesù se ne rimarrà con voi . E per meglio persuaderci di tale verità ci giovi avvertire, che partendo egli da questo mondo per andarsene al Padre, ci promise, è vero, che sarebbe rimasto con noi fino alla consumazione dei secoli, con condizione però che noi stessimo in pace. La qual pace tanto gli premeva, che la lasciò in retaggio ai suoi Apostoli, come un pegno del suo amore, e come un contrassegno della sua presenza, comandando loro di portarla in tutto il mondo, con suggerirgli le parole che dovevano proferire nell'annunziarla, usate da lui medesimo quando entrò nel cenacolo a porte chiuse: la pace sia con voi (*****), ed in qualunque casa essi entrassero volle che dicessero (******): la pace sia in questa casa. Perciò l'imitatore suo s. Francesco non contento mai di usare mai sempre questo saluto, l'inculcò ai suoi figliuoli, assicurandogli essergli stato rivelato da Dio. E per verità quale augurio più felice può esservi mai in questa vita, quanto quello della pace? Perciò la Chiesa nostra madre, e direttrice lo adottò in maniera, che con essa termina tutti i suoi offici; poiché dopo la gloria del cielo non v'è cosa più eccellente della pace dell' anima.

(*) Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius. – Osea 2, 14.
(**) Cum essem in medio captivorum… vidi visiones Dei. – Ezechiele 1, 1.
(***) Non solitarius, sed solus dicendus est: nec cella ei cella, sed reclusio et carcer est. – Guglielmo di Saint-Thierry, Epistola ad Fratres de Monte Dei, 27.  [N.d.C. – l'opera viene citata nel testo come «De vita solitaria ad fratres de monte Dei» ed attribuita a san Bernardo, ma in realtà è di Guglielmo di Saint-Thierry, cfr. Guglielmo di Saint-Thierry, La Contemplazione di Dio – La Lettera d'Oro. A c. di Giovanni Bacchini, Piemme, Casale Monferrato, 1997; chi ne abbia voglia può trovare il testo latino su http://gallica.bnf.fr/ scaricando il facsimile di un'edizione del 1495 degli Opuscula diui Bernardi abbatis clareuallensis, pp. 126-168].
(****) Esto humilis, et pacificus, et erit tecum Iesus; sis devotus et tranquillus, et manebit tecum Iesus. – Imitazione di Cristo, 2, 8, 3. [N.d.C. – cfr. il testo latino all'indirizzo http://www.thelatinlibrary.com/kempis.html]
(*****) In quamcumque domum intraveritis, primum dicite: Pax huic domui. – Luca 10, 5.
(
******) Stetit lesus in medio eorum et dicit eis: Pax vobis. – Luca 24, 36.

   

CAPITOLO III

La pace interna è attissima a farci discernere i movimenti di Dio.

Egli è indubitato, che per discernere i movimenti di Dio da quelli del Demonio, e del nostro amor proprio, ci è assolutamente necessaria l'interna pace, la quale se regna in noi, diciamo pure con sicurezza, che il movimento viene da Dio, essendo proprietà dello spirito del Signore il metterci in pace, ed in raccoglimento; che se all'opposto sperimentiamo in noi della dissipazione e dello scompiglio, allora è assai chiaro, che il movimento è tutto opera dello spirito malvagio. Ascolterò, dice il re profeta, quello che mi dirà il Signore nel fondo del mio cuore (*); perciocché le sue parole divine non sono che parole di pace; il che non può dirsi del demonio, e del nostro amor proprio, comunque alcuna volta producano in noi una certa apparenza di cotesta pace, facendoci sperimentare nella soddisfazione dei sensi un non so che di dolce, che molto si rassomiglia ad essa. A cotesti inganni però non soggiacciono le anime sperimentate, come quelle che avendo veduta la luce del sole, sanno distinguere il chiarore d'una lampana dal primo meriggio.

(*) Audiam quid loquatur in me Dominus Deus: quoniam loquetur pacem. – Salmi 84,9.

Egli è poi talmente necessario per la buona condotta di un'anima il sapere in cotal guisa discernere i movimenti di Dio da quelli, che non vengono da lui, che non sapendo essa fare un tale discernimento, verrebbe a commettere moltissimi errori. Se però una tale cognizione non può aversi da noi senza la pace interna, la quale dopo la fede, la sana dottrina, e l'ubbidienza, è uno dei mezzi principali per non errare nella via dello spirito, deve essa tenersi da noi in tanto maggior prezzo, quanto ci è più necessaria. E per verità, quanti vantaggi non ci provengono da questa pace? O quanti scrupoli non sarebbero tolti? Quanti inganni dissipati? Quante intraprese imprudenti meglio regolate? Quante devozioni false corrette, se si conservasse sempre questa pace, la quale porta a Dio senza strepito, e senza agitazione, e se si tenesse per sospetto tutto ciò, che può alterarne la dolcezza!

Dissi per sospetto, e non già sempre per falso; accadendo sovente che un movimento di Dio sia accompagnato da un altro che nasce unicamente da noi, dal quale I'anima resta agitata, e perturbata, come si scorge ordinariamente nei naturali vivaci, i quali fanno entrare il loro proprio ardore in tutte quante le loro operazioni; poiché accendendosi facilmente la loro immaginazione, non possono venire al punto di operare per lungo tempo d'una maniera tutta quieta e tranquilla, se non per un lungo uso di raccoglimento e di pace, e a forza di moderare il loro naturale, e di spegner la loro vivacità. Ciò non ostante per questi ancora la pace è un mezzo necessario per discernere i movimenti di Dio da quelli, che nascono dalla qualità del loro naturale. Poiché, se nel momento che essi si sentono accendere d'un ardore tutto premuroso per il bene, che si propongono di fare, sanno arrestarsi subito, invocare il Signore, darsi tempo a pensare, vedranno dissiparsi ben presto la premura, e calmarsi l'agitazione: e se il loro disegno viene da Dio, la pace resterà sola nel fondo del loro cuore unitamente alla buona volontà, alla quale egli la promise. Qualora poi non vi fosse che del naturale, e dell'umano, questa prova farà, che tutto svanisca. Restiamo pure persuasi, che fintanto che durerà in noi un certo movimento premuroso, ed una spezie di fermentazione interna, Iddio avrà poca o niuna parte nella nostra condotta spirituale, ma essa potrà dirsi piuttosto un effetto materiale della nostra vivacità.

Felice però quell'anima che gode una tal pace, potendo essa vantarsi di avere la marca sicura, che le fa conoscere i movimenti di Dio, non solamente nel loro nascere, ma ancora nei loro effetti, con questo di più, che quanto più essi divengono forti, tanto più la pace si aumenta. Siano pur grandi le operazioni, che essi ci fanno intraprendere, non mai cagioneranno in noi la menoma turbazione; poiché tengono della purità del loro principio, il quale ha una vivacità infinita, ed una pace inalterabile. Ciò non pertanto tale e tanta è l'umana infermità, che ci è uopo confessare essere cosa molto rara, che uno non si dissipi alcun poco, anche nelle opere di vero, e puro impulso divino; e che questa calma profonda non sia soggetta a qualche alterazione, massimamente conversando fra gli uomini. Perciò non v'ha da ammirarsi, se i santi medesimi lo conobbero per la loro esperienza. Non senza motivo però il divino Salvatore volle, che i suoi discepoli ritornati che furono dai loro viaggi apostolici (*) s'allontanassero dalla folla degli uomini, e si mettessero in riposo, insegnandoci in tal guisa, esser cosa assai difficile, che uno si trovi ugualmente raccolto dopo qualche esteriore esercizio, sebbene spirituale, come lo era nell'incominciarla, e ciò per effetto dell'umana società, la quale altera sempre alcun poco quella dolcezza di commercio, che si godeva, quando non si conversava che con Dio (**). Ciò non ostante la commozione interna non è considerabile, e non viene che insensibilmente allorché uno sta avvertito di non conversare con gli uomini, se non quanto fa di bisogno, e lo stesso movimento divino che ci porta ad operare, c' inspira sempre questa circospezione, essendo egli nel tempo stesso un pungolo, che ci sollecita, ed un freno, che ci rattiene. Per lo contrario l'impulso falso ci accende subito senza lasciarci un momento di riposo, né darci tempo di raccoglierci; ed invece d'inspirarci della circospezione; neppure ci permette di pensare che essa possa essere necessaria, non presentandoci che del bene. Egli è però da avvertirsi, che questo movimento, il quale ci viene dal demonio, o pure da noi medesimi, per quanto sembri lodevole l'opera alla quale ci porta, sempre comincia con la perturbazione, e spesse volte finisce col peccato.

(*) Et ait illis: Venite seorsum in desertum locum, et requiescite pusillum. – Marco 6, 31.
(**) Quoties inter homines fui, minor homo redii. – Imitazione di Cristo, 1, 20, 2.

   

CAPITOLO IV

La pace interna ci somministra un grande aiuto contro le tentazioni.

Chi può ridire a sufficienza di quale e quanto aiuto riesca a noi questa pace contro le tentazioni, che di tempo in tempo ci assalgono? Infatti trovandosi l'uomo raccolto in se stesso, attento al proprio interno, padrone di se medesimo, nulla può accadere in esso, che subito non se ne accorga; vedendo egli perciò la tentazione fino dal suo nascere, quando è ancor senza forze, onde gli riesce facile d'impedirle che cresca. Non v'ha dubbio, che in questo silenzio interno si ode tosto il moto della freccia, che vola leggermente per il giorno, e quello del nemico, che si aggira segretamente nelle tenebre: mille dardi ci cadono a sinistra, e diecimila a destra, senza che pur uno ci offenda, (*), stando nel riposo, e nel silenzio la nostra forza, e la nostra salvezza. (**) Oltre di che, essendo l'anima nostra raccolta, e riconcentrata in se medesima, e di più fortificata per le grazie speciali, onde Dio la sostiene, acquista tale, e tanta fermezza, che non bastano a scuoterla gli urti anche più violenti del comune nemico.

(*) A sagitta volante in die, a negotio perambulante in tenebris… Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis; ad te autem non appropinquabit. – Salmi 90, 6-7.
(**) Si… quiescatis, salvi eritis… in silentio… erit fortitudo vestra. – Isaia 30, 15.

Quanto grandi però sono gli aiuti che ci provengono dalla pace interna, altrettante sono le rovine che cagiona in noi l'agitazione di spirito. Questa apre in noi da ogni parte l'ingresso al nemico, e sconcertando le potenze dell'anima nostra, la debilita in guisa, che ad ogni di lui assalto si dà per vinta, rendendoci somiglianti ad una armata posta in disordine, ove uno non distingue i propri compagni dai nemici, ove gli ordini si danno male, e si eseguiscono anche peggio, ed ove il numero dei combattenti, che dovrebbe farne la forza, non serve che ad accrescerne la confusione. Ah pur troppo egli è vero, che il gran segreto nei pericoli è l'esser padrone di se medesimo! Che se ne bramiamo un'immagine più naturale, figuriamoci di vedere un uomo al quale giri il capo qualora si trovi sull'orlo d'un precipizio. Posto egli in una tale perigliosa situazione, ben si vede quanto sia vicino ad una grave caduta: trema, si scolora, e preso dallo spavento gli si turba la vista, gli si gela il sangue, ed abbandonato nel tempo stesso dal discernimento e dalle forze, più non è in istato, né di scegliere i mezzi atti a liberarsi dal pericolo, né di metterli in esecuzione; e niente di meno succede ad un'anima agitata per il timore eccessivo di soccombere alla tentazione. Perciò non senza ragione disse il re profeta: (*) poiché il mio cuore è agitato perdetti le mie forze, sparirono dagli occhi tutti gli obbietti, che recarmi potevano consolazione, e conforto; onde mi veggo sepolto in una notte profonda.

(*) Cor meum conturbatum est, dereliquit me virtus mea: et lumen oculorum meorum, et ipsum non est mecum. – Salmi 37, 11.

Eh diciamolo pure con sicurezza, che se quest'anima si sostiene, ciò non può essere, che per una spezie di miracolo, e per lo aiuto di una grazia tutta speciale, che per altro Iddio non manca di dare a quella, la quale non se la demeritò, provenendo la di lei agitazione assai più da timore eccessivo, che da infedeltà. Si deve però avvertire, che non mai si compartirà da Dio una tal grazia a coloro, che si danno in preda ad una simile inquietudine, mescolandovi, oltre alla propria fiacchezza, la diffidenza del divino aiuto, e trascurando gli avvisi dei direttori, che in questi casi prescrivono più di fermezza e di costanza; perdono essi finalmente la pace, contro l'inclinazione che ci porta ad essa.

Finalmente questa pace interna oltre all'aiuto, che ci porge per superare le tentazioni, ci preserva ancora da un gran numero di quelle che ci sono cagionate dalla leggerezza, dalla dissipazione, e dalla facilità che abbiamo nel secondare le naturali nostre inclinazioni.

   

CAPITOLO V

La pace interna ci aiuta molto a conoscere noi medesimi.

L'altro gran bene che si riporta da questa pace, egli è la cognizione di se medesimo, la quale mai potrà conseguirsi da chi si trova agitato nello spirito. Nella stessa guisa, che in un'acqua tranquilla si distinguono i più piccioli grani d'arena, si scorgono nella pace dell'anima le proprie mancanze anche più leggere; onde vedendosi l'uomo quale egli è, e le tante imperfezioni alle quali è soggetta la misera umanità, non può fare a meno di non dispregiarsi, dal che nasce l'acquisto della vera umiltà, fondamento principale dello spirituale edifizio. Ben è vero però, che questa pace potrebbe tuttavia gonfiarci assai il cuore qualora ci fermassimo a considerare noi stessi in questa ugualità, ed in questa calma con compiacenza, invece di volgere lo sguardo a quei difetti, che ci rendono mostruosi dinanzi a Dio. E piacesse a Dio, che un tale disordine non si trovasse non solo nella pace interna, ma anche in tutti gli altri beni spirituali! Ah! E di che mai non si nutre l'orgoglio, vivendo egli alcune volte della sua propria distruzione, e rinascendo dalle proprie sue ceneri? Per schivare però questo scoglio, né si deve temere d'essere in pace, né tampoco avvertirlo, affinché l'amor proprio non possa convertirlo in strumento di spirituale rovina. Le pecore non lasciano la loro pelle, dice s. Agostino, (*) perché talvolta se ne ricoprono i lupi. Infatti qual maggior sciocchezza, quanto quella di tralasciare il bene per schivare la vanagloria che ne potrebbe venire? Ciò sarebbe un rendersi cattivo, per timore di divenirlo.

(*) Oves non debent deponere pelles suas, si aliquando eis lupi se contegunt. – Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 2, 12, 41. [N.d.C. – cfr. il testo latino all'indirizzo http://www.sant-agostino.it/latino/montagna/].

Egli è dunque necessario rimirarsi in questa pace con occhio semplice e modesto per sola necessità, a modo di chi, disingannato in tutto delle grazie che ricevette dalla natura, si presenta davanti allo specchio per acconciarsi onestamente senza lasciarvisi intrattenere più del bisogno dalla vanità, il quale parte tosto dimentico affatto della sua figura; come dice l'apostolo s. Iacopo; (*) né più vi fa ritorno, finché il bisogno non ve lo riconduca. Né mai cadesse per tutto ciò a taluno in pensiero, che considerandosi egli in questa pace, potesse riportarne del nocumento; ma anzi gli sarà giovevole, purché lo faccia con vero spirito di spropriazione, come chi considera una persona per la quale ha della indifferenza; e tanto più gli gioverà, s'egli rimirerà in se stesso i doni di Dio soltanto, senza cercare in essi se medesimo, mettendosi anzi in dimenticanza, quando conviene, ad effetto di non vedere che Dio, il quale opera in esso, e con esso.

(*) Consideravit enim se, et abiit, et statim oblitus est qualis fuerit. – Giacomo, 1, 24.

Se vi porterete in tali maniere, sarete fuori di pericolo di divenire ammiratore di voi medesimo, col contemplarvi, e compiacervi in questa tranquillità; Poiché comprenderete, ch'essa non deriva dal vostro fondo, ma che anzi le vostre passioni, e la vostra leggerezza la turberebbero continuamente se il freno della grazia non le ritenesse. Però se bramate discacciare da voi i pensieri di compiacenza sopra voi stesso, volgetevi semplicemente a Dio; ché se poi si rendessero questi sempre più importuni, siate tanto più vigilante a conservare la vostra pace, non potendo essi turbarla, se voi non vi spaventate; ché anzi la renderanno ancora più stabile, se tentandovi di vanagloria vi portano a dispregiare voi stesso.

   

CAPITOLO VI

La pace interna conserva in noi la semplicità.

Siccome la pace interna nulla affetta di singolare; perciò molto giova ad umiliarci con l'ispirarci una pietà semplice, e modesta. Egli è troppo contrario, e molesto a questa pace tutto ciò che scostandosi dal comune, essa non trova in se stessa. Quindi è, che in essa non si veggono né certi entusiasmi di fervore sensibile, che trasportano un'anima sopra di sé senza avvicinarla molto a Dio, né certe vive dipinture che piacciono alla nostra immaginativa, facendoci concepire un'alta idea di noi medesimi; né si scorge in essa quella fallace dolcezza d'una immaginazione riscaldata, che indebolisce non tanto il nostro temperamento, quanto l'umiltà nostra. Si guardino però bene i principianti dal lasciarsi incantare da queste equivoche attrattive dalle quali restano ammirati: Poiché dopo ch'essi avranno usato ogni sforzo per procacciarsele, perderanno la pace dell'anima, la quale nulla ha di splendido, ma quanto meno lusinga la nostra vanità, ella è tanto più utile alla nostra santificazione.

   

CAPITOLO VII

La pace interna giova molto al raccoglimento.

Tale e tanta è la necessità del raccoglimento spirituale per la vita eterna, che tutti i maestri di spirito ne scrissero diffusamente, prescrivendo diverse pratiche per conseguirlo, come sarebbe l'uso dei buoni pensieri, l'attenzione alla presenza di Dio, ed altre cose simili. Io però non dubito di affermare, che il mezzo più necessario, meno soggetto ad inconvenienti, e senza cui gli altri non possono essere di un grande uso, sia la pace interna. Poiché egli è assai manifesto, che qualunque altra pratica, comunque santa, e confacente al fine preteso, o potrebbe ridursi ad una applicazione eccessiva, qualche volta farci perdere il tempo, e spesso distrarci a segno d'interrompere in noi l'operazione di Dio; non andando tali pratiche direttamente sino alla sorgente più ordinaria delle nostre dissipazioni di spirito, che sono le nostre passioni, e la nostra vivacità; quindi ne avviene, che alcune volte esse nient'altro producono in noi, se non dei riscaldamenti eccessivi d'immaginazione. Inoltre ogni qualunque altra pratica di pietà, o non serve, che ad occupare lo spirito, ed allora non se ne riporta che perdita di tempo, o si porta al cuore per mezzo dello spirito, e questo è uno sconcerto; siccome si potrebbe andare dirittamente a quello, che è la sede del bene e del male. Egli è al cuore di Gerosolima, che vuole Iddio, che si parli. (*) Però il mezzo più breve per rimuovere i pensieri inutili, e leggeri, e di averne soltanto dei devoti, e che tocchino, egli è quello di far cessare tutti i moti delle passioni col diffidare ancor di quelli, che sembrano prodotti dalla grazia, ogni qual volta giungano ad alterare la nostra tranquillità. Ché se ci riesce di regolare il nostro cuore, stiamo pur sicuri, che tutto sarà in noi regolato; e stando noi in pace, restiamo persuasi, che i nostri pensieri, come quelli di Dio, saranno pensieri di pace. (**) Quei pensieri, che ci turbano, provengono più assai dal cuore, che dallo spirito; siccome il cuore solamente è quello, che lo dirige a suo piacere, come ce ne assicura Cristo in s. Luca. (***) Quindi è, che egli lo regola, se esso è regolato; ma se il cuore si appassiona, restano tosto oscurati i lumi dello spirito. Insomma, il cuore in noi sempre la fa da padrone, di sorte che, s'egli si lascia trasportare dall'umore, dal capriccio, dall'ardore, turba e sconcerta tutto l'interno, sottomettendo tutto a sé, ed è molto difficile, che uno spirito anche più ragionevole, non provi la tirannia d'un cuore appassionato. Ora dico io, volendosi trattar di pace è egli meglio indirizzarsi allo schiavo, oppure al padrone? Finché questo cuore non sarà tranquillo, potrà forse lo spirito essere raccolto? E se per impossibile lo fosse, che altro sarebbe questo raccoglimento, se non un ozio interno, ed una specie di stupidezza, in cui esso sarebbe, non già propriamente senza distrazioni, ma in certa guisa senza pensieri, ed in cui esso attenderebbe segretamente alla sua inazione, finché il cuore tranquillizzato gli somministrasse, e permettesse qualche meditazione ben ordinata? Per lo che, quantunque il raccoglimento non fosse, che un'applicazione dello spirito, non mai s'acquisterebbe così bene, né così presto, come per mezzo della pace del cuore. Se però il raccoglimento deriva assai più dal cuore, che dallo spirito, come sembra indubitato, indarno si sforzerà taluno di procacciarselo, quando il suo travaglio non abbia per base la pace interna.

(*) Loquimini ad cor Ierusalem. – Isaia 40, 2.
(**) Ego cogito… cogitationes pacis. – Geremia 29, 11.
(***) Quid turbati estis, et cogitationes ascendunt in corda vestra? – Luca 24, 38.

Ci insegna pur tutto giorno la stessa esperienza, che le dissipazioni di spirito provenienti dal cuore sono le più pericolose, e che la moltitudine dei pensieri poco pregiudizio ci apporta, quando non vi si mischino gli affetti sregolati del cuore. Comunque lo spirito dell'uomo svolazzi di tempo in tempo qua, e là sopra diversi oggetti, o per necessità, o per leggerezza, purché il cuore non gli tenga dietro, gli riuscirà assai facile il far ritorno a Dio con una specie di raccoglimento abituale, tuttoché meno perfetto dell'attuale, che però nella necessità può tenere il suo luogo. Ma se per lo contrario la dissipazione viene dal cuore, ed un tal male si fosse in esso radicato, la guarigione riuscirebbe molto difficile; siccome allora si troverebbe l'uomo tutto in disordine, né più trovandosi in se stesso, più non si potrebbe raccogliere, che a grande stento, a forza di tempo, d'orazione, di ritiro, e di mortificazione.

   

CAPITOLO VIII

Molti altri vantaggi di questa pace.

Sono tali, e tanti i beni provenienti ad un'anima dall'interna pace, che non mai si finirebbe di dire, volendoli tutti enumerare. Producendo essa nei nostri cuori delizie tali, che non possono esprimersi; quindi ne nasce in noi una certa nausea dei piaceri sensibili; siccome divengono vani, ed insipidi a chi gustò questa pace deliziosa, che sorpassa ogni senso. (*) Però con le dolcezze di questa pace Iddio ci tira al suo servizio, (**) e difende i nostri cuori dagli allettamenti del piacere. (***) Col conseguimento di questa pace formasi tosto in noi un carattere uniforme, ed una condotta sempre uguale, bastanti ad invaghire gli uomini, ed a meritarsi le divine compiacenze. Dove all'opposto chi ne va privo, rendesi da un momento all'altro così poco conforme a se stesso, che dispiace a Dio, ed agli uomini. Vi si presenti chi la possegga, che tosto scorgerete risplendere in esso un'aria modesta, dolce, pacifica, semplice, schietta, la quale fa onore alla pietà, e le concilia la stima, e l'affetto di quegli stessi più prevenuti contro di essa. Onde con tutta ragione può dirsi di questa pace, ciò, che disse l'Apostolo della pietà, di cui essa è come l'anima, e la vita, buona al tutto, procurandoci ogni sorta di beni per la vita presente e per la futura. (****) Però ogni anima, che brama trattare con Dio, primieramente deve mettersi in pace, non parlando esso, che con linguaggio di pace, né potendo essere inteso, se non da quelli, che godono la pace nel proprio cuore. (*****) Fintanto che l'anima è in agitazione parla sempre d'un linguaggio del tutto diverso da quello di Dio, né può intendere il suo, e se è permesso il dirlo, Iddio stesso non intende punto il linguaggio di lei, essendo essa per esso lui uno straniero non conosciuto, ed un barbaro non inteso.

(*) Pax Dei, quae exsuperat omnem sensum. – Filippesi 4, 7.
(**) Pax Christi… in qua et vocatis estis. – Colossesi 3, 15.
(***) Pax Dei… custodiat corda vestra.  – Filippesi 4, 7.
(****) Pietas autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitae, quae nunc est, et futurae. – I Timoteo 4, 8.
(*****) Audiam quid loquatur in me Dominus Deus: quoniam loquetur pacem… in eos, qui convertuntur ad cor. – Salmi 84, 9.

Se poi bramate unirvi al vostro Dio, mediante la santa comunione, dovete preparare a questo re pacifico un soggiorno di pace, volendo esso che le sue dolcezze si godano da noi nel ritiro interno, e nel silenzio dell'anima. (*) E quantunque l'agnello pasquale dell'antica legge mangiarsi dovesse stando in piedi, con frettolosità, cinte le vesti alle reni, ed in una disposizione al moto; il nuovo agnello però, vuole Iddio, che si mangi nella quiete del cenacolo, e nella positura la più tranquilla. (**) Ché se vi accade di porgere ai prossimi qualche assistenza corporale, dovete operare in pace; poiché senza d'essa voi sarete aspro, impaziente, e disobbligante, ancorché aveste la migliore intenzione, e perfino nei servigi più valevoli ad obbligare. Molto di più poi è necessaria questa pace, trattandosi di servire il prossimo nei suoi spirituali bisogni. In tale occorrenza si deve usare la circospezione più esatta, attendendo con più di diligenza a se stesso; Poiché, se l'impressione del nostro zelo arriva a turbare l'economia della nostra pace, allora noi parleremo soverchiamente, ed operando senza riflessione, anziché attendere quel momento più proprio, che è secondo Dio, sceglieremo quello d'un ardore impaziente; talché privi d'unzione, e di raccoglimento, non solamente non riusciremo nel bene propostoci per gli altri, ma faremo a noi stessi un male non mai pensato. Né è meno necessaria la detta pace per dare opera alla santificazione di noi medesimi, dovendo questa essere frutto del silenzio, e della pace, come dice il Gersone; (***) e volendo noi applicarci ancora alla salute altrui, non mai ci dimentichiamo, che per divenir padroni degli animi dei prossimi nostri, e per far loro gustare le massime più sante, bisogna essere uomo di pace, e possederla in maniera, che diffondasi al di fuori su tutto ciò, che è d'intorno a noi. (****)

(*) Mane in secreto, et fruere Deo tuo. – Imitazione di Cristo, 4, 12, 4. 
(**) Gli Ebrei mangiavano sdraiati sopra piccioli letti: in questa positura Gesù Cristo istituì l'eucaristia, dopo d'aver cenato con i suoi apostoli.
(***) In silentio, et quiete proficit anima devota. – Imitazione di Cristo, 1, 20, 6. [N.d.C. – Qui l'Imitazione di Cristo viene attribuita, come lo fu a lungo, spesso stampata fra le sue opere, a Jean Gerson, mentre oggi la si attribuisce piuttosto a Tommaso da Kempis].
(****) Imperantes in praesenti populo, et virtute prudentiae populis sanctissima verba… pacificantes in domibus suis. – Ecclesiastico 44, 4- 6.

Ed eccovi in succinto i grandi beni, che risultano dalla pace interna, e che ce la debbono far riguardare come uno dei favori più segnalati del cielo. E per verità conviene pur dire, ch'essa sia preziosa, se lasciando Iddio ai malvagi i talenti, la fede, la speranza, e perfino le grazie prevenienti, non li vuole però a parte di questa pace? (*) Essa fu sempre reputata talmente per un dono singolare della sua bontà, compartito da lui ai suoi più cari, e per un contrassegno della sua presenza, così che gli stessi falsi profeti non parlavano, che di pace per farsi credere investiti dallo spirito di Dio, tuttoché non potesse esservi vera pace dove non v'era Iddio, il quale essendo Dio di pace, sta nel mezzo dei suoi santi, come un padre nella sua famiglia, e riguarda come tanti prediletti suoi figli tutti quelli, che custodiscono più diligentemente la pace del loro cuore.

(*) Non est pax impiis, dicit Dominus. – Isaia 48, 22.

Perciò disse Cristo nel suo vangelo: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figliuoli di Dio; e come figli esso gli ama teneramente, gli porta tra le sue braccia, ed essi riposano tranquillamente nel suo seno. Godrò in Dio una pace deliziosa, dice il re profeta, (*) ed il mio riposo in lui assomiglierà ad un dolce sonno.

(*) In pace in idipsum dormiam, et requiescam. – Salmi  4, 9.

Vero è, che l'acquisto di questa quiete interna, non è poi così facile, come taluno si potrebbe far l'idea; e questa è una nuova prova della sua eccellenza; onde tanto più ardente deve essere il nostro desiderio di possederla, non essendo ordinariamente di gran valore quella cosa, che s'acquista con poco. Non è però da meravigliarsi, che il demonio, e la natura, ai quali questa pace riesce molesta, arrivino a frastornarla con tutti quei mezzi, che siamo per esporre minutamente. [N.d.C.]

[N.d.C.] . Le parti successive dell'opera, già descritte nella sopra riportata premessa del traduttore, s'intitolano:
- Parte Seconda. Nella quale si tratta degli ostacoli, che impediscono l'acquisto di questa pace, e dei mezzi di superarli.
- Parte Terza. Nella quale si parla dei mezzi atti ad acquistar questa pace.
- Parte Quarta. Nella quale si insegna la pratica di questa pace.
Al termine, l'Orazione per dimandare a Dio la pace interna.

   

   

 

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