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DOTTRINA NEOPLATONICA SUI DÈMONI

Georg Friedrich Creuzer nella «Storia Universale» di Cesare Cantù

   

dal libro VII di

Georg Friedrich Creuzer, Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders der Griechen, Leske, Leipzig und Darmstadt, 1810 e ss.,

in Documenti alla Storia Universale – Sulla Filosofia, L'Unione Tipografico-Editrice, Torino, 8a ed., 1856, n. V, pp. 447-452.

 

Revisione di Dario Chioli

2a ed.: aprile 2008

 

Ho riprodotto il testo del Cantù integralmente, con minime variazioni (correzione di qualche imprecisione e modifica della numerazione delle note, trascrizione in caratteri latini dei pochi termini greci, con contrassegno delle vocali lunghe mediante sottolineatura). Non ho riscontrato il testo originale del Creuzer, ma ho paragonato la traduzione del Cantù con quella francese – da cui probabilmente deriva – edita a Parigi tra il 1825 e il 1841 da Joseph Daniel Guigniaut: Les religions de l'antiquité, considérées principalement dans leur formes symboliques et mythologiques, tomo terzo, parte prima, capitolo I, § V, pp. 47-55 (1838, reperibile on line su http://books.google.it). I due testi si corrispondono, salvo all'inizio, dove il Cantù modifica leggermente un paragrafo tagliando qualche riferimento a cose espresse dal Creuzer in precedenza.

D. Ch.

   


   

I neoplatonici, naturalmente intenti a stringersi ai tempi antichi, e rimetter in luce quanto v'avea di profondo nelle antiche credenze popolari, e nelle dottrine misteriose, e risvegliare il senso religioso così acuto de' primi pensatori greci, fondavano tutte le speculazioni sui dogmi orfici, pitagorici o platonici; ma senza il nuovo contatto colle idee dell'Oriente, e specialmente con quelle de' Giudei, senza il vittorioso progresso del cristianesimo, giammai la loro dottrina degli spiriti non sarebbesi eretta e cresciuta tanto. Noi ci fermeremo ai punti più essenziali, riconosciuti e in gran parte discussi dai principali filosofi d'essa scuola. Alcuni di que' filosofi scrissero anche trattati speciali sui dèmoni, e Plotino, un de' maggiori, mirando evidentemente alle opinioni opposte che su ciò dominavano a' suoi tempi, si colloca, com'ei suole, al centro della quistione, e sopra l'essenza dei dèmoni palesa un'opinione affatto dogmatica. [*] Secondo lui, essi sono le tracce ovvero sia le impronte dell'anima del mondo che generò sì esse sì gli dèi. Destinate a riempier il mondo in cui si svolge questa grand'anima, e a coordinare la potente armonia, formano differenti specie; ma se partecipano alla materia, non è alla corporea ma ad una intelligente, che sola rende possibile l'unione degli spiriti coi corpi.

[*] Nel passo fondamentale, Enneade III.5.6.

Egualmente la pensa Giamblico. Volendo rispondere alla difficoltà che Plotino cercava risolvere, e che Porfirio avea di nuovo sollevata quando chiedea come fosse possibile che gli astri fosser dèi, stante che gli dèi non hanno corpo, Giamblico ammette l'idea d'un corpo celeste, vicinissimo all'essenza incorporea degli dèi, idea che i Padri della Chiesa applicarono al dogma degli angeli. [*] Spiegasi questo filosofo in un altro luogo [**] sopra la distinzione dei dèmoni, degli eroi e delle anime. Secondo lui, l'essenza dei dèmoni è attiva, e per l'attività sua reca a perfezione gli esseri di cui si compone il mondo; quella degli eroi è viva e ragionevole, e fatta per dirigere le anime. I dèmoni possiedono le forze generatrici, presiedono alla nascita, e legano le anime ai corpi: agli eroi spettano le forze vivificanti, quelle per cui possono guidar gli uomini, e liberarli da una seconda nascita. Più vasta sfera d'azione hanno i dèmoni, stesa sul mondo intero; mentre quella degli eroi limitasi a vigilare sulle anime. [***]

[*] De mysteriis Ægyptiorum, I.17.

[**] Ivi, II.1.

[***] Si paragoni Proclo, in Cratylum Platonis, a c. di Jo. Fr. Boissonade, Lipsia, 1820, p. 80.

Qui dunque troviamo applicata la demonologia all'opera della salute. Secondo i misteri, di cui si trovano tracce in Platone e prima, Giamblico riferiva anche l'origine dei dèmoni alle potenze demiurgiche degli dèi; ciò che ricorda i diversi attributi e le operazioni diverse che i filosofi d'allora, non men che i gnostici e Valentiniano ed altri, attribuivano ad un demiurgo determinato, e al suo rapporto cogli eoni le quali nozioni, combinate colle idee posteriori de' seguaci di Mitra, diedero luogo a fingere un demone Demogorgone, potenza magica d'ordine superiore. [*]  Quest'ente singolare merita tanto più riguardo perché i nomi proprii dei dèmoni son rari negli scritti antichi, se non sia di quei che formano il corteggio di certe divinità. [**]

[*] C.G. Heyne, Opuscula Academica, III, pp. 309 segg.

[**] Cf. Porfirio, De Abstinentia, II.37.

I Platonici d'allora non differivano riguardo alla gerarchia dei dèmoni, ed al creder gli uni mortali o no. Mentre alcuni, come Porfirio, stavano per il sì secondo Esiodo, altri, come Ammonio e Giamblico, [*] sosteneano il contrario; Proclo lasciava indeciso; [**] ma riguardo alla gerarchia loro, conformandosi a Platone, egli diceva l'universo esser custodito da dèi e da dèmoni; da quelli nell'insieme e nell'unità sua, da questi nelle parti, riempiendone lo spazio, ed in relazione più intima cogli esseri custoditi.

[*] De mysteriis Ægyptiorum, III. 22.

[**] Cf. Ralph Cudworth, Systema intellectualis hujus universi, trad. lat. di Johan Lorenz Mosheim, Jena, 1733, p. 1154 segg.

Attorno a ciascun dio aggruppavansi, secondo lui, una turba di dèmoni, tra cui era divisa l'unità e la totalità della sua vigilanza. [*] Altrove, estendendosi più particolarmente su tale soggetto, e con  Platone riconoscendo che tutta la regione intermedia fra gli dèi e gli uomini era occupata da dèmoni, diceva che questi son dèmoni di natura, mentre gli eroi, uomini dell'età dell'oro che or portano quel nome al par de' semidei, non son dèmoni od eroi per natura, ma pei loro portamenti, essendo di natura anime che vollero partecipare al destino de' mortali, come il grand'Ercole ed altri. Le anime eroiche sono naturalmente disposte a grandi azioni, a quanto è nobile ed elevato; son questi gli eroi cui convien onorare, e offrire funebri sagrifizii. [**]

[*] Cf. Proclo, Ad Platonis Timeum.

[**] Idem in Cratylum Platonis , ed. Boissonade, pp. 73 segg.; cf. in Alcibiadem, I. p. 1, pp. 70 segg. ed. Creuzer , pp. 19 segg. ed. Cousin.

Tali filosofi studiarono non poco il dogma del genio, dello spirito tutelare che veglia particolarmente su ciascun uomo. Plotino ha un trattato particolare «sul dèmone che sortì ciascuno» [*] ove l'idea e l'espressione sono eminentemente platonici. È uno de' punti più essenziali di quell'antropologia che si scontra nei misteri, quest'ordinamento della natura, secondo il quale, allorché l'anime scendono ne' corpi, a ciascuna è assegnato il suo dèmone, che in certo modo la prende in possesso, e «la riceve in sorte». Questa locuzione caratteristica ricorre di frequente nel primo senso, da Lisia e Platone fino agli ultimi platonici. [**]

[*] Perì toû eilekhótos hemâs daímonos. Enneade III.4.

[**] Lisia, p. 198, p. 130 Reiak.; Platone de Republica, X, 14, p. 514 Bekker; Ermia, in Platonis Phaedrum, pp. 93 segg.; Sallustio, de Diis et Mundo, cap. 20, p. 278 Gal., ecc.

Potete ben credere che la tradizione del dèmone di Socrate fu l'occasione e il soggetto di molte teoriche sul genio tutelare, cui ciascun di noi è affidato. Secondo Ermia, commentatore di Platone,  [*] l'esistenza di esso è provata dall'esservi nella vita un'infinità di cose superiori al poter nostro, come sarebbe la scelta d'uno stato; e l'esser il nostro spirito non solo sotto la condotta della nostra ragione, ma anche sotto un'estranea influenza, come ne fan prova i sogni. Non a tutti però è dato d'intendere la voce del genio, ma solo alle anime nobili. In che consista tal voce è quistione accessoria, sulla quale non cadono d'accordo. [**] Del resto Ermia segue osservando, che se ciascun uomo nascendo riceve un genio  principale che gli rimane attaccato nel corso di sua vita, è periodicamente sottoposto a molti genii secondarii. L'anima impura è affidata a un dèmone passionato; la pura e savia a un nobile e buono: di modo che Platone ebbe ragione di dire nella sua Repubblica, [***] che non al dèmone tocchiam noi in sorte, giusta l'espressione volgare, ma noi lo scegliamo.

[*] Ermia, in Platonis Phaedrum, p. 93 segg.

[**] Psello trattò a dilungo tali quistioni nel suo Perì energeías daimónon. Vedi Fabricio, Biblioteca Graeca, tomo V, ibi Leon. Allat. de Psellis diatrib., pp. 27 segg, ed. prec.

[***] X, 14, p. 509 Bekk.

Apulejo, trattando del dèmone di Socrate, ci trasmise le opinioni degli antichi in fatto di demonologia; e quantunque egli potesse esporre le dottrine di Pitagora e di Platone, è facile vedere che raccoglie credenze orientali:

«Platone - dic'egli dunque - riconosceva dèi superiori, inferiori e mezzani. Fra i superiori alcuni sono visibili, come il Sole padre del giorno, la luna, e cinque stelle erranti: gli altri non si vedono che cogli occhi dello spirito, come Giunone, Vesta, Giove ed altri, il cui potere si manifesta solo pei benefizii che se ne ricevono. Crede ancora che questi dèi sieno sostanze incorporee, animate, che da tutta l'eternità esistettero ed esisteranno, distinte dalla materia per la propria essenza, godenti la suprema felicità dovuta all'intelligente loro natura; buone senza la comunicazione d'alcun bene esterno ma per se stesse; hanno facilmente, semplicemente, liberamente, perfettamente tutto che lor si conviene. Il padre degli dèi è l'essere supremo creatore di tutti gli altri, sciolto dalla necessità di operare e di soffrire, a nessuna cura soggetto.

«Seguono le potenze medie, che abitano l'intervallo fra la terra e il cielo; e sono i dèmoni, per cui ministero gli iddii ricevono le preghiere e le supplicazioni degli uomini, e gli uomini i soccorsi e i benefizii degli dèi. Questi dèmoni presiedono a tutte le rivelazioni, i presagi, i sogni, come ai varii miracoli provenienti dai maghi.

«E per verità, siccome esistono animali particolari alla terra, altri al fuoco, altri all'acqua; e siccome vediamo tanti astri differenti di sopra dell'aria, cioè nel fuoco elementare, convien bene che anche nell'aria si generino esseri animati; ed errerebbe grossolanamente chi riguardasse come abitanti dell'aria gli uccelli, che appena ne' maggiori loro sforzi s'elevano a qualche stadio sopra la terra.

«La ragione vuol dunque che concepiamo esseri animati particolari alla tanta aria estesa dalla sommità dell'Olimpo fino alla linea ove comincia il fuoco elementare.

«Questi esseri animati, questi dèmoni sono costituiti in modo da non cadere per peso, né per leggerezza dileguarsi nel fuoco superiore; sfuggono gli occhi dell'uomo, se pur dagli dèi non sia ad essi ordinato di rendersi visibili, attesoché la materia di cui sono composti offre qualcosa di sì lucente, raro e sottile, che i raggi della luce la traversano senza lasciarvi traccia.

«A differenza degli dèi celesti, perpetuamente eguali di spirito, senza dolor né piacere, affetto né avversione a chi che sia, gli dèi medii o dèmoni, benché dotati d'immortalità, partecipano a tutte le affezioni e passioni degli abitanti della terra; la collera gl'irrita; li piega la pietà, placansi colle offerte, s'addolciscono colle preghiere, il disprezzo li ributta, li riconcilia il rispetto; onde possono definirsi per esseri animati, di cui ragionevole è lo spirito, l'anima soggetta a tutte le impressioni, il corpo aereo, eterna la durata.

«Dèmoni in altro senso si chiamano le anime sciolte dai lacci del corpo. Quelle che vissero bene, prendono cura della posterità loro, badano al governo delle famiglie, e vi mantengono la pace, sotto il nome di Lari o dèmoni famigliari. Quelli che mal vissero, non ottengono ferma stanza, e sotto il nome di larve o fantasmi, sono condannati a vagolar a caso, sgomentando i buoni e perseguitando i ribaldi.

«Avvi da ultimo altri dèi di specie diversa e di numero grande al pari, che di molto sorpassano questi in dignità e in potenza, essendo sempre stati sciolti dagli impacci corporei.

«In quest'infinita turba di genii sublimi, Platone pretende che ciascun uomo abbia il suo, arbitro della sua condotta, invisibile sempre, e testimonio assiduo non degli atti soltanto, ma e de' più segreti pensieri. Dopo morte questo genio ci prende per condurci a giudizio avanti agli dèi, ove è suo dovere di riprenderci se nella difesa diciamo il falso, giurare per noi se veraci, far testimonio per dare fondamento alla sentenza pronunziata».

I più insigni fra i neoplatonici serbansi fedeli all'intento di Platone, nell'applicazione morale di una dottrina, così per altro pericolosa; Plotino massimamente, che, ammettendo il dogma dei dèmoni, non manca di far restrizioni rispetto al gran principio della libertà umana. Ce ne fornisce prova il suo trattato contro gli astrologi, tanto pieno d'idee. [*] Noto è qual perniciosa influenza esercitarono sulla moralità degli uomini d'allora quei che chiamavansi Caldei, e qual impero ottennero sulle anime in tutte le classi della società. Filosofi gravi, come Panezio, Cicerone, Sesto, Favorino [**] adoprarono tutto il sapere e l'ingegno per estirpar dalla radice questa mala pianta. Plotino mira all'intento stesso nel libro che citammo; prendendo a dimostrare che di due anime in noi esistenti, una che vien dalla natura, dipende veramente dagli astri ed è legata alla fatalità, ma l'altra che procede da Dio è libera e dalla fatalità e dalle stelle, e basta ad affrancarcene.

[*] È il terzo della seconda Enneade.

[**] Vedi Aulo Gellio, Noctes Atticae, XIV, I.

Ma in questo punto medesimo dell'emancipazione e del purificamento dell'anima, le opinioni dei neoplatonici dividonsi ancora. Generalmente ammettono la possibilità di sollevar l'anima di grado in grado fin alla divinità, purificandola; onde classificano gli uomini fra loro come avevan fatto coi dèmoni. Chi possiede la potenza teurgica, dice Psello, [*] nomasi padre divino; chi possiede quella della contemplazione, chiamasi uomo divino; chi ha la potenza purificatrice è uomo spirituale; chi ha la virtù politica è un uom onesto, un virtuoso. [**] Olimpiodoro però accusava d'infedeli a Platone quei che trasformavano l'uomo in dèmone, in angelo e in dio. [***] Psello stesso non intendeva una vera deificazione, ma solo parlava d'un'assimilazione, d'un'affinità dell'anima coi puri spiriti. Giamblico in quella vece [****] riconosceva dei casi, ove l'anima umana, investita di un raggio di luce superna, era interamente trasformata in angelo. Damascio procedette oltre, dicendo che l'anima, per effetto del raggio divino, poteva alfine esser deificata. [*****] Qui dunque, come su altri punti, i risultamenti della speculazione filosofica legavansi a quelle purificazioni, a quelle trasformazioni che, nelle cerimonie e nell'insegnamento dei misteri, avviluppavansi nel velo dei simboli.

[*] De omnifaria doctrina, cap. 55. 

[**] Theopátor, theîos, daimónios, spoudaîos. Il primo nome sembra indicare che la gerarchia usata ne' misteri di Mitra abbia influito sopra siffatta classificazione.  

[***] Nel commento del Fedone di Platone. – Nel Journal des Savans 1834-l835, Cousin diede l'analisi di due distinti commenti di Olimpiodoro sopra il Fedone, nel secondo dei quali trovasi una classificazione della virtù, più o meno analoga a questa degli uomini; virtù fisiche, morali, politiche, purificatrici, contemplative, esemplari, e secondo Giamblico, ieratiche. (J. D. Guigniaut)

[****] De mysteriis Ægyptiorum II.2.

[*****] Theoûtai. Cf. Gale ad Jamblichum

Da questo rapido esame della dottrina dei dèmoni e degli eroi, si vede pure che, traverso le successive modificazioni della forma ed espressione subìte da questa dottrina fra Greci e Romani, massime dopo introdotto il cristianesimo, uno stesso pensiero fondamentale è seguitato, che nelle credenze popolari lasciasi vedere soltanto per via d'isolate manifestazioni, mentre nel dogma segreto e nelle teoriche dei filosofi si rivela con più concatenamento.   

   

   

 

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