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Khalîl ibn Ishâq

AL-MUKHTASAR

 

Prefazione di Ignazio Guidi e David Santillana

[da Il "Mukhtasar" o Sommario del Diritto Malechita,
Hoepli, Milano, 1919]

 

 Premessa, trascrizione elettronica e revisione
di Dario Chioli

 

Premessa

La traduzione del Mukhtasar di Khalîl ibn Ishâq, testo di enorme importanza per conoscere il mondo islamico in quanto rappresentativo di una delle principali scuole giuridiche islamiche, uscì per decisione del Ministero delle Colonie da Hoepli nel 1919 in due volumi in 8°, il primo (libri I-VIII) tradotto da Ignazio Guidi, il secondo (Diritto civile, penale e giudiziario, libri IX-XL) da David Santillana, per complessive pagine XL+447+871. Come succede in Italia con molte opere fondamentali, nessuno da allora l'ha più ristampato. Ne riporto qui in primo luogo la Prefazione di Guidi e Santillana, utile a farsi un'idea dell'opera e di ciò che in complesso rappresenta.

Ne ho poi riprodotto integralmente l'ottavo libro, quello sul jihâd, a complemento del quale ho anche messo a disposizione del ricercatore tutta una serie di testi complementari. Con tutto ciò, penso che egli potrà farsi un'idea meno approssimativa di quelle correnti circa la natura del jihâd e dei valori e problemi che esso può rappresentare per il mondo occidentale.

 Dario Chioli, novembre 2003


Nota linguistica

Ho dovuto adottare segni diacritici compatibili con Internet, i termini arabi in nota li ho riportati come immagini (in qualche caso ne ho indicato la trascrizione). Ho anche corretto qualche piccolo errore dell'originale ed effettuato alcune minime integrazioni [quelle un po' più significative le ho poste tra parentesi quadre].

L'alfabeto arabo è stato dunque così trascritto:

N.Nome della letteraTrascrizioneN.Nome della letteraTrascrizioneN.Nome della letteraTrascrizione
1alif['] [â] o [nulla] (1)11zây o zâ'[z] (5)21qâf[q] (8)
2bâ'[b]12sîn[s]22kâf[k]
3tâ'[t]13shîn[sh] (6)23lâm[l]
4thâ'[th] (2)14sâd[s] (2)24mîm[m]
5jim[j] (3)15dâd[d] (2)25nûn[n]
6hâ'[h] (2)16tâ'[t] (2)26hâ'[h]
7khâ'[kh] (4)17zâ'[z] (2) (5)27wâw[w] [û] (9)
8dâl[d]18`ayn[`] (7)28yâ'[y] [î] (9)
9dhâl[dh] (2)19ghayn[gh] (7)   
10râ'[r]20fâ'[f]   

(1) [alif], gutturale di pronunzia simile allo stacco tra le vocali dello iato, viene trascritta con lo spirito lene, reso qui con l'apostrofo, ma in genere non si trascrive a inizio parola, deducendosi benissimo la sua presenza dal fatto che tale parola inizi in apparenza per vocale. In corpo o fine di parola può anche indicare  il suono di a lunga e in tal caso si rende con [â].

(2) [th] [dh], dentali aspirate, vengono nella trascrizione scientifica rese con t e d (o talvolta th e dh) sottolineate, mentre qui abbiamo per necessità riservata la sottolineatura alle consonanti enfatiche [h] [s] [d] [t] [z] che nella trascrizione scientifica vengono indicate con un puntino sottoposto.

(3) [j], corrispondente in genere al suono della g dolce, viene spesso resa con g sormontata da accento acuto o da una piccola v.

(4) [kh], gutturale aspirata, viene resa anche con kh sottolineato o con h a cui viene sottoposto un piccolo semicerchio.

(5) [z] e [z] rendono il suono della s dolce di "rosa", la seconda in modo enfatico.

(6) [sh], pronunziata all'inglese come sc di "scena", viene resa anche con sh sottolineato o con s sormontata da una piccola v.

(7) [`] e [gh] sono gutturali peculiari semitiche, assai di gola.

(8) [q] rende il suono di k enfatica.

(9) [w] e [y], semivocali (come le italiana i di "aia" e u di "uomo") indicano spesso nella scrittura le vocali lunghe [û] ed [î].


PREFAZIONE

Le quattro scuole ortodosse di giurisprudenza religiosa, civile e penale, cioè la Hanafita, la Sciafeita, la Malechita e la Hanbalita, sono lungi dall'aver tutte la medesima importanza per l'Italia e le sue Colonie.[*] I musulmani della Somalia e, in parte, dell'Eritrea, sono Sciafeiti ma il loro numero è relativamente non ragguardevole; anche minore è quello degli Hanafiti. Quanto alla Scuola Hanbalita non occorre qui farne menzione; contrariamente a quanto spesso si afferma, i suoi seguaci sono tuttora abbastanza numerosi, ma non si trovano in Africa e quindi nelle Colonie italiane. Della Scuola Malechita invece sono seguaci la massima parte degli abitanti della Cirenaica e della Tripolitania, come delle vicine Tunisia ed Algeria, per tacere di vasti paesi più lontani. Questo fatto e la circostanza che i Malechiti osservano ferventemente la legge, mostrano abbastanza quanto sia importante per l'Italia lo studio della loro giurisprudenza.

[*] N.d.C.: Si tenga presente che l'opera e quindi questa prefazione furono pubblicate nel 1919.

Questa scuola fa capo a Mâlik b. Anas (m. nel 179/795) da cui prende il nome. Mâlik nacque, passò la vita e spiegò la sua attività a Medina, la «Città del Profeta» , dove erano più vivi il ricordo e la tradizione di Maometto, e più genuini ed osservati l'uso e la pratica dell'Islâm primitivo, non mescolato ancora con elementi stranieri. Questo ci spiega abbastanza l’indirizzo della scuola di Mâlik: non già che egli escludesse sempre e in ogni caso il ragionamento teorico, ma la sua dottrina restava sempre fondata sul "hadîth", sulle regole seguite da Maometto e dai suoi Compagni e sull'uso concordemente riconosciuto e praticato nella «Città del Profeta». L'insegnamento di Mâlik ci è conservato nell'opera intitolata: al-Muwatta' che i suoi scolari hanno trasmesso e che ora si ha in due recensioni: l'una del hanafita famoso Muhammad ibn al-Hasan ash-Shaybânî (m. nel 189/805), e l'altra, la volgata, del malechita Yahyâ ibn Yahyâ al-Masmûdî (m. nel 234/849).

Ma l'insegnamento di Mâlik ci è anche rappresentato, non immediatamente è vero, ma però in modo più completo, dalla al-Mudawwanah, parola che, nel suo significato lessicale, corrisponde al nostro «Digesto». Questa opera contiene ordinate per materie, sebbene non sempre esattamente, le risposte su tutto il Corpus iuris malechita, quali le dava Ibn al-Qâsim (riferendo quasi sempre le opinioni del suo maestro Mâlik e talvolta le proprie) alle interrogazioni di Asad b. al-Furât; questi mise in iscritto la raccolta che, dal suo nome, fu chiamata al-Asadiyyah. Era qualcosa di simile al genere letterario delle erotapokríseis che s'introduceva anche presso gli Arabi. La raccolta di Asad fu poi corretta dal qâdî Sahnûn, che, giovandosi di emendazioni avute dallo stesso Ibn al-Qâsim, diede l'edizione volgata della Mudawwanah.

Per la sostanza, la Mudawwanah rappresenta la dottrina di Mâlik, ed Ibn al-Qâsim se ne può chiamare il "râwî" o trasmettitore, e non propriamente l'autore; essa appartiene già al genere letterario del "fiqh", o giurisprudenza, mentre il Muwatta' mostra ancora chiare tracce della sua dipendenza da quello degli "hadîth" o tradizioni. Il Muwatta' e la Mudawwanah sono il fondamento della Scuola Malechita e su queste opere lavorarono insigni giuristi del III sec. dell'egira e dei seguenti.

Ismâ'il al-Qâdî portò per il primo la dottrina malechita nel `Irâq, dove ebbe seguaci chiamati al-Mashâriqah o «gli Occidentali», al-Baghdâdiyyûn o «quei di Baghdâd», o al-`Irâqiyyûn o «quei del `Irâq». Vi si distinse, fra gli altri, `Abd al-Wahhâb di Baghdâd, ma non sembra che la Scuola Malechita vi fiorisse o durasse oltre il V o VI secolo. Ben altre furono le sorti di questa Scuola in Egitto, dove la portò un compagno e discepolo dello stesso Mâlik, `Uthmân b. al-Hakam, e nel Maghreb dove fu introdotta da Ibn al-Qâsim sopra ricordato, il maggior discepolo di Mâlik. Presto si formarono tre grandi centri di studio della giurisprudenza malechita: al Cairo, ad al-Qayrawân ed in Ispagna, specialmente a Cordova. L'indole della popolazione del Maghreb, in gran parte di origine berbera, rispondeva assai meglio che non quella degli Orientali, all'indirizzo della scuola malechita. Fiorirono, per non citare che alcuni, ad al-Qayrawân, Ibn Abî Zayd, l'autore della nota Risâlah, al-Lakhmî che ebbe a discepolo al-Mâzarî, nativo, come mostra il suo nome, di Mazara in Sicilia; fiorirono a Cordova al-`Utbî e Ibn Rushd, l'avo di Averroe, e dalla scuola del Cairo uscì poi, fra gli altri, Ibn al-Hâjib.

Questi ed altri giuristi, esaminando le varie questioni e dichiarandone i punti difficili o incerti, diedero forma ed ordine stabile alla giurisprudenza malechita. È merito di Khalîl di aver riassunto nel suo Mukhtasar tutta questa giurisprudenza ormai per la massima parte compita e fissata.

Khalîl b. Ishâq b. Mûsà b. Shu`ayb, soprannominato a titolo di onore Diya' ad-Dîn, o «Splendore della Religione», e altresì "al-Jundî" o «il soldato» (1) ed Abû 'l-Mawaddah, nacque da padre hanafita, fiorì in Egitto nel XIV sec. dell'era nostra ed ebbe fama di dottissimo nella giurisprudenza, nella scienza delle tradizioni ("hadîth"), ed anche nella lingua araba, il cui studio, riguardato quale sussidio necessario alle scienze religiose, fu sempre coltivato da grandi giuristi e tradizionisti. (2) Della sua pietà, dell'austerità della sua vita, della sua grande umiltà, si raccontano cose mirabili che qui non è il luogo di riferire. Discepolo di Ibn `Abd al-Hâdî per la scienza delle tradizioni ("hadîth"), di ar-Rashîdî per la filologia araba e gli "usûl" (teoria delle basi del diritto), di `Abd Allâh al-Manûfî per il diritto malechita, (3) ebbe alla sua volta numerosi allievi, e nel chiostro ("khânqâh") fondato al Cairo dall'emiro Shavkhû nel 756/1355, fu il primo professore di diritto malechita (al-Maqrîzî, Khitat, ed. Bûlâq 1270 [in due volumi], II, 421;as-Suyûtî, Husn al-muhâdarah, II, 145). - La data della sua morte non è certa; Ibn Farhûn nel Dîbâj, p. 115-116 (ed. egiziana del 1329) (4) non la menziona, perché quella che ivi occorre, del 749, è da riferire al maestro di Khalîl, al-Manûfî, che morì in quest'anno, nel quale appunto infierì al Cairo una terribile pestilenza. (5) Ibn Hajar (m. 773/1372), nell'opera ad-Durar al-kâminah citata da Ahmad Bâbâ, pone la morte di Khalîl nel rabi`I del 767 (ossia nov.-dic. 1365); e questo stesso anno 767 è indicato anche da as-Suyûtî, (6) il quale tuttavia deriva tacitamente la sua notizia da Ibn Hajar e non rappresenta quindi una fonte indipendente. Sulla base dell'opera d'Ibn Hajar, questa data del rabi`I 767 è accolta dal Brockelmann. (7) - D'altro canto il medesimo Ahmad Bâbâ aggiunge che invece, secondo quel che riferiscono Ibn Ghâzî ed Ibn Marzûq sulla fede del qâdî Nâsir ad-dîn al-Ishâqî, compagno o discepolo ("sâhib") dello stesso Khalîl, questi sarebbe morto il 13 del rabi` I del 776; la qual data, seguìta dall'Ahlwardt e dal Perron, sembra essere la più probabile. Essa corrisponde al 22 agosto del 1374 d. Cr. (non al 1422 incirca come leggesi in Perron). (8)

(1) Sembra che fosse del corpo di guardie del Sovrano ("halqah", cf. Dozy, s. v.

[halqah]; Quatremère, Histoire des Sultans Mamlouks, I, B, 200). Ibn Farhûn dice (ed. egiz. p. 116) che era

[min... ajnâd al-halqa al-mansûrah] e così pure leggesi nel Nayl al-ibtihâj di Ahmad Bâbâ, che riferisce le parole di Ibn Farhûn; mentre nell'altra opera di quest’autore, al-Kifâyah, si legge (almeno nel testo premesso all'edizione parigina di Khalîl, e malgrado che l'autore dica di riferir le parole di Ibn Farhûn):

[jund al-mansûrah], donde proviene l’indicazione di Moh. Ben Cheneb, Étude sur les personnages etc. (1907), p. 315: «Il faisait partie du djond de la circonscription d'El Mançoûra». Al-Maqrîzî, Khitat, II, 421 lin. 14 conferma Ibn Farhûn, con la sua notizia:

[lahu aqtâ` fî al-halqah] - Khalîl vestì sempre l'uniforme di soldato e prese parte ad una fazione per liberare Alessandria (v. Ahmad Bâbâ in ambedue le opere citate), probabilmente in occasione di un assalto dato a questa città dal principe di Cipro (Pietro I di Lusignano) nel muharram 767 = ottobre 1365 (Ibn Iyâs, Ta’rîkh, I, 314, ecc.).

(2) Il grande giurista malechita Ibn al-Hâjib (m. 646/1248) è pure l'autore della notissima grammatica "al-kâfiyah" stampata in Roma fin dal 1592.

(3) Nel commento di ad-Dasûqî è ricordato quale maestro di Khalîl, oltre al-Manûfî, anche Khalîl al-Makkî, v. appresso, p. XVI.

(4) Cf. Ahmad Bâbâ nel Nayl, ed. egiz., 112 e nella al-Kifâyah, in principio dell'edizione parigina di Khalîl (nella 1a ed., e nelle successive steréotipe, in luogo di al-Kifâyah era stampato, men bene, Takmilat ad-dîbâj).

(5) Ibn Iyâs, Ta’rîkh Misr (ed. Bûlâq, 1311), I, 191.

(6) Hûsn al-Muhâdarah (ed. litogr. Cairo), I, 212; II, 145.

(7) Geschichte der arabischen Litteratur. Weimar 1898, Berlin 1902, II, 84.

(8) Précis (v. nota 22), t. I, p. I e XVI. Ahmad Bâbâ riferisce pure che, secondo lo shaykh Zarrûq, Khalîl sarebbe morto nel 769; ma questa notizia probabilmente non è che una variante erronea del 767, dovuta al facile scambio di

[sab`] «sette» e

[tis`] «nove».

Khalîl è autore delle opere seguenti:

1) Kitâb al-manâsik «Libro sui riti del pellegrinaggio», di cui esiste ancora qualche manoscritto, e di cui la Biblioteca del Cairo (cfr. Catalogo, III, 168) conserva il commento composto da Muhammad b. Muhammad ar-Ru`aynî al-Hattâb, m. nel 954/1547 (da aggiungere al Brockelmann).

2) Manâqib (oppure Tarjamat) ash-shaykh `Abd Allâh al-Manûfî, cioè biografia o meglio panegirico delle virtù e della santità del suo maestro al-Manûfî; pure giunta sino a noi: Brockelmann, II, 85; Ben Cheneb, p. 315; Ahmad Bâbâ, Nayl, 114 lin. 1 e 115 lin. 4 (=Kifâyah, p. 5 lin. 13 e 8 lin. 1).

3) Kitâb at-tawdîh «Libro della spiegazione, o dilucidazione», voluminoso commento al trattato compendioso di diritto malechita che Ibn al-Hâjib, m. 646/1249, aveva composto con il titolo di Mukhtasar al-muntahâ, «Compendio del [suo libro intitolato] al-muntahâ» o di Jâmi` al-ummahât «Raccolta [compendiosa del contenuto dei 7] libri fondamentali». Agli esemplari indicati dal Brockelmann, I, 306 (al nr. 7 ed al nr. 9, la cui identità con il nr. 7 non è stata riconosciuta nel Catal. dei mss. arabi di Parigi n. 4549), si aggiungano i 3 incompleti del Cairo (Catalogo, III, 158-159). (9)

(9) Khalîl, secondo è detto in Ahmad Bâbâ, si sarebbe giovato specialmente del commento di Muhammad ibn `Abd as-Salâm (m. 749/1349; cf. Ibn Farhûn, 336).

4) al-Mukhtasar «Il Compendio», ch'è l'opera sua più famosa e della quale si dà qui la traduzione.

Gli vengono pure attribuiti, senza però assoluta certezza, anche altri due libri:

5) Un commento rimasto incompleto, che giunge cioè soltanto fino alla trattazione del pellegrinaggio, della Mudawwanah (così Ahmad Bâbâ nel Nayl, 113), o, più esattamente (come dice invece lo stesso Ahmad Bâbâ nella Kifâyah, p. 6), del Tahdhîb [al-Mudawwanah] di al-Barâdhi`î.

6) Un commento, a quanto pare rimasto incompleto, al noto trattato di grammatica di Ibn Mâlik (m. 672/1273-74) intitolato al-Khulâsah od al-Alfiyyah. Se ne fa cenno in entrambe le opere di Ahmad Bâbâ.

Le altre due opere che il Brockelmann, II, 85 ed il Ben Cheneb, 315 (ai nrr. 3 e 4) attribuiscono al nostro KhalîI, sono invece di un suo omonimo: Khalîl Abû'r-Rushd al-Mâlikî al-Maghrabî; v. Catal. Cairo, VII, 278.

Il Compendio di Khalîl non è affatto, come è stato detto e ripetuto, una codificazione del diritto malechita, e nemmeno, per quel che riguarda il contenuto, un'opera originale. La materia in esso trattata si ritrova tutta quanta nei libri dei suoi predecessori, ai quali Khalîl non ha inteso di aggiungere nulla di nuovo. Base della sua esposizione sono le due opere sopra menzionate: il Muwatta' e la Mudawwanah. Accanto a questo due fonti principali, Khalîl, come si può rilevare dallo stesso suo libro, si vale della al-`Utbiyyah di Muhammad b. Ahmad al-`Utbî, morto nel 255/869; dei due compendi della Mudawwanah composti rispettivamente da al-Barâdhi'î (seconda metà del IV secolo eg.) e da Ibn Abî Zayd al-Qayrawânî; della Muqaddimah e del Bayân di Ibn Rushd; della Tabsirah di al-Lakhmî; del commento di al-Mâzarî sul Talqîn di Ibn Wahhâb; del Shifâ’ del qâdî `Iyâd, senza parlare di Ibn al-Hâjib, da lui stesso commentato e riassunto nel suo at-Tawdîh e da cui prende varie definizioni.

Khalîl si è proposto di riassumere, nella forma possibilmente più concisa, l'ingente lavoro dei cinque secoli che lo avevano preceduto, di riunire, come dice egli stesso, «le sentenze più generalmente accolte», senza dimenticare le questioni rimaste insolute. Ed infatti in sole 252 pagine, ché tante ne conta l'edizione parigina da noi seguita, egli è riuscito a dare un sunto di tutta quanta la dottrina della scuola malechita, accennando non solo alle regole positive in ogni materia, ma anche alle controversie.

Ma, per conseguire questo scopo in così piccolo spazio, egli è ricorso ad un metodo il quale non trova riscontro nei libri europei; anziché un vero trattato, ha composto un semplice prontuario mnemonico, un «Breviario» (mukhtasar), che lo studente dovrebbe imparare a memoria, e le cui singole frasi, spesso monche e quindi per se stesse incomprensibili, servono soltanto a richiamare alla mente le regole numerose e complesse esposte e chiarite nei grandi trattati. Per chi non conosca già molto bene la materia e non abbia l'ausilio di assai ampi commenti, il testo di Khalîl, in moltissime sue parti, è un seguito di frasi incomplete od oscure, come può agevolmente convincersene chi, nella presente traduzione italiana, si limiti a leggere soltanto le parole stampate in corsivo, le quali rappresentano appunto la versione letterale del testo di Khalîl. Questo carattere di prontuario mnemonico di tutta la dottrina malechita, che fa la difficoltà del libro, è pure quello che ne ha assicurato la diffusione e la celebrità e moltiplicato l'opera assidua di commentatori e glossatori.

Si comprende quindi come fosse necessario, nella presente traduzione, fare largo uso dei grandi commenti indigeni per rendere il testo intelligibile e insieme più completo, colà dove la dottrina esposta con due o tre parole è oggetto di lunghe discussioni fra i giuristi più autorevoli della scuola. Ma, per tener bene distinto il testo originale di Khalîl dalle aggiunte da noi compendiate su quanto leggesi nei commenti, abbiamo stampato in carattere corsivo il testo tradotto letteralmente sull'edizione di Parigi, ed invece in carattere tondo i nostri chiarimenti.

Khalîl, a quanto si afferma, ha avuto più di sessanta, altri dice settanta, commenti (10) e sopracommenti o glosse. Ci siamo valsi maggiormente del commento di al-Khirshî (al-Kharashî, m. 1101/1689) colle glosse di al-`Adawî (m. 1189/1775) (11) e di quello di ad-Dardîr (m. 1201/1786) colle glosse di ad-Dasûqî (m. 1230/1815); (12) inoltre, ma specialmente nella seconda parte o legislazione civile, del commento di az-Zurqânî (redatto nel 1099/1687-88) colle glosse di al-Bannânî (m. 1173/1759-60). (13) Menzioniamo finalmente il rifacimento che sotto il nome di Aqrab al-masâlik («La via più breve») è stato redatto da ad-Dardîr nel 1220/1805-06, (14) col commento dello stesso autore, e le glosse di Ahmad as-Sâwî (1223). Del resto a chi abbia consuetudine cogli scritti dei letterati arabi e specialmente dei commentatori, non farà meraviglia l'osservazione che il contenuto dei numerosissimi commenti di Khalîl è, in gran parte, il medesimo e spesso anzi espresso colle medesime parole.

(10) Sono noverati, in parte almeno, in Brockelmann, II, 84, e nell'Ahlwardt, Verzeichnis der arabischen Handschriften zu Berlin, IV, 139.

(11)

8 voll., Bûlâq 1317 eg.

(12)

4 voll., Cairo, tipogr. Khayriyyah, 1323 eg. [=1905-06 d. Cr.].

(13)

8 voll., Cairo, tipogr. di Muhammad Efendi Mustafà, 1307 eg. [=1889-90 d. Cr.].

(14)

2 voll., Cairo, tip. Husayniyyah, 1323 eg. [=1905-06 d. Cr.].

Il libro di Khalîl fu stampato per la prima volta nel 1855, in una edizione preparata su tre manoscritti da Gustavo Richebé, sotto la sorveglianza del famoso arabista J.-T. Reinaud; (15) a questa edizione si riferiscono le comode Concordances du manuel de droit de Sidi KhaIil dressées d'après l’ordre des racines sur l'édition de Paris, di Edmond Fagnan. (16) - Nel 1900 la stessa Società Asiatica fece ristampare l'opera, ma senza alcun mutamento. (17) Su questa nuova edizione parigina del 1900 fu condotta la presente traduzione. (18)

(15) In questa edizione il titolo francese è: Précis de jurisprudence musulmane suivant le rite malékite par Sidi Khalil, publié par les soins de la Société Asiatique, Paris, Imprim. Impériale, 1855 (in12°, II+ 234 pp.); il frontespizio arabo è:

con l'indicazione di Bârîz, al-matba` as-sultânî, 1272 eg., 1855 di Cr. Questa edizione, corretta ma priva in gran parte delle vocali, ebbe quattro ristampe stereotipe, la prima, solo tre anni dopo, nel 1858 e le successive negli, anni 1872, 1877 e 1883, senz'altro mutamento che quello del frontespizio francese (data, indicazione dell'edizione, e, a cominciare con quella del 1872, «Imprimérie Nationale»); mentre il frontespizio arabo continuò a rimanere invariato anche nella data.

(16) Alger, P. Fontana, 1889, in-8°, 368 pagine.

(17) Alterando tuttavia il numero delle pagine, che divennero qui 256, senza notare nel margine la numerazione delle pagine della prima edizione, rendendo così difficile l'uso delle concordanze del Fagnan! La nuova edizione (detta appunto «Nouvelle édition» nel frontespizio francese), ha così mutato il frontespizio arabo:

Bârîz, matba`at ad-dawlah al-jumhûriyyah, 1318 eg., 1900 di Cr. - Il libro di Khalîl fu pure litografato (con le vocali) a Fez, e stampato a Bûlâq nel 1293 eg. ed al Cairo nel 1304 eg. (tip di `Uthmân `Abd ar-Râziq, in-12°, 160 pp.) e di nuovo al Cairo nella tip. Dâr al-kutub al-`arabiyyah al-kubrà, pienamente vocalizzato, in-12°, 270 pp. (senza data, circa 1910).

(18) I numeri arabi stampati in margine si riferiscono appunto alle pagine di questa edizione.

I due volumi della presente versione sono stati redatti da noi con criteri diversi, giustificati dalla diversità della materia. Nel primo volume che, per contenere essenzialmente le norme relative alla preghiera, al digiuno, ed altre materie riguardate come puramente religiose, ha scarsa importanza pratica per i giuristi e magistrati europei, abbiamo stimato opportuno non soltanto di conservare strettamente la divisione in capi o libri ("bâb") ed in sezioni come nell'originale, ma anche di disporre la parte esplicativa dell'originale di Khalîl in modo analogo a quello con cui sono condotti i commenti arabi, del cui metodo involuto e non sempre facile, il lettore non arabista potrà così avere una qualche idea.

Nel secondo volume, la particolare importanza della materia per i giuristi europei e per i nostri magistrati, ha consigliato un sistema diverso: pur conservando l'ordine dei libri ("bâb") quale è nel testo, abbiamo moltiplicato, in ciascun libro, le sezioni ed i paragrafi ed abbiamo rinviato alle note molte delle spiegazioni e delle aggiunte fornite dai commentatori indigeni. Ci è sembrato che il metodo tenuto da Khalîl ed il nesso logico delle varie parti, sarebbero apparsi in questo modo più chiari, e che lo studioso europeo avrebbe trovato, in queste frequenti partizioni, qualche sussidio a meglio intendere il sistema e ad orizzontarsi nelle sue ricerche.

Per non ripeterne troppo spesso la spiegazione, i termini tecnici arabi che, trascritti in lettere latine, occorrono più volte nella nostra traduzione e che resterebbero oscuri per il lettore che ignori la lingua araba, sono riuniti in un indice alfabetico o «Glossario» e brevemente spiegati.

Trattandosi di un libro che è un Compendio di tutta la dottrina malechita, è sembrato utile il rinvio alle due antiche opere di cui si è fatto sopra menzione che sono considerate fondamentali di questa scuola: il Muwatta' ed in ispecial modo la Mudawwanah.

Nel primo volume, che riguarda essenzialmente la parte religiosa, ci siamo limitati a citare queste due opere, che sono propriamente di "fiqh" (o diritto), non menzionando, se non incidentemente, fonti di altro genere, cioè le grandi raccolte di "hadîth" , perché ciò avrebbe dato soverchio sviluppo a questa parte di minore importanza pratica. E specialmente per quanto riguarda la Mudawwanah, i rinvii non hanno la pretesa di essere in tutto e per tutto completi. Chi conosce quest'opera comprenderà quanto sia difficile indicare tutti i luoghi nei quali l'una o l’altra questione particolare si trovi incidentemente menzionata; i titoli dei singoli capitoli (molti dei quali titoli mancano del resto nell’edizione del 1324) spesso non indicano, se non in parte, quello di cui si parla nel luogo relativo.

Invece, nelle note del secondo volume, abbiamo indicato tutti i passi tratti dalle tradizioni, (19) dalla Mudawwanah (20) e dal Muwatta' (21) che si riferiscono alla materia. Gli studiosi troveranno così raccolto gran parte del materiale necessario per la storia della dottrina, e per la migliore intelligenza del testo, e potranno risalire agevolmente alle fonti cui Khalîl ha attinto.

(19) Indichiamo le edizioni da noi seguite: al-Bukhârî, Sahîh, vol. I-III, ed. Krehl, Leida 1862-68; vol. lV, ed. Juynboll, Leida 1908. - Muslim, Sahîh, col commento di an-Nawawî (in margine al commento d'al-Qastallânî su al-Bukhârî, Cairo 1305, 10 voll.). - Abû Dâ’ûd, Sunan (in marg. al Muwatta' di Mâlik, Cairo 1310, 4 voll.). - Ibn Mâjah, Sunan, Cairo 1313, 2 voll. - an-Nasâ’î, Sunan, Cairo 1318, 2 voll. - al-Qâdî Iyâd, ash-Shifâ’, Costantinopoli 1329, 2 voll. - Non abbiamo potuto consultare at-Tirmidhî.

(20)

si cita secondo la prima edizione di Muhammad Sâsî at-Tûnisî. Cairo 1323, 16 voll. (in appendice sarà data la corrispondenza coll'edizione della tipografia Khayriyyah, 1324 per i vol. 1-3).

(21) Nel primo volume si cita l'edizione del 1280/1863-64 curata da al-Hûrinî, Cairo, tip. Castelli; nel secondo si cita l’edizione del Cairo 1310/1892-93 col commento di Muhammad az-Zurqânî, figlio di `Abd al-Bâqi az-Zurqânî. 4 voll.

I copiosi raffronti col Diritto romano che si trovano nella seconda parte non sono stati posti a sostegno di nessuna tesi speciale. La questione dell'influenza del Diritto romano sul Diritto islamico non è ancora matura; non solo il quesito si presenta diverso secondo le scuole, ma noi non conosciamo ancora abbastanza la storia interna dell'analisi delle varie fonti. Occorrerà un attento esame dell’antica consuetudine araba prima dell'Islâm, delle fonti rabbiniche e del Diritto provinciale e bizantino prima di poter determinare se e fino a qual punto le infiltrazioni romane, si siano estese nel sistema islamico. Colle nostre citazioni del Corpus iuris, abbiamo solo voluto offrire agli studiosi un elemento di confronto utilissimo alla intelligenza delle singole disposizioni, e portare un contributo alla discussione ulteriore dell'interessante e difficile problema.

Il compendio di Khalîl è stato già tradotto dal Perron dapprima, (22) e poi dal Seignette, (23) ma questa seconda traduzione non comprende la parte religiosa né quella relativa al matrimonio, (24) al ripudio ed all'affrancamento degli schiavi. Pur riconoscendo il merito di queste prime traduzioni, è lecito dire che l'interpretazione non di rado e in punti importanti errata, la terminologia incostante e non precisa (a differenza di quella dell'originale), e la confusione del testo di Khalîl con quanto leggesi nei vari commenti, rendevano desiderabile una nuova e più esatta versione. (25)

(22) Précis de jurisprudence musulmane ou principes de léqislation musulmane civile et religieuse selon le rite malékite par Khalil ibn Ishak, traduit de l'arabe par M. Perron (Exploration scientifique de l'Algérie, t. X-XVI), Paris 1848-54, 6 voll. - Un giudizio assai severo su questa versione, fu dato da Cadoz, Examen critique de la traduction officielle qu'a faite M. Perron du livre de Khalil. Oran 1872.

(23) Code Musulman par Khalil, statut réel, texte arabe et traduction par N. Seignette, Paris, Challamel, 1911, nouvelle édit., in-8°, LXVII+748 pp. (la prima ediz.: Constantine 1898).

(24) Una eccellente traduzione del trattato del matrimonio ha dato il Fagnan: Sidi Khalil, Mariage et Répudiation, traduction avec commentaires par E. Fagnan, Alger, Jourdan, 1909, in-8°, XIX+232 pp. - Inoltre: Le Djihâd ou Guerre sainte selon l’école malékite par E. Fagnan, Alger, Jourdan, 1908, in-8°, 20 pp. (è traduzione annotata del capitolo di Khalîl sulla Guerra santa, corrispondente al Libro VIII della nostra versione).

(25) Per rendersi ragione di quanto qui si afferma, basterà comparare, colla parte corrispondente della nostra versione, i seguenti articoli del Seignette, presi a caso nei primi cinquecento: articoli 6, 22, 24, 25, 27, 30, 37, 38, 53, 54, 55, 56, 66, 67, 68, 71, 76, 77, 83, 84, 86, 87, 89, 91, 99, 103, 110, 125, 135, 137, 142, 143, 145, 146, 151, 160, 162, 163, 167, 192, 193, 197, 198, 206, 207, 219, 221, 224, 225, 228, 234, 235, 237, 249, 252, 259, 260, 267, 269, 278, 278-282, 284, 297, 310, 317, 318, 332, 334, 343, 376, 378, 380, 381, 388, 389, 426, 427, 428, 440, 443, 452, 460, 461, 463, 468, 483, 502, 503, 511, 518, 540, 541, 551, 552, 555, 565, 570, 575, 590, 603.

Quando l'on. Pietro Bertolini, allora Ministro delle Colonie, deliberò di far voltare in italiano il Compendio di KhalîI, egli volle che, come la traduzione fatta per ordine del Governo Francese dal Perron, così l'italiana fosse completa, e comprendesse tanto la parte del rituale religioso o delle "`ibâdât" quanto la civile e penale. L'importanza pratica della parte religiosa non è certamente grande; [**] ma non così quella scientifica e storica, per la materia che offre a molti ed importanti raffronti colla legislazione e gli usi giudaici e con gli usi dei cristiani di Oriente. Tale materia è ben più ricca in Khalîl e nei commenti che non sia nelle opere di altre scuole, come la Sciafeita e la Hanafita, rese accessibili nelle traduzioni, specialmente della Scuola Olandese. (26) La traduzione del Perron, la sola che comprenda anche la parte religiosa, è troppo libera per esser sicuramente adoperata da chi ignori l'arabo, e non possa ricorrere al testo ed ai commenti originali.

[**] N.d.C.: Si capirà facilmente che oggi (2003), in tempi di massiccia immigrazione di genti islamiche in Italia, ed anche in relazione al problema del fondamentalismo e della deriva terroristica di certe frange, l'interesse del loro diritto religioso dovrebbe essere maggiore per noi che non per i nostri antenati del 1919, quando da un lato la superiorità politica e culturale dell'Occidente cristiano pareva schiacciante e dall'altro non vi erano in Europa che minoranze islamiche irrilevanti.

(26) ll Muhammedanisches Recht nach schafiitischer Lehre del prof. [Karl Eduard] Sachau non contiene i capitoli relativi alle "`ibâdât" o parte religiosa.

Auguriamo che il nostro lavoro abbia a riuscire utile a quanti, per necessità pratiche o per amor di scienza, vorranno studiare sulle fonti il Diritto malechita. Già abbiamo accennato all'importanza che la conoscenza di questo Diritto ha per l'Italia, ora che è divenuta potenza coloniale e responsabile dei destini di un numero non indifferente di sudditi musulmani, seguaci della scuola malechita. È sperabile che tale importanza indurrà in maggior numero i nostri giuristi, ed i giovani nostri filologi, a volgersi verso questa parte delle discipline orientali, che abbiamo finora abbandonato ad altri.

Il prof. Carlo Alfonso Nallino ha dato una rapida scorsa a gran parte delle bozze di questa versione, suggerendo alcune modificazioni ed importanti aggiunte: è per noi un gradito dovere di esprimergli qui i nostri ringraziamenti.

IGNAZIO GUIDI.
DAVID SANTILLANA.

 

 

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