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FILOSOFIA ECLETTICA E MECCANICA QUANTISTICA

Dario Chioli & Ezio Fornero

   

   

Dario Chioli, 20/10/2009

Caro Ezio, ti mando questa miniriflessione di un anno fa. Non pretendo che significhi granché, ma per quel che è, secondo te può stare o il paragone ti pare viziato da qualche errore di fondo?


FILOSOFIA ECLETTICA E MECCANICA QUANTISTICA (7/9/2008)

Premettendo che io non sono affatto un esperto di fisica e neppure di alcun’altra sorta di scienza moderna, mi pare tuttavia utile segnalare una certa analogia tra il processo mentale eclettico e l’analisi quantistica.

L’analogia consiste in ciò: che in ambedue i contesti si assume un punto di vista non perché assolutamente esatto bensì perché funzionale all’ambito d’applicazione.

La necessità di tale assunzione funzionale del punto di vista nella ricerca mi è chiara fin dalla mia prima giovinezza. Così mi esprimevo a questo proposito nel mio scritto Scetticismo, sofistica, eclettismo del 1974:

Scetticismo, sofistica ed eclettismo sono i sostegni della gnosi mistica.

Scetticismo – perché infinite sono le finzioni, e bisogna esserne coscienti.

Sofistica – perché bisogna comunicare le stesse cose a uomini diversi, perciò con parole diverse, difendendo idee opposte, perché la parola e l'idea non sono che strumenti per la gnosi, e nessuna affermazione è falsa o vera, ma il falso e il vero sono in colui che ascolta: di decisivo e reale non c'è che il momento mistico, per vie diverse indagato.

Eclettismo – perché anche con se stessi bisogna essere sofisti: diversi siamo in momenti diversi; al di fuori della gnosi dobbiamo far uso di idee, ma nessuna idea ci appartiene come vera, non essendo l'idea e la parola che strumenti, utili contraddizioni che mediano le contraddizioni più palesi con quelle meno palesi, sino alla gnosi: perciò, a seconda delle occasioni, della disposizione della nostra anima, ora è più utile vedere la realtà in un modo, ora in un altro.

In gran parte questo è anche il modello applicato nella ricerca scientifica, che di continuo riformula teorie ed interpretazioni nella ricerca di una sempre maggior simmetria.

Tuttavia, è comune la supposizione che la verità sia qualche cosa di razionale, e che dove il principio di non contraddizione non funziona, ciò dipenda da una carenza della nostra analisi.

C’è insomma la tendenza, magari inespressa ma pervicace, a ritenere la natura dell’universo comprensibile dalla nostra ragione.

Tuttavia c’è qualcosa che contrasta questa tendenza comune: è il principio d’indeterminazione di Werner Heisenberg.

Cito da Marcello Guidotti (http://www.nemesi.net/newcomb.htm):

Il fisico teorico Werner Heisenberg (1901-76), dimostrò che qualsiasi misura effettuata su un sistema fisico, chimico o biologico, era affetta da un errore. Questo risultato, noto come principio d’indeterminazione, costituisce il fondamento della fisica atomica, e può essere intuito sulla base di un semplice esperimento. Immaginiamo di voler misurare la temperatura dell’acqua contenuta in una vasca. Per far ciò abbiamo bisogno di un termometro. Lo immergiamo nell’acqua e dopo un po’ leggiamo sulla scala graduata la temperatura dell’acqua. In effetti, l’esperimento sembra facilissimo, ma se ci pensiamo un attimo, non è proprio così. In realtà, quella che abbiamo letto è la temperatura del mercurio che, ricevendo calore dall’acqua, ha aumentato la sua temperatura e si è dilatato lungo la scala graduata. Ma se ha ricevuto calore dall’acqua, allora l’acqua ha diminuito la propria temperatura, sicché quella che leggiamo sul termometro è la temperatura di equilibrio acqua-mercurio. E allora? Allora immergendo il termometro in acqua ne abbiamo alterato la temperatura. D’accordo, praticamente la cosa ha poca importanza: dopo tutto, l’acqua avrà ridotto la sua temperatura in misura trascurabile. È vero, ma se con lo stesso termometro avessimo misurato la temperatura dell’acqua contenuta in una tazzina da caffè, l’errore non sarebbe stato trascurabile. In sostanza, quel che Heisenberg ha dimostrato, è che qualsiasi misura induce un errore sull’oggetto osservato. Con considerazioni più complicate, si può dimostrare che il principio di Heisenberg non deriva da difficoltà tecnologiche, bensì è una caratteristica della natura delle cose e quindi l’impossibilità di misurare un sistema senza alterarne i parametri osservati è tale per definizione.

L’ultima frase è filosoficamente la più importante ai fini della nostra analisi in quanto evidenzia «l’impossibilità di misurare un sistema senza alterarne i parametri osservati».

Questa impossibilità dovrebbe stimolare la riflessione, incuriosire. Non è verosimile che sia applicabile anche al mondo del pensiero, dell’etica e della religione?


Ezio Fornero, 22/10/2009

Ma sì, una qualche analogia ci può essere, anche se bisogna tenere presente che la misura di una grandezza fisica è comunque una cosa molto diversa da una posizione filosofica o da un processo mentale. In fondo, le misure sono solo numeri. 

Però qualche tempo fa mi era venuto in mente che appunto tutte le idee, per quanto possano essere radicate, sono appunto solo processi di natura ultima sconosciuta, quindi nulla vieta di pensare che qualsiasi valutazione o giudizio possa essere considerato come un semplice episodio interno alla formazione dei processi mentali – cioè, sullo stesso piano di ogni fenomeno, saltando la distinzione tra “interno” ed “esterno” che potrebbe essere essa stessa stabilita da processi mentali radicati e quindi non messi in discussione ipso facto, fatto salvo il principio di non-contraddizione che ha una natura piuttosto logico-formale. 

Allo stesso modo la misura di una grandezza fa parte di un processo fisico coinvolgente non solo il sistema indagato ma anche l’ambiente circostante (p.es. lo strumento di misura), di modo che il sistema “isolato” non è mai isolato, e la misura non rivela parametri inerenti al sistema, ma l’interazione tra sistema e apparato di misura. 

In questo senso, la misura non è l’estrazione di informazione pre-esistente, ma è l’informazione stessa che viene in essere con la misura, mediante selezione a partire da un insieme di potenzialità. La mia impressione è che la presunta oggettività dei giudizi – nel senso che il giudizio è considerato una operazione fatta su qualcosa di reale esternamente – sia un riflesso della presunta stabilità ed esistenza dell’io, che mi sembra una balla – su un piano astratto, beninteso, perché operativamente non mi pare che dell’io si possa farne a meno. 

Ma se si considera l’io una serie di processi che si presentano con una continuità di memoria nulla vieta di pensare che le misure operate dall’io (cioè le sue operazioni) siano creazione di informazione, e che non ci sia nulla di esterno nel senso comune del termine. Comunque, questo sarebbe un punto di vista estremo. Anche il principio di indeterminazione non giunge all’estremo. L’indeterminazione non è assoluta, si riferisce solo alla impossibilità di determinare simultaneamente i valori di certe coppie di grandezze correlate (posizione e impulso, ecc.).


Dario Chioli, 22/10/2009

Mi pare che il tuo interessante commento confermi abbastanza la mia interpretazione. C'è un modo di paragonare le cose fisiche e quelle metafisiche che potrebbe essere fruttuoso...


Dario Chioli, 2/6/2016

Riflettendo oggi su quanto ho scritto otto anni fa, sono sempre più convinto che tutto il processo della conoscenza sia assai più controintuitivo di quanto in un primo momento si sia portati a supporre, e che sia necessaria una vera e propria riconfigurazione del processo cognitivo e della stessa mente prima di poter seriamente affermare di conoscere qualcosa.

E che sia l’intuizione intellettuale quella seconda forma del pensiero, metamorfosi del pensiero ordinario mortale, che ci consente di traghettarci in brevi istanti di stupore dal mondo contraddittorio dello spaziotempo nel sintetico inconcepibile dell’eterno.

 

   

 

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